ARCHITETTURA RAFFIGURATA
Uno specifico interesse per le raffigurazioni architettoniche nei più diversi contesti iconografici del Medioevo è frutto di studi recenti e si giustifica con l'aspirazione a coinvolgerle nell'esplorazione delle fonti e delle vicende, estremamente lacunose, della storia dell'a.; è scontato che si debba tenere conto della variabile attitudine che investe la rappresentazione di strutture complesse calate nello spazio. Problematica si presenta subito l'iconografia architettonica perché appare da una parte ripetitiva e stereotipa, esemplata su schemi già formati nella Tarda Antichità, e dunque apparentemente inattuale e inidonea come documento, dall'altra restano da considerare quei casi singoli in cui si rendono selettivamente riconoscibili, in tratti essenziali, specifici edifici. Su questa linea si colgono interferenze con i temi strettamente connessi delle raffigurazioni di città, del disegno di a., nonché della trasmissione di tipologie e schemi costruttivi attraverso elaborati grafici.
L'iconografia dell'a., come del resto quella della città - concepita quest'ultima come agglomerato recinto di mura contrassegnate da porte e torri - rientra nell'eredità figurativa antica, raccolta nel Medioevo con rielaborazioni e interpretazioni riduttive (Kallab, 1900). Il più antico repertorio è offerto dai mosaici e dalle miniature, con stereotipi convenzionali, come il tempio di Gerusalemme, per es. nell'Itala di Quedlinburg (Berlino, Staatsbibl., Theol. lat. fol. 485; Prayon, 1986), e le città 'ideali' di Gerusalemme e di Betlemme, per es. nei mosaici di Roma e di Ravenna (a Roma farebbe eccezione per qualche più attendibile riferimento a monumenti storici il profilo della città nel mosaico absidale di S. Pudenziana). In questi casi non c'è traccia di ricerca spaziale, il particolare sostituisce l'insieme in una vera e propria metafora figurativa. Per es. le porte di città affiancate da torri possono rappresentare, seguendo una contrazione già diffusa nella monetazione antica, l'intera città; una fonte autonoma di siffatte versioni riduttive era offerta dalla cartografia degli itineraria picta (Levi, Levi, 1967). È interessante ritrovarle nelle miniature del sec. 9° dei trattati di agrimensura dei 'gromatici', dove pure si illustrano avanzati sistemi di razionale misurazione. Un esempio, però, di raffigurazione ben identificato e datato (inizio del sec. 6°), il palatium effigiato nei mosaici di S. Apollinare Nuovo a Ravenna, ha sollevato ampie discussioni sulle due ali con porticati e logge che si svolgono ai lati del blocco centrale cuspidato, se siano da intendersi come lati di un cortile, oppure, come altri preferisce, uno sviluppo allineato sullo stesso blocco centrale (de Francovich, 1970). A questo tema si sono collegate talune delle miniature del Salterio di Utrecht (Bibl. der Rijksuniv., 32, scuola di Reims, sec. 9°), che per il ricchissimo repertorio di motivi architettonici consentono efficaci comparazioni e classificazioni già al loro interno (Duval, 1965; Dufrenne, 1978). Vi ricorre fra l'altro quell'accostamento additivo di gruppi di figure e di quinte architettoniche destinato per tutto il Medioevo a supplire convenzionalmente a un'articolazione d'interno.
Altra soluzione che dispone di ricorrenti esempi è la riduzione ulteriore dell'a. a una cornice modanata, talora con inversioni o distorsioni singolari: qui la casistica è particolarmente ricca negli avori carolingi, ma sempre sulla base di modelli tardoantichi come i dittici consolari (Cagiano de Azevedo, 1985); né vanno dimenticati i precedenti delle finte a. in stucco in mosaico e in pittura, che ritornano a cornice di cicli figurati, o anche come elaborazioni autonome (Ravenna, battistero degli Ortodossi; San Julián de los Prados o Santullano presso Oviedo, ecc.).L'a. raffigurata può anche essere utilmente studiata per altre ricorrenze tipologiche, tra cui emerge la formula dell'edificio a pianta centrale ispirata al Santo Sepolcro di Gerusalemme (di cui si capta anche la singolare copertura; Kenaan-Kedar, 1986), la quale dispone in avori, miniature e altri media di una serie pressoché ininterrotta di varianti, il che convalida in concomitante parallelismo insieme la persistenza e i limiti che toccano l'intenzionale copia di strutture architettoniche (Krautheimer, 1942). È infatti possibile confrontare le nozioni ricavabili dall'iconografia con realizzazioni in termini reali - si pensi alla tradizione fertilissima delle copie, come a Neuvy-Saint-Sépulchre nel Berry-Bourbonnais, negli edifici più volte rielaborati del Santo Sepolcro di Bologna; ma che va ben oltre il Medioevo, come dimostra la chiesa di S. Girolamo di Gaspare Vigarani a Reggio Emilia, sec. 17° - oppure con riproduzioni in scala ridotta (Aquileia, basilica; Costanza, duomo). Il valore sintomatico di questo filone è ancora accresciuto dalla trasmissione in Occidente della planimetria del Santo Sepolcro di Gerusalemme attribuita al vescovo Arculfo (sec. 7°) e nota in copie del sec. 9°, sicché il costituirsi di un'iconologia architettonica (Bandmann, 1951; Reinle, 1976) non esclude, anzi implica, la possibilità di razionali e sintetiche planimetrie. Che in effetti sezioni anche articolatissime, nel solco dei precedenti dell'Antichità, venissero prodotte è dimostrato dal famoso disegno dell'abbazia di San Gallo (Stiftsbibl., 1092), per la cui interpretazione si è pure usufruito delle più varie referenze iconografiche (Horn, Born, 1979; Hecht, 1983; Huber, 1986); il più prossimo confronto dopo secoli si ritrova nella planimetria dei chiostri di Canterbury del monaco Eadwin (1150 ca.), ove si incrementano i particolari degli alzati ribaltati sul piano (Salterio di Eadwin, Cambridge, Trinity College, R.17.1). Vanno ricordate anche elaborazioni grafiche connesse a un filone trattatistico ancorato alla conoscenza di Vitruvio (Bischoff, 1971) e che approdò a tentativi nuovi di sistemazione 'moderna', come il taccuino dei disegni di Villard de Honnecourt (Parigi, BN, fr. 19093, 1235 ca.), ove si trovano riporti tipologici: proprio un mausoleo antico viene designato come pagano (sarrazin) per distinguere un genere estraneo all'esperienza dell'autore.La connessione tra processo ideativo e progettuale da una parte e immagine architettonica dall'altra si concretizza singolarmente nel tópos del committente che reca in mano il modello dell'edificio (Gardelles, 1987), riflettendo anche qui, insieme a convenzionali schematismi, la pratica del modello tridimensionale come base fondamentale della progettazione. Sia l'uso dei disegni sia quello dei modelli dispone di illuminanti testimonianze scritte (Schlosser, 1892; 1896).
La pratica del modello non ha lasciato testimonianze di facile identificazione, data la deperibilità dei materiali (non così in Oriente, per es. nelle sopravvissute testimonianze caucasiche; Ieni, 1978), ma si proietta anche in oggetti d'uso liturgico che assumono forma squisitamente architettonica, certo con significati allusivi (reliquiari, incensieri, lampade in forma di chiese o di cibori; il c.d. arco di Eginardo come supporto di croce, opera perduta, ritenuta di consistenza monumentale da Montesquiou Fezensac, 1956; v. anche Das Einhardskreuz, 1974; le grandi lampade multiple in forma di mura di città, per es. della Cappella Palatina di Aquisgrana e della cattedrale di Hildesheim).
L'a. raffigurata si propone pertanto insieme come fonte di significati e di riferimenti reali che vanno considerati nel loro reciproco variabile contatto e vagliati caso per caso. Si possono così distinguere identificazioni attendibili, per es. la sagoma del duomo di Colonia effigiata nel codice di Illino del 1000 ca. (Colonia, Domschatzkammer) o degli edifici profani nel c.d. ricamo di Bayeux della seconda metà del sec. 11° (Bayeux, Tapisserie de Bayeux), da altre significative di particolari tendenze formali (Überwasser, 1951), o ancora da altre di interesse descrittivo per la ricostruzione della prassi architettonica e del cantiere (Binding, Nussbaum, 1978). Verso la fine del Duecento nella pittura rinnovata da Cimabue e poi da Giotto si scorgono sollecitazioni particolarmente intense per la più qualificante identità dell'a. raffigurata. Basti ricordare la veduta di Roma nell'Ytalia di Cimabue nella basilica superiore di Assisi (Andaloro, 1984; a riscontro tuttavia delle fantastiche a. apocalittiche del transetto sinistro) o le immagini di a. vividamente sensibili alla policromia 'cosmatesca' del ciclo giottesco (dove pure si può avvertire la capacità di connotare strutture profondamente diverse, dalla chiesa 'romanica' di S. Damiano in rovina, al tempio antico, alla facciata e all'interno 'moderno', al complesso absidale rivestito di marmi).
Il Trecento è fecondissimo di testimonianze collegabili a esempi reali, anche se non coordinate da una prospettiva centrica. È significativo che Brunelleschi partisse nelle sue dibattute tavolette sperimentali proprio da vedute architettoniche, ma in funzione di quel punto di vista 'legittimo' che le sottraeva all'isolamento che aveva lungamente cristallizzato le loro valenze significanti.
Bibl.:
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A. Peroni
Area Bizantina. - La pittura bizantina ha subìto, nel corso del suo sviluppo, un'evoluzione nella quale rientra la concezione delle a. quali elementi che contribuiscono a definire lo spazio in una composizione figurativa. Tale evoluzione appare espressa più chiaramente nella pittura murale, un'arte ufficiale rivolta a tutti, piuttosto che nella miniatura, destinata a una comunità ristretta o a un singolo committente e alla sua famiglia. Dal sec. 5° al 12° si assiste all'evidente intento di proiettare figure quasi incorporee e, quel che più conta, frontali e impassibili, su un fondo privo di connotazioni, d'oro o di cobalto. Personaggi smaterializzati venivano così collocati in un mondo celeste, fatto di luce (oro) o di blu intenso (cobalto); la tendenza verso l'astrazione si esprimeva in maniera coerente attraverso tutti gli elementi dell'immagine. Quando la presenza di un'a. era assolutamente necessaria allo svolgimento dell'azione, la si rappresentava come un elemento isolato, di dimensioni assai ridotte, schematico, che aveva il valore di un segno; l'a., vista frontalmente, non aveva modo di intervenire sulla natura dello spazio rappresentato, né di creare un'ambientazione per le figure. Naturalmente si hanno delle eccezioni, che si manifestano tuttavia solo nella miniatura, settore in cui nei secc. 10°-11° fiorì un movimento di rinascenza.Un mutamento importante nella mentalità bizantina avvenne nel corso della seconda metà del sec. 12°, quando si manifestò un nuovo umanesimo, che incise sulla rappresentazione dello spazio e degli elementi architettonici. Personaggi impassibili, dallo sguardo fisso, cominciarono a provare emozioni intense e quindi a muoversi, acquistando improvvisamente volume grazie al modellato. L'astrazione severa del fondo vuoto cominciò a risultare quindi inadeguata; si imponeva un contesto più concreto, capace di creare una certa profondità. Ancora una volta si fece ricorso all'eredità dell'antico, ma edifici, templi, portici, assunsero maggiore consistenza e dimensioni più ampie e arricchirono il fondo. Come già nell'arte antica, gli edifici e gli arredi, posti di tre quarti, vennero collocati con gli angoli rivolti verso l'osservatore; si tratta di un mezzo scelto dagli artisti dell'Antichità per 'sfondare' lo spazio e creare un'impressione di profondità. A Bisanzio tale effetto venne curiosamente minimizzato da una sorta di contromisura: sovente un muro chiude il fondo in modo che gli angoli posteriori degli elementi architettonici risultino schiacciati contro la linea orizzontale definita dal muro stesso; lo spazio creato dagli edifici visti di tre quarti si riduce così a una stretta fascia in primo piano del campo pittorico. Altri mezzi vennero impiegati per limitare la profondità e soprattutto per impedire la definizione di uno spazio unitario. In effetti, le differenti a. di una composizione sono generalmente lungi dall'essere percepite secondo un punto di vista unico; al contrario, si cerca di collocare un portico visto da sinistra a fianco di un'arcata o di un edificio osservato da destra. Lo stesso accade per l'altezza: così, una costruzione è vista dall'alto e quella accanto dal basso. Il fenomeno si complicò ancor più nel sec. 14°, quando le a. diventarono più elaborate e fantasiose; si osservano allora strutture a due o più piani, in cui gli elementi sovrapposti sono visti uno dal basso e l'altro dall'alto. Il risultato di questo sistema di rappresentazione è uno spazio frammentato in cui ogni porzione definita architettonicamente si oppone a quella che le sta accanto. Per lo più, gli edifici vengono disposti nella composizione in modo da focalizzare l'attenzione dell'osservatore sul personaggio principale della scena. In molti casi - per es. nella chiesa della Vergine Peribleptos a Mistrà; nella chiesa del Salvatore nel monastero di Dečani (Iugoslavia); nella chiesa del monastero di Liubostinja (Iugoslavia) - si assiste addirittura a una frattura o a una disarticolazione dell'a. in modo che l'elemento così 'deviato' punti sul personaggio chiave di un'azione o di una situazione; in altri termini l'a. viene subordinata al valore morale e semantico dei personaggi. L'arte bizantina arrivò così a un risultato paradossale: nel creare tra i secc. 12° e 14° immagini in apparenza molto diverse da quelle dei secc. 5°-12°, essa obbedì a un'unica esigenza intellettuale, quella di realizzare un universo sacro che non evocasse le contingenze terrene, se non per quel tanto che bastava a rendere l'immagine intellegibile. La nuova corrente umanistica esigeva dei cambiamenti, ma nello spirito della pittura bizantina persisteva una vivace opposizione a queste tendenze innovatrici. Di qui un andamento contraddittorio: grazie all'a. raffigurata si definisce una parvenza di profondità, anche se molto limitata, ma a. relativamente realistiche risultano disarticolate e collegate tra loro nel modo meno realistico possibile.
Bibl.:
T. Velmans, Le rôle du décor architectural et la représentation de l'espace dans la peinture des Paléologues, CahA 14, 1964, pp. 183-216; A. Stojaković, La conception de l'espace définie par l'architecture peinte dans la peinture monumentale du XIIIe siècle, in L'art byzantin du XIIIe siècle, "Symposium, Sopočani 1965", Beograd 1967, pp. 169-178; id., Arhitektonski prostor u slikarstvu srednjovekovne Srbiji [Lo spazio architettonico nella pittura della Serbia medievale], Novi Sad 1970.
T. Velmans
Islam. - Non numerose nel loro complesso, nell'ambito del patrimonio figurativo pervenuto, le rappresentazioni di a. e di città a opera di artisti e illustratori del mondo islamico denotano, di norma, un interesse più orientato a fini decorativi, con frequenti stilizzazioni e idealizzazioni, che non a intenti di documentazione e di descrizione 'oggettiva' della realtà. Tale tendenza appare ben evidente sin dalle più antiche manifestazioni note (quali il ciclo musivo realizzato verso il 715 nel cortile della Grande moschea di Damasco da artefici di scuola bizantina, privo del forte realismo dei mosaici del S. Apollinare Nuovo di Ravenna).
Notevole interesse anche documentario assumono, comunque, le due pagine iniziali di un Corano di epoca omayyade (metà sec. 8°), recentemente scoperto in un deposito della Grande moschea di Ṣan'ā' nello Yemen (Graf von Bothmer, 1987), che raffigurano moschee a sala ipostila dalle arcate a tutto sesto ribaltate sul piano del disegno. Pur non riferendosi a precise a., queste immagini - che pongono particolare enfasi sul miḥrāb, elemento architettonico emblematico che figura già su una moneta del califfo 'Abd al-Malik del 694-695 (Miles, 1952) - possono confrontarsi con importanti edifici sacri dell'Islam primitivo della Siria e dello Yemen.Tra le prime eccezioni alla regola dell'astrazione, forse dovute a influenze esterne, si può ricordare la raffigurazione quasi 'verista' del santuario della Mecca su una lastra datata 1104 (proveniente da Mosul e ora all'Iraq Mus. di Baghdad; Strika, 1976), ove le arcate del portico che circonda la Ka'ba, ribaltate sul piano, disegnano con una certa fedeltà l'a. del sacro recinto. Da citare è anche la ben nota rappresentazione di una fortezza assediata, su un piatto d'argento postsasanide di incerta datazione (Leningrado, Ermitage), ove è stata vista la cittadella selgiuqide di Merv, ritratta con precisione nelle alte scanalature tra contrafforti emicilindrici su basamento di pietra, tipiche di molti edifici di epoca islamica che tuttora si conservano nell'area centroasiatica (Sauvaget, 1951).Alcune a. stilizzate e schematiche figurano pure, in qualità di sfondo, spesso a piena pagina, nelle illustrazioni di alcuni manoscritti del sec. 13° di carattere scientifico o letterario, con palese intento esplicativo e didascalico nella accurata descrizione dei materiali costruttivi e delle forme architettoniche, pur riferite a edifici-tipo: palazzo, moschea, casa, noria, caravanserraglio, mercato, visti per lo più di prospetto; è il caso delle miniature della Storia di Bayād e Riyād (Roma, BAV, arab. 368; Ettinghausen, 1962), attribuite a scuola maghrebina e, non senza tentativi di rendere la profondità dello spazio, di alcune immagini, eseguite a Baghdad, che figurano nelle numerose edizioni delle Maqāmāt di al-Ḥarīrī (se ne conoscono una dozzina, con ca. ottocento immagini in tutto) destinate forse a una ricca borghesia cittadina d'ambiente arabo-mamelucco (Grabar, 1963; 1970; 1984).
Nell'ambito della grande fioritura che conobbe l'arte della miniatura nei centri urbani dell'Iran in periodo ilkhanide e timuride (secc. 13°-15°) l'a. raffigurata, sottraendosi agli influssi iconografici e stilistici cinesi o centroasiatici, presenti talvolta nelle figure umane e nello sfondo paesaggistico della stessa composizione, conserva i suoi caratteri più specificamente islamici, smembrandosi, peraltro, in complesse sequenze di piani frontali e obliqui che suggeriscono molteplici punti di vista e sfondamenti in profondità, mentre la mancanza di spessori murari e di volumetrie conferisce un carattere di scenica teatralità a tutta l'immagine, che raramente però presenta un determinato edificio visto nella sua completezza.Tra le non numerose rappresentazioni di edifici interi e precisamente individuati nei loro connotati spaziali si segnala quella, eseguita a Samarcanda nel 1380-1390 (Istanbul, Topkapı Sarayı Müz., H. 2153, c. 13v), in cui un animato convento di dervisci mostra al tempo stesso l'esterno, l'interno e i diversi livelli di utilizzazione della sua complessa struttura tridimensionale; del tutto priva di figure umane è invece la veduta (dipinta prima del 1318) di Ghāzāniyya, dove il distrutto sobborgo ilkhanide di Tabriz (in cui il mausoleo regale, in posizione centrale è preceduto da un recinto poligonale ad arcate) figura circondato da strutture architettoniche a cupola, miniate con altrettanta accuratezza (Wilber, 1955).Tra le altre importanti a. raffigurate del sec. 14° si ricorda, per la singolarità del contesto, la miniatura di epoca gialairide, eseguita a Tabriz nel 1360-1370, forse dal pittore Aḥmad Mūs'a (Istanbul, Topkapı Sarayı Müz., H. 2154, c. 107r), nella quale un angelo offre a Maometto il modellino di una città - identificata da vari autori in Medina, Istanbul o Gerusalemme - raffigurata con diversi elementi naturali (fiumi e giardini alberati e fioriti) e artificiali (moschee a cupola e minareti): una composizione che segue un programma iconografico non molto diverso, in fondo, da analoghe 'offerte' di edifici e città ricorrenti nell'arte figurativa bizantina e occidentale. Quasi coeve sono le pitture parietali di epoca muzaffaride (risalenti al 1364-1365) del Masjid-i Gunbād di Āzādān presso Isfahan, in cui la Mecca e Medina figurano non solo con i loro recinti sacri, ma anche con l'agglomerato edilizio circostante, ancorché ridotto a un tessuto regolare di maglia rettangolare che nella realtà non esiste (Scerrato, 1981).
Nel corso del sec. 15° sembrano affermarsi approcci visivi e interpretativi dell'a. alquanto complessi: si veda per es. la sintetica veduta a volo d'uccello di Baghdad, eseguita a Shamākha nel 1468 (Londra, BL, Add. Ms 16561, c. 60v), sapientemente allusiva agli elementi di riconoscibilità della grande città sul Tigri. Si consideri anche la molteplice e prolifica produzione della c.d. scuola timuride di Herāt, che investe talora l'intera immagine con calcolate giustapposizioni di grandi īvān monumentali su diversi piani e adotta artifici figurativi che sembrano prefigurare vedute assonometriche, come nella rappresentazione tridimensionale della Mecca eseguita nel 1494 (Londra, British Mus.), da considerare evolute anticipazioni della grande fioritura pittorica delle scuole ottomane, safavidi e moghul.
Bibl.:
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P. Cuneo