ARCHITETTURA - Secoli 13°-14°
L'importanza per l'Occidente del sistema architettonico gotico sta in sintesi nel fatto che tale sistema fu l'unico - prima dei tempi moderni - a sviluppare un linguaggio autonomo non più alimentato, se si prescinde da dettagli secondari, dal repertorio formale antico. In questo senso generale, ma anche dal punto di vista tecnico, costruttivo, organizzativo e progettuale, esso aprì insospettate prospettive e fu pertanto espressione della volontà di rinnovamento che scosse l'Occidente a partire dal 12° secolo. Tranne che in Italia, questa innovativa pratica architettonica perdurò fino al sec. 16° e anche in seguito gli edifici gotici furono sempre un importante punto di riferimento per l'a. dell'età moderna e contemporanea.
L'a. gotica dei secc. 13° e 14° ha come area di diffusione l'intero Occidente. Essa può essere trattata da punti di vista molto diversi. Lasciando da parte le visuali romantiche, antiquarie e spesso anche nazionalistiche del primo Neogotico (per la storia dell'interpretazione dell'a. gotica: Frankl, 1960), si giunge a Viollet-le-Duc (1854-1868), che offrì un modello interpretativo che considerava questa a. soprattutto come fondamentale tappa del progresso in campo costruttivo, mentre la letteratura critica del nostro secolo di regola ha trattato la materia sotto gli aspetti storico-stilistici (per es. Grodecki, 1977; Bony, 1983) e anche regionali (Lasteyrie, 1926-1927). Gli studi più recenti hanno comunque dimostrato che ambedue i metodi, quello che privilegia l'esame dell'evoluzione stilistica e quello basato sugli aspetti geografico-culturali, possiedono evidenti limiti, in quanto nel corso della sua espansione europea il Gotico venne spesso a soppiantare gli usi costruttivi regionali, come già appare evidente nella stessa Francia settentrionale, sua terra d'origine (Kimpel, Suckale, 1985). D'altro canto, è chiaro che lo 'stile' di un'a. gotica non è solo il prodotto di un epidermico mutamento del gusto, sottomesso pertanto a un inconsapevole Stilwollen o a una 'entelechia stilistica' autonoma. Lo stile di un edificio infatti venne scelto la maggior parte delle volte del tutto coscientemente, allo stesso modo in cui si determinava o si riceveva il proprio abbigliamento secondo il rango e la classe di appartenenza.In marcato contrasto con la visuale 'materialistica' di Viollet-le-Duc si pongono gli orientamenti volti all'indagine della storia delle idee e dello spirito grazie a cui furono riscontrate le analogie esistenti fra l'a. gotica e, per es., la filosofia scolastica (Panofsky, 1951), o furono stabilite vere e proprie connessioni causali fra la metafisica della luce dello pseudo-Areopagita e il nuovo stile (von Simson, 1956).Negli studi più recenti si possono distinguere due tendenze. L'una persevera giustamente nei metodi tradizionali dell'archeologia e dell'analisi architettonica e li perfeziona con risultati di norma monografici che non possono quindi venire qui discussi neanche in forma d'esempio. L'altra tendenza, che si potrebbe definire come 'studio del contesto', quando non sia orientata in senso generale verso la storia della cultura (Duby, 1966) o la sociologia (Kraus, 1979), opera nei seguenti tre campi: organizzazione e tecnologia dell'edilizia; funzioni dell'a., sua tipologia e relativo problema del modus; linguaggio dell'a., in cui un ruolo determinante hanno le 'citazioni'. I confini tra questi indirizzi sono fluidi e se ne è tentata sia una reciproca integrazione, sia un arricchimento per es. con problematiche di tipo urbanistico (Erlande-Brandenburg, 1989).Gli aspetti giuridici e finanziari della costruzione di chiese a N delle Alpi sono stati indagati a fondo, nella loro molteplicità e nelle tendenze di sviluppo (Schöller, 1989); ciò vale anche per il lato della questione che riguarda la storia del progresso tecnico.Da questo punto di vista uno spartiacque storico è costituito dalla cattedrale di Chartres, poiché in questo cantiere si rinunciò quasi completamente alla tecnica en délit, che aveva avuto grande diffusione nel sec. 12°, in favore di un metodo costruttivo con conci di grande formato, e in parte di misura prefissata, che certo richiesero l'impiego di impianti di sollevamento, ma che ancora non venivano prefabbricati in grandi serie. Si tratta ancora di campagne edilizie stagionali e di processi di lavoro per lo più sincroni di ordinazione, consegna, sgrossatura e posa in opera; di campagna in campagna l'edificio veniva eretto per strati orizzontali che abbracciavano l'intera pianta.A partire dal 1200 si assistette poi a Soissons, Reims e Amiens alla prefabbricazione in serie di molti elementi costruttivi che avrebbe condotto infine al procedimento usato ancora oggi di fabbricare secondo un progetto di apparecchiatura muraria con dettagliati ordinativi di pietre. Ciò permise una diacronia dei processi di lavoro e rese d'altro canto necessaria una progettazione sempre più precisa, che si servì dapprima di incisioni 1:1, di cui si sono conservati numerosi esempi e poi, dal 1220 ca., di disegni in scala ridotta che relegarono le incisioni 1:1 molto spesso al ruolo di pure trascrizioni, venendosi così a perdere il loro carattere creativo. Per altro verso la diacronia dei processi di lavoro consentì il formarsi del 'cantiere' gotico (Hütte, loge/lodge, fabrica, opera), un'impresa in cui per lo meno gli scalpellini potevano lavorare anche d'inverno, cosa che in precedenza era avvenuta solo eccezionalmente (per es. nella costruzione del coro di Saint-Denis); l'accumulo del materiale prefabbricato, inoltre, permetteva nella bella stagione di accelerare il processo di posa in opera con una sorta di catena di montaggio. La nuova divisione del lavoro e la parziale continuità dell'impresa resero possibili anche processi di qualificazione - ben leggibili sugli edifici stessi - di coloro che ora lavoravano alla fabbrica come principale attività professionale: il lavoro dell'architetto si trasferì in misura crescente dal cantiere al tavolino. Da diversi punti di vista i progettisti divennero 'più liberi': poterono occuparsi di più fabbriche ed essere inoltre chiamati altrove come esperti; essi furono più mobili, mentre l'incremento delle possibilità tecniche poneva meno limiti alle loro ideazioni. In alcuni casi ciò comportò il raggiungimento di un nuovo status sociale che si espresse in iscrizioni onorifiche, tombe e lastre tombali, contratti e onorari e infine nel fatto che di architetti come Pierre de Montreuil, Robert de Luzarches, Hugues Libergier, Erwin von Steinbach, Peter Parler, Rutger van Kampen o Ulrich von Ensigen è possibile delineare oggi la personalità.Gli architetti di fama, come quelli appena citati, erano rappresentati sui cantieri da parliers e appareilleurs che tenevano i contatti con le maestranze: essi convertivano i progetti degli architetti in dettagliati programmi litotomici (apparatus) o li spiegavano oralmente agli scalpellini, costituendo pertanto quadri intermedi.Intorno al 1250 in Francia questa spinta innovativa poté dirsi sostanzialmente compiuta. Essa ebbe vaste conseguenze anche per la forma visibile dell'a. gotica che divenne per suo conto maggiormente indipendente: tecnica costruttiva e stile che fino a quel momento si erano sviluppati in stretto legame ora poterono ampiamente divergere, come si può osservare in edifici sorti all'esterno della vera e propria zona d'origine, per es. il duomo di Colonia o la collegiata di Wimpfen im Tal, che mostrano forme di grande modernità accanto a tecniche di esecuzione dapprima ancora arretrate. Ci si convertì, dunque, prima di tutto allo stile.La codificazione dell'a. gotica, avvenuta a partire dal 1200 ca., fu dovuta soprattutto alla geometria pratica che fu il criterio di qualificazione primario per gli architetti; anche se in questo campo ci sono ancora molte questioni aperte (Hecht, 1969-1972), si può sostenere che essa permise innanzi tutto di progettare edifici in modo sistematico. Con il Gotico rayonnant la padronanza di tali cognizioni interessò in misura crescente l'ambito decorativo, cosicché, per es., particolari disegni di traforo sono da considerarsi alla stregua di 'sigle' dell'architetto.Intorno alla metà del sec. 13° sorsero costruzioni di grandi dimensioni in cui non si riscontra una sistematizzazione complessiva, e ciò tanto per incapacità del progettista (come sembra il caso del duomo di Ratisbona), quanto per scelta intenzionale. L'impianto del coro della cattedrale di Clermont-Ferrand per es. non appare geometricamente rigoroso, né all'interno né all'esterno, tuttavia dall'accuratezza esecutiva si riconosce che queste irregolarità furono volute allo scopo di creare effetti calcolati con precisione che fanno sì che l'edificio, tanto all'interno quanto all'esterno, si mostri da determinati punti di vista come un prospetto scenico o un fondale. L'architetto, Jean Deschamps, sfruttò dunque le sue approfondite conoscenze geometriche per reagire ai nuovi orientamenti di gusto e per sondare inoltre ulteriori possibilità in quest'ambito.Il secondo campo di ricerca dello 'studio del contesto' è costituito dalle tipologie degli edifici e dalla loro funzione nella struttura sociale. L'analisi astratta delle tipologie si vivacizza se ci si interroga sui compiti e sull'importanza degli edifici e se, per es., i diversi tipi di costruzione ecclesiastica (cappella, parrocchiale, chiesa monastica, cattedrale) vengono investigati partendo da come essi stanno in rapporto o si distinguono tra loro in un complesso sistema di referenze di tipo feudale. Per l'a. gotica della Francia settentrionale esistono in questo senso al momento solo abbozzi di ricerca (Kimpel, Suckale, 1985), mentre sono state studiate a fondo le chiese parrocchiali delle città imperiali sveve (Philipp, 1987). Fondamentale sarebbe verificare quale fosse il rapporto di ogni chiesa con l'autorità committente e come questo rapporto si sia espresso architettonicamente. Non si può ignorare, per es., che priorati o chiese parrocchiali sottoposti a un vescovo o a un capitolo si presentano anche architettonicamente come tipo ridotto, per lo più in modo manifesto, della cattedrale da cui dipendono o, viceversa, si osserva che determinate forme architettoniche svelano l'esistenza di conflitti tra parrocchiani e signori del luogo. Il problema del modus diventa così tema di ricerca e viene alla ribalta ancora più chiaramente nel terzo campo dello 'studio del contesto'. Ci si trova qui nel grande ambito delle 'citazioni' architettoniche che ora non vengono più interpretate semplicemente come influssi stilistici, bensì come un 'linguaggio' che, similmente a quanto avveniva nel Medioevo per l'abbigliamento, rivela rivendicazioni, legami, dipendenze o anche opposizioni e provocazioni. Questo indirizzo di ricerca non ha ancora diffusione internazionale ma negli ultimi anni ha prodotto risultati sorprendenti. L'impulso è stato dato da un saggio sulla cattedrale di Reims (Kunst, Kunst, 1981) in cui si sostiene che le 'citazioni' architettoniche riconoscibili in quell'edificio avrebbero un concreto significato politico. Infatti non furono imitate le costruzioni contemporanee ritenute 'più belle', bensì quelle che potevano trovarsi in concorrenza con la fondazione arcivescovile reimsiana (Sens, Saint-Denis, Chartres e Saint-Remi nella stessa Reims), e ciò chiaramente significa che nella nuova cattedrale di Reims tali concorrenti dovevano essere 'superate' ovvero 'incorporate'. In alcuni settori, come per es. nell'ambito dell'a. mendicante (Schenkluhn, 1985), questa impostazione di ricerca ha già dato significativi risultati. Anche per la Francia si è potuto dimostrare che la 'citazione' ha un ruolo assai importante per la comprensione del linguaggio architettonico (Kimpel, Suckale, 1985). Ma soprattutto gli studi monografici, come per es. quelli sulla Elisabethkirche di Marburgo o sulla basilica di S. Francesco di Assisi, hanno mostrato come d'un tratto diventi convincente il linguaggio delle forme quando ci si chiede quali siano state le finalità della scelta delle 'citazioni' (Schenkluhn, 1985). Proprio la basilica di Assisi è un edificio che fa capire, almeno in parte, quali siano stati i motivi alla base della diffusione europea del 'sistema architettonico' gotico. Questo edificio è infatti programmaticamente antisvevo e fa riferimento quindi all'a. promossa dal re di Francia, con cui allora nel quadro referenziale dell'Occidente si identificava lo stile gotico. Un analogo atteggiamento si riconosce a Colonia, dove l'arcivescovo antisvevo Corrado di Hochstanden, che fu anche il fautore dell'elezione degli antiré 'dei Romani', fece erigere una cattedrale secondo stilemi francesi. Che le condizioni createsi in Francia fossero ritenute esemplari viene confermato dal caso della Castiglia, dove i sovrani di Burgos e León erano legati anche per via familiare e politica alla casa reale francese. Ancora nella cattedrale di S. Vito a Praga, costruita per volere dell'imperatore Carlo IV, si manifesta chiaramente questo richiamo alla Francia 'buona' e 'progressista', come già in precedenza era avvenuto in Svezia, a Uppsala.Tale identificazione fra 'monarchia buona' e Gotico esisteva nella Francia stessa. A questo proposito va notato che le province incluse nell'area capetingia rinunciarono progressivamente ai loro particolarismi architettonici tradizionali a favore di uno stile unitario (ciò avvenne nella Champagne, in Borgogna, Normandia e Aquitania). Per altro verso l'Occitania venne programmaticamente fornita di cattedrali gotiche poiché, dopo la lotta contro gli albigesi, insieme all'ortodossia si voleva esprimere in modo manifesto ed efficace l'egemonia dello stato centrale cristiano della Francia del Nord; in casi singoli come a Najac, nella Rouergue, si giunse fino a disporre la ricostruzione ex novo di una chiesa. Anche nello stesso chiaro ispirarsi a modelli francesi (Reims) da parte dei costruttori dell'abbazia di Westminster è possibile riconoscere un segno dell'egemonia culturale francese, se non addirittura la testimonianza della volontà di appropriarsi della cultura del vecchio paese nemico.Non furono tuttavia solo tali motivazioni politiche a favorire il diffondersi in Occidente del sistema architettonico gotico, data infatti la sua superiorità quanto a efficienza ed economia. Per la nuova costruzione della collegiata di Wimpfen im Tal si volle chiamare espressamente da Parigi un architetto che conoscesse perfettamente l'opus francigenum, cioè la forma più moderna di edilizia (anche se oggi è necessario ammettere che egli padroneggiava abbastanza il linguaggio formale ma che la sua preparazione tecnica era ancora limitata). Successivamente, intorno al 1400, francesi e tedeschi vennero chiamati, come esperti in questioni di tecnica, dalla Fabbrica del duomo di Milano, in un'epoca in cui l'Italia, e in particolare Firenze, si accingeva ad assumere in Europa una posizione d'avanguardia nel campo tecnico-costruttivo (si pensi soprattutto alla cupola brunelleschiana di S. Maria del Fiore).Un ruolo di capitale importanza nel processo di diffusione dell'a. gotica fu svolto dagli ordini monastici di volta in volta fiorenti. Nei secc. 13° e 14° fu il caso di Francescani e Domenicani che, attraverso la loro etica basata sullo spirito di umiltà, trasmisero proprio l'elemento economico e funzionale del sistema e non quelle tendenze allo sfarzo che si erano manifestate a partire dal rayonnant. In special modo ciò valse per i Cistercensi, che già nel sec. 12° avevano avuto in questo fenomeno, per numerose ragioni, un ruolo rilevante, data anche la loro intensiva penetrazione in tutte le regioni dell'Occidente. Poiché la regola li obbligava a filiazioni e nuove fondazioni in terre il più possibile disabitate, essi erano necessariamente costretti alla parsimonia e alla funzionalità. In primo luogo la loro struttura organizzativa, con le visite sistematiche dalle abbazie centrali da un lato e i capitoli generali tenuti regolarmente nell'abbazia madre dall'altro, garantiva attraverso l'intera area europea un flusso informativo sulle innovazioni tecnico-organizzative che altrimenti non si sarebbe mai verificato. Questo centralismo cistercense in tanti campi - ingegneria idraulica, processi di bonifica, piscicoltura - fu estremamente benefico, soprattutto per le regioni periferiche. Questo vale anche per l'a., giacché l'Ordine non diffuse in Europa solo le forme e le tecniche protogotiche della Borgogna e quelle del Gotico maturo dell'Ile-de-France: esso ebbe infatti parte decisiva anche nello sviluppo dell'a. in laterizio nelle regioni povere di pietra, come le vaste aree pianeggianti che vanno dai Paesi Bassi fino alla Vistola.Infine, occorre sottolineare che la diffusione dell'opus francigenum fu favorita anche dal nuovo mezzo progettuale costituito dal disegno in scala ridotta. Questo infatti permise, oltre a una nuova mobilità degli architetti, anche la trasmissione delle idee architettoniche in modo molto più fedele rispetto al passato. Sulla scorta di tali progetti, anche quando l'ideatore era assente o defunto da tempo, si poteva costruire per decenni, come per es. avvenne, a partire dal 1245, per le cappelle del coro di Notre-Dame a Parigi. Solo allora si poterono eseguire copie architettoniche esatte in senso moderno; d'altro canto si creò la condizione per cui un architetto, quasi come un 'conservatore dei monumenti', era obbligato alla 'conformità' verso quanto già costruito, come nel caso di Gautier de Varinfroy, a capo dei lavori della cattedrale di Meaux (Kurmann, von Winterfeld, 1977).Con il progetto della cattedrale di Chartres (1194) venne formulato il prototipo di gran lunga più seguìto di cattedrale del Gotico francese, caratterizzato da una pianta con corpo longitudinale, transetto, deambulatorio e cappelle radiali, da un alzato monumentale tripartito in arcate, triforio, livello delle finestre nella proporzione a-b-a e da una facciata munita di due slanciate torri. Certo, esistono anche chiese vescovili a schema diverso da quello di Chartres, come la cattedrale di Bourges, a cinque navate di altezza scalata e priva di transetto, o il raffinatissimo coro della cattedrale di Auxerre, dalle serrate proporzioni; tuttavia gran parte delle nuove cattedrali, dapprima nel domaine royal, poi anche nelle regioni periferiche e, infine, al di fuori della Francia, seguì il modello di Chartres.La maggior parte delle nuove costruzioni nel domaine royal - e accanto alle cattedrali vanno considerati anche tutti gli altri tipi di chiese - dà l'impressione di essere emanazione di un volere collettivo che vada al di là di classi e strati sociali: non sarebbe facile altrimenti spiegare come si sarebbe potuto disporre di tutte le necessarie risorse. Sebbene a volte una tale comunanza di intenti poté effettivamente esistere almeno a grandi linee, come per es. ad Amiens, in molti altri casi non si dovrebbe sottovalutare il potenziale di conflittualità: le ostilità a volte culminarono in un'aperta guerra civile fra cittadini da un lato e vescovo e capitolo dall'altro, o persino tra questi ultimi due, come accadde talvolta a Laon, Chartres, Reims e Strasburgo. A partire dal 1230 ca. questo relativo accordo appare sempre più minacciato, dopo che il clero a Laon si era voluto isolare con un gigantesco coro ispirato a modelli inglesi. Segno di tale volontà di separazione fu lo jubé che i capitoli delle cattedrali - per la prima volta nel 1230 a Chartres - ripresero come elemento costruttivo dall'a. monastica. In sincronia con tale processo si può osservare un rallentamento dell'attività edilizia nei cantieri delle cattedrali. A Reims, per es., i cittadini si identificavano così poco con l'edificio che essi non solo non fondarono alcuna cappella ma addirittura, durante la rivolta del 1233, adoperarono materiale edilizio proveniente dal cantiere della cattedrale nelle barricate contro vescovo e capitolo. A Strasburgo in seguito ad analoghi contrasti, i cittadini giunsero ad assumersi - per mantenerla fino a oggi - la direzione dell'edificio.La cultura di corte, che ancora sotto Filippo Augusto (1180-1223) si era caratterizzata anche architettonicamente per un'etica di semplicità e di avvicinamento al popolo, cominciò allora a distinguersi marcatamente tramite uno 'stile di corte' (Branner, 1965). Tale intento si manifesta nella preziosità e nel lusso delle costruzioni promosse da Luigi IX, soprattutto nella Sainte-Chapelle di Parigi (1242-1247), ma anche laddove lo stesso re appare come protettore di ordini rigoristi come i Cistercensi e di Ordini mendicanti. La destinazione e la funzione degli edifici assunsero poi particolare importanza, per cui bisognerebbe usare con prudenza i correnti criteri storico-stilistici. Ciò si rivela nel modo più chiaro nei grandi complessi architettonici di cui si sa con sicurezza che vennero edificati nel giro di pochi anni grazie a donazioni del sovrano. Per es. dalla decorazione architettonica delle abbazie cistercensi reali dell'Ile-de-France si può spesso ricavare quasi un manuale di stile, poiché ogni volta, secondo la funzione degli spazi - dalle latrine ai fabbricati rurali, ai refettori dei conversi e dei monaci, alla sala capitolare, fino alla navata e al coro della chiesa -, viene orchestrato un repertorio di forme che va dal semplice pregotico al protogotico fino alle più ricche e aggiornate forme gotiche; ingenuamente se ne potrebbe dedurre che la costruzione sia durata più di un secolo. Simili finezze nella distinzione di funzione e di importanza degli ambienti si ritrovano dovunque anche fuori di Francia, ma se si analizza la sottigliezza di tale orchestrazione in edifici come Notre-Dame a Parigi, la chiesa di pellegrinaggio di Larchant, appartenente alla prima, o ancora la cattedrale di Amiens, si comprende subito perché, come per quanto riguarda l'etichetta di corte, la Francia avesse assunto un ruolo guida.
Ancora verso la fine del regno di s. Luigi (1270), in Francia, per es. con Saint-Urbain a Troyes, si produssero realizzazioni avanzate e prestigiose, mentre in seguito l'a. di questo paese perse la sua preminente importanza in Europa. L'impiego del sistema prevalentemente in senso accademico e il trasferirsi della concorrenza fra gli artisti in ambito decorativo fecero sì che grandi realizzazioni architettoniche sorgessero ormai soprattutto nelle regioni periferiche. Ciò dipese anche dall'alto grado di saturazione di edifici gotici moderni che il territorio aveva nel frattempo raggiunto. È da menzionare, però, per quanto riguarda l'a. mendicante, di cui molto è andato perduto, la chiesa dei Giacobini di Tolosa, a due navate, con grande impiego di laterizio. Con questo stesso materiale vennero costruite la cattedrale di Albi, fortificata e in posizione isolata, e poi in genere le cattedrali delle città occitaniche di Rodez, Narbona e Carcassonne, che rappresentano gli ultimi tentativi di riallacciarsi alla grande tradizione. Altri importanti cantieri, come quelli delle cattedrali di Troyes, Tours, Orléans o di Saint-Nicaise a Reims, procedettero solo a fatica, anche a causa della guerra dei Cento anni, dai cui oneri la Francia si riprese solo nel 15° secolo.In Spagna già nel sec. 12° si ebbero forti contatti con la cultura architettonica francese tramite le vie di pellegrinaggio verso Santiago de Compostela. Anche qui furono dapprima gli ordini monastici a svolgere un importante ruolo di intermediari: a questo proposito si possono menzionare le abbazie cistercensi di Veruela, Poblet, Santes Creus e Alcobaça, quest'ultima in Portogallo. A partire dal 1200 ca. le più importanti cattedrali spagnole si ispirarono alla Francia: Zamora e Lérida o Salamanca a progetti del sec. 12°; Toledo e Burgos a Bourges; León, invece, al più attuale 'stile di corte' (Lambert, 1931; Karge, 1989).Il ruolo guida che nel sec. 13° era stato assunto nella penisola iberica dal regno di Castiglia e León, passò nel sec. 14° al regno d'Aragona, cui appartenevano anche la Catalogna, Maiorca e parte della Francia sudoccidentale. In queste regioni i progetti architettonici si liberarono dalla forte dipendenza dalla Francia dimostrata fino a quel momento. Una funzione importante sembrano aver avuto al riguardo le chiese a navata unica con cappelle tra i contrafforti, oggi perdute, che Francescani e Domenicani fecero erigere verso la metà del sec. 13° a Barcellona. In quella stessa città, Santa Maria di Pedralbes riprende alcuni elementi di questa tipologia, mentre la cattedrale e Santa Maria del Mar, nonostante le tre navate, rimandano nella struttura generale per l'audacia costruttiva e per la spaziosità a questa stessa a., della quale sono inoltre da considerare tra le migliori realizzazioni il coro della cattedrale di Gerona e la cattedrale di Palma di Maiorca. Alcune chiese di Barcellona hanno sopra alle coperture altre volte in mattoni piuttosto schiacciate che deviano l'acqua piovana e che per la loro leggerezza e per il modo in cui sono eseguite rappresentano, a giudicare da ciò che si è conservato, quanto di più ardito sia mai stato prodotto a livello artigianale da una scuola architettonica regionale in Europa.L'Inghilterra offre un quadro stilistico assolutamente unitario a partire dalla conquista normanna, costituendo per questo un caso del tutto particolare (Webb, 1956; Taylor, 1967; Böcker, 1984). In due riprese gli influssi francesi furono fortemente determinanti, ma ambedue le volte le conseguenze che se ne trassero furono indubbiamente originali.Per la nuova costruzione della cattedrale di Canterbury, la sede del primate d'Inghilterra, si chiamò come architetto, dopo l'incendio del 1174, Guglielmo di Sens; certamente si voleva un'a. francese, soprattutto perché Tommaso Becket, assassinato nel 1170 nella vecchia cattedrale, aveva avuto in vita la protezione della Francia. D'altro canto nell'abbazia di Westminster ci si ispirò molto da vicino alle forme della cattedrale di Reims, luogo dove venivano incoronati i re francesi. Per quanto possano essere derivate dalla Borgogna, le forme del coro di Canterbury furono alla base dello sviluppo che portò allo stile early English, stile fortemente autonomo che del Gotico francese non riprende né la struttura portante né la stessa logica di sviluppo verticale dei piani. Come si può osservare per es. a Salisbury, si conservò per lo più la parete, il mur épais évidé di tradizione anglonormanna e una rigorosa partizione in piani senza accentuazione verticale. Le membrature e i profili degli archi non servono dunque a evidenziare la concatenazione strutturale dell'intero sistema, bensì piuttosto rappresentano un alleggerimento decorativo dei vari piani. Anche il proliferare di costoloni nelle volte, per es. nel coro della cattedrale di Ely, agisce perciò non tanto in senso plastico-strutturale quanto piuttosto in quello decorativo-lineare. Anche Westminster e l'influsso del rayonnant non riuscirono a francesizzare l'a. inglese, ma diedero solo lo spunto per il decorated style con le sue forme esotiche, le nuove strutture spaziali (torre nolare ottagonale di Ely, cattedrale di Bristol) e le volte con disegni 'filigranati'.Già intorno alla metà del sec. 14° nel chiostro di Gloucester si annuncia il perpendicular style che avrebbe caratterizzato il Tardo Gotico inglese. La particolarità del Gotico inglese risiede però anche nell'elaborazione di grandi aree corali separate e soprattutto di facciate scenografiche (cattedrali di Wells, Lichfield, Exeter).Nel sec. 13° effetti della diffusione dell'a. inglese del tipo derivato da Canterbury si rintracciano per es. a Trondheim in Norvegia, mentre il decorated style ebbe un importante ruolo nel territorio dell'Ordine Teutonico e persino in Slesia (Bony, 1979).Nell'area dell'impero germanico appare delinearsi in un primo momento un conflitto, a cui si è già accennato, poiché il Gotico propriamente francese sembra essere stato recepito come antisvevo. Si può forse spiegare così il c.d. stile di transizione, che avrebbe voluto unire le nuove forme con la tradizionale monumentalità delle cattedrali tedesche di fondazione imperiale (Magdeburgo, Bamberga); oppure si deve pensare che si sia trattato di semplice arretratezza. Tuttavia ci sono anche casi da cui appare che si era in grado di costruire diversamente, in modo quasi del tutto francese: la Liebfrauenkirche di Treviri o la Elisabethkirche di Marburgo, derivata dalla prima, e, ben più tardi, il duomo di Colonia e quello di Strasburgo.I cantieri di Colonia e Strasburgo continuarono a dominare fin nel sec. 16°, rispettivamente, il Settentrione e il Meridione dell'impero. Nelle zone sudorientali sorsero presto il cantiere del duomo di Ratisbona e in seguito quelli delle cattedrali di Vienna e Praga. Tuttavia già dall'inizio si precisarono caratteristiche regionali: l'a. della Vestfalia e Bassa Sassonia, per es., con le sue volte cupoliformi è fortemente improntata ai modelli della Francia occidentale e in particolare angioini (è il caso delle cattedrali di Münster, Paderborn, Minden, Osnabrück, Brema).L'a. in laterizio, sempre più autonoma, si diffuse invece dall'Olanda sino a tutto il territorio dell'Ordine Teutonico e alla Svezia lasciando notevoli esempi a Lubecca, Stoccolma, Marienburg (polacco Malbork) e Königsberg (od. Kaliningrad). Inoltre questa tecnica si sviluppò anche in Baviera e Slesia e, al di fuori della Germania, ad Albi e Tolosa, così come in Italia, nella pianura Padana e in area veneta.A rendere particolarmente interessante l'a. tedesca del sec. 14° è il tentativo di riconvertire strutture nate dai tipi di pianta e di divisione dello spazio dei secc. 12° e 13° alle mutate esigenze sociali ed estetiche; ciò avvenne soprattutto attraverso esperimenti con nuove forme di articolazione spaziale e nuove coperture. Le grandi chiese vescovili e monastiche persero il proprio ruolo di modelli di forme architettoniche avanzate in favore delle chiese di città che lottavano per l'indipendenza, in cui si sviluppò un'attività edilizia di una vivacità quasi senza confronti. Tuttavia innovazioni determinanti per l'ulteriore storia dell'a. medievale si ebbero ancora una volta soprattutto in edifici vescovili e imperiali. La copertura del coro del duomo di Praga di Peter Parler diede l'avvio a una felicità inventiva (destinata a svilupparsi fino al sec. 16°) che si manifestò in sempre nuove conformazioni di volte trasfiguranti lo spazio: dalle volte a nervature parallele, attraverso le volte a stella e quelle a losanghe o a quadrati intrecciati, fino alle volte con intersezioni di costoloni curvilinei formanti disegni fitomorfi del sec. 16°, soprattutto in Sassonia e Boemia.Per quanto riguarda la sperimentazione di nuove forme di organizzazione dello spazio, in particolare della chiesa 'a sala', che avveniva in ambito urbano, c'è da chiedersi in che misura vi si esprima un'autocoscienza della borghesia o piuttosto non vi si ritrovino riflessi di un vincolo feudale da superare. Con la Frauenkirche di Norimberga, chiesa 'a sala' promossa dall'imperatore Carlo IV (1355-1378), sono da mettere a confronto la Liebfrauenkirche di Brema, la Frauenkirche di Esslingen, la Heiligenkreuzkirche di Schwäbisch-Gmünd, la Sebaldskirche di Norimberga e numerose altre costruzioni. Il legame fra tipi di suddivisione spaziale e gruppi sociali, che proprio nelle città erano assai differenziati, non sembra afferrabile: basiliche (Marienkirche a Lubecca, Nikolaikirche a Stralsund, cattedrale di Friburgo, Marienkirche a Reutlingen, cattedrale di Ulma) si affiancano a chiese 'a sala' (Marienkirche a Greifswald, parrocchiale di Herrenberg, Wiesenkirche a Soest) e anche lì dove si offrono nuove esperienze spaziali (Heiligenkreuzkirche a Schwäbisch-Gmünd) c'è da interrogarsi sulla dialettica fra tradizione e innovazione, fra norma di vassallaggio e replica 'antifeudale'.
La maggior parte dei cori costruiti nel sec. 14° si ispirò alle forme della cappella superiore della Sainte-Chapelle di Parigi che - oltre a molteplici varianti, soprattutto in edifici dei Francescani e Domenicani - ebbe un seguito nella Marienkapelle del duomo di Aquisgrana che a sua volta fu assunta a modello.L'a. austriaca del sec. 14° si presta in modo particolare alla deduzione che il formarsi di nuove tipologie spaziali non possa essere imputato a un processo di sviluppo urbano. I cori 'a sala' delle chiese cistercensi di Heiligenkreuz, Neuberg e Zwettl o della concorrente fondazione benedettina di St. Lambrecht costituirono infatti nella prima metà del sec. 14° gli esempi più avanzati. La costruzione del duomo di S. Stefano a Vienna (prima parrocchiale, dal 1364 collegiata e dal 1469 cattedrale), sostenuta dagli Asburgo, con il suo coro triabsidato con navate di ampiezza quasi uguale, non si riallaccia ad altre costruzioni promosse da signori territoriali ma piuttosto appunto ai menzionati cori cistercensi.L'inserimento delle chiese nel contesto cittadino portò non soltanto alla creazione di facciate riccamente decorate (parrocchiale di Oppenheim), rivolte verso il centro mercantile della città, ma favorì altresì il costituirsi di nuovi tipi di pianta. Il bisogno di spazio per le innumerevoli fondazioni di altari nelle chiese da parte di singoli cittadini o delle corporazioni rese necessaria l'inserzione di cappelle tra i contrafforti del corpo longitudinale. Un fenomeno del genere è in effetti osservabile già nel sec. 13° (cattedrali di Parigi e Amiens), ma ora esso diventa più significativo poiché questi ambienti privati, così come le navate laterali, avevano assunto un maggiore prestigio.A questa stessa motivazione va ricondotto il ricorso a forme di pianta del 'Gotico da cattedrale' francese, con coro a deambulatorio e cappelle radiali. Nei Paesi Bassi e in Brabante, per es., ci si attenne fino al sec. 16° quasi obbligatoriamente a questo schema. Le due grandi cattedrali del sec. 13°, Tournai e Utrecht, si rifecero ancora direttamente all'a. più avanzata del momento (cattedrali di Soissons e Colonia), ma nella collegiata dei Saints-Michel-et-Gudule, oggi cattedrale, a Bruxelles, si rintraccia già un atteggiamento retrospettivo che nei decenni seguenti determinò il paesaggio artistico del Belgio e dei Paesi Bassi, un paesaggio caratterizzato dalle chiese collegiate delle principali città. Certo, alcuni edifici (Saint-Michel a Halle, Bovenkerk a Kampen) possono elevarsi a un livello internazionale, ma la gran parte delle costruzioni iniziate nel sec. 14° segue con piccole varianti uno schema stereotipo (Oudekerk ad Amsterdam, Grotekerk a Haarlem, Pieterskerk a Leida, Grotekerk a Dordrecht, Sint Baafskathedraal a Gand) che tramite edifici di grande ricchezza decorativa, come le cattedrali di Malines e di 's-Hertogenbosch, divenne canonico per il secolo seguente.Una tale uniformità si spiega non da ultimo con il fatto che nei Paesi Bassi, poveri di pietra da taglio, si sviluppò una razionalità produttiva che in certo qual modo si pone in continuità con quell'efficienza economico-imprenditoriale che era stata raggiunta in Francia intorno al 1250 e per la quale, se si prescinde dalle cave di pietra simili a mercati edilizi dell'Inghilterra e dalle botteghe decentrate della Fabbrica del duomo di Milano, non si trovano confronti in Europa. Non si trattò semplicemente del trasporto di pietra come materia prima, poiché spostamenti del genere su lunghe distanze non erano una novità: già dal sec. 11° navi cariche di pietra normanna viaggiavano dalla foce della Senna verso l'Inghilterra e la roccia tufacea renana veniva trasportata fin nello Jutland e nella Frisia orientale tramite il trasbordo in porti olandesi. Ma nei Paesi Bassi, grazie ai numerosi corsi d'acqua e alla conseguente esiguità delle spese di trasporto, fu possibile rifornirsi di elementi costruttivi, prefabbricati su precisi modelli, da cave di pietra molto distanti, gestite come imprese capitalistiche. Ognuno, secondo il bisogno e la liquidità, poteva dunque acquistare pilastri, capitelli, trafori, cornici, costoloni, pinnacoli o archi rampanti.
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D. Kimpel
Indagata in sede di storia dello stile (come lo è stata in misura preponderante) o tecnico-strutturale, l'a. sorta in Italia nei secc. 13°-14° offre un quadro di sostanziale distacco dal panorama del resto d'Europa che si sintetizza nel persistente rifiuto del sistema architettonico gotico. I tentativi di spiegazione che sono stati avanzati si muovono tra una valutazione più o meno marcatamente negativa di arretratezza e scarsa ricettività, fermi restando i presupposti comunque transalpini anche per il c.d. Gotico italiano (Enlart, 1894; Bertaux, 1903; Wagner Rieger, 1956-1957; Grodecki, 1977) e il riconoscimento del perdurare del legame con l'Antichità che in Italia condizionerebbe un atteggiamento classicistico, tanto più significativo in questa età, in quanto preludio diretto del Rinascimento (Thode, 1885; Toesca, 1927; 1951; Paatz, 1937). Solo nei casi in cui l'orizzonte concettuale del Gotico dell'archetipo strutturale e stilistico della cattedrale dell'Ile-de-France è stato allargato a una più generale attitudine a risolvere stilisticamente la membratura architettonica in immagine astratta e in qualche misura illusoria della sua sostanza costruttiva, prima per la Germania (Gross, 1933), poi anche e soprattutto per l'Italia (Argan, 1937; Gross, 1948), si è potuto indicare nella parete, riportata attraverso il trattamento cromatico a immagine bidimensionale priva di spessore della massa muraria, l'equivalente stilistico del non meno astrattamente stilizzato sistema a volta costolonata, pilastro, rampante, contrafforte. Così l'estraneità dell'Italia all'universo gotico per retriva chiusura o, in alternativa, per irrefragabile condizionamento dell'eredità antica che, già nel sec. 13° e nel 14° l'avrebbe teleologicamente incanalata verso lo sbocco obbligato del Rinascimento, poteva essere riletta come dignità e originalità di partecipazione paritetica.Tale posizione critica si è rivelata particolarmente fertile nella ricostruzione di alcune realtà regionali e locali, da Firenze (o la Toscana) alla Lombardia, la cui vicenda architettonica tra il sec. 12° e il 15° è stata ricostruita in termini di Gotico 'lombardo' (Romanini, 1964). Nella regione italiana in cui la colonizzazione cistercense è stata più precoce e capillare il ruolo di trasmissione di forme e modelli strutturali ridotti di Gotico da cattedrale, tradizionalmente attribuito all'a. dell'Ordine, è stato significativamente riqualificato in passaggio decisivo nella sistemazione astrattamente bidimensionale e dinamicamente lineare dello statico e greve organismo della basilica a volte costolonate della tradizione lombarda.
Le due diverse applicazioni concettuali della categoria di Gotico coesistono a tutt'oggi separate e difficilmente conciliabili e resta comunque, da un lato, il problema dell'inefficacia del modello della cattedrale gotica transalpina nel panorama italiano, il quale, d'altro canto, non è neanche integralmente assimilabile a quanto è stato elaborato per la Toscana o la Lombardia.
È infatti necessario constatare che la situazione italiana è profondamente eterogenea non solo rispetto alla situazione europea, ma al suo stesso interno, e delegittima in partenza qualsiasi ipotesi o categoria interpretativa globale, qualsiasi definizione aggettivabile tout court come italiana. La c.d. resistenza al Gotico si verifica in Italia in base a una pluralità di opzioni di natura icnografica e statica, prima che stilistica, riconducibili ad almeno due radicali tra loro contrapposte: da un lato l'organismo a volte della tradizione romanica padana, dall'altro la basilica a tetto. Non è più sostenibile oggi come traccia della storia della maggiore a. sacra tra Romanico e Gotico il modello evolutivo impostato dalla storiografia positivistica e razionalistica del secolo scorso, che vede come momenti successivi di un progressivo perfezionamento tecnico-strutturale la basilica a tetto, la basilica con volte cupoliformi costruite sull'arco a tutto sesto in sistema alternato e infine la basilica con volte piatte e archi acuti in sistema uniforme. I due sistemi di coperture a volte individuano nei fatti, e non solo per quanto riguarda l'Italia, ma anche la Germania e altre regioni d'Europa, fenomeni in gran misura paralleli e distinti. Dominante nell'Italia nordoccidentale e padana, dove al principio del Duecento molti dei monumenti romanici erano ancora cantieri aperti che proseguivano spesso mutando e innovando i progetti (duomo di Piacenza, di Fidenza, di Lodi), l'organismo a volte resta vincolante anche per nuove fondazioni di grandi cattedrali (Trento, Monza, Crema, transetti del duomo di Cremona). Tale persistenza va letta non come ritardo o resistenza, per quel che di ottusamente passivo il termine implica, ma come costanza di forme divenute distintive delle istituzioni che ne patrocinano le costruzioni; sono espressioni architettoniche dell'autocoscienza della città-stato, del comune che non ha ragioni per assimilare la propria a. a quella esponente delle giovani monarchie. Altri sono i riferimenti e gli stimoli al rinnovamento; nei suoi aspetti più rinnovati l'a. sacra duecentesca dell'Italia settentrionale e soprattutto della Lombardia adotta, anche per le cattedrali, le forme spaziali limpide, gli scarni partiti formali elaborati nel dialogo con l'a. civile e l'a. monastica più dimessa: non l'a. cistercense in quanto tale, ma la redazione impoverita, con risultati di figuratività violenta, che ne danno gli Umiliati (Milano, S. Maria di Brera; Viboldone, S. Pietro) e poi i Mendicanti (S. Francesco a Brescia, Pavia, Mantova, Lodi; S. Giovanni in Canale a Piacenza), dove la netta preferenza iniziale per coperture a tetto si attenua gradualmente in favore di coperture integrali a volte, mantenendo tuttavia la radicale semplificazione dell'organismo costruttivo. Il laterizio prevale sulla pietra, concorrendo alla sintesi della massa muraria in piano-parete definito chiaroscuralmente dai netti tagli d'ombra di gronde e contrafforti e cromaticamente dalle file di archetti stagliati su fasce di intonaco. Le piante tendono a farsi compatte e rettilinee e così gli alzati; le arcate si alzano riducendo il dislivello tra le navate, i sostegni sintetizzano nella matrice geometricamente pura del cilindro la molteplicità plastica dei pilastri a fascio e concorrono all'unificazione dello spazio interno e alla sua concentrazione lungo la direttrice ingresso-coro.Con una diffusione quasi priva di eccezioni, pur nella varietà delle soluzioni specifiche, la basilica a tetto mostra nell'Italia centromeridionale una vitalità ancora maggiore dello stesso organismo a volte anche quando sembrano farsi sentire gli effetti dell'a. settentrionale. È il caso del duomo di Atri, dall'insolita pianta interamente chiusa entro un rettangolo, con la navata centrale più stretta delle laterali che si erge di poco su di esse e dalla non meno inconsueta estensione a tutte le navate del sistema degli archi-diaframma, introdotto contemporaneamente nella ristrutturazione delle navate del duomo di Anagni. Altre cattedrali (Osimo, Todi, Bisceglie, Matera e, con ogni probabilità, la ricostruzione federiciana del duomo di Altamura) proseguono partiti e forme radicati nelle rispettive regioni. Anche questa fondamentale opzione era il frutto di consapevole fedeltà a forme elaborate nei due secoli precedenti sulla sollecitazione delle due grandi forze dominanti anche dal punto di vista culturale, il papato e il monachesimo benedettino cassinese, con le quali aveva finito per identificarsi anche la dinastia normanna.Entro l'una o l'altra di queste due radicali si verifica, a volte, il precisarsi di un particolare registro espressivo, profondamente autoctono e peculiare, anche se in nessun modo generalizzabile come italiano, che è la ricreazione di forme antiche non nel senso di un generico classicismo, ma nel richiamo specifico a Roma e come proclamazione di rivendicazioni ideologiche e politiche della sua eredità. Le sue manifestazioni sono molteplici, legate tra loro non da comunanza di forme, ma da connessioni simpatetiche o antagoniste che riguardano la concezione dello Stato e dei suoi rapporti con la Chiesa. Fu proprio il centro della Chiesa, la committenza papale e curiale che dalla città di Roma si allargava alle diocesi viciniori, a valorizzare anche in sede architettonica l'operato delle famiglie dei marmorari che, nel secolo precedente, avevano ricostruito, quasi in laboratorio e sulla scala ridotta, adeguata all'arredo di chiese e all'arte funeraria, campi specifici della loro attività, un lessico romano fittizio, nobilitandolo con la copia diretta quanto ingenua di prototipi antichi negli inserti figurati e santificandolo - concorrendo a ciò necessità pratiche immediate che facevano usare il tormentato suolo di Roma come inesauribile cava - con l'ampio reimpiego di materiali antichi e rari, soprattutto il ricercatissimo porfido, già pietra imperiale, passato ora a rappresentare il sangue dei martiri, ma con ciò stesso a proclamare le aspirazioni dei pontefici alla supremazia universale. Nella prima metà del Duecento tale linguaggio arriva a misura monumentale con brani di a. di grande rappresentanza e di intenso valore urbanistico, quali anzitutto i portici architravati su colonne scanalate ioniche di S. Lorenzo f.l.m. a Roma o della cattedrale di Terracina, che concludono e portano all'esaltazione massima la serie già nutrita dei portici architravati delle basiliche romane dei secoli precedenti, oppure l'invenzione dal sapore prerinascimentale dell'ampia e alta arcata che interrompe al centro la fronte architravata del portico della cattedrale di Civita Castellana. Non meno significativa è la serie dei chiostri del primo Duecento (S. Scolastica a Subiaco, abbazia di Sassovivo, S. Giovanni in Laterano e S. Paolo f.l.m. a Roma), in cui sulla serie delle arcate ribassate acquista progressivamente peso nelle proporzioni, nel carico decorativo, nella sfavillante policromia l'alta intavolatura che le racchiude in sistema architravato.Principale interlocutrice, su questo piano, dell'a. 'pontificia' fu l'a. federiciana con quella classe di suoi edifici - come la porta fortificata di Capua - in cui la funzione di manifesto politico sembra ragione prima della loro edificazione o comunque l'aspetto di dimora di rappresentanza prevale su ogni altra istanza residenziale o difensiva. Tratti e brani di romanità schietta come l'esaltazione del paramento murario bugnato di alcuni castelli o il portale di Castel del Monte, ad arcata inquadrata da travata a timpano, rientrano in una operazione di recupero classicistico a respiro universalistico per la stessa internazionalità dei riferimenti formali che spaziano dal Nord gotico - soprattutto nel rapporto tra struttura e scultura architettonica - all'Oriente islamico, mediatore di classicità nei tracciati geometricamente regolari su cui le costruzioni sono impostate.Nella singolare invenzione dell'abside duecentesca del duomo di Troia, dove il cilindro è schermato esternamente da un doppio ordine di colonne reggenti una serie di profondi fornici, quello stesso linguaggio viene usato in palese funzione antimperiale, visto il tradizionale ruolo della città di caposaldo pontificio nel regno meridionale e la sua forte vocazione antisveva. Nella storia architettonica del primo Duecento meridionale, la partitura esterna dell'abside troiana si presta a letture diverse; vi è, da un lato, la possibile intensificazione del motivo delle arcate cieche di derivazione pisana tradizionale dell'a. romanica pugliese e presente sin dall'origine nella costruzione del duomo di Troia, o anche la progressione monumentale delle gallerie ad archetti, secondo un processo in atto anche nell'abside centrale, esternamente poligonale, della cattedrale valvense di S. Pelino a Pentima. D'altro canto il riscatto a piena tridimensionalità delle colonne reggenti i fornici viene artificiosamente esaltato dalle statue di leoni che si infilano nel breve spazio tra la cortina e le due colonne centrali, secondo metodi di illusiva quanto indefinita accentuazione delle profondità (diafania) caratteristici della contemporanea a. gotica di Francia; ma qui, come nelle più auliche costruzioni federiciane, tutto concorre a esiti di romanità declamata, nel giro lento delle colonne che convergono sulla finestra centrale architravata.Questa vena di classicismo ispirato direttamente a Roma, simbolo e modello di stato indipendente e sovrano - opposto al fatto e al concetto di monarchia quale si andava profilando -, tocca anche l'arte comunale. Tra i suoi primi e più monumentali frutti è il battistero di Parma, soprattutto ora che sembra plausibile (v. Antelami, Benedetto) defalcare dal progetto dell'edificio, fondato allo scadere del sec. 12°, i tratti che lo rendono più goticizzante: la cupola a costoloni e l'alto attico ad arcature cieche che ne riveste all'esterno il quarto superiore. Piena doveva svolgersi, nell'idea originaria, la sequenza plastica da rotonda antica a nicchie, alleggerita da gallerie architravate dentro e fuori, dove il motivo del sistema architravato ricompare come partito di modellazione del muro entro i cinque arconi del piano terra che non contengono portali. La dimensione romanizzante dell'a. comunale è anche il terreno in cui germoglia la tematica architettonica destinata a dominare la maggiore a. sacra in Italia tra Duecento e Trecento: la cupola. Sia pure a conclusione di edifici avviati molto tempo prima, diversi sono, al principio del Duecento, i casi di cupola estradossata a vista, ma limitata ancora alla campata di incrocio tra navata centrale e transetto: duomo di Pisa, S. Ciriaco ad Ancona, S. Maria di Castello a Corneto (od. Tarquinia). Verso la metà del secolo la cupola ottagona a spicchi di S. Maria Maggiore a Lanciano, pur nascosta all'esterno da un turriforme rivestimento quadrangolo, estende la sua gittata a tutto il sistema delle navate, costituendo momento di avvio del difficile dialogo tra sistema longitudinale e capocroce centrico alla base dei più impegnati esperimenti di strutture cupolate successive. Non è stato dunque il gravame di un perenne classicismo a impedire l'affermazione in Italia del sistema architettonico della cattedrale gotica, ma la predominanza che contemporaneamente esercitarono sul suo suolo, anche come committenti di a., tre istituzioni: il comune, il papato, l'impero, che, benché spesso in contrasto tra loro, furono univocamente avverse al costituirsi in Italia di signorie territoriali analoghe a quelle monarchie delle quali quel sistema è lo specifico esponente architettonico. In quest'ottica va raddrizzata la prospettiva di giudizio dei contatti che l'a. italiana ha dal principio del sec. 13° con l'a. transalpina e che non designano la ricezione affiochita di forme lontane e non comprese, ma il coinvolgimento dell'Italia e della sua a. in fenomeni e movimenti a carattere internazionale, ciascuno dei quali ha elaborato una propria a. che non coincide, di per sé, con la cattedrale dell'Ile-de-France. Vi sono anzitutto gli Ordini monastici, primi tra essi i Cistercensi, che nel Duecento assolvono davvero alla funzione di diffusori in Europa di forme di Gotico francese, non però mediando forme da cattedrale, ma generalizzando una loro caratteristica versione del sistema e del lessico decorativo gotico borgognone; in Italia con le chiese e i complessi abbaziali di Fossanova, Casamari, San Martino al Cimino, Santa Maria Arabona, Ripalta sul Gargano, San Galgano, dunque in un contesto precipuamente centromeridionale nel quale si affiancano a essi gli Ordini cavallereschi (Santo Sepolcro a Barletta, Ognissanti a Trani, S. Giovanni Battista a Matera, S. Maria degli Alemanni a Messina). È anche ampiamente osservabile un impatto locale della loro a., tale da non comportare mai repliche integrali delle loro tipologie di chiesa, ma solo l'accettazione del lessico decorativo e delle coperture a volte limitatamente al blocco transetto-coro (cattedrali di Caserta Vecchia, Anagni, Cosenza). Il duomo di Ruvo testimonia il rifiuto finale della copertura a volte, per la quale era stato sicuramente impostato, dopo un non del tutto chiarito avvicendarsi di progettazioni che hanno lasciato il segno nella costruzione. La redazione finale (ca. 1237) con copertura a tetto sopra un alzato tripartito, in cui tra minuscole finestre alte e arcate si inserisce un ordine di ampie bifore e trifore, indica che sono state però eliminate anche gallerie sopra le navate laterali, non solo previste, ma in un primo tempo anche realizzate, secondo la struttura tradizionale in Puglia. L'eliminazione di volte e gallerie si propone dunque a Ruvo come tratto di modernità, come scelta in favore di una figura spaziale semplice e solenne, riportata a classica misura dal ballatoio fortemente aggettante su mensole che cinge la navata centrale sopra le arcate.Una parabola non dissimile è disegnata dalla stessa a. angioina tra l'immissione di modelli schiettamente e integralmente rayonnant, corrispondente alla committenza di Carlo I (coro di S. Lorenzo a Napoli) e la redazione in linguaggio gotico elegante e calibrato di tipologie basilicali a tetto (duomo di Lucera, S. Pietro a Maiella a Napoli), al cui sopravvento non fu certo estraneo il fervore dei rapporti della casa regnante con gli Ordini mendicanti (navata di S. Lorenzo, S. Maria Donnaregina, S. Chiara a Napoli).Meno coinvolta da simili itinerari, monastici o dinastici, di cultura architettonica straniera appare l'Italia settentrionale dove pure le complesse e stratificate connotazioni di Gotico transalpino del S. Andrea di Vercelli - che si estendono dalla Borgogna all'Ile-de-France all'Inghilterra - corrispondono all'approdo lombardo dell'ordine dei Canonici di S. Vittore a Marsiglia. La facciata di S. Lorenzo a Genova costituisce l'unico reale tentativo di trapianto in Italia del tipo di facciata a torri gemine, sia pure con le resistenze tardoromaniche che, nella complessiva modestia, caratterizzano la scultura dei portali e malgrado il parato bicromo che attenua e in parte annulla il rigore dello schema francese.Simili citazioni dirette dal mondo delle cattedrali compaiono ancora, nel sec. 13°, per opera dei Francescani con la ripresa in scabre e spoglie stesure laterizie del coro a deambulatorio e cappelle radiali in alcune costruzioni precoci e di grande rappresentanza (Cadei, 1985). Solo parzialmente può assimilarsi a esse la basilica di S. Francesco ad Assisi, il cui concepimento come chiesa doppia sul semplice tracciato di aula unica absidata con ampio transetto avvenne indipendentemente dalle suggestioni gotiche che tanto peso ebbero nell'assetto della chiesa superiore. Contando comunque anche la chiesa superiore di Assisi nel novero dei monumenti eccezionali della prima età francescana in cui determinante è il ricorso a tipologie, strutture e forme da cattedrale gotica, si è di fronte a un atto di rottura certamente consapevole e voluta dell'atteggiamento antifrancese comune alle pur varie manifestazioni dell'a. italiana del tempo. Se ne sono tentate diverse spiegazioni: dal richiamo alle chiese francesi che, in quanto cattedrali reali, rappresentavano allora il pio re (e terziario francescano) Luigi IX, alla volontà di celebrare con le forme a ugual titolo caratteristiche dei più celebri santuari d'Occidente i propri santi - e in questo senso, l'Elisabetkirke a Marburgo rappresenterebbe un preciso parallelo ai casi di Assisi e Padova -, all'emulazione nei confronti delle scuole teologiche annesse alle grandi cattedrali con la creazione di centri di studio a livello universitario che, come quelli domenicani, erano destinati a contrastare il laicizzarsi della cultura di cui la fondazione delle università è il segno più chiaro. Accanto ai casi italiani di Bologna, Padova e Piacenza, le grandi chiese francescana di Parigi e domenicana di Bruges, ambedue demolite nel secolo scorso, avevano cori a deambulatorio e cappelle. Si è infine pensato alla forte richiesta di sepolture che provoca il proliferare di cappelle a fondazione privata intorno alle navate e ai cori delle chiese francescane e mendicanti. Quale che sia la spiegazione migliore - probabilmente non una sola per la totalità dei casi, né per ciascuno di essi - si trattò comunque di 'casi' che non ebbero effetti di condizionamento nei confronti della norma dell'a. francescana e mendicante, in Italia o altrove.Fatta eccezione per la maggiore precocità, sopra accennata, in area lombarda, l'a. mendicante acquista carattere nella seconda metà del secolo e raggiunge monumentalità di espressione sul crinale tra Duecento e Trecento, sulla base di scelte e dinamiche affatto diverse che la qualificano come a. essenzialmente urbana. Almeno in Italia sono le chiese mendicanti a costituire i principali centri di culto delle periferie urbane in esuberante sviluppo. Da ciò dipende in gran misura il fatto che quel carattere non corrisponde a compattezza o uniformità sul piano tipologico e neanche stilistico, ma alla tendenza ad assimilare tipi e moduli decorativi praticati in loco. Fa eccezione l'aula unica a tetto, con o senza transetto, che nelle regioni centrali italiane si trova con una preponderanza che aspira all'esclusività ed è presente nell'a. mendicante di ogni altra regione dove, di solito, ne segna gli esordi. Anche nelle formulazioni più solenni per dimensioni e assetto che raggiunge in alcune città medioitaliane (Siena, Pisa, Lucca, Orvieto) e a Napoli, essa sembra il tipo più direttamente legato ai primordi dell'a. francescana e domenicana. La copertura in capriate a vista è forse l'unico tratto che unifichi le grandi chiese mendicanti dell'Italia centromeridionale raggiungendo esiti di grande monumentalità in sistemi a tre navate sia basilicali (Santa Croce a Firenze, S. Maria in Aracoeli a Roma), sia 'a sala' (S. Francesco a Gubbio). Ma le eccezioni non sono né scarse né irrilevanti e sembrano connettersi a una preferenza domenicana per le coperture a volta (S. Maria Novella a Firenze, S. Maria sopra Minerva a Roma, S. Domenico a Perugia in perfetto alzato 'a sala'), pur dovendosi contare l'eccezionale monumento francescano del S. Fortunato di Todi con volte costolonate in sistema 'a sala' su pilastri altissimi e snelli e un alzato di parete alleggerita, come in S. Francesco ad Assisi, secondo il sistema del mur épais. In Italia settentrionale la situazione lombarda si estende al Piemonte, ma con una più decisa predilezione per alzati 'a sala' (S. Francesco ad Alessandria, S. Paolo a Vercelli, chiese di S. Domenico ad Alba e a Chieri). Il gruppo sostanzialmente omogeneo di basiliche mendicanti veneziane e venete del Trecento, che per molti aspetti sembra l'erede più diretto della tradizione duecentesca lombarda, fa seguito nella regione a una fase altrettanto nettamente caratterizzata di chiese ad aula unica con copertura lignea che trova i momenti di esaltazione massima nel S. Francesco di Treviso e nella rielaborazione francescana della chiesa cluniacense, in origine quasi certamente a tre navate, di S. Fermo Maggiore a Verona.La netta predominanza entro il panorama di edilizia sacra del tardo sec. 13° e del 14° che in Italia assume l'iniziativa mendicante si ripropone anche in una fase di rinnovato avvicinamento dell'a. italiana all'a. transalpina che, nelle obiettive limitazioni, si distingue dai molteplici quanto episodici accostamenti e contaminazioni del primo Duecento per i riferimenti, le modalità e gli esiti, destinati a diventare dimensione connaturata e costante dell'a. trecentesca. Referente non è un sistema architettonico in senso stretto e in particolare non quello della cattedrale dell'età classica, ma il linguaggio decorativo che ne deriva attraverso il filtro dell'arte di corte di Luigi IX (Branner, 1965) e si diffonde in Europa come repertorio di motivi applicabili a forme spaziali e strutture le più diverse; quello che fonti contemporanee designano come opus francigenum e che in Italia arriva sia direttamente da Parigi e dal domaine royal sia attraverso mediazioni inglesi o germaniche, in particolare dal cantiere della facciata del duomo di Strasburgo (Klotz, 1965-1966). L'a. mendincante è tramite, sin da date relativamente precoci, dell'ornamentazione a traforo delle finestre e della cappella poligonale annessa ai cori, ai transetti e alle navate delle chiese in sostituzione delle tradizionali soluzioni absidate o dei tracciati quadrangoli diffusi dai Cistercensi.Ma, dall'ottavo decennio del Duecento, il gusto per il traforo sempre più complesso e sofisticato, a completamento di finestre che si fanno sempre più ampie e, non di rado, si equipaggiano di vetrate policrome e anche di arcature di loggiati, o in sostituzione delle tradizionali raggere di colonnine per i rosoni, applicato anche come traforo cieco o anteposto a tratti di parete, dopo il precedente del palazzo Papale di Viterbo, forse mediato dai Cistercensi di San Martino al Cimino, è un fatto generalmente diffuso e coinvolge anzitutto le città toscane che si preparano a diventare le protagoniste dello scenario artistico italiano e i grandi artisti che in esse operano. Tra gli esempi più precoci ed emblematici vanno annoverati a Pisa il Camposanto, l'ordine intermedio a gâbles del battistero; segue la trasformazione gotica della tradizionale facciata pisana a logge sovrapposte in S. Michele in Borgo e S. Caterina, con la derivazione della facciata del duomo di Carrara che dilata a motivo dominante il rosone centrale rayonnant inscritto nel quadrato. La piccola S. Maria della Spina, infine, segna non solo l'esplosione esuberante di quel formulario che sovrabbonda e grava sulla modestia delle strutture architettoniche vere e proprie, ma la traduzione delle forme straniere in inflessioni inequivocabilmente toscane. A Siena è soprattutto il cantiere del duomo, a cominciare almeno dalla facciata di Giovanni Pisano, a innescare un analogo processo di appropriazione, affine anche nella specificità di molte delle forme usate, che, divenute una sorta di repertorio regionale, presiedettero alla ricostruzione tardotrecentesca del duomo di Lucca. Un ruolo non secondario ebbero in tale recupero intersezioni e scambi tra a. e altre arti: per Siena, ove molti degli architetti maggiori erano orafi, con la superba arte orafa del primo Trecento che fa capo a Ugolino di Vieri.Altrove fu invece determinante la microarchitettura degli arredi di chiesa e dei monumenti funebri. In questo settore si distingue soprattutto l'attività di Arnolfo di Cambio (Romanini, 1965; 1969) e dei marmorari che a Roma ne seguirono le orme. All'artista toccò poi, soprattutto, il ruolo di trasmissione di quel linguaggio all'a. fiorentina con il "magnifico et visibili principio" che, all'aprirsi del Trecento, dava della facciata di S. Maria del Fiore. Anche qui, sviluppato ed elaborato sino a diventare parte integrante dell'a. trecentesca, quel linguaggio perviene a formulazioni caratteristicamente ed esclusivamente fiorentine in opere come la loggia del Bigallo e, più ancora, le transenne con cui nel secondo Trecento fu chiuso e trasformato in chiesa di Orsammichele, tempio delle corporazioni fiorentine, il loggiato aperto del piano inferiore di un palazzo a destinazione commerciale.Nel sec. 14° quel fenomeno, in forme e graduazioni diverse, investe tutta la penisola. Al Sud, soprattutto a Napoli, da allora sua incontrastata metropoli culturale, il processo, già attivato nella parabola sopra delineata dell'a. angioina, riceve nuova linfa per opera di un altro scultore toscano, Tino di Camaino. Secondo meccanismi analoghi si verifica, dal tardo Duecento in poi, la goticizzazione dell'a. veneziana, per la quale sono stati chiamati in causa soprattutto referenti inglesi (Arslan, 1970). Nemmeno l'a. padana resta esente da quel gusto, sebbene i suoi artefici preferiscano, di solito, tradurre o reinventare nel laterizio le forme decorative anche più minute, prima scalpellandolo come pietra, più tardi perfezionando procedimenti di modellazione a stampo prima della cottura. In caratteristiche invenzioni lombarde come la facciata 'a vento', con le formulazioni particolarmente fastose del duomo di Crema, del transetto meridionale del duomo di Cremona di S. Bassiano a Lodi Vecchio, S. Pietro a Viboldone, S. Francesco a Pavia, o come non meno caratteristici campanili e gugliotti ottagoni (Chiaravalle Milanese, Torrazzo di Cremona, S. Gottardo a Milano), ma anche in episodi di fastosa a. di rappresentanza pubblica, come il palazzo Pubblico di Piacenza o il cortile del castello di Pavia, il minuto ornato laterizio si combina spesso con parti in marmo o pietra chiara, portando all'esaltazione massima l'astratta bicromia parietale che aveva preso forma allo scadere del 12° secolo. Pure una consorteria di maestri lombardi, i Campionesi, tradizionalmente esperti della lavorazione della pietra, ma rieducati sul piano del gusto da maestri provenienti dal Veneto - come, forse, gli autori della facciata di S. Agostino a Bergamo - o toscani, come Giovanni di Balduccio, inseriscono in quel panorama rutilanti gioielli in pietre e marmi policromi, come i protiri di S. Maria Maggiore a Bergamo o la facciata del duomo di Monza.Questo è lo scenario nel quale si svolge la vicenda di poche grandi cattedrali che, insieme con alcune delle chiese mendicanti sopra citate, sono i riferimenti salienti del Gotico italiano. Sono tutte espressioni di comunità cittadine particolarmente opulente e con un peso crescente anche sull'orizzonte politico non solo italiano, ma dell'Europa del tempo. È segno sicuro dell'individualismo connesso con l'orgoglio civico che le ha prodotte il fatto che, nella comunanza di alcune tematiche fondamentali, delineatesi entro la storia architettonica dei due secoli in questione, nessuna di esse sia stata modello per altre, abbia dato origine a tradizioni capaci di produrre sequenze di edifici paragonabili a quelle che formano il quadro dell'a. gotica a N delle Alpi.
Fa eccezione, almeno inizialmente, il duomo di Orvieto, fondato nel 1290, quando la città era ancora caposaldo della politica territoriale pontificia nell'Italia centrale. Espressione di questo momento è la costruzione originaria, corrispondente alle navate attuali, che, se nel parato bicromo che ricopre uniformemente interno ed esterno può già avere referenti senesi, nella morbida modellazione dei fianchi a serie di piccole cappelle absidiformi, nei solenni pilastri rotondi con capitelli ad acanti rigogliosi, nella plastica inflessione convessa dei sottoarchi e - principalmente - nella copertura a tetto riflette lo spirito antichizzante corrispondente all'intenzione, espressa all'atto della fondazione, che il duomo riuscisse simile alla basilica romana di S. Maria Maggiore. In quell'intonazione romanizzante che aveva dominato l'a. duecentesca dell'orbita pontificia rientra anche il ballatoio aggettante su mensole della navata centrale. Comparso pochi decenni prima a Siena e Ruvo, esso era già presente, alla fine del sec. 12°, nel duomo di Viterbo, in rapporti proporzionali e spaziali pressoché identici a quelli di Orvieto, ciò che può individuare nell'ambito dell'a. pontificia l'origine prima e il centro di diffusione del motivo. Una radicale stilistica profondamente diversa, di sostanza mendicante, fu introdotta nell'organismo del duomo di Orvieto dal transetto e dal coro rettilinei a volte che, verso il 1300, sostituirono la semplice terminazione absidata precedente. La fastosa facciata, certo legata nell'ideazione a quella in costruzione al duomo di Siena, ma a differenza di essa giunta a compimento, pure a secoli di distanza, senza sostanziali alterazioni del progetto originario, elegante ed equilibrata nel contemperare le spinte verticali dei contrafforti, delle cuspidi e dei timpani con le cesure orizzontali che segnano le imposte degli archivolti dei portali e disegnano il grande quadrato in cui si inscrive il rosone, rigorosamente sottomettendo alla nitidezza dell'impaginazione compositiva la ricca decorazione plastica e musiva, rende la cattedrale di Orvieto esponente precipua di quell'arte cittadina cui si devono le maggiori espressioni architettoniche del Trecento italiano.Entro il 1264 si compiva il duomo di Siena in un primo assetto nel quale prendeva forma l'idea di collegare le navate con un capocroce centrato intorno al vano di cupola a esagono irregolare. Anzi la cupola doveva emergere più netta e dominante in quel primo edificio con navata centrale sensibilmente più bassa dell'attuale e prima dell'ampliamento del capocroce nell'odierno ampio coro quadrangolo, avvenuto in connessione con la costruzione del sottostante battistero, che si voglia ricostruire il capocroce originario come ambulacro absidato che girava intorno alla cupola, o in forma di tre brevi bracci rettilinei che se ne distaccavano. Per quel primo duomo Giovanni Pisano cominciava nel 1284, e conduceva sino al cornicione che chiude il primo ordine, la facciata, rielaborando lo schema dei portali scolpiti e timpanati che caratterizza facciate e fronti di transetto delle cattedrali gotiche francesi del primo Duecento. Con acuta sensibilità da scultore egli scioglieva la scultura dal rigido coordinamento all'a., faceva anzi di quest'ultima palcoscenico drammaticamente mosso per la serie di statue di Sibille e Profeti. La facciata fu compiuta quasi un secolo più tardi, quando era già stata realizzata l'analoga, altissima fronte orientale, che ne stemperava l'idea in un più risaputo e meccanico giocare con forme minute e ripetitive sulle ampie partizioni parietali a parato bicromo, e quando i mutamenti nel frattempo apportati all'organismo del duomo, insieme con la mediocre inventiva dell'esecutore Giovanni di Cecco, palesemente influenzato dalla facciata di Orvieto, determinarono la debole raffazzonatura della vigorosa e tesa impalcatura plastica della facciata giovannea. Possiamo invece supporre che l'innalzamento delle volte della navata centrale attuato nel 1369, se ha tolto risalto interno ed esterno alla cupola, abbia però contribuito in misura essenziale alla luminosa solennità dell'impianto e restituito dignità di cesura architettonica determinante al grande ballatoio su mensole tra arcate e finestre, se davvero se ne deve ammettere la pertinenza alla costruzione originaria.L'idea della cupola come centro di organizzazione del capocoro a conclusione di un sistema longitudinale di navate basilicali giungeva a maturità con il rifacimento dell'antica cattedrale fiorentina di S. Reparata. Le più che secolari vicende costruttive della nuova S. Maria del Fiore e i mutamenti di progetto che a esse andarono connessi sono ancora ben nota materia di incertezze e discussioni. Ma ha acquistato in tempi recenti carattere di virtuale certezza la vecchia e a lungo contrastata ipotesi che il progetto originario di Arnolfo di Cambio (v.) prevedesse già il capocroce tricoro dominato dalla cupola ottagona.Allo scorcio del sec. 14° risale l'ideazione, in forme sostanzialmente rispettate nelle plurisecolari costruzioni, di altri due grandiosi monumenti di Gotico italiano: il duomo di Milano e il S. Petronio di Bologna. Fondato nel 1386, il duomo di Milano, come grande pseudobasilica a cinque navate su pilastri ottagoni a facce morbidamente inflesse, conclusa, dopo un transetto a tre navate poco sporgente, da coro a deambulatorio poligonale, è stato realizzato interamente in marmo nei rivestimenti interni e soprattutto all'esterno nell'apparato plastico-decorativo che sistematicamente applica motivi e partiture del Tardo Gotico germanico, pervenendo peraltro ad autonome e originali invenzioni, come i giganteschi capitelli a tabernacoli dei pilastri maggiori o il traforo a inserti figurati del finestrone centrale del deambulatorio. Contrariamente a quanto spesso si ripete, il progetto, che ebbe una fase ideativa certo vivacemente contrastata, venne però fissato definitivamente nel 1391, come scelta da parte della committenza cittadina - rispetto alla quale scarsa incidenza sembra aver avuto la volontà del duca di Milano Giangaleazzo Visconti - tra le idee progettuali in discussione. Nella formula spaziale relativamente bassa rispetto all'ampiezza della pianta, nella prevalenza del sistema delle navate sullo sviluppo del coro, nella stessa esibizione di lusso connessa con la scelta del materiale e il sovraccarico decorativo, il duomo milanese realizza l'ideale della grande chiesa della borghesia urbana di ispirazione mitteleuropea.La basilica di S. Petronio a Bologna è rimasta limitata, nella realizzazione, al gigantesco sistema delle navate che, nel progetto preparato nel 1392 da Antonio di Vincenzo, doveva forse terminare con un grande coro a deambulatorio e cappelle radiali, concludendo una tradizione ben radicata a Bologna nel solco della chiesa di S. Francesco. Che proprio dalle navate ampie e luminose, accompagnate sui fianchi da file di cappelle, sia cominciata la costruzione della basilica che i Bolognesi dedicarono al loro santo, mostra la profonda radice borghese e urbana dell'impresa, che si esprime in scelte tecniche e stilistiche fortemente legate alla tradizione della città o arieggianti, per evidente emulazione, le cattedrali delle maggiori città vicine: Firenze e Milano.Peso assai scarso hanno avuto nello studio dell'a. italiana duecentesca e trecentesca indagini riguardanti l'organizzazione e la tecnologia dell'edilizia. Ma almeno il riesame della documentazione di cantiere del duomo di Milano (Cadei, 1991) e di un progetto di a. civile attribuito a Giovanni d'Agostino, uno dei capomaestri del duomo di Siena (Toker, 1985), ha proposto come traccia per studi del genere l'eventualità che nei cantieri italiani del Trecento, in difformità con tutto l'ambiente europeo, fosse già usata la scala metrica come metodo base di progettazione e traduzione in opera dei progetti.Per quanto riguarda l'a. latamente definibile come civile, in quanto non a destinazione sacra, nei secc. 13° e 14° essa moltiplica ed evolve con rapidità modelli e soluzioni in risposta all'impetuoso allargarsi e differenziarsi delle funzioni cui deve assolvere. Nell'entità del patrimonio conservato e spesso nella qualità essa rivaleggia, ormai, con l'a. sacra. Questa situazione oggettiva non è riflessa dallo stato degli studi, che, continuando a privilegiare in modo quasi esclusivo l'a. sacra come traccia per delineare lo svolgersi storico dell'a. in assoluto, riservano all'a. civile un'attenzione subordinata ed episodica. Anche al di fuori delle grandi sintesi di storia dell'a., l'a. civile trova attenzione specifica solo in ricerche centrate su tipologie edilizie attinenti a determinate funzioni e con un raggio che raramente supera l'ambito regionale o locale, oppure su particolari fenomeni storici che hanno sollecitato il formarsi dell'una o l'altra tipologia. Una illustrazione attendibile dell'a. civile duecentesca e trecentesca si può dunque ricavare solo aderendo a tale situazione storiografica.I settori principali in cui l'a. civile si può distinguere sono tre. Nel campo dell'a. strettamente residenziale si precisano e differenziano regionalmente in questa età i tipi della casa (v.) e del palazzo (v.). Continua e si accentua l'incidenza che ha su di essa l'edilizia monastica, per l'impulso ricevuto principalmente dagli Ordini mendicanti (v. Convento) in rapporto a strutture di pubblica carità e assistenza (v. Ospedale).L'a. militare sviluppa in questo periodo la variegata tipologia del castello (v.) come complesso coordinato di cortine e torri che non serve più solo alla protezione di singoli o nuclei residenti, ma funge anche come base di operazioni militari di attacco, come acquartieramento di truppe e sede di guarnigioni a controllo del territorio. Profilatasi nelle regioni e nell'età delle crociate (v. Crociati) tale molteplicità di funzioni, cui corrisponde il differenziarsi delle forme, viene introdotta ed elaborata in Europa in particolari situazioni di signoria territoriale a forte connotazione militare, quali quelle determinatesi nel domaine royal francese con Filippo Augusto (v.), nell'Europa nordorientale con i Cavalieri Teutonici (v.), in Italia meridionale e Sicilia con Federico II (v.), in Galles con Edoardo I (v.). In rapporto a diverse situazioni territoriali, ivi comprese le città, vengono analogamente perfezionati tipi diversi di fortificazione (v.).Il terzo settore di a. civile è strettamente legato alle città (v.) le quali, soprattutto se città libere (v. Anseatiche, Citt'a; Comune), si dotano delle strutture edilizie necessarie alla amministrazione e alla pubblica rappresentanza (v. Broletto; Palazzo) e, attraverso le proprie magistrature, sono committenti di una serie di opere pubbliche che, accanto alla difesa e al culto, assolvono a esigenze primarie della comunità quali l'approvvigionamento idrico (v. Acquedotto; Fontana) e alla regolamentazione e l'assetto non solo urbanistico ma anche architettonico dei suoli pubblici (v. Piazza), della viabilità (v. Ponte), del commercio (v. Mercato). Le città marinare curano inoltre come pubblico affare le strutture portuali (v. Porto), l'allestimento e la cura di flotte commerciali e militari (v. Arsenale).
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A. Cadei