architettura sostenibile
architettura sostenìbile locuz. sost. f. – Per a. s. non si intende un ambito disciplinare ben delineato, con caratteristiche e stilemi codificati, ma una modalità di approccio al progetto che, riferendosi al concetto di sostenibilità definito nel 1987 dalla Commissione mondiale su ambiente e sviluppo dell’UNEP (United nations enviroment program) nel Rapporto Brundtland (Our commun future), persegue l’obiettivo di realizzare un’architettura compatibile non solo con la vita dell’uomo e le sue attività ma anche con l’ambiente naturale e, più in generale, con il contesto in cui si inserisce: un’architettura che, mutuando la definizione di sviluppo sostenibile data dal Rapporto Brundtland, sia in grado di soddisfare le necessità della generazione presente senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere alle loro. Al centro dell’agenda politica internazionale a partire dalla Conferenza mondiale su ambiente e sviluppo di Rio de Janeiro del 1992 che, con l’Agenda 21, ha impegnato le 179 nazioni aderenti a ridurre l’uso di risorse naturali e la produzione di rifiuti, la sostenibilità rappresenta oggi una delle sfide fondamentali anche per l’architettura e i settori disciplinari che si occupano dei processi di trasformazione del territorio. Le conseguenze dell’attività edilizia sull’ambiente in termini di sfruttamento delle risorse naturali ed emissioni di gas a effetto serra è, infatti, tale da richiedere un adeguamento del modello produttivo agli obiettivi della sostenibilità anche nel settore dell’edilizia. Perseguire questa finalità in architettura comporta l’attuazione di una serie di strategie che tengano conto di aspetti diversi, articolati e interconnessi tra loro: le relazioni con il contesto specifico, attraverso risposte progettuali differenti in ragione di condizioni climatiche diversificate; l’utilizzo consapevole delle risorse; il ricorso a tecnologie costruttive e materiali non inquinanti e non pericolosi per la salute delle persone; la previsione degli effetti indotti sul territorio dall’edificio in tutto il suo ciclo di vita anche in termini di provenienza, dismissibilità e riciclaggio dei materiali; il raggiungimento di livelli elevati di comfort abitativo. La sostenibilità di un edificio è valutata attraverso protocolli e sistemi di certificazione che stimano l'efficienza energetica e l'impatto della costruzione sull'ambiente durante tutto il suo ciclo vitale, tra i principali: la norma ISO 21930:2007 (Sustainability in building construction), il Green building council’s Leadership in enviromental design (LEED) negli USA, il Code for sustainable homes in Gran Bretagna. L’attenzione agli aspetti tecnologici legati alla climatizzazione naturale, alla riduzione dei consumi di energia, al ricorso a energie alternative, alla lotta ai diversi generi di inquinamento è, di conseguenza, un aspetto dominante in tutte le esperienze di architettura sostenibile che mostrano, tuttavia, un’estrema varietà di indirizzi linguistici e ricerche estetiche: forme e linguaggi diversi mostrano un’estrema attenzione tanto all’innovazione tecnologica quanto all’invenzione formale, portando, spesso nell’opera di uno stesso architetto, sia ad esiti prevalentemente high-tech che ad approcci più organici e biomorfici. A partire dal rapporto tra forma e tecnologia è possibile, allora, definire eco-tech tutte quelle ricerche in cui è predominante l’aspetto tecnologico, con proposte di nuovi materiali, componenti, elementi ed assetti tipologici finalizzati al miglioramento delle prestazioni energetiche attive e passive dell’ambiente costruito e in cui gli elementi edilizi, reinterpretati come apparati energetici per il controllo del microclima, diventano anche stilemi di una nuova architettura che celebra la tecnica in chiave ecologica. Tra gli esponenti di questa tendenza sono da ricordare Norman Foster, Renzo Piano, Richard Rogers, Thomas Herzog, Françoise-Helene Jourda e Gilles Perraudin (che nel 1993 hanno dato vita all’associazione Read per riflettere sull’utilizzo delle energie rinnovabili in architettura), e ancora Mario Cucinella, Nicolas Grimshaw. Estremamente rappresentative di questo approccio progettuale sono le architetture di Foster + Partners: oltre alla Commerzbank Tower a Francoforte sul Meno (1991-1997) e alla cupola del Reichstag (parlamento tedesco) a Berlino (1992-1999), la più recente Hearst Tower a New York (2000-2006) e il progetto per Masdar City (2007), una città completamente autosufficiente a livello energetico che sorgerà nei pressi dell’aeroporto internazionale di Abu Dhabi. A queste esperienze si affiancano ricerche, definite low tech, in cui la sostenibilità dell’edificio è perseguita attraverso il ricorso a materiali naturali e sistemi costruttivi a basso contenuto tecnologico tratti dalla storia e dalla tradizione dei luoghi. Esempi significativi sono le costruzioni in terra cruda di Sverre Fehn; le paper tube structures, strutture in tubi di cartone riciclato, realizzate da Shigeru Ban e di cui un esempio significativo è il padiglione giapponese all’Esposizione universale di Hannover del 2000; l’uso di strutture in bambù e pareti in carta di riso nel Great bamboo wall a Pechino (2002-2004) di Kengo Kuma; le esperienze del gruppo Rural studio fondato da Samuel Mockbee che, in Alabama, ha realizzato diversi edifici utilizzando materiali di recupero e coinvolgendo nella costruzione la collettività. Anche il ricorso a edifici interrati o ricoperti di vegetazione è una modalità antica ripresa da molte ricerche contemporanee per migliorare la sostenibilità dell’architettura e sperimentare nuove forme di ibridazione tra natura e architettura. Nelle esperienze di landform architecture gli edifici si relazionano all’ambiente assumendo le forme della topografia attraverso scavi, increspature, sollevamenti del suolo: l’architettura si dissolve nel paesaggio creando spazi ipogei e superfici verdi che, oltre a funzionare come dispositivi bioclimatici, consentono di recuperare alla natura lo spazio coperto dall’edificio; i recenti progetti di Toyo Ito per il Central park grin grin a Fukuoka (2002-2005) e di Renzo Piano per la California academy of sciences (2000-2008) ne sono alcuni esempi. In altre ricerche è l’uso della vegetazione a definire sia gli aspetti spaziali e formali che le prestazioni climatiche e ambientali: la vegetazione migliora, infatti, l’isolamento termico della struttura e attenua l’artificialità del costruito. Se in alcuni casi, come per i giardini verticali brevettati da Patrick Blanc, si tratta di una sorta di camouflage naturalistico in cui manti vegetali avvolgono l’edificio funzionando come dispostivi bioclimatici, in altri si configurano veri e propri vertical landscapes, stratificazioni di elementi naturali e artificiali come possibili soluzioni ai problemi dell'inquinamento, della congestione e della vivibilità dei centri urbani; è il caso del Dutch pavilion ad Hannover (1997-2000) di MVRDV (v.), del recente progetto di Torre residenziale a Mumbai dello studio SITE (2004), ispirato agli antichi giardini pensili di Babilonia, dei grattacieli verdi dell’architetto malese Ken Yeang. Anche a scala urbana la presenza della vegetazione attraverso il progetto di parchi, giardini e aree verdi, diventa una strategia per riqualificare in maniera sostenibile la città: da questo punto di vista i recenti fenomeni di agricoltura urbana, creando ecosistemi in cui il paesaggio agricolo si integra nel tessuto cittadino, costituiscono un nuovo modo di ripensare le aree metropolitane in maniera sostenibile.