LOMBARDA, ARCHITETTURA
. È chiamata lombarda l'architettuta romanica sorta e sviluppatasi (con unità di principî essenziali e di caratteri esteriori) nell'intera valle padana, dal Piemonte all'Emilia e legata all'attività dei maestri comacini medievali. I temi costruttivi che si presentarono in questo periodo furono quanto mai variati: palazzi comunali, broletti, arengarî, logge, costruzioni militari, torri, castelli, case d'abitazione e, infine, la basilica con gli altri fabbricati minori che l'attorniano: il nartece o cortile porticato per i catecumeni, il battistero e la torre campanaria.
Centro di questo rinascimento è la regione comacino-milanese-pavese, la pingue plaga tra i laghi e il Po, ma le propaggini si estendono assai lontano, risalgono le valli del Piemonte (Aosta, Susa), toccano la Venezia (Verona), si spingono giù per la Via Emilia (da Piacenza a Bologna, alla Romagna) fin nell'agro ferrarese, sorpassano l'Appennino (Tuscania), giungono in Toscana (Arliano) e nel Lazio (Tarquinia); lasciano in molte fabbriche della Liguria (Genova, Noli) il segno della loro arte, passano i confini e si spingono fino alla Provenza e alla Borgogna. L'opera dei maestri comacini s'afferma rapidamente nei centri più popolosi posti sulle linee di grande comunicazione, mentre con ritardo, talvolta di oltre un secolo, giunge a realizzazioni più semplici nei centri minori o lontani o dispersi fra le montagne.
L'evoluzione architettonica del monumento principale, la basilica, meglio di ogni altra si presta ad esemplificazioni. Dai primitivi organismi modestissimi a piccoli spazî coperti di legname, si giungerà a creazioni degne della romanità classica con il giuoco complicato e ardito delle vòlte.
Ecco le piìi lontane realizzazioni, di fortuna. Sono fabbriche a tre navate, su colonne raccogliticce, materiali di ricupero e di spoglio. Niente ancora di originale tra il sec. VIII e i primissimi dell'XI. Ricordiamo le piìi importanti basiliche: a Brescia, San Salvatore (metà del sec. VIII); a Milano, San Vincenzo in Prato (circa l'830); ad Agliate, San Pietro (circa l'875); a Galliano, San Vincenzo (1007). La nave centrale è, all'incirca, larga il doppio delle laterali, ma assai più elevata, per permettere l'apertura di finestre; ciascuna navata ha un proprio tetto indipendente con le travature di legname in vista, e termina con la propria abside semicircolare; e poiché si vuol creare un sacello o una cripta sotto il presbiterio, questo risulta notevolmente rialzato sul piano della chiesa. Bisogna poi immaginare davanti alla facciata il nartece o un portico, benché nessun esempio ne sia giunto fino a noi nelle prime basiliche lombarde. Fuori, isolato e generalmente sul fianco destro (Agliate, Galliano) oppure di fronte (Novara, Arsago), il battistero, derivazione elementare delle costruzioni centrali e cristiane. Col sec. IX appaiono i campanili, che subito prendono largo piede in tipi quasi definitivi (tra i più antichi, quello di San Satiro, i quattro di San Lorenzo e il più basso dei due di Sant'Ambrogio a Milano; tra i più lontani, ma di chiara derivazione lombarda, quello di Pomposa e, addirittura, quello di San Marco).
Tutte queste fabbriche son costruite con sistemi e mezzi disparati a seconda dei materiali disponibili e delle capacità locali: laterizio per la bassa Lombardia e per tutta la pianura; ciottoli torrentizî cementati da abbondante malta in collina e sulle rive dei fiumi; in montagna e sui laghi, pietre a vista, squadrate o grezze, marmi. Le decorazioni sono poche e di prammatica: appena qualche ghirigoro di scalpello sull'architrave delle porte, una teoria di archetti pensili o sostenuti da lesenine (reminiscenze e gusti dell'architettura ravennate dei secoli precedenti), a segnare e seguire i frontoni della facciata (sempre a due pioventi e cioè rigidamente connessa alla struttura dell'edificio), lungo i fianchi, attorno alle absidi.
Ma poiché i gusti mutano e le possibilità aumentano, poiché molte di queste più antiche basiliche rapidamente deperiscono, appare la necessità di rinnovare, di ricostruire, di trovare sistem) statici e criterî direttivi più completi e sicuri. La copertura di legname presenta molti inconvenienti, poiché il legno ha breve durata, è facilissimamente infiammabile e non permette coperture di notevole portata e ampiezza. Si presenta quindi, forse suggerita dagli antichi monumenti, la soluzione della vòlta. Si procederà per tentativi cauti e parziali, magari nell'occasione della rifabbrica in situ delle vecchie chiese (tipica la ricostruzione della basilica ambrosiana iniziata, a partire dal sec. IX, con la riforma del presbiterio e successivamente estesa, sec. XII, a tutto l'edificio, senza per altro aumentarne la capacità; e da ricordare anche le parziali o totali rifabbriche di San Lorenzo e di San Nazaro di Milano, di San Fedele di Como, di San Lorenzo e di San Michele di Cremona); ma anche avventurandosi in costruzioni su pianta affatto nuova.
La storia dell'architettura lombarda diviene, a questo punto, storia della vòlta e di ogni elemento statico che la genera: pilastri ed archi. In un primo tempo si coprirono con vòlte a crociera su pianta quadrata le navate laterali, per loro natura di modeste proporzioni: tante crociere quanti sono gl'intercolumnî: a Milano, San Celso, iniziata sulla fine del sec. X; a Lomello la grandiosa basilica di Santa Maria Maggiore, iniziata sui primissimi dell'XI; a Como San Carpoforo, del 1040, e San Giacomo del 1105; mentre, in Como stessa, la stupenda e solenne ricostruzione della chiesa benedettina di Sant'Abbondio (1013-1095) insiste nel gettare su cinque navate la copertura di legname a vista, pur accennando a qualche innovazione costruttiva dovuta forse a reminiscenze d'importazione. Poiché i risultati sembrarono soddisfacenti, si estese l'esperimento sulla più ampia navata centrale, rinunciando però alle esili colonnine frammentarie per affidarsi a più robusti piloni in muratura, i cosiddetti pilieri, composti di tanti elementi quante sono le strutture portanti. Preoccupava il problema della luce; infatti, ricoprendo con vòlte la navata centrale, diviene quasi impossibile aprirvi lungo i lati le finestre, a meno di non elevare notevolmente le pareti e quindi il punto d'imposta. Così che, per ristabilire l'equilibrio delle spinte e controspinte, bisogna rinserrare la grande navata fra i "matronei". Nelle basiliche lombarde i matronei non hanno ufficio di accoglier gente, ma costituiscono un raddoppio costruttivo delle navate minori, un punto d'appoggio e di contrasto tra le vòlte centrali e laterali: tant'è vero che, in qualche caso (Milano, Sant'Eustorgio), i matronei sono ridotti a un simulacro e risultano perfino inaccessibili.
Ma poiché neppure codesto partito sembrerà soddisfacente, si tenterà di raggiungere l'equilibrio sostituendo ai matronei una doppia serie di speronature e contrafforti esterni, sporgenti anche dai tetti delle navate minori. A Pavia la triade delle più famose basiliche, impostate, si noti, a breve distanza d'anni l'una dall'altra, documenta in modo singolare il succedersi di questi tentativi. San Michele (primissimi del sec. XII, consacrata nel 1135), la prima in ordine d'impostazione, ha i matronei; San Pietro in Ciel d'Oro (iniziata qualche anno dopo, consacrata nel 1132) e San Teodoro (metà del sec. XII) si valgono esclusivamente di contrafforti. Talvolta, per raggiungere anche più facilmente l'equilibrio statico, le campate della navata centrale saranno rettangolari, e meno profonde, anche se maggiori di numero; cioè, in luogo della nave centrale a campate quadrate, fiancheggiate da doppia coppia di piccole campate pure quadrate, si avranno campate centrali rettangolari, fiancheggiate da coppia semplice di piccole campate quadrate.
I due sistemi si alternano, pur essendo il primo più diffuso. Esempî del primo: S. Ambrogio di Milano; la chiesa di Rivolta d'Adda; il San Savino di Piacenza, il San Pietro di Bologna, Santa Maria di Castello a Tarquinia, il ricordato San Michele di Pavia. Appartengono al secondo gruppo: San Pietro in Ciel d'Oro e San Teodoro, pavesi; San Simpliciano, milanese; per limitarsi ai maggiori monumenti sopravvissuti.
Ma non dura molto la divisione delle tendenze. I Lombardi troveranno che i matronei sono eccellente motivo decorativo, i contrafforti essenziale elemento statico: applicheranno dunque ambedue dando vita alle più imponenti loro cattedrali. Questi sono i capolavori dell'architettura lombarda giunta all'apogeo: duomo di Cremona (rifatto a partire dal 1124); duomo di Piacenza, fondato nel 1122; duomo di Modena, consacrato nel 1184; duomo di Parma, della seconda metà del sec. XII. Si abbandona frattanto la rigidità della pianta basilicale per spaziare nelle forme più disparate: croce a grandi bracci (Duomo di Cremona, Duomo di Piacenza, Santa Maria Maggiore di Bergamo); croce a esedre circolari (Como, San Fedele) pianta rotonda (Duomo Vecchio di Brescia, San Lorenzo di Mantova, San Tomaso di Almenno); piante centrali dalle caratteristiche speciali (Santa Maria del Tiglio a Gravedona, San Benedetto di Civate). Le cripte tendono ad ampliarsi straordinariamente, a occupare col presbiterio anche il fondo delle navate laterali; la tecnica della costruzione è spesso di mirabile perfezione.
Un altro partito, singolarissimo, va frattanto prendendo piede: il tiburio, cioè a dire un rivestimento, generalmente ottagono, della cupola sorretta, sopra la campata presbiteriale, da pennacchi o trombe o velette che hanno l'ufficio di mutare il sottostante quadrato in poligono, fuori, è un involucro di uno o più ordini di logge su colonnine, tra cui si aprono le finestre (Milano, S. Ambrogio). Talvolta fa corona un lanternino (Pavia, S. Teodoro); sempre la copertura è a padiglione, di rame o tegoli. Comunque il tiburio lombardo non accusa mai all'esterno la sua natura cupoliforme.
La basilica romanica lombarda va perdendo con gli anni il proprio nartece: poche chiese già lo ebbero fin dai primi secoli; pochissime lo ebbero dopo l'introduzione delle vòlte; ci si accontenta di un protiro su colonnine davanti alla porta maggiore. Un solo nartece, un solo cortile porticato è pervenuto a noi, quello di Sant'Ambrogio, completo; gli somiglia alquanto il cosiddetto Cortile di Pilato, di Santo Stefano a Bologna, ma ha diversa funzione nel complesso edificio.
Si preferisce ingrandire enormemente le facciate delle chiese, dando forma a doppio piovente, magari coronandole di pinnacoli, senza tener in conto la struttura retrostante dell'edificio, come facevano i primitivi, e senza spaventarsi di dover aprire, addirittura sul cielo, finestre illogiche ed inutili (Viboldone, Abbazia; Lodi Vecchio, San Bassiano). La nuova grandissima superficie dà motivo a creazioni squisitamente decorative, teorie di gallerie e logge, rosoni complicati; gli stessi protiri assumono importanza eccezionale e salgono a due o più piani (Bergamo, Parma, Modena). I campanili si ripetono in forme sempre più imponenti, altissimi e ornati e cuspidati (il Torrazzo di Cremona, la Ghirlandina di Modena); saranno isolati, o a coppie; liberi o legati alla struttura della chiesa (Aosta, cattedrale; Como, Sant'Abbondio; Parma, cattedrale). I battisteri rinunceranno a complicati innesti di organismi disparati e all'intrico di deambulatorî sovrapposti senza ricorrenze logiche (Galliano, Biella, Arsago) per raggiungere, a Cremona (1117-1167) e a Parma (1196-1216), il perfetto equilibrio architettonico, fissando dentro e fuori l'organicità della forma ottagona, fine a sé stessa benché arricchita di nicchioni in spessore di muro e di gallerie decorative.
In tal modo, a cavaliere dei secoli XII e XIII, si assommava ad una rara perfezione tecnica la gamma fiorita delle decorazioni tipicamente architettoniche (archeggiature, finestre dalle grandi strombature, logge) e scultoree (capitelli, fasce scolpite, fregi a bassorilievo).
Si doveva verificare, frattanto, un curioso fenomeno. Sino dalla metà del sec. XII, alcune congregazioni religiose benedettine avevano iniziato una sistematica immigrazione nell'Alta Italia, fondandovi cenobî e priorati. Calavano questi monaci con un loro bagaglio di principî costruttivi ormai gotici e di gusti decorativi nordici. Le abbazie cisterciensi di Chiaravalle Milanese (incominciata nel 1135, ma terminata assai più tardi) e di Morimondo (incominciata nel 1186), i chiostri cluniacensi di Voltorre (fine del see. XII) e di Piona (metà del XIII), l'abbazia di Sant'Andrea di Vercelli (1220) sono i prodotti maggiori e singolari di tali importazioni. Ma poiché le formule costruttive gotiche trovarono da noi riscontro e conferma in già sperimentate fabbriche a contrafforti, l'importazione francese non poté che contemperarsi con i criterî lombardi. E non diversamente avvenne nell'altro importantissimo tema del pubblico palazzo (della Ragione, del Comune, del podestà, ecc.), in cui spesso nel portico che costituisce il piano terreno apparve, come a Piacenza, l'arco acuto. Venne da tale comunione d'intenti maggior beneficio aprendosi più vasti orizzonti a tutta l'architettura trecentesca italiana.
V. tavv. LXXV-LXXVIII.
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