ARCHITETTURA - Secoli 11°-12°
Al di là dei toni millenaristici di cui è carica, la notizia riportata da Rodolfo il Glabro secondo cui, agli inizi del sec. 11°, l'Europa sarebbe stata tutta un fiorire di cantieri architettonici, deve avere un fondo di verità. La conferma viene dalla facile constatazione, di ordine statistico, del divario numerico esistente tra ciò che si è conservato di antecedente e ciò che risale a quel momento. Non è invece lecito caricare quella indicazione di una connotazione emotivamente culturale, nel senso di una grande svolta epocale che, dopo la conclusione del primo millennio e dei timori apocalittici di cui essa era o poteva essere intrisa, procedesse a una rinascita alla vita che, sul piano architettonico, si configurasse nella invenzione di forme e soluzioni nuove.In realtà l'a. degli inizi del sec. 11°, pur in una diversificata qualità regionale, si mosse sulla base di presupposti e di idee già consolidati in momenti precedenti; in particolare la tradizione carolingia fu una componente essenziale per tutta la vasta area territoriale direttamente legata alla realtà imperiale. L'edificio più significativo di questa continuità è, in Alsazia, la rotonda di Ottmarsheim, destinata a un convento femminile da parte di Rodolfo di Altenburg e consacrata nel 1049, forse in un momento decisamente posteriore a quello della sua costruzione. Impianto ottagonale caratterizzato da due deambulatori sovrapposti, l'inferiore coperto a crociera e il superiore a botte, disposti intorno a un vano centrale cupolato, l'edificio denuncia con franchezza il suo carattere di copia della Cappella Palatina di Aquisgrana, soprattutto nel motivo dei grandi trifori, composti da un doppio ordine di colonne, a chiusura delle arcate superiori. Il carattere povero dei materiali architettonici dà all'opera un tono dimesso rispetto al modello, tuttavia essa è una testimonianza significativa della volontà di guardare al passato. Il fenomeno di ripresa non è nostalgico ma fervidamente creativo: proprio il modello della Cappella Palatina è essenziale per elaborare quella straordinaria reinterpretazione del Westwerk carolingio che è il coro occidentale della cattedrale di Essen, anch'essa abbaziale femminile al momento della sua rifondazione a opera della nipote di Ottone I, Matilde, avanti il 1011, e della sua conclusione, a opera della badessa Teofano, prima del 1058. Del modello si prendono in questo caso, con un'attenzione alla copia anche dei particolari, tre lati dell'interno, piegandoli a svolgere la funzione di abside, circondata da un deambulatorio a due piani connesso a torri esterne di accesso. Particolare nuovo, assente nel modello, sono le aperture di alleggerimento a bifora nella muratura al di sopra delle arcate che, nel deambulatorio superiore, separano le zone delle crociere da quelle triangolari legate ai pilastri. Si tratta di un elemento significativo perché criteri analoghi troveranno larga fortuna, tra il sec. 11° e il 12°, sia in relazione ai finti matronei sia alle arcate trasverse e questo sta a indicare come ci si trovi in presenza di un'a. dinamica, nella quale, sotto l'apparenza nostalgica, si nascondono ragioni innovative.Di questo dinamismo, inteso come sviluppo formale, sono testimoni due edifici che possono, per diverse ragioni, essere posti in relazione con il coro occidentale della cattedrale di Essen. Il primo è la St. Maria im Kapitol a Colonia, ancora una volta la chiesa di un convento femminile, per la quale si procedette a una consacrazione dell'altare, per iniziativa della badessa Ida, nipote di Ottone II, nel 1049 e a una dedicazione definitiva nel 1065. L'idea del coro occidentale di Essen, di cogliere solo una parte di un edificio più antico come modello di riferimento, viene in questo caso grandiosamente applicata fissando la pianta nei termini di un tetraconco a deambulatorio, sul tipo del S. Lorenzo di Milano, con funzione di coro, sul quale si innesta la navata. Per quanto il sapore antichizzante della soluzione, che si traduce in una sorta di impianto a trifoglio, sia implicito nei presupposti stessi del modello che si può pensare alla sua radice, questo non significa che si tratti di una operazione fine a se stessa. Il tema infatti sarebbe poi stato largamente rivisitato: anzitutto nell'ambito dello stesso ambiente di Colonia - dove la collegiata di St. Martin e la chiesa dei St. Aposteln, sul finire del sec. 12°, derivano da quell'esempio più antico l'idea dell'impianto trilobato della zona presbiteriale, sia pure senza deambulatorio -, ma anche in edifici più remoti come il S. Fedele a Como, almeno nella redazione finale, dopo che era stato abbandonato il primitivo progetto di farne un vero tetraconco, o nelle cattedrali di Tournai, Cambrai e Soissons, caratterizzate da transetti dai bracci a terminazione semicircolare che possono essere accostati alle forme dell'edificio di Colonia.Al coro occidentale della cattedrale di Essen occorre accostare quello della cattedrale di Treviri; in costruzione tra il 1017 e il 1047, contiene l'idea, che è propria di Essen, di trasformare l'emergenza semicircolare del coro occidentale nella organizzazione di una facciata, trasferendo all'esterno i percorsi di circolazione sopraelevati che a Essen sono ancora interni. Due torri lanterna, impostate sulle parti terminali delle navate laterali, emettono, agli angoli esterni, due torrette semicircolari collegate a due camminamenti sovrapposti che si aprono, come gallerie, in facciata, al di sopra dei portali laterali, e che si connettono, quello inferiore al matroneo interno, quello superiore a una galleria che corre al di sopra della calotta absidale e che esternamente si denuncia solo come un secondo ordine di finestre. Il particolare tuttavia è significativo in vista della genesi, sul finire del secolo, del motivo della galleria nana all'esterno della calotta absidale, connessa a due torri scalari laterali all'abside, quale si manifesta nella cattedrale di Spira, nella fase di lavori promossa dall'imperatore Enrico IV e condotta dai vescovi Benno di Osnabrück e Ottone di Bamberga. Non vi è dubbio che il motivo, che avrebbe goduto anche in Italia di larga fortuna, fosse implicito nella soluzione ideata a Treviri, visto che per la sua realizzazione era sufficiente trasformare in loggiato la serie delle finestre alte e che da questo ambiente esso è derivato piuttosto che da un trasformazione in gallerie dei fornici di alleggerimento tipici delle absidi del c.d. primo Romanico meridionale. Un altro elemento che l'a. degli inizi del sec. 11° eredita dall'età carolingia è il senso geometricamente frazionato degli spazi interni. Significativa in questo senso è la chiesa abbaziale di St. Michael a Hildesheim, in Bassa Sassonia, fondata nel 996 dal vescovo Berncardo, precettore di Ottone III, e costruita tra il 1010 e il 1033. Il dato più indicativo è la contrapposizione di due cori e di due transetti legati alla navata centrale tramite solide torri lanterna costruite al di sopra dell'incrocio. Ai lati dei bracci dei transetti si dispongono delle torrette, poligonali alla base e circolari in alto, che danno accesso a due piani sovrapposti di gallerie interne. La differenza tra i due cori è data soltanto dal maggiore allungamento di quello orientale e dal fatto che esso è circondato esternamente da una cripta a deambulatorio. Nella navata centrale un pilastro si alterna ogni due colonne, introducendo un elemento di scansione che si riallaccia a quello imposto dai transetti, mentre la serie delle finestre, quasi a fil di tetto, sembra non voler turbare il solido nitore delle pareti. Questo pensare l'architettura come aggregato di solidi geometrici elementari, al quale si rifà anche l'abbaziale di Sainte-Gertrude a Nivelles, consacrata nel 1046, non è nuovo. A esso già si ispirava la chiesa sassone di St. Cyriakus a Gernrode, fatta costruire, tra il 960 e il 965, per un convento femminile, dal margravio Gero. In questo caso il tratto indicativo è, al di sopra di una serie di sostegni che alternano un pilastro a una colonna, la presenza di un matroneo dal sapore paleocristiano, il quale si affaccia sulla navata centrale attraverso due serie di arcate di sei battute l'una, intervallate da un pilastro, secondo una formula che ricorda la basilica romana di S. Agnese.Il tema del rapporto con l'antichità cristiana è del resto fondamentale anche per spiegare le forme del transetto della chiesa abbaziale di Limburg an der Haardt, fondata nel 1025 dall'imperatore Corrado II il Salico, in segno di ringraziamento per la sua elevazione all'impero, e terminata nel 1045; le sue forme, almeno per quanto riguarda il transetto, sono echeggiate anche nell'abbaziale di Hersfeld, ricostruita a partire dal 1038 per iniziativa dell'abate Maginardo, in seguito a un incendio. Entrambe basiliche a colonne oggi in buona parte in rovina, hanno nell'ordine colossale delle imponenti murature dei transetti il tratto superstite più significativo, che trova, nelle serie delle grandi aperture che, a distanza ravvicinata, traforano giro giro le pareti, un elemento di sicuro richiamo all'antico. Malgrado che nel caso di Limburg il transetto fosse scandito da arcate formanti un incrocio, sul quale si elevava una torre lanterna, mentre a Hersfeld esso era continuo, i due edifici sono accomunati da un senso che fa della elevazione della parete e della sua scansione monumentale il tratto più significativo.Sono questi gli elementi che fanno anche dell'altra grande fondazione di Corrado II, il duomo di Spira, iniziato intorno al 1030, un momento di grande spicco. Quello stesso ordine colossale, dettato dal sovrapporsi di alte arcate e di finestre allungate, vi si dispone a dare sostanza alla navata, legandosi strettamente al sistema dei pilastri. Di impianto lievemente rettangolare, con i lati lunghi disposti nel senso dell'asse maggiore dell'edificio, questi vedono la comparsa di una sostanziale novità organizzativa: due semicolonne, sul lato volto verso le navatelle, vanno a dare luogo ad arcate trasverse connesse alla copertura a volta a crociera, mentre dalla parte della navata centrale creano una serie di arcate continue a doppia ghiera addossate alla parete. Il sistema, che va a incorniciare la sequenza delle grandi finestre, è rivoluzionario assai più della presenza della cripta estesa all'intero transetto oltre che all'abside, perché introduce nella vicenda architettonica un senso nuovo, dinamicamente attivo, della parete e dei suoi rapporti con i sostegni.
È alla luce di queste considerazioni che non si può concordare con la teoria che ha voluto cogliere nella c.d. prima arte romanica meridionale, contrapposta a una esangue raffinatezza del mondo imperiale, gli stimoli formativi del linguaggio romanico. Non vi è dubbio che esistano, agli inizi del sec. 11°, degli spunti linguistici comuni che corrono lungo un percorso mediterraneo che va dalla pianura Padana alla Catalogna, passando attraverso la Provenza e la Linguadoca. Questa comunanza è data soprattutto dall'uso di soluzioni di finitura come gli archetti pensili, in serie oppure legati, in numero variabile, da lesene che salgono lungo la parete, spesso inquadrando le prese di luce all'interno dei campi così realizzati, oppure le serie di fornici, aperti al di sopra della calotta absidale, per alleggerire il peso della muratura. Tuttavia, al di là di questi tratti unificanti, è riconoscibile, per ogni singolo ambiente che li utilizza, una vicenda storica propria, con caratteri e sviluppi del tutto individuali, che escludono l'esistenza di un filo conduttore comune.Anche la volontà di attribuire a maestranze itineranti, a partire dai mal definiti maestri comacini, una funzione di tramite, scontra con l'inesistenza di una realtà documentaria, il che vieta qualunque conclusione che non sia totalmente affidata al campo delle ipotesi. Un'altra considerazione da fare è che esiste un netto divario qualitativo tra questo tipo di edilizia e le costruzioni più significative del momento successivo, che, proprio nell'Italia settentrionale, corrisponde, con gli inizi del sec. 12°, alla rinascita della città come polo di attrazione culturale e all'apertura di una fitta serie di cantieri destinati alla ricostruzione delle cattedrali. Segno che quando si volle impostare un discorso architettonico più complesso si dovette fare ricorso ad altre idee, relegando quei tipi edilizi nel ruolo dell'a. minore.
Un altro elemento comune a quell'a. era il carattere concretizio della muratura, realizzata con piccoli conci mal squadrati, mescolati a malta, dunque di una qualità assai duttile, il che spiega la fortuna che con essa incontrò la realizzazione della volta. Tipico in questo senso è il Sant Martí di Canigu in Catalogna, per il quale si ha notizia di una prima consacrazione già nel 1009. Si tratta di una chiesa doppia, con ambienti interamente voltati, scanditi da pilastri nella parte inferiore e da colonne, intervallate da una coppia di pilastri, in quella superiore. Qui la presenza delle volte a botte al di sopra degli esili sostegni dà un senso di fragile pesantezza che contrasta con la raffinata eleganza della Bartholomäuskapelle, annessa alla cattedrale di Paderborn per iniziativa del vescovo Meinwerk intorno al 1017, dunque negli stessi anni, e realizzata, come dicono le fonti, per operarios graecos. Si tratta di una basilichetta a tre navate di eguale altezza, spartite da sei sottili colonne che reggono delle volte a vela ribassata di armoniosa eleganza, direttamente desunta da quei prototipi orientali che si invocano anche per il Sant Martí di Canigu. Qui invece si rinuncia alla levità proprio in conseguenza dell'uso della volta a botte su tutte e tre le navate e quindi della necessità di una reciproca compensazione delle spinte e di una connessione delle tre strutture attraverso il carattere conglomeratizio della muratura. È dunque già presente in Sant Martí di Canigu, anche se non ve ne è ancora piena coscienza, quello che sarà il limite fisico oltre il quale questo tipo di a. non potrà andare, rivelandosi inadatto alla copertura a volta di grandi spazi per la impossibilità di sollevare la navata centrale rispetto alle laterali e quindi di pervenire a un'animata articolazione degli interni. I limiti evolutivi sono invece già ben fissati in edifici per certi aspetti imparentabili come il Sant Vincenç de Cardona in Catalogna, consacrato nel 1040, e il Saint-Guilhem-le-Désert in Linguadoca, in costruzione negli stessi anni, per quanto concerne la navata, e probabilmente concluso, con il rifacimento della zona presbiteriale, in concomitanza con la consacrazione dell'altare, nel 1076. Simili per impianto e qualità costruttiva, questi edifici sono accomunati dalla tagliente geometria delle forme dei sostegni in relazione alle volte e alle arcate trasverse, nel senso di una tendenza ad animare la sostanza base del pilastro, il quadrato, in relazione alla connessione con quei partiti. Ma in questa operazione di epidermide stanno i suoi limiti di sviluppo, visto che manca qualsiasi altro strumento di espansione degli spazi interni, al di là dell'apertura di una serie di finestre al di sotto della volta a botte della navata centrale, mentre le navate laterali sono in un caso coperte con piccole volte a crociera poste in serie, nell'altro con volte a botte.L'estraneità di questo sistema alle possibilità di sviluppo delle articolazioni interne si coglie nella chiesa catalana di Sant Pere de Rodha dove, in un periodo posteriore alla consacrazione del 1022, volendo procedere alla copertura a botte, cinghiata da arcate trasverse, di un edificio in precedenza con tetto a vista, si procedette a una espansione dei sostegni per mezzo di colonne addossate su alti plinti che, nella navata centrale, addirittura si raddoppiano, sovrapponendosi l'una all'altra. Le considerazioni da fare sono due: con questo sistema i pilastri, da rettangolari che erano, divengono cruciformi e forniscono un appoggio sia per le arcate trasverse sia per quelle longitudinali, tutte realizzate in pietra da taglio; la soluzione compositiva, nell'articolare le forme con uno spiccato sapore antichizzante, richiama un gusto analogo che corre nuovamente lungo l'arco mediterraneo, dalla Linguadoca alla Provenza. Anzitutto sono da ricordare l'abbaziale di Sainte-Marie di Alet-les-Bains e quella di Saint-Jacques a Béziers, dove, nella prima metà del sec. 12°, si fa strada una funzione della colonna addossata, come strumento di articolazione e di animazione sia dei sostegni sia delle svolte d'angolo, che, con la sua squisita vitalità antichizzante, divenne, nel corso del secolo, uno dei temi fondamentali trattati dall'a. provenzale. Con questo si supplisce a una certa semplicità degli impianti e a una elementare cadenza degli alzati, spesso legati allo sviluppo del tema della volta a botte in connessione a una navata unica. La colonna addossata riesce a introdurvi una dinamica animazione dei sostegni e delle pareti, venendo in genere utilizzata come elemento di cantonamento ai lati dei semipilastri, secondo una formula che avrebbe trovato riscontro anche nell'Italia meridionale, in particolare nella Sicilia normanna. In Provenza e in Linguadoca il tema classicistico dell'impiego della colonna addossata è anche alla base di facciate dal grande vigore decorativo come quelle di Saint-Gilles-du-Gard e di Saint-Trophime ad Arles che, nelle loro partizioni, si apparentano alle forme dell'arco trionfale romano.Non era tuttavia attraverso quegli espedienti di epidermide che si poteva giungere a sviluppare delle possibilità nuove di espansione e di articolazione degli spazi. A cercare soluzioni per questo problema contribuirono, in campi diversi, la Lombardia e la Normandia. Non è possibile giudicare quale poté essere il contributo a questo processo fornito dalla riforma cluniacense e da un personaggio come Guglielmo da Volpiano, che unì idealmente le due regioni, anche se, nel complesso di Saint-Bénigne a Digione, da lui restaurato tra il 1001 e il 1016, si rivelò legato, nella fusione di una rotonda a tre piani a un corpo basilicale, a idee carolinge; esse avevano un precedente, nella stessa Borgogna, nel tipo della cripta a due piani, con confessio aggirata da un deambulatorio, concluso verso oriente da una rotonda, il cui esempio più illustre è costituito dal Saint-Germain ad Auxerre.L'abbazia di Notre-Dame a Bernay fu affidata a Guglielmo da Volpiano dal duca Riccardo II di Normandia dopo la morte, avvenuta nel 1017, della moglie Giuditta di Bretagna, che l'aveva fondata. La presenza del grande riformatore vi si protrasse fino al 1028, tuttavia non vi sono elementi per dire se è a lui che bisogna far risalire l'impianto, ispirato ai modi della seconda chiesa del monastero di Cluny. Costruita a partire dal 955 per iniziativa di s. Maiolo, Cluny II svolse un ruolo di riferimento assai più marcato di quanto non riuscisse in seguito al più grande edificio abbaziale iniziato a partire dal 1088. Il suo tratto più caratteristico era dato dalla lunga navata, innestata su un transetto sporgente ma basso, seguito da un coro allungato che, in virtù di tale stacco, consentiva di sviluppare le zone antistanti alle absidi laterali in veri e propri ambienti dalla configurazione definita. In questo modo, con l'apertura, nei bracci del transetto, di due absidi ulteriori, si otteneva il risultato di una moltiplicazione a cinque degli altari ed esternamente un'articolazione a scalare delle masse architettoniche. Bernay fece totalmente proprio questo schema, ma esso, già diffuso agli inizi del sec. 11° in dirette filiazioni di Cluny, come le abbaziali svizzere di Romainmôtier e di Payerne, e tenuto vivo in zona dalla congregazione di Hirsau fino al finire del secolo, si diffuse anche in Lombardia, sostanziando la cattedrale di Acqui, consacrata nel 1067. A Bernay l'impianto si unisce a un altro elemento di rilievo: il pilastro, dalla sezione rettangolare assai allungata, è stato arricchito in un secondo momento, sui lati brevi, di due semicolonne, sovrapposte a lesene; esse vanno a cinghiare le arcate longitudinali, mentre, in direzione delle navatelle, dal pilastro si dipartono arcate trasverse legate alla copertura a volta, qui progettata fin dall'inizio, al contrario che per la navata centrale, destinata a essere coperta a capriate.Il tipo del sostegno, che si avvia ad assumere una spiccata vitalità organizzativa delle partizioni, ha un riscontro lombardo nella S. Maria Maggiore di Lomello, un edificio sostanzialmente coevo e caratterizzato da un analogo sistema di coperture, con in più, fin dall'origine, una chiara visione delle possibilità dinamiche insite nella forma del pilastro, visto che la sua parte volta verso la navata centrale sale, alternativamente, a connettersi al tetto piano, sotto forma di lesena, oppure a dare luogo a una arcata trasversa. Questa forma, ancora abbastanza inconsueta ma destinata a svolgere un ruolo fondamentale nell'a. padana, sembra trovare al momento un solo riscontro in quella che si dispone al mezzo della navata dell'abbaziale di Sainte-Gertrude a Nivelles, dove è stata realizzata sulla base di tracce archeologiche nel corso di recenti restauri. A Lomello tuttavia essa va oltre la semplice scansione, per introdurre un ritmo nella partizione degli spazi che ha già in sé le ragioni fondamentali di quel rapporto di uno a quattro tra campata della navata centrale e campata della navata laterale, che sarà alla base del sistema di copertura a volte costolonate al quale si perverrà in Lombardia sul finire del secolo.Il tema specifico al quale si applicheranno gli architetti normanni nel corso del sec. 11° fu invece quello delle possibilità di articolazione in alzato della parete, rinunciando con questo alla ricerca di una copertura a volte della navata centrale. Già a Bernay la scelta è impostata con chiarezza dalla partizione su tre livelli delle pareti della navata centrale, in quanto tra le arcate e le finestre si inserisce, intervallata al di sopra del pilastro da una nicchia, una sequenza di bifore che si aprono verso il sottotetto delle navatelle. Con evidente spirito evolutivo la sequenza delle bifore è ancora presente, in quanto tale, nella chiesa abbaziale di Mont-Saint-Michel, solo accompagnata da una semicolonna addossata alla fronte del pilastro volta verso la navata centrale, a risalire fino alla copertura, un motivo che a Bernay era stato introdotto solo a scandire le due campate del coro. Nell'abbaziale di Notre-Dame a Jumièges, dedicata nel 1067, il piano intermedio diviene un vero matroneo, coperto con volte a crociera e si affaccia, attraverso due trifore contigue, su quella che è ormai divenuta una campata della navata centrale organizzata secondo la logica dell'alternanza dei sostegni. Essa prevede il succedersi di una colonna a un pilastro quadrilobato, la cui membratura interna sale fino alla copertura (è discusso e dubbio che desse luogo ad arcate trasverse), realizzando in questo modo la stessa partizione proporzionale di Lomello, tra campata della navata centrale e campata delle navate laterali. Altro elemento presente a Jumièges, significativo perché sulla sua elaborazione avrebbero insistito gli architetti normanni in vista di una progressiva scarnificazione della parete, è la serie di nicchie che si aprono nella parte alta dei bracci del transetto e che, embrionalmente presenti già a Bernay, preludono alle soluzioni introdotte, in un momento immediatamente successivo, nelle due abbazie di Caen, Saint-Etienne (l'Abbaye-aux-Hommes) e la Trinité (l'Abbaye-aux-Dames), la cui costruzione fu decisa, verso il 1059, dai duchi di Normandia Guglielmo il Conquistatore e Matilde di Fiandra, in espiazione del loro matrimonio tra consanguinei. Entrambi gli edifici dovevano essere compiuti verso gli anni ottanta, quando i due committenti vi furono sepolti. Nel Saint-Etienne il matroneo si affaccia sulla navata centrale attraverso arcate di ampiezza equivalente a quelle sottostanti. Il senso di annullamento della parete è ulteriormente intensificato dalla presenza, al di sopra, in corrispondenza delle finestre, di un loggiato che crea un camminamento continuo interno, in quanto sottopassa le zone di appoggio delle membrature dei pilastri. Questi propongono la cadenza della campata non più attraverso una marcata differenza formale, bensì semplicemente con la qualità delle membrature in risalita lungo la parete, costituite alternativamente da una semicolonna e da una semicolonna addossata a una lesena. Già in origine, mentre queste ultime salivano fino alle capriate della copertura a tetto, le semicolonne semplici si fermavano al di sotto del loggiato, introducendo una cadenza sulla quale - quando verso il 1125 si provvide a voltare l'edificio - risultò spontaneo applicare delle volte esapartite, con una semplice trasformazione della forma delle arcatelle del loggiato. Alla Trinité, la cui pianta ricalca quella cluniacense di Bernay, si sperimentò invece la possibilità di un'abolizione dei matronei, sostituiti da una serie di sei nicchie, intervallate tra le arcate e la galleria di circolazione posta al livello delle finestre e anch'essa pesantemente trasformata, nel corso del sec. 12°, in seguito all'introduzione delle volte di un tipo solo approssimativamente definibile come esapartito. La conseguenza più rilevante fu la regolarizzazione dei sostegni, ormai tutti di forma eguale. Tuttavia le possibilità implicite nelle scelte della Trinité di Caen avrebbero trovato il loro seguito naturale solo nel momento in cui l'a. gotica avrebbe tentato di abolire la presenza del matroneo, pur mantenendo la copertura a volta.
Per il momento, sul finire del sec. 11°, l'esperienza normanna si sostanziò negli esiti di svuotamento della parete di cui la testimonianza superstite meglio apprezzabile è la chiesa abbaziale di Cerisy-la-Forêt (dip. Manche), realizzata anch'essa secondo un impianto di tipo cluniacense. Quel gusto vi realizza una scansione su tre livelli della parete che, per ogni campata della navata centrale, definita dallo spazio contenuto tra due arcate trasverse, vede il sovrapporsi regolare di due arcate, di due bifore del matroneo, sopraccigliate da grandi arcate tutte impostate al livello del piano di calpestio, e di due serie di tre arcatelle, corrispondenti al loggiato del camminamento interno. Come a Jumièges e al Saint-Etienne di Caen, a ogni livello corrisponde una serie di finestre cadenzate in corrispondenza degli elementi architettonici. La tecnica del muro normanno era, sotto un certo profilo, contraria alle ragioni di una copertura a volta, così come lo erano gli spazi ampi ed elevati che essa consentiva di realizzare. Lo dimostra bene l'abbaziale di Lessay, che, impostata ancora secondo il tradizionale impianto benedettino sul finire del sec. 11°, ha dovuto rinunciare a tutte le più significative caratteristiche dello svuotamento murale per accordare le sue forme a una generalizzata copertura a crociera costolonata realizzata nel corso della prima metà del 12° secolo.Un tentativo di accordare i due elementi fu fatto anche dai costruttori inglesi, dopo la conquista normanna del paese nel 1066, nel contesto di un gusto formale caratterizzato dall'insistenza sullo spessore delle pareti e, di conseguenza, dei sostegni, pesantemente incisi da motivi ornamentali di tradizione anglosassone e dal forte allungamento delle navate, pur mantenendo intatta la partizione in alzato e le sue conseguenze di svuotamento e utilizzando il costolone come strumento di organizzazione della volta su ampi spazi. A questo però si giunse solo in un secondo momento, come evidenzia la storia della cattedrale di Durham. Fu questo il primo edificio anglonormanno a essere completato con una generale copertura a volte a crociera costolonate, anche se ciò avvenne nel corso di una seconda campagna di lavori che si concluse, con la dedicazione della chiesa, nel 1133 e che si svolse successivamente alla prima, iniziata nel 1093 e conclusa con la consacrazione dell'altare nel 1104 al termine della costruzione del transetto e della zona presbiteriale, ancora previsti senza volte. Se le contemporanee esperienze normanne portarono a un armonico rapporto delle strutture del sec. 11° con le volte esapartite, a Durham l'incompatibilità con esse della scelta iniziale di un'alternanza pilastro/colonna condusse a elaborare una forma singolare, solo embrionalmente legata a quel tipo e data dall'accostamento di due crociere per campata con una vela romboidale in comune i cui costoloni poggiano, in maniera pensile, su una mensola posta sopra il pennacchio formato dalla congiunzione delle arcate del matroneo.In realtà anche l'a. anglonormanna più che il tema della volta costolonata sviluppò il motivo dello svuotamento della parete, fondendolo con una sofisticata capacità di elaborare gli impianti. È questo il caso della cattedrale di Norwich, iniziata nel 1094, che, al termine della lunghissima navata, vede un transetto con bracci absidati che, fondendosi, dopo un coro assai allungato, con un deambulatorio a cappelle radiali dalla forma biabsidata, riesce a suggerire l'idea della fusione in uno di due impianti distinti, quello cluniacense e quello c.d. di pellegrinaggio. Se a Norwich e poi a Ely l'alzato riprende l'organizzazione monumentale su tre livelli del Saint-Etienne di Caen, rinunciando alle volte sulla navata centrale, questa rinuncia ottiene il risultato di maggiore effetto a Peterborough, cattedrale iniziata nel 1118 e consacrata, per quel che riguarda il coro, verso il 1140-1143; qui nei bracci del transetto si imposta un assetto monumentale su quattro livelli, determinato da un loggiato di base e da tre ordini di finestre sovrapposti, di cui i due più alti corrispondenti a camminamenti realizzati secondo la tecnica del muro spesso normanno, con effetti di luminosità e di svuotamento della parete di una intensità ormai protogotica.Questa specifica esperienza inglese ha un riscontro oltremanica nella cattedrale di Tournai, in costruzione tra il 1125 e il 1145, che costituisce anch'essa uno degli esempi più precoci di estensione alla navata di un ordine su quattro livelli d'imponente monumentalità. Al di sopra delle arcate longitudinali si aprono quelle del matroneo, di pari impegno come dimensione e prive di fattori di scansione, secondo la logica costruttiva tipica degli acquedotti antichi, dunque carica di sapore evocativo. Segue un triforio che si apre verso il sottotetto dei matronei e quindi un ordine di finestre al quale corrisponde, esternamente, un camminamento realizzato secondo la tecnica del muro spesso, portando a piena tridimensionalità un motivo che, nelle cattedrali inglesi, per es. a Ely, era rimasto a livello di grafia decorativa della parete.Come l'alleggerimento degli alzati era stato il tema sul quale si erano impegnati gli architetti normanni, così le problematiche connesse agli sviluppi applicativi della volta a botte furono tipiche dell'ampia zona che va dalla Borgogna al bacino della Loira. Già agli inizi del sec. 11° il tema appare saldamente impostato al secondo piano del nartece di Saint-Philibert a Tournus, con la volta a botte cinghiata da arcate trasversali in corrispondenza dei pesanti pilastri cilindrici, al di sotto della quale si aprono delle finestre che, con la loro presenza, condizionano il livello di appoggio alla parete delle volte a semibotte delle navatelle. Quando tuttavia, in un momento successivo, i lavori proseguirono con la ricostruzione della navata, non si ebbe il coraggio di portare a grande altezza quel sistema. Si inventò allora, per la navata centrale, la straordinaria soluzione degli alti pilastri cilindrici; da essi si dipartono semicolonne che danno luogo ad arcate le quali racchiudono tra di loro, per ogni campata, volte a botte trasverse, al di sotto delle quali fu possibile aprire delle finestre, sfruttandone la particolarità dispositiva nei confronti della parete, mentre le navatelle furono coperte con semplici crociere. Si trattò comunque di un sistema il cui carattere sperimentale rimase isolato e irripetibile.Il sollevamento della volta a botte si rivelò ben presto intimamente legato alla necessaria presenza di matronei che garantissero un contenimento delle spinte. I limiti espansivi della volta a botte, contraffortata sulle navate laterali da volte a semibotte o a crociera, sono ancora riscontrabili in edifici dell'Ovest di ridotte dimensioni e di modesta illuminazione, come il Saint-Pierre di Aulnay o Notre-Dame-la-Grande a Poitiers, costretti a rinunciare al cleristorio per garantirsi una solidità strutturale. L'abbaziale di Saint-Savin-sur-Gartempe, nella seconda metà del sec. 11°, sembra essere un tentativo di rompere quei limiti grazie all'impostazione di un impianto 'a sala' in cui l'ampiezza e l'alzato delle navatelle, coperte da volte a crociera, sono quasi eguali a quelli della navata centrale, dalla bella volta a botte continua impostata sopra alte colonne di robusta fattura. Lo stesso vale per le chiese a cupole in asse dell'Aquitania, che appaiono all'origine pensate secondo la logica della navata di Tournus, dunque come soluzione al problema di frazionare in campate le coperture, al fine di garantirne la solidità strutturale. Che alle radici della scelta vi possano essere state anche delle suggestioni bizantine sembrerebbero confermarlo le analogie tra la pianta cruciforme e il sistema di raccordo dei bracci, tramite pilastri colossali formati dall'assemblaggio di quattro sostegni minori, raccordati da una volticina a crociera, della cattedrale di Saint-Front a Périgueux e del S. Marco di Venezia: questo tuttavia non impedì che il tipo assumesse, nel corso del sec. 12°, delle caratteristiche sue proprie. Esse sono date soprattutto dal senso calcato di distacco rispetto alle pareti d'ambito dei vani spaziali individuati dalle cupole: approfittando del rapporto, in certo senso incongruo, tra navata unica e sequenza di cupole, si insistette sulla ricerca di fattori di separazione ottica di queste due componenti fondamentali dell'edificio. La cattedrale di Saint-Pierre ad Angoulême, costruita nel primo quarto del sec. 12° è, insieme all'abbaziale di Fontevrault, l'espressione meglio definita di questo tipo architettonico, che ricorre anche nel Saint-Etienne di Périgueux e nelle abbaziali di Souillac e di Solignac ma che, con la semplice trasformazione delle arcate a tutto sesto in acute, giunge, con la cattedrale di Angers, a una esplicita goticizzazione. L'impostazione delle cupole su pennacchi retti da pilastri addossati e non immorsati crea la possibilità di uno stacco ottico tra i vani spaziali da essi individuati e le pareti d'ambito, nettamente ma anche fisicamente separate. La disposizione, alla base, di una serie di arcatelle, creando una sporgenza, consente un arretramento della muratura soprastante, nella quale si aprono le prese di luce, e la creazione di un camminamento che corre tra la parete e i pilastri, una soluzione che venne poi recuperata e ampiamente sfruttata dalla cultura gotica che, insieme con il sistema normanno del muro spesso, seppe apprezzare anche questo singolare tentativo di scarnificare i pieni murari e di esaltare i valori portanti.Fu dunque il matroneo la struttura che consentì di impostare le volte a botte a più grande altezza e di superare gli impacci che avevano caratterizzato la prima metà del secolo. Tra la fine di esso e gli inizi del seguente, furono improntate a questo tipo di soluzione le tre grandi chiese di pellegrinaggio di Sainte-Foy a Conques, di Saint-Sernin a Tolosa, di Santiago de Compostela. In tutte, a una navata centrale priva di prese di luce corrispose un notevole ampliamento delle bifore dei matronei, al fine di sfruttare al meglio l'illuminazione laterale. In realtà solo sotto il profilo della destinazione funzionale questi edifici possono essere raggruppati all'interno di un'unica categoria, in quanto non riflettono un tipo comune, ma il ben individuato impiego delle stesse forme architettoniche in vista della realizzazione di soluzioni che mantengono, malgrado tutto, una specifica individualità. Né contribuisce a caratterizzarli la presenza del deambulatorio a cappelle radiali che, alla metà del sec. 11°, aveva già trovato una compiuta formulazione nella chiesa di Saint-Etienne a Vignory. Ciò che isola le chiese di pellegrinaggio è semmai la connessione tra l'articolato sistema di organizzazione e di scansione degli spazi in alzato e una espansione in pianta che vede attribuito un ruolo determinante ai transetti, in tutti e tre i casi scanditi internamente da pilastri e da matronei e quindi sviluppati come vere e proprie navate autonome. Diversa è in ogni modo l'aggregazione dei transetti alle absidi e ai deambulatori, così come alle navate, nel senso che mentre a Sainte-Foy a Conques i matronei si interrompono di contro ai bracci del transetto e rimane, nell'assetto delle absidi di questo, un ricordo del motivo a scalare, a Tolosa come a Santiago essi aggirano completamente anche i transetti, diventando un percorso di circolazione totale lungo l'interno dell'edificio. Tolosa poi si distingue da Santiago, con il quale ha in comune l'impostazione in pianta della zona del transetto e delle absidi, per il corpo longitudinale a cinque navate che, rispetto alla chiusa compattezza degli altri, appena segnati dal doppio ordine di finestre, consente una movimentazione dei volumi, grazie alla differenza di livello tra la navatella esterna e quella interna, sulla quale soltanto si imposta il matroneo.Costruita tra il 1063 e il 1097, la chiesa di Saint-Etienne a Nevers testimonia al meglio le possibilità di superamento, all'interno di questo tipo, anche del limite costituito dall'oscuramento della navata centrale. Il vano si eleva su tre livelli: alla base le arcate longitudinali sono scandite da pilastri compositi, tutti uguali, che risalgono, con una semicolonna, fino a cinghiare la volta a botte con robuste arcate trasversali. Le navate laterali sono coperte da crociere che formano il piano di calpestio di un matroneo che si affaccia sulla navata centrale attraverso una bifora per ogni campata. I matronei sono coperti da volte a semibotte, cinghiate a loro volta da semiarchi trasversi, appoggiati su semipilastri, corrispondenti a contrafforti esterni che salgono lungo la parete fino alla copertura a tetto. Questo sistema di contenimento consente l'introduzione di un cleristorio nel tratto di parete tra il punto di appoggio delle semibotti dei matronei e quello di innesto della botte della navata centrale, sollevando finalmente a grande altezza e sviluppando in maniera organica il tema del rapporto tra volta e finestre che in precedenza, nel Saint-Philibert di Tournus, era stato volutamente contenuto e che, là dove era stato tentato, si era risolto, come a Payerne, in un'apertura delle finestre nel vivo della volta.Il carattere eccezionale, nel panorama spagnolo, della cattedrale di Santiago de Compostela, i cui termini compositivi sono a evidenza legati alla circolazione di idee connessa al fenomeno del pellegrinaggio, risalta con chiarezza dal confronto con le caratteristiche dei più significativi edifici realizzati negli stessi anni e disposti lungo il cammino che dai Pirenei conduceva alla città. La collegiata di San Isidro a León, il monastero di San Martin a Frómista e la cattedrale di Jaca, pur con trasformazioni e modifiche, rivelano il prevalere di impianti assai più semplici, a tre absidi allineate, con transetti non denunciati, alternanza di sostegni non connessa strutturalmente alle ragioni della copertura, che si ipotizza con volte a botte, successivamente non realizzate o modificate. Il tipo aveva il suo modello nella versione precedente l'attuale sistemazione, del sec. 12°, della collegiata di San Isidro a León, consacrata nel 1063, la cui costruzione era stata promossa dal re di Castiglia Ferdinando I e dalla moglie Sancia. Data l'importanza storica del modello, quella soluzione rimase programmatica nel contesto del Romanico spagnolo, anche al di là dell'ambito geografico del cammino compostellano, come prova la cattedrale di Ávila, che solo nel corso di una seconda fase costruttiva, ormai sul finire del sec. 12°, ricevette una impronta borgognona di sapore gotico, dettata dalla presenza di volte a crociera.Carattere originale del Romanico spagnolo fu, nel corso del sec. 12°, sulla spinta della Reconquista, la particolare elaborazione decorativa, ma anche strutturale, delle torri lanterna poste all'incrocio del transetto. Il caso più significativo è quello della c.d. torre del Gallo della cattedrale di Salamanca, costruita nella seconda metà del secolo, secondo un impianto ancora memore del modello di San Isidro a León, anche se ormai adattato alla presenza di volte a crociera costolonate. Internamente la torre si risolve in un tamburo circolare scandito, come nella collegiata di Toro, da un doppio ordine di finestre, in quello inferiore intervallate da nicchie e separate da semicolonne sulle quali poggiano le nervature della cupola. Esternamente la circolarità della forma viene attenuata da torrette angolari che la riportano all'impostazione del quadrato di base e che, come qualità formale, ricordano soluzioni presenti contemporaneamente nell'architettura siciliana, come il campanile della Martorana a Palermo, confermando il carattere islamico che sta alla base della loro formulazione, così come di quella della torre lanterna nel suo complesso, che ha, sotto questo profilo, l'esempio più antico nella cattedrale di Zamora, iniziata a partire dal 1151.Il 30 settembre del 1088 la fondazione di quella che sarebbe stata nel tempo la terza abbaziale di Cluny apre con decisione un capitolo nuovo nella vicenda delle chiese con copertura a volta. A livello di impianto l'edificio, quasi totalmente distrutto al tempo della Rivoluzione ma conosciuto attraverso numerose fonti, per il doppio transetto, innestato a scandire un coro profondo terminante in un deambulatorio a cappelle radiali, ebbe un precedente nella grande chiesa abbaziale di Saint-Benoît-sur-Loire, all'interno della campagna costruttiva iniziata negli anni sessanta e conclusa nel 1108. A Saint-Benoît-sur-Loire il coro, scandito da grandi colonne e coperto, su tutte e tre le navate, da volte a botte, vede svilupparsi nella parte centrale una scansione su tre livelli determinata dalla presenza di un finto loggiato, intermedio tra il piano delle finestre sottostanti alla volta e le arcate longitudinali. Lo stesso partito divenne determinante a Cluny, solo adattato a un impianto a cinque navate di grandiosa monumentalità. La rinuncia ai matronei consentì di scalare il livello delle navatelle, coperte a crociera, in modo tale che fossero tutte illuminate direttamente, mentre l'uso generalizzato dell'arco acuto permise di ridurre al minimo il pieno di muro che ancora gravava pesantemente, con la sua consistenza, sulla qualità della parete di Saint-Benoît-sur-Loire. La volta a botte spezzata, ancora apprezzabile nel braccio meridionale del transetto più grande, l'unica parte superstite dell'edificio, con la sua ricaduta in verticale accompagnava l'alzato monumentale della navata centrale garantendo la possibilità dell'apertura di una serie fittamente continua di tre finestre per ogni campata.Perduto l'originale, è oggi possibile apprezzare la qualità dell'alzato di Cluny III attraverso quella replica in riduzione che ne è l'abbazia di Paray-le-Monial; essa consente di rilevare quello che doveva essere il suo terso nitore anticheggiante. I pilastri cruciformi presentano i bracci volti verso la navata risolti sotto forma di due paraste scanalate, sovrapposte l'una all'altra all'altezza dei capitelli; quindi queste proseguono sotto forma di semicolonne addossate a lesene, scandite, al mezzo del corpo, dalla cornice che separa il finto triforio dalle finestre. In questo modo i sostegni si articolano su quattro livelli prima di dare vita alle arcate trasverse che cinghiano la volta, addossandosi a una lesena la quale, nel tratto di ordine corrispondente alle arcate longitudinali, si trasforma in una colonna cantonata. Le arcate longitudinali sono tangenti, con il vertice, alla cornice di base del triforio le cui arcatelle (cieche le due laterali, aperta a sfiatare nei sottotetti delle navatelle la centrale) sono scandite ancora da paraste scanalate, mentre le tre finestre soprastanti sono inquadrate da arcatelle rette da colonnine binate. In questo modo si può ritrovare soprattutto l'inclinazione alla grande luminosità che dovette essere propria dell'originale perduto, insieme a un gusto che rifugge il pieno della parete, per lasciare spazio a una insistita ma organica aggregazione delle parti, sul filo di una logica decorativa che non avrebbe lasciato insensibile la cultura gotica.Nell'immediato l'abbazia di Cluny svolse un ruolo decisivo di modello solo nell'area borgognona, come testimoniano il priorato di La-Charité-sur-Loire e la cattedrale di Saint-Lazare ad Autun. Impostata sul finire del sec. 11°, come la maggiore abbaziale, secondo un impianto a cinque navate che si sviluppavano, al di là del transetto, in una terminazione a sette absidi scalate che costituivano una inconsueta evoluzione delle soluzioni di Cluny II, La-Charité-sur-Loire fu dotata, nel corso della prima metà del sec. 12°, di un nuovo coro, a cinque cappelle radiali con deambulatorio, innestato sul corpo di quello precedente e sviluppato su più livelli non solo internamente, ma anche esternamente, grazie alla sovrapposizione, al di sopra delle finestre, di un ordine di slanciate arcatelle cieche; esso costituisce una importante novità nella organizzazione della parete esterna, a livello regionale del tutto indipendente anche dai modi di Cluny III. Non si stacca invece da quel modello la cattedrale di Saint-Lazare ad Autun: impostata secondo un piano meno ambizioso, con tre absidi innestate al di là di un coro scandito in tre navate e di un transetto, essa si qualifica soprattutto per una maggiore insistenza sul valore scenico della parasta scanalata che viene iterata a segnare tutte le componenti dei sostegni, con un aumentato senso di solennità monumentale.Costruita dopo un incendio, avvenuto nel 1120, l'abbaziale della Madeleine a Vézelay segnò invece uno stacco originale rispetto alla maniera, fino ad allora dominante, di Cluny III. L'introduzione di volte a crociera su tutte e tre le navate comportò un diverso sviluppo della logica costruttiva, ben segnato dall'abbandono dell'arco acuto in favore di quello a tutto sesto, come evidenziano le grandi arcate trasverse che organizzano il corretto trascorrere delle campate. Questa razionale semplicità si riflette, in alzato, nella riduzione a due soli degli ordini (quello delle arcate e quello delle finestre, una per campata) scanditi, nel passaggio, da una cornice che segna, scavalcandole, anche le parti salenti dei sostegni, ridivenute semicolonne addossate a un nucleo cruciforme. Questo passaggio non fu riduttivo sul piano della qualità, perché permise di trovare un senso calibrato delle forme e degli spazi della cui presenza si coglie traccia nella chiesa dell'abbazia di Pontigny che, terminata nel 1170, pur in presenza di volte a crociera costolonate e di un impiego generalizzato dell'arco acuto, mostra di avere apprezzato le soluzioni di Vézelay in quanto consonanti con le ragioni di lucida sobrietà proprie dell'estetica cistercense. Tuttavia, all'interno di quella specifica vicenda, Pontigny riflette una fase ormai avanzata che sarebbe sfociata, sul finire del secolo, ma soprattutto nel successivo, in una prospettiva unificante dell'a. cistercense, nel nome di un sistema con copertura a volte costolonate e con illuminazione diretta della navata centrale, che solo da quel momento avrebbe fatto dell'Ordine il diffusore di una precisa idea di Gotico, di tono minore e di matrice borgognona. Questa fase unificante venne dopo un periodo di adattamento alle ragioni costruttive delle realtà locali con le quali l'Ordine era venuto in contatto nel corso della sua rapida espansione. Esso aveva fatto seguito a un primo momento, il più lucido e conseguente sul piano di una definizione intellettuale delle ragioni dell'a., che era storicamente coinciso con la figura di s. Bernardo e con le costruzioni fondate lui vivente, dunque entro il 1153. In Borgogna, nucleo d'origine dell'Ordine, l'espressione superstite più antica e significativa di quel tempo è l'abbazia di Fontenay, costruita a partire dal 1139 e consacrata nel 1147, alla presenza dello stesso s. Bernardo che, in quegli anni, provvedeva anche alla ricostruzione della oggi scomparsa abbazia di Clairvaux. Doveva essere stata questa la prima e più diretta formulazione di quell'impianto bernardino al quale si ispira anche Fontenay e che venne rapidamente diffuso in Europa, come un vero e proprio manifesto, sotto la spinta della volontà evangelizzatrice del santo: lo prova la sostanziale unità di intenti, per le parti risalenti al tempo delle rispettive fondazioni, di edifici come Eberbach in Germania, Bonmont in Svizzera, Chiaravalle Milanese e le Tre Fontane presso Roma in Italia. Come in tutti, anche a Fontenay ci si basò su soluzioni calate nella tradizione locale e tuttavia rivissute alla luce di una esperienza estetica travolgente al punto da renderle svincolate e autonome rispetto alle consuete ragioni dei rapporti e delle derivazioni formali. Le volte a botte trasversa a coprire le navate laterali risalgono, nella loro funzione di contraffortature, alla volta a botte spezzata della navata centrale, priva di prese di luce diretta, al piano inferiore del nartece di Saint-Philibert a Tournus. Tuttavia quel precedente è vissuto in una dimensione espressiva talmente nuova che ne fa un semplice confronto formale privo di significato. A Fontenay infatti le forme sono create in funzione della luce proveniente dalle navate laterali; a essa è demandato il compito di esaltare la chiara semplicità dell'aggregarsi dello spazio in vani successivi pensati secondo la logica modulare dettata da quadrati e triangoli sovrapposti. La stessa proporzionalità ad quadratum si riflette nell'impianto, dove la terminazione rettilinea del coro e delle quattro cappelle che gli si affiancano lungo i bracci del transetto, nell'asciutta definizione di forme dal sapore cristallino, mostra tutto il suo contrasto con la visione movimentata e drammatica della tradizione cluniacense delle absidi scalate. In questa lucida coscienza delle ragioni intellettuali delle proprie scelte sta la straordinaria novità di un'a. che si fa vitale contenitore dei valori di spiritualità suggeriti dall'Ordine e che proprio in questo trova il fattore unificante che le consente di superare i particolarismi regionali e di farsi fenomeno autonomo.Come le ragioni di un'adattabilità delle forme architettoniche alla presenza della volta a botte furono centrali nella cultura del Romanico della Francia del Centro e dell'Ovest, altrettanto si può dire per il mondo lombardo e, più latamente, per l'Italia settentrionale, nei confronti della volta costolonata destinata a coprire la navata centrale. I temi fondamentali legati allo sviluppo di questo tipo, l'alternanza dei pilastri, la loro forma composita e la scansione della navata in campate, erano già stati fissati embrionalmente, ma con chiarezza, nella S. Maria Maggiore di Lomello, tuttavia questo non aveva significato l'avvio di un rapido processo evolutivo. Anzi, proprio l'area comasca, una delle aree culturalmente più implicate nella vicenda della prima arte romanica, in virtù anche della documentata attitudine migratoria delle proprie maestranze si propose, per tutto l'arco del sec. 11°, come fondamentalmente legata a un utilizzo della volta a crociera semplice nelle sole zone presbiteriali, secondo un tipo fissato alla S. Eufemia all'Isola Comacina, o, al più, sulle navate laterali, come nel S. Giacomo di Como. Edificio complesso per l'articolata movimentazione dei volumi esterni, data da due torri di facciata e dal transetto, i cui bracci scalano dal tiburio centrale alle terminazioni basse, a semicupola, lasciando emergere come cuspidi i tratti intermedi, quest'ultimo rivela, anche per la galleria nana nell'abside, un rapporto con il gusto articolato tipico dell'area imperiale. Il che spiega la presenza in zona di costruzioni come il S. Pietro di Civate, che riprende l'impianto ad absidi contrapposte, tipico del mondo carolingio e ottoniano fin dal progetto per la ricostruzione dell'abbazia di San Gallo, o come il S. Fedele a Como; questo nel tentare una riedizione dell'impianto a tetraconco del S. Lorenzo di Milano, solo in corso d'opera modificato nella forma attuale, di una navata innestata su un transetto a terminazioni circolari con deambulatori sul tipo della St. Maria im Kapitol a Colonia, utilizza soluzioni di copertura quali le volte a crociera semplice, di impianto alternativamente quadrato e triangolare, che fanno parte della tradizione costruttiva connessa alla Cappella Palatina di Aquisgrana e alle sue numerose filiazioni.Questo modo di rivivere l'antico è lo stesso che fa del S. Abbondio a Como, consacrato nel 1095, una originale rilettura dell'impianto paleocristiano della basilica a colonne su cinque navate, tutte con prese di luce diretta, riservando le volte a crociera agli spazi antistanti le quattro absidi laterali, aperte nel pieno del muro, e avanzando quella centrale al di là di un coro, allungatissimo e alto (tanto da potervi aprire un doppio ordine di finestre), il quale, affiancato esternamente da due torri, rivela, ancora una volta, insieme con la loggia addossata alla controfacciata, l'ossequio verso modelli renani. Un fatto nuovo è dato in S. Abbondio dalle ampie volte a crociera che coprono le due campate del coro e che innestano i loro spigoli su lesene salenti a ridosso delle semicolonne che danno luogo alle arcate trasverse. Ciò testimonia la volontà di una dinamica articolazione tra sostegni e coperture che, nel catino absidale, si risolve in una serie di quattro costoloni a sezione rettangolare che innervano la calotta, innestandosi al di sopra di slanciate semicolonne. Questa presenza non può non essere messa in relazione con quanto avveniva contemporaneamente nel S. Ambrogio di Milano.Discussa è la cronologia di questo edificio, nel quale il sistema di copertura a volte a crociera costolonata si dispiega in tutte le sue implicazioni. Agganciare la datazione della navata a quella, posteriore al 1128, della torre dei canonici, è improprio, visto che non esistono nessi sostanziali tra i due ambienti, ma è la torre che si addossa sia alla navata sia al nartece che la precede. Per altro verso occorre considerare che, al di là della testimonianza comasca, i costoloni a sezione rettangolare hanno un riscontro precoce in Italia meridionale, nel deambulatorio della cattedrale di Aversa e nella chiesa di S. Benedetto a Brindisi, entrambe databili ancora all'interno dell'11° secolo. Per quanto non vi siano elementi probanti, non si può escludere che la loro diffusione sia da imputare a quelle maestranze lombarde che il Chronicon di Montecassino segnala attive alla ricostruzione dell'abbazia al tempo dell'abate Desiderio, tra il 1066 e il 1071, così come, viceversa, il quadriportico che precede la basilica ambrosiana, con il suo impianto rettangolare, sembra essere un ricordo di quello cassinese, in quanto entrambi escludono la più consueta forma quadrata proveniente dai modelli paleocristiani romani. Questo conforta l'ipotesi di una esecuzione della navata del S. Ambrogio ancora entro il sec. 11°, come del resto sembrano confermare le sue forme e il processo imitativo che esse posero in essere nell'ambiente padano.Sul piano costruttivo la navata del S. Ambrogio si propone come un'argomentata meditazione sulla possibilità di contraffortare le volte attraverso l'uso dei matronei, anch'essi coperti da crociere. Nelle sue linee generali il procedimento si assimila a quello in uso nella Francia centrale, in particolare nelle chiese di pellegrinaggio, tuttavia con caratteristiche specifiche che ne fanno un'esperienza nuova. L'alternanza dimensionale dei pilastri, nettamente sottolineata dalle loro forme, condiziona in maniera categorica l'impianto quadrato delle campate della navata centrale, mentre la rinuncia al cleristorio, in modo da contrapporre le volte della navata centrale a quelle dei matronei, determina un'impostazione delle arcate trasverse e dei costoloni poco sopra il livello del piano di calpestio del matroneo. L'insistenza sul suo carattere cubico, modulare, fa acquistare alla campata un'ampiezza e una suggestione che ricordano gli edifici con cupole in asse piuttosto che quelli con copertura a volta. Questo aspetto è sottolineato anche dal fatto che le volte hanno un tono sperimentale che le assimila a cupole, indifferenti alla presenza dei costoloni nel percorso aggregativo delle murature, piuttosto che a vere e proprie crociere costolonate. Pur nella sua plastica grandiosità, dettata dalla sapiente articolazione dei pilastri in relazione alla ricaduta dei costoloni e delle altre membrature, il S. Ambrogio soffriva per la mancanza del cleristorio alla quale si cercò di ovviare inventando la straordinaria facciata, dalle grandi aperture precedute e accompagnate, nel loro scalarsi, dalle arcate del nartece.Questa situazione tuttavia, anche se scelta per ragioni di sicurezza costruttiva, dovette apparire come un limite che era necessario superare. Un primo segno di questi tentativi si ha nella chiesa di S. Sigismondo a Rivolta d'Adda, dove, rinunciando al matroneo, nelle due campate con volte a crociera, fu possibile aprire delle coppie di finestre nella muratura compresa tra le arcate longitudinali e il punto di appoggio delle vele. Subito dopo, sicuramente all'interno della prima metà del sec. 12°, visto che l'edificio servì nel 1155 per l'incoronazione di Federico Barbarossa, il tentativo di sollevare il sistema al di sopra di un matroneo fu fatto nel S. Michele di Pavia, che riprese la scansione alternata del S. Ambrogio ma portò le membrature dei pilastri forti fino all'altezza delle arcate dei matronei, rivelando la volontà originaria di coprire gli spazi con grandi volte a crociera dall'andamento empirico, probabilmente prive di costoloni, visto che le membrature dei pilastri non ne suggeriscono la presenza. Questo procedimento consentì la creazione di un cleristorio al di sopra delle arcate dei matronei, ma introdusse un fattore di debolezza strutturale che dovette essere la causa del rifacimento quattrocentesco delle coperture, con la relativa abolizione del terzo ordine monumentale. La fondazione della cattedrale di Piacenza, nel 1122, aprì la strada a una più organica e compiuta soluzione del problema. Per quanto i lavori di costruzione si fossero protratti per tutto l'arco del secolo, con cambiamenti di progetto ben evidenti nel mancato accordo dimensionale tra il tiburio e i due bracci del transetto, scanditi in tre navate di eguale ampiezza, e nel diverso sistema di copertura del coro, non vi è dubbio che l'edificio fosse stato impostato, fin dall'inizio, in vista di una copertura a volte esapartite, formalmente simili a quelle che vennero realizzate nella fase finale del cantiere. È possibile che alla base di questa scelta sia stato un voluto contatto con il mondo normanno, come sembrano suggerire le due torri di facciata, poi non portate a compimento, e i pesanti pilastri cilindrici creatori di un'alternanza non più in accordo con i criteri ambrosiani della volta a crociera costolonata. Fondata sull'emergenza verso la navata centrale di semicolonne alternativamente partenti da terra o dal capitello del pilastro e portate in altezza a un livello eguale, essa pretende come corollario la volta esapartita e ha come conseguenza la possibilità della creazione di un ordine monumentale che vede sostituiti i matronei con trifore, una per campata, aperte verso i sottotetti delle navatelle e sormontate a loro volta, ognuna, da una finestra.L'esempio di Piacenza dovette essere determinante per indirizzare i costruttori padani verso una più sicura padronanza delle forme, come provano la cattedrale di Cremona, iniziata a costruire nel 1129, e quella di Parma, posteriore al terremoto del 1117, nelle quali le progettate volte esapartite si fondevano in origine con un lessico formale legato alla tradizione ambrosiana. Si tratta di strutture di grande imponenza, in cui la raffinatezza dei partiti costruttivi si unisce a una rara originalità d'impianto dettata, nel caso di Parma, dalla terminazione tricora fondata sulle doppie absidi dei bracci del transetto e sul coro allungato raccordati da un tiburio. In queste cattedrali ricompare il matroneo interpretato, a livello di parete, non più come grandi arcate ma come serie continue di quadrifore che introducono un senso di alleggerimento. Le membrature dei sostegni salgono tutte a uno stesso livello, al di sotto del cleristorio, alternativamente come lesene affiancate da due semicolonne e come semplici semicolonne, introducendo quella cadenza che solo si adegua all'ipotesi delle volte esapartite come originarie, visti gli adattamenti che si dovettero porre in atto per creare le attuali volte barlonghe.Si tratta di una cultura architettonica vitalmente feconda, che prosegue nell'arco del sec. 12° dando luogo a risultati ormai di sapore gotico, come il calibrato interno della Sagra di San Michele in Val di Susa, che, per opera di una maestranza piacentina che vi fu attiva, adatta il sistema della cattedrale di Piacenza a volte a crociera costolonata dall'andamento barlongo e dal profilo acuto, eliminando il cleristorio ma mantenendo le aperture verso il sottotetto delle navatelle; o come la cattedrale di Borgo San Donnino, in costruzione nel 1179, quando si sa che le reliquie del santo erano state portate altrove, che riscopre il sistema alternato ambrosiano (senza cioè la risalita di membrature in corrispondenza dei pilastri deboli), ma lo elabora con le doppie arcate dei matronei, velate da quadrifore, e con il cleristorio, nella previsione di ricevere quelle volte oblunghe che, una volta realizzate, avrebbero assunto uno spiccato carattere gotico.
Dalla radice testimoniata dalla S. Maria Maggiore di Lomello scaturì un'altra possibilità architettonica, in certo senso complementare e antitetica rispetto a quella indirizzata verso la ricerca sulle volte costolonate e sulle possibilità della loro applicazione. Ne fa fede la cattedrale di Modena, fondata nel 1099 e portata a compimento nei decenni immediatamente successivi per opera dell'architetto Lanfranco. Esternamente l'elemento più significativo è l'estensione del motivo della galleria nana all'intero perimetro dell'edificio che precorre esperienze similari, come quella della cattedrale di Tournai, senza tuttavia cogliere gli effetti di diafania tipici della tecnica del muro spesso. A Modena la loggetta non si identifica mai con le prese di luce, che corrono sempre al di sotto di essa. Ciò che semmai contribuisce a fornire il senso di una frammentazione della corposità muraria è l'organizzazione per trifore chiuse all'interno di grandi arcate, impostate sopra semicolonne risalenti dalla base della parete. Internamente l'alternanza di pilastri quadrilobati e di colonne si connette ad arcate trasverse dal profilo acuto, presenti in tale forma fin dall'origine, che contribuiscono a scandire lo spazio secondo la logica delle campate, tipica del mondo lombardo da Lomello in poi, rinunciando programmaticamente a qualunque ipotesi di copertura con volte (quelle attuali sono quattrocentesche). Questa rinuncia si riflette sulla possibilità di impostare un ordine monumentale su tre livelli, formato dalle arcate, dalle trifore di un finto matroneo e dalle finestre del cleristorio, tutte disposte secondo una perfetta successione verticale. Se su un piano strettamente formale il partito ricorda la scansione monumentale della navata dell'abbazia normanna di Jumièges, la presenza del finto matroneo agisce anche nei confronti delle navate laterali, secondo la logica di una scansione dilatata che non aspira alla definizione di moduli conclusi: le arcate trasverse, che, in corrispondenza dei pilastri quadrilobati, scandiscono le navatelle, vengono infatti traforate da bifore, proprio per attenuare il senso di una conclusa dimensione spaziale. L'idea, già presente nelle arcate trasverse di Lomello, fu portata al massimo della esasperazione nella cattedrale di Ferrara, in costruzione intorno al 1135, che di quella di Modena fu la conseguenza più fedele. Questo non tanto per la loggetta esterna, svolta secondo gli stessi criteri, ma per l'insistenza, su un impianto a cinque navate, del sistema degli archi trasversi traforati da aperture, con pilastri alternati a colonne e, nella navata centrale, una esaltazione del finto matroneo, nella direzione di un più intenso svuotamento della parete, grazie alla presenza di un doppio ordine di finestre, le più alte aperte verso l'esterno, le più basse verso le navatelle intermedie, con al di sotto delle trifore accostate sull'asse fissato dalle colonne e accompagnate, lateralmente, da altre minori aperture. L'effetto di questo interno, che è oggi possibile apprezzare solo attraverso i rilievi anteriori alla trasformazione settecentesca, doveva essere quello di una fantasmagorica fuga, più che di spazi, di vedute, tale da dare il senso di un'a. vibrante per dinamismo e levità. Non si deve poi sottovalutare il fatto che il tema del finto matroneo, pur presente a Vignory entro la metà del sec. 11°, ha una chiara vitalizzazione a Roma, agli inizi del sec. 12°, come soluzione di alleggerimento ottico del pieno della parete in edifici come i Ss. Quattro Coronati, i Ss. Bonifacio e Alessio e Santa Croce in Gerusalemme, tanto da apparire come una forma romana, caratterizzante un ambiente al quale in genere si imputa un'abitudine conservatrice, incline alla ripresa passiva di soluzioni paleocristiane, spesso accompagnate dal riuso qualificato, perché simbolico, di pezzi antichi, come nella ricostruzione, a partire dal 1140, di S. Maria in Trastevere. Il fatto che il finto matroneo compaia a Modena e a Ferrara - edifici entrambi per la cui fondazione sussistono ragioni di un rapporto speciale con il papato, bene fissato a Ferrara dalle cinque navate e dalla proprietà, riservata alla Santa Sede, del terreno su cui fu aperto il cantiere - sembra assicurare la ripresa del motivo all'interno di un'ottica evocativa di modi e forme romane, tradotte in un linguaggio padano ben marcato, in entrambi i casi, dall'uso del cotto per gli interni.Un'altra novità proposta dalla cattedrale di Modena fu la consistente elevazione della cripta nei confronti della navata. Nella fase lanfranchiana dell'edificio, in linea con i legami che, anche sotto altri aspetti, riportano il progetto a soluzioni degli inizi del sec. 11°, la fronte era scandita da una scala centrale affiancata da due arcate di accesso al vano sotterraneo, come nella chiesa di S. Vincenzo a Galliano, consacrata nel 1007. Quanto alla cripta, si improntava alla forma 'a sala', estesa all'intera area presbiteriale che aveva fatto la sua prima comparsa a Spira e che era stata precocemente acquisita in zona dalla cattedrale di Acqui. La soluzione conteneva in germe quella che sarebbe stata la trasformazione attuata prima della definitiva consacrazione dell'edificio nel 1184, cioè l'apertura di una terza arcata di accesso in luogo della scala, valorizzando l'idea di una diretta circolazione tra navata e cripta che, negli stessi anni, sarebbe stata ripresa nella cattedrale di Parma e nel S. Zeno di Verona. La presenza di ricchi pontili scolpiti a fare da fronte ai presbiteri e la limitazione degli accessi alle sole scale presenti nelle navate laterali stanno a significare una volontà architettonica che, nella funzionalità dell'edificio, privilegia l'aspetto cultuale nei confronti delle reliquie rispetto a quello liturgico, una scelta che è in sintonia con il carattere urbano dei monumenti e con l'ambiente comunale che ne è il destinatario.Nel 1059 la consacrazione della rinnovata cattedrale di Firenze a opera di papa Niccolò II apre emblematicamente, per il rilievo dell'edificio e del personaggio, il capitolo del problematico rapporto tra il movimento di riforma della Chiesa e l'a., che tanto segna l'Italia centromeridionale. Nell'edificio fiorentino, noto attraverso le risultanze di scavo, sembra essere stata ancora prevalente, in quel sottofondo ideologico, una matrice cluniacense, dettata da un impianto ad absidi scalate simile a quello della S. Maria di Portonovo presso Ancona, determinato cioè dal conformarsi dei bracci del transetto nei modi di cappelle addossate e dall'espandersi, al di là di essi, del coro scandito su tre navate. A una ingerenza cluniacense si possono riferire anche scelte come quella, operata nel monastero di San Benedetto Po, del deambulatorio a cappelle radiali che, nel corso del sec. 12°, mostra una relativa diffusione, in ambito monastico, attraverso i begli esempi superstiti dell'abbazia toscana di Sant'Antimo, presso Castelnuovo dell'Abate, e di quella marchigiana di S. Maria a Pié di Chienti, anche se esisteva già una tradizione precedente, priva di cappelle, testimoniata dal S. Stefano di Verona. Il punto nodale proposto da quella cultura è piuttosto il rapporto con l'antichità cristiana, intesa come referente simbolico di una rinata realtà ecclesiale. Gli scavi hanno posto definitivamente in luce il carattere medievale del battistero di Firenze, l'edificio che, meglio di ogni altro, attraverso il suo decoro marmoreo a tarsie geometriche, incarna lo spirito di ripresa di soluzioni tipiche dell'epoca paleocristiana, che sostanzia anche altre costruzioni dell'area fiorentina, prima fra tutte il S. Miniato al Monte, e che in passato aveva contribuito a farlo considerare antico. Il battistero tuttavia non esaurisce i propri meriti in questo aspetto: nell'alzato esso sviluppa la pianta ottagonale, sormontata da una cupola a spicchi, secondo una logica compositiva su due ordini che deriva dal modello del Pantheon il piano inferiore, con le colonne architravate addossate alla parete, ma che elabora quello superiore in un camminamento, formato da un loggiato, con bifore aperte davanti alle finestre, secondo la più corretta tecnica del muro spesso, dunque con un gusto per l'animazione che non è certamente paleocristiano e che ebbe poi un seguito nel battistero di Cremona, iniziato nel 1167, e in quello di Parma, iniziato nel 1196. Lo stesso vale per il S. Miniato al Monte, per via delle due arcate trasverse che, impostate su pilastri compositi, attenuano la fuga delle colonne, e per la cripta, sopraelevata e aperta verso la navata con tre arcate alla maniera padana.L'originalità di intenti nei confronti dei richiami antichizzanti delle costruzioni fiorentine si sostanzia anche nell'edificio sotto questo punto di vista più significativo: la cattedrale di Pisa, iniziata dopo il 1064. Il suo impianto cruciforme, dettato dall'ampio transetto emergente, e la disposizione su cinque navate scandite da colonne, così come l'illuminazione diretta della navata centrale, con la conseguente opzione per una generalizzata copertura lignea, sono certamente fattori dal sapore antico. Tuttavia la presenza dei matronei, affacciati verso la navata grazie a una serie concatenata di bifore che eludono la logica della campata, e la volontà di sviluppare i tetti su due sole pendenze determinano la necessità della copertura delle navatelle con volte a crociera di eguale altezza, scandite da archi slanciati, dal sesto acuto, che danno all'insieme un esotico sapore di moschea. Nello stesso tempo l'estensione dei matronei ai bracci del transetto e la loro conseguente scansione in tre navate (le laterali coperte a botte) assicurano a questi ambienti un valore di chiese autonome, sottolineato dalle terminazioni absidate e dalla prosecuzione dei matronei anche in corrispondenza dell'incrocio cupolato, a creare due ponti che svolgono la funzione di facciate aperte. Esternamente questo gusto del tutto moderno per l'articolazione complessa degli spazi si riflette nella sovrapposizione dei livelli decorativi, che, pur partendo dal tema islamico delle losanghe contenute all'interno dell'arcata, si sviluppa secondo la logica di una iterazione di piani, realizzata attraverso un movente antichizzante come la lesena architravata, cosicché nell'accostamento si decanta l'ingerenza primaria dei legami d'origine delle varie componenti, in vista del raggiungimento di una levigata autonomia d'espressione. Lo stesso rigore logico si conserva intatto nella facciata, progettata in una seconda fase costruttiva ormai in pieno sec. 12° e destinata a svolgere per lungo tempo una vivace funzione di modello, come prova, nel primo Duecento, la pieve di Arezzo. Nell'iterata sovrapposizione delle loggette al di sopra delle arcatelle del primo ordine, essa sviluppa un gusto per l'inconsistenza della parete che è concorde con i molti punti di fuga prospettica che caratterizzano l'interno. Solo molto tardi, a partire dal 1204, quel tipo di facciata conobbe un'evoluzione nel S. Martino di Lucca grazie alla sovrapposizione delle loggette a un vero portico che trasforma in spazio reale ciò che a Pisa è volutamente alluso ma non realizzato, per non turbare il senso di levità dell'insieme.Sulla scorta di questi edifici più antichi e significativi si diffonde in Toscana, nel corso del sec. 12°, un gusto architettonico di sobria e raffinata eleganza, che non assolve tutte le sue componenti nel solo impegno antichizzante ma che, proprio per questo, non può essere visto, fin dalle sue origini, come il contenitore di una esplicita esigenza ideologica.L'altro polo di una ipotetica cultura architettonica della riforma è ovviamente l'abbazia di Montecassino, fatta ricostruire dall'abate Desiderio tra il 1066 e il 1071. Anche in questo caso, perduto da tempo l'originale, le testimonianze storiche tramandano una serie di dati che sembrerebbero confermare, da parte dei costruttori, l'idea di realizzare un edificio simile a una basilica paleocristiana. L'acquisto a Roma dei marmi antichi necessari per la costruzione, la chiamata di mosaicisti da Costantinopoli per realizzarne la decorazione absidale, i titula a essa destinati dall'arcivescovo di Salerno Alfano, modellati su quelli delle basiliche romane di S. Pietro e del Laterano, lascerebbero pensare a una operazione di ricalco dell'antico. Tuttavia l'edificio, scandito in tre navate da dieci coppie di colonne, terminava in un transetto alto, con tre absidi e con un presbiterio sopraelevato rispetto alla navata di almeno otto gradini, che, determinato dal caso, in conseguenza della precoce e inattesa scoperta della tomba di s. Benedetto, costituiva pur sempre una consistente novità rispetto alle ipotesi di una copia paleocristiana, tanto da essere subito ripreso nella cattedrale di Salerno, iniziata dall'arcivescovo Alfano, con il patrocinio di Roberto il Guiscardo, nel 1080, e da divenire poi una delle componenti fondamentali intorno alle quali si sarebbe argomentata l'a. romanica nell'Italia meridionale. Del resto, lo stesso atteggiamento nei confronti dell'antico del committente dell'abbazia di Montecassino può essere meglio definito sulla scorta di altri due suoi interventi edilizi. Quello campano di Sant'Angelo in Formis, posteriore al 1072, utilizza i materiali classici recuperati dal tempio di Diana sul quale sorge per comporre un insieme basilicale di tre navate terminanti in tre absidi di grande semplicità. Quello abruzzese di S. Liberatore alla Maiella, posteriore al 1080, ricompone lo stesso impianto, sostituendo i pilastri alle colonne e ai capitelli antichi, e approfitta della possibilità di articolarli per distinguere la campata del presbiterio, lievemente più ampia delle altre, e creare, tramite tre arcate, un transetto non denunciato, secondo una tipologia che, proprio sulla spinta degli insediamenti cassinesi, avrebbe avuto larga fortuna nella regione per tutta la prima metà del 12° secolo. Dunque il rapporto con l'antico appare fondato tutto e solo sui materiali, una scelta occasionale di gusto piuttosto che un motivato programma di vita monastica.Accanto alle suggestioni provenienti dall'impresa cassinese, dovette svolgere un ruolo determinante per l'a. dell'Italia meridionale la presenza dei conquistatori normanni, ai quali va attribuita la creazione nella cattedrale di Aversa, entro il 1090, di un deambulatorio con tre cappelle radiali, di una forma allungata che trova riscontro nelle cattedrali inglesi. Il tipo venne ripreso anche nella cattedrale di Acerenza e nell'abbazia della SS. Trinità a Venosa, nel corso del sec. 12°; ai monaci normanni insediatisi in Calabria sotto la guida dell'abate Robert de Grandmesnil, dopo il 1062, provenienti dalla abbazia di Saint-Evroult-sur-Ouche, spetta la diffusione dello schema presbiteriale cluniacense, che fa la sua prima comparsa nell'abbazia di S. Eufemia per poi essere ripreso subito dopo, a opera degli stessi monaci, nella SS. Trinità a Mileto. Entrambi scomparsi, ma ricomposti grazie agli studi moderni nella loro ideale consistenza, questi edifici rappresentano due momenti significativi nella vicenda del Romanico meridionale.La S. Eufemia aveva con certezza una copertura a volte a botte sulle navate laterali, mentre la SS. Trinità fondeva la terminazione cluniacense del presbiterio a un corpo basilicale scandito da colonne, determinando per la prima volta quel connubio che svolse poi un ruolo essenziale nelle grandi costruzioni siciliane del 12° secolo. È probabile che a questo gusto articolato dei partiti architettonici, importato dai Normanni, si sia ispirata anche l'introduzione dei matronei nel S. Nicola di Bari, iniziato nel 1087, dove fu creato un ordine monumentale fino ad allora sconosciuto all'a. pugliese.Questa era stata legata, fin dall'epoca altomedievale, al tema della copertura a cupole in asse, contraffortate da volte a semibotte sulle navate laterali, sviluppata in modi differenti e autonomi rispetto alle costruzioni dell'Aquitania. Proprio negli stessi anni, sul finire del sec. 11°, la formula trovò la sua redazione più sicura nella chiesa di Ognissanti a Valenzano, grazie a una calcata insistenza sulla purezza geometrica delle forme. Tuttavia il tipo, proprio per la concorrenza dei modi determinatisi nel S. Nicola di Bari, rimase confinato agli edifici rurali e fece la sua comparsa, a livello di cattedrale, solo nel S. Corrado di Molfetta, nel tardo 12° secolo.
Il matroneo fu la struttura che consentì ai costruttori pugliesi di superare la conclusa calibratura spaziale tipica di quella soluzione locale per giungere a una scansione ariosa e dinamica degli interni che nella cattedrale di Bari, con l'abbandono delle volte sulle navatelle, si fece semplice schermatura, mentre in quella di Trani, grazie alle colonne binate, destinate a reggere l'una la parete e l'altra la ricaduta delle arcate trasverse delle navatelle, l'effetto raggiunto fu quello di una severa e solenne articolazione. In tutti questi edifici giuoca poi un ruolo determinante il transetto, che, nella forma alta e a tre absidi, deve certamente essere imputato al modello cassinese e che realizza in tal modo una sintesi inconsueta di forme dalla complessa tradizione. Da essa l'inventiva dei costruttori pugliesi fece scaturire un elemento nuovo, del tutto locale, come la chiusura delle absidi all'interno di una parete rettilinea alla quale si raccordano, agli angoli, due torri, conferendo al transetto una monumentale solennità di forme. Questa soluzione, elaborata nel S. Nicola di Bari e ripresa nella cattedrale della stessa città e in quella di Bitonto, che del S. Nicola è una replica quasi fedele, si accoppia a un altro tema architettonico tipicamente pugliese e presente in tutti e tre gli edifici: il loggiato a esafore che corre esternamente alle navate laterali, appoggiandosi a una serie di arconi addossati alle pareti d'ambito. Pensato nel S. Nicola di Bari come elemento di compensazione tra l'emergenza del transetto e quella delle due torri che affiancano la facciata, esso diviene negli altri due edifici un fattore organicamente innervato in un progetto costruttivo che vede la facciata espandersi in due ali ulteriori, lievemente ribassate rispetto ai pendenti del tetto delle navate laterali, proprio per incardinare, nel giuoco delle forme architettoniche, anche il doppio ordine degli arconi e degli esaforati, introducendo, quasi per contrasto, la loro cupa ombrosità all'interno del terso nitore delle pareti.Un'analoga capacità di sintesi anima le grandi costruzioni siciliane dell'epoca del Regno, con le quali la committenza degli Altavilla intese superare i limiti formali della tradizione basiliana, alla quale si erano improntate, anche per ragioni politiche, molte delle fondazioni immediatamente successive alla conquista dell'isola. L'effettiva apertura a un gusto internazionale si ebbe nel 1131, con la fondazione della cattedrale di Cefalù, il cui primo progetto, mai portato a compimento, prevedeva, nel presbiterio dall'impianto cluniacense derivato dalle precedenti fondazioni calabresi, la presenza, ancora bene apprezzabile nei bracci del transetto, di un ordine monumentale su tre livelli, costituito dalla sovrapposizione delle arcate, delle finestre e, sopra a queste, di un loggiato corrispondente, secondo la tecnica del muro spesso, a un secondo ordine di finestre più piccole. Già in questa fase il progetto prevedeva una generalizzata copertura a tetto, con la sola esclusione del presbiterio, dove in effetti le volte furono realizzate entro il 1148, e un'altezza rilevante, opportunamente suggerita dalla slanciatissima arcata trionfale, ridotta di dimensioni nel momento in cui si decise, per la navata, l'abbandono di quella dimensione monumentale per una semplice sovrapposizione di arcate e finestre. Con le due torri di facciata, derivate anch'esse da una tradizione normanna ben testimoniata dalla cattedrale di Acerenza, la cattedrale di Cefalù si impose come un modello con il quale dovettero fare i conti le due fondazioni più significative della seconda metà del secolo, la cattedrale di Monreale, voluta dal re Guglielmo II nel 1172, e quella di Palermo, la cui ricostruzione fu promossa poco dopo dall'arcivescovo Gualtiero Offamilio. Pur nello svilupparsi di progetti autonomi, bene evidenziati dalla presenza in entrambi di un inedito doppio transetto, ricavato attraverso la disposizione nello spazio presbiteriale di due successive arcate trionfali, vi convivono elementi derivati da Cefalù, nella sua redazione finale: a Monreale, il contrasto tra l'imponenza monumentale del complesso presbiteriale e lo svelto sapore basilicale della navata; a Palermo, il camminamento interno, a muro spesso, in corrispondenza del primo più ampio transetto. Tra il sec. 11° e il 12°, in tutte le sue formulazioni locali, l'a. si argomentò, là dove sussistevano termini espressivi qualitativamente alti, intorno a una ricerca incentrata su alcuni punti fondamentali come il pilastro, la volta, la scansione monumentale degli interni, la disposizione del coro e del presbiterio nei confronti della navata. Agli stessi termini compositivi, muovendo dalle risultanze fino ad allora esperite, a partire dagli anni quaranta del sec. 12° si applicarono anche gli architetti attivi nell'Ile-de-France e più latamente nel domaine royal, le terre sotto il controllo del re di Francia.
Gli esiti di questo lavoro portarono a quella radicale revisione del linguaggio architettonico nella quale si identifica la cultura gotica. Un deciso momento di stacco va riconosciuto nel doppio deambulatorio voluto dall'abate Suger nel 1140 per la abbazia di Saint-Denis. Già in precedenza qualcosa di analogo era stato realizzato nella chiesa parigina di Saint-Martin-des-Champs, al tempo del priore Ugo, tra il 1130 e il 1142. Tuttavia in questo caso la struttura ha ancora un carattere embrionale, perché il secondo deambulatorio è come compresso sul primo, con uno stacco limitato delle absidiole che ne articolano il perimetro rispetto ai pilastri che separano i due percorsi e che reggono volte a crociera costolonata solo lungo i vani corrispondenti all'asse centrale dell'edificio. A Saint-Denis, invece, i due periboli e la corona delle cappelle si regolarizzano, le volte a crociera vengono generalizzate e impostate secondo un andamento acuto e le colonne sostituiscono i pilastri compositi; in questo modo si ottengono effetti che modificano radicalmente la condizione del deambulatorio a cappelle radiali della tradizione romanica. Dimensionalmente esso diviene più ampio delle navate e quindi, in prospettiva, condiziona o un impianto a cinque oppure una maggiore ampiezza del blocco presbiteriale, necessariamente compensata da un transetto. Questa enfatizzazione di ruolo trova nelle colonne e nella forma degli archi e delle volte un sostegno, poiché essi attenuano il senso della pienezza murale romanica in vista di un abbandonarsi dei vani spaziali alla tersa luminosità fornita dalle coppie di finestre che traforano le absidiole che animano il perimetro esterno. Il deambulatorio di Saint-Denis imposta con lucida chiarezza le ragioni di una estetica nuova, che non rifiuta il passato ma lo ripensa. Anche l'uso della colonna in luogo del pilastro non ha in sé niente di rivoluzionario, sembra anzi suggerire, da parte del committente, una certa nostalgia per i monumenti dell'antichità cristiana. Lo stesso si può dire per il motivo delle colonne binate che caratterizzano la navata della cattedrale di Sens, costruita entro il 1164, e che sono una citazione paleocristiana, negli stessi anni utilizzata anche nella cattedrale di Trani, che la ereditava dall'edificio precedente. A Sens tuttavia il motivo è inglobato all'interno di un sistema che denuncia i suoi debiti nei confronti del retroterra romanico, in particolare normanno. Le coppie di colonne sono infatti utilizzate come punto debole di battuta in una campata che comporta l'alternanza dei sostegni e una copertura a volte esapartite, impostata al di sopra di un ordine monumentale ancora romanico che prevede arcate a sesto acuto, un triforio organizzato secondo una successione di aperture binate, come a Mont-Saint-Michel, e quindi coppie di finestre all'interno di un'arcata addossata. Rispetto ai precedenti normanni, del resto non remoti nel tempo, visto che la copertura a volte esapartite del Saint-Etienne di Caen risale solo a pochi anni prima, ciò che di nuovo il sistema propone è l'abbandono del valore della campata in termini romanici, perché proprio gli elementi accessori, come il triforio o le finestre, si isolano numericamente a coppie, all'interno delle battute unitarie determinate dalla ricaduta delle volte esapartite. Questo tende a riconoscere a ogni unità spaziale, da un sostegno all'altro, indipendentemente dalla loro natura debole o forte, un'autonomia e un'importanza che si traducono in una valenza ascensionale della forma architettonica. Si tratta di un'acquisizione, sul piano dell'interpretazione dello spazio romanico, che rivela tutta la sua novità attraverso il confronto con la navata della cattedrale di Le Mans: questa, compiuta nel 1158 e dunque contemporanea, mantiene ancora intatto il senso della campata quadrata, utilizzando delle volte a crociera costolonata e impostando, al di sopra dei sostegni deboli, anche in questo caso delle colonne, un triforio formato, come alla Trinité di Caen, da arcatelle addossate, alternativamente scandite da aperture verso il sottotetto, sormontate da coppie di finestre ancora in asse con la colonna.Il passaggio logico successivo di questa diversa individuazione, in termini spaziali, del valore della campata fu la determinazione delle ulteriori possibilità di una sua elevazione in altezza. Questo avviene nel coro della cattedrale di Noyon, completato nel 1185 ma progettato almeno un ventennio prima, in cui si imposta un sistema monumentale su quattro livelli che ha i suoi precedenti romanici nella cattedrale di Tournai. Esso prevede il matroneo al di sopra delle arcate e un triforio, ancora mantenuto a un valore puramente grafico, di arcatelle addossate alla parete, tra il matroneo e il cleristorio. Nella cattedrale di Laon, in costruzione verso il 1165-1175, il triforio, all'interno di un analogo sistema di partizione, si fa reale camminamento, eliminando anche l'ultimo residuo di un senso di compattezza murale, per lasciare il posto a un'organizzazione dell'alzato che, fidando sull'uso della colonna anziché del pilastro, tende a esaltare il valore verticale delle membrature, accompagnandolo all'incalzante successione di un'arcata, una bifora e una trifora dove anche il dato numerico delle aperture ha un significato nel ricomporsi in unità nella grande finestra del cleristorio. Sul piano costruttivo, l'inserto del triforio nella cattedrale di Laon determina uno stacco tra il punto di ricaduta delle volte della navata centrale e quello delle volte dei matronei che rompe la logica di compensazione delle spinte che era stata uno dei canoni fondamentali del costruire romanico. Da qui la scelta di porre all'esterno del triforio, in corrispondenza dei punti di forza, dei muri trasversi che, essendo traforati per consentire di realizzare un camminamento al di sotto dei tetti, si propongono come una forma embrionale di arco rampante, ossia della struttura che sarebbe stata determinante, nel secolo successivo, per giungere a una totale diafania della parete, insieme alla sua riduzione di spessore, conseguente all'abbandono della forma composita del pilastro romanico, con membrature incorporate, e alla sua trasformazione nel pilastro gotico, in cui le membrature, in genere colonnine, corrono addossate ma indipendenti rispetto al nucleo interno, sul quale si dimensiona la muratura.
Se la cattedrale di Laon propone una ricerca concentrata sul verticalismo e sul dinamismo dell'impianto cruciforme, che condivide con altri edifici dell'area settentrionale della Francia, nell'ambiente parigino, intorno agli anni sessanta, prevale un senso più equilibrato delle partizioni spaziali. Sia la cattedrale di Senlis, iniziata nel 1153, sia quella di Mantes, avviata intorno al 1170, attraverso il mantenimento del sistema alternato dei sostegni e le grandi aperture dei matronei, sormontate dal cleristorio, propongono l'idea di una calibrata aggregazione di vani spaziali che si riflette nell'ampiezza della navata. L'edificio che più di tutti si appropria di questa logica, senza per questo rinunciare al verticalismo, è Notre-Dame a Parigi, la cui costruzione fu avviata dal coro nel 1163. Notre-Dame è l'unico caso di ripresa, nel sec. 12°, del doppio deambulatorio di Saint-Denis e questo si riflette sull'impianto perché, rinunciando all'emergenza del transetto, il corpo longitudinale è obbligato ad articolarsi su cinque navate. Ne scaturisce una struttura di ponderata solennità, in cui, come a Senlis e a Mantes, si ottiene una partizione in verticale che distribuisce su eguali altezze arcata, matroneo e cleristorio, composto in origine da un oculo, che ha sostituito il triforio, sormontato da una finestra. Di conseguenza questa calibratura si riflette anche sull'organizzazione spaziale delle navate laterali che scalano come blocchi distaccati, in virtù di una ormai compiuta definizione nell'uso degli archi rampanti che rende possibile la loro indipendenza a livello delle coperture.Nella sua classica e monumentale formulazione, il sistema di Notre-Dame era, sul piano murario, relativamente statico e privo di ulteriori possibili sviluppi. Questi sarebbero venuti dall'evoluzione del sistema dinamico e sbilanciato della cattedrale di Laon. Un primo passo fu l'enfatizzazione del cleristorio, con l'introduzione, al posto della semplice monofora, di una trifora che occupa tutto lo spazio concesso dalla ricaduta della volta. Il braccio meridionale del transetto della cattedrale di Soissons, databile tra il 1177 e il 1185, con il suo andamento semicircolare, è la formulazione ottimale di questo ordine monumentale, che aveva già fatto la sua comparsa embrionale nel coro di Saint-Remi a Reims e che prevede una sequenza corrispondente di tre arcate, sia al primo sia al secondo piano, poi un esaforato percorribile e, al di sopra, tre finestre contigue, che giungono a comporre una parete tutta di vuoti. Un'altra possibilità è quella che si fa strada nei bracci del transetto della cattedrale di Noyon, entro il 1185 ca., attraverso lo sfruttamento della tecnica del muro spesso: al di sopra delle arcate e del triforio si dispone una prima serie di bifore, corrispondenti a un camminamento interno, oltre la quale se ne imposta una seconda cui corrisponde, come nella cattedrale di Tournai, un camminamento esterno. Nelle cappelle terminali del transetto della cattedrale di Laon questo stesso sistema ottiene esternamente l'effetto di una sovrapposizione di tre ordini di finestre, grazie alla scarnificazione del camminamento corrispondente all'ordine più alto, ridotto a una serie di passaggi aperti nei contrafforti. Internamente l'effetto, a livello della tribuna, è quello di un'inconsistenza della parete, fatta ormai totalmente di luce. Un'altra possibilità di sviluppo, parallela a questa, sarebbe stata l'abolizione di una struttura così intimamente legata alla spazialità romanica come il matroneo, con la conseguente attribuzione alle altre due componenti dell'ordine monumentale dello spazio guadagnato in verticale. Una timida apparizione di questa soluzione si ha nella chiesa di Saint-Yved a Braine, i cui lavori furono avviati verso il 1190, dove un semplice quadriforio è compresso tra l'arcata e una finestra, ancora aperta nel pieno del muro, il tutto espresso con una cadenza dimensionale che vede l'altezza dell'arcata equivalente a quella complessiva degli altri due elementi.Nella cattedrale di Chartres, la cui navata fu avviata intorno al 1194, il sistema si esplicò al meglio delle sue possibilità, con una scala monumentale che vede il cleristorio occupare ormai, con una bifora sormontata da un oculo, tutto lo spazio da un sostegno all'altro ed elevarsi, in altezza, allo stesso livello dimensionale delle arcate, con il quadriforio in posizione intermedia che suggella, con la sua ombrosità, il senso di annullamento della parete. Ma con la cattedrale di Chartres e con quella di Bourges, dove, negli stessi anni, analoghi principi distributivi sono applicati a un impianto a cinque navate, con un conseguente esito di verticalizzazione dei pilastri della navata centrale, sui quali vengono a gravare le ragioni di una regolare compartimentazione su tre livelli, si entra ormai in una spaziosità monumentale che appartiene tutta alla cultura del 13° secolo.Rispetto all'a. religiosa, che mostra una vivace e articolata vicenda, è più difficile definire, tra il sec. 11° e il 12°, i contorni dell'a. civile. Anzitutto sono irrimediabilmente perdute l'a. rurale e tutta l'edilizia in legno e in altri materiali deperibili, sulle quali si possono avere informazioni solo a livello di impianto, attraverso gli scavi archeologici. Prima ancora dello svilupparsi di una vera cultura urbana, anche in campo civile occorre registrare il valore di continuità con il mondo altomedievale proposto da due strutture organizzate per associazione come il palazzo e il monastero. Il palazzo, legato a una logica imperiale fin dalle sue origini antiche, presenta come componenti fondamentali la sala e la cappella, intorno alle quali, come a Paderborn e a Goslar, si aggregano altri ambienti di servizio. La sala di ricevimento è in genere al primo piano e condiziona con la sua presenza la forma della facciata, nel senso che, date le vaste dimensioni, la sequenza delle aperture, trifore inquadrate da arcate, si pone, come a Goslar, in contrasto con il pieno del muro sottostante. Il rapporto tra livelli abitativi e prese di luce è del resto una ragione organizzativa delle forme architettoniche che esula dalla stretta dimensione imperiale, per coinvolgere comunque le forme esterne di edifici di rappresentanza, come il palazzo della Ragione di Pomposa o il fondaco dei Turchi a Venezia, nei quali due loggiati continui si sovrappongono a celare il vero corpo abitativo del quale, nello stesso tempo, riproducono la scansione dei livelli. Ma il principio può anche essere alterato nel suo valore di corrispondenza, come nel caso del palazzo di Norwich, che ha una facciata a più livelli, organizzata attraverso arcatelle rette da colonnine che si compongono in sequenze attorno ad aperture che, da altezze diverse, si affacciano su un ambiente unico, creando all'esterno una successione di piani non corrispondente alla realtà dello spazio interno.Il monastero raggiunge in questo periodo una definita organizzazione delle sue componenti, anche in conseguenza delle nuove regole comunitarie imposte alla vita canonicale, che ne fanno una sorta di universo. Di questa tendenza si era già avuta traccia in periodo altomedievale nel piano del monastero di San Gallo (San Gallo, Stiftsbibl., 1092), tuttavia mancava ancora, in quel momento, una generalizzata abitudine a pensare il monastero come organica aggregazione di vani intorno al quadrato del chiostro. Nella formulazione tipica del sec. 12°, se il lato settentrionale normalmente si addossa all'edificio religioso, sul lato orientale si dispongono in sequenza la sacrestia, l'armarium e la sala capitolare, un ambiente in genere voltato e scandito internamente da due o da quattro sostegni, al quale si accede attraverso una porta affiancata da due finestre. Al piano soprastante, il dormitorio è posto in collegamento con il transetto della chiesa. Sul lato meridionale si dispongono il refettorio e la cucina, mentre lungo quello occidentale si trovano l'ingresso al convento e altri ambienti di servizio. Questa sistemazione che, nelle varie determinazioni delle tipologie degli ambienti, ricorre sia nell'universo benedettino sia in quello canonicale, trova una rigorosa interpretazione, dal punto di vista organizzativo, nei termini di una proporzionata modularità delle componenti, nella cultura cistercense, che, di questa sorta di mondo concluso, fa un vero modello di urbanizzazione.Al di fuori delle ragioni di rappresentanza o di quelle di una razionale vita comunitaria, del palazzo pubblico e del monastero, l'unità abitativa tipica del mondo romanico fu relativamente semplice, sia sul piano strutturale sia su quello decorativo. Priva di corridoi interni, quindi impostata sulla logica dei vani intercomunicanti, essa si elevava su più piani, grazie a sistemi di volte su pilastri, anche se spesso l'ultimo piano era a copertura lignea. Questa base architettonica poteva subire adattamenti qualitativi che ne esaltavano il valore utilitaristico, come l'apertura di un porticato in corrispondenza del piano terreno, che poteva essere funzionale alle attività mercantili del proprietario. Ma poteva anche essere struttura nobilitante, come avveniva in molte case medievali romane e in quello straordinario esempio di dimora signorile che è la casa dei Granolhet a Saint-Antonin-Noble-Val (Tarn-et-Garonne), con un triforio corrispondente, al secondo piano, alla sala di rappresentanza e con bifore sopraccigliate al terzo, in rapporto all'abitazione vera e propria. Alla casa era annessa, sul fianco, una torre, un'altra componente sostanziale dell'edilizia signorile del pieno Medioevo a livello urbano. Essa poteva anche assumere l'aspetto di un vero fortilizio, come le torri romane delle famiglie Conti e Annibaldi, dalla mole possente, a più piani, memore della logica militare dei maschi, mentre nelle torri sottili e slanciate, come quelle bolognesi degli Asinelli, l'altezza diveniva corrispettivo dell'importanza sociale dei proprietari.Un'aggregazione per vani intercomunicanti sostanzia anche l'a. di rappresentanza dei re normanni di Sicilia. In essa il ruolo della sala nobiliare è svolto da un vano centrale al quale si accostano lateralmente due ambienti accessori. In questa struttura vi può essere un ricordo dell'īvān islamico, che però si annulla nella dimensione spigolosamente geometrica dei volumi esterni. Di questo tipo è il palazzo suburbano della Cuba a Palermo, compiuto verso il 1180, al tempo di Guglielmo II, ma a esso si ispira già il palazzo di Caronia, ricordato dal geografo Idrīsī come realizzato ancora vivente Ruggero II, dunque prima del 1154. Nella Cuba è significativa, come nel palazzo anglonormanno di Norwich, la trasgressione del decoro esterno alla regola dell'identificazione dei livelli architettonici con le prese di luce, che invece appare fortemente sentita altrove dall'a. civile del periodo. Il dispositivo delle finestre, sia vere sia finte, alternate in più file, sembra infatti indicare una scansione su più livelli dell'interno che in realtà non è, trattandosi di uno spazio unico, coperto da una cupola in corrispondenza del vano centrale, come, per contrasto, suggeriscono le grandi arcate che corrono dalla base della parete al vertice, tangenti l'una all'altra, inglobando al loro interno i diversi ordini di aperture. Anche nel palazzo della Zisa, sempre a Palermo, fondato da Guglielmo I, dunque entro il 1166, ma compiuto successivamente, il rapporto tra arcate e finestre, nella regolata sovrapposizione degli ordini, disegna esternamente un alzato su tre livelli che non trova rispondenza all'interno, nella grande sala al centro che si leva a occupare lo spazio di due piani.Questo tipo di edilizia di rappresentanza venne radicalmente sconvolto dall'esperienza del periodo svevo che propose una solida organizzazione geometrica delle forme, nettamente contrastante con quel sapore di irregolare casualità. L'idea di una modularità e di un limpido raccogliersi degli spazi, ricavata direttamente dal mondo cistercense attraverso l'impiego dei conversi come manodopera, fu una delle caratteristiche più significative introdotte dall'imperatore Federico II anche nell'a. militare, con un'operazione di rottura formale nei confronti della tradizione del periodo precedente, legata, anche in Italia meridionale, allo sviluppo del maschio o donjon. Si tratta di una torre, dalle solide proporzioni, impostata all'interno o addossata a una cinta muraria. Le sue origini sono legate a un tipo di fortificazione non costruita, determinata da un terrapieno, realizzato o meno su una collina, con al centro un ricovero, che inizialmente poteva anche essere in legno.Il passaggio alla realizzazione in pietra di questa forma difensiva determinò la sua evoluzione tipologica. Il maschio ha come caratteristica specifica quella di non avere, per ragioni difensive, accessi al piano terra, bensì disposti a m. 5 ca. di altezza, accessibili solo mediante scale mobili. Il vano cieco così ricavato internamente poteva essere destinato a cantina per la conservazione delle provviste. I piani superiori potevano essere divisi con soffittature lignee o con volte, in ogni caso era necessario un sistema di scale interno. Partendo da questa base, il maschio sviluppò una serie di possibilità formali che tuttavia si articolarono intorno ad alcuni punti comuni. A livello di pianta l'abbandono della forma quadrata per quella circolare o poligonale è legata a ragioni difensive, al fine di non presentare zone morte; stesso significato ha l'aggiunta di torri addossate al perimetro. Questo può avvenire, come a Rochester, con l'innesto di torri quadrate agli angoli di un perimetro anch'esso quadrangolare, oppure con torri poligonali addossate a un impianto circolare come a Conisborough, ancora nell'Inghilterra normanna; oppure, con l'aggiunta di torri semicircolari che se si innestano su un corpo quadrangolare dai lati fortemente bombati, come nel caso del donjon di Houdan, portano l'insieme a raggiungere un impianto polilobato. Esternamente poi l'austera unità formale della struttura può essere scandita, come a Beaugency, da semplici semipilastri di rinforzo della parete che possono diventare, come a Loches, delle pesanti semicolonne addossate a lesene dal più marcato sapore decorativo.
Poiché il maschio ha anche una funzione residenziale, alla quale sono adibiti i piani superiori, questa sua caratteristica ne spiega la tendenza ad abbandonare l'aspetto di chiusa mole difensiva per trasformarsi in castello. Questo avviene con l'apertura di un maggior numero di finestre e con l'allargamento del loro varco rispetto alle semplici feritoie, come nel donjon di Rochester, in cui una fitta serie, disposta in più ordini sovrapposti, ne denuncia la scansione interna, negli stessi termini di un'a. residenziale. Lo stesso fenomeno può dare luogo, come nella Torre di Londra, all'elaborazione di un sistema decorativo della parete su tre livelli, sottolineati, al di sopra del blocco compatto del piano terra, dalle grandi arcate che abbracciano le finestre del primo piano e da quelle che cingono le bifore del secondo, secondo una logica che è ormai del tutto assimilabile alle regole compositive dell'a. residenziale contemporanea.
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