ARCHITETTURA (IV, p. 63)
L'architettura contemporanea, nellg varietà e complessità dei suoi fenomeni, si pone come netta antitesi a tutta la tradizione figurativa dell'architettura. Questo radicale distacco è generalmente spiegato con cause di ordine tecnico (la scoperta e l'impiego di nuovi materiali e di nuovi procedimenti costruttivi), di ordine sociale (la necessità di corrispondere alle condizioni sociali che la rivoluzione industriale aveva determinato nelle grandi città europee), di ordine economico (razionale sfruttamento del terreno, dei materiali, ecc.), di ordine estetico (influenza delle correnti figurative contemporanee). Queste supposte cause sono in realtà altrettanti aspetti o gradi del rinnovamento dello stile dell'architettura o altrettante giustificazioni di esso in ordine alla tecnica, alla vita sociale, all'economia, all'arte. Del resto lo stesso eclettismo architettonico dell'Ottocento, assumendo le forme del passato come astratti "stili" invece che come concreti fatti artistici, dimostrava che la tradizione classica era ormai esaurita. Perciò il problema dell'architettura contemporanea non consiste nel ricercare a quale tradizione si opponga, ma attraverso quale tradizione di cultura si formi.
Il pensiero illuministico intorno all'architettura si fonda sul concetto della "corrispondenza di essa a un certo uso" (Kant); i teorici del Neoclassicismo, biasimando l'eccesso d'ornamentazione del Barocco e del Rococò, affermano l'esigenza di una rigorosa corrispondenza della forma plastica alla funzione statica. L'estetica romantica rivaluta, con le tradizioni storiche nazionali, l'architettura gotica, nella quale vede l'espressione del sentimento religioso dei popoli. Se i teorici neoclassici riconoscevano nella perfetta struttura un valore di bellezza o di ornamento, i teorici romantici riconoscono nell'ornamento del gotico un valore funzionale. La forma classica presuppone uno spazio costante, razionale, prospettico nel quale l'architetto progetta l'edificio secondo leggi di simmetria e prospettiva; la forma gotica realizza un'intuizione di spazio. Perciò, esaltando il processo dell'architettura gotica su quello dell'architettura classica, i teorici romantici, e in prima linea J. Ruskin, trasportano l'interesse dalla "progettazione" alla "costruzione", dalla teoria alla prassi. Se la costruzione non è più mera esecuzione di un progetto ma atto per sé stesso creativo, prendono nuovo risalto i problemi tecnici che le sono connessi; e poiché ogni lavoro si giustifica in rapporto a un fine d'utilità sociale, la questione dell'utilità pratica dell'architettura assume un'importanza nuova. I puri "costruttori", gli "ingegneri", sono i primi ad intendere questa nuova esigenza, perché più liberi da pregiudiziali formalistiche: sono essi che introducono nuovi materiali (ferro, cemento) e nuovi procedimenti costruttivi, dapprima soltanto nella costruzione di ponti, viadotti, ecc., poi anche nella costruzione di edifici civili (Parigi: Biblioteca Ste.-Geneviève, di H. Labrouste, 1843-50; Les Halles, di L. P. Baltard, 1853; i magazzini Bon Marché, di C. Boileau e G. Eiffel, 1876, ecc.). Nel Palazzo di Cristallo, di J. Paxton (Londra 1851) è già evidente lo sforzo di raggiungere con l'uso di nuovo materiale (ferro e vetro) un risultato artistico; e la stessa torre Eiffel (1889) non deve considerarsi come un puro virtuosismo tecnico, ma come il tentativo di realizzare mediante le nude strutture metalliche un valore di slancio.
Analogo al problema delle strutture metalliche è il problema del cemento armato, un materiale che, mentre consente la stessa libertà compositiva e la stessa indipendenza dalle leggi statiche del peso e della resistenza, figurativamente si presta ad una più complessa gamma di effetti, non più soltanto lineari o grafici ma plastici. Si delineano così i primi orientamenti formali della nuova architettura: predominio del vuoto sul pieno, libera comunicazione tra spazio interno ed esterno, nuovi effetti di luce per il largo impiego di vetrate, possibilità di sviluppare l'edificio in altezza e larghezza molto al di là dei consueti rapporti proporzionali condizionati alla equivalenza del fatto plastico e statico, intuizione dello spazio come "dimensione" o pura estensione invece che come proporzione. Poiché la forza di un elemento di ferro o di cemento non è più commisurata al suo volume e al suo peso, ma alla sua estensione o "durata" nello spazio, alla sua sezione, alla sua sagoma, alla sua tensione, al suo vivo congiungersi o articolarsi ad altri elementi; una "dinamica" succede alla "statica" costruttiva. Sebbene le strutture metalliche e le più nuove applicazioni delle strutture cementizie siano ancora di preferenza impiegate per le costruzioni tecniche e industriali (ponti, tettoie, stazioni ferroviarie, aviorimesse e simili) all'attività degli "ingegneri" si devono indubbiamente molti vivi contributi alla tipologia formale dell'architettura moderna (v. perret; freyssinet; nervi, in questa App.). se l'architettura di strutture metalliche e di materiali concreti trae anch'essa le sue origini dalla rinascita romantica degli studî sulle strutture "dinamiche" del gotico e se in essa il problema della funzionalità della forma trova un'impostazione rigorosa, questa esperienza ha esercitato anche una forte influenza sulla determinazione degli aspetti sociali della nuova architettura. Ad essa si deve, in non piccola parte, la fioritura di quell'architettura Art nouveau o Liberty che segna il definitivo distacco non soltanto degli artisti, ma del pubblico dalla tipologia formale della tradizione; e che, rapidamente estendendosi dalla costruzione a tutte le forme dell'arredamento e dell'arte applicata, ma soprattutto creando tipi facilmente producibili attraverso l'industria, ha esercitato una vasta influenza sociale. Va anche ricordato che l'impiego delle strutture metalliche e del cemento ha profondamente modificato il processo tradizionale della costruzione, introducendo l'uso di elementi prefabbricati e stringendo quindi il rapporto, essenziale per lo sviluppo dell'architettura moderna, tra produzione industriale e produzione edilizia.
Gli stessi problemi venivano frattanto posti da altri punti di vista. La questione sociale era già stata considerata dal Ruskin, e non soltanto come questione del fine dell'architettura, ma come condizione del suo processo espressivo. Esaltando l'architettura gotica come prodotto di maestranze creatrici invece che di individui e come espressione dell'idealità religiosa di intere comunità, il Ruskin implicitamente affermava che l'architettura non soltanto ha dei fini sociali, ma è in sé stessa, nel suo prodursi, un fatto sociale.
Del resto la polemica di J. Ruskin e W. Morris, sebbene condotta in nome di un ritorno alla moralità artistica medievale, era sollecitata da interessi sociali quanto mai urgenti. Tanto nell'architettura quanto nelle arti applicate cominciavano ad avvertirsi le conseguenze della rivoluzione industriale; le industrie replicavano grossolanamente in serie le forme dell'artigianato e, mentre un'ondata di cattivo gusto investiva tutta l'Europa, le antiche botteghe artigiane languivano. Bisognava dunque fare rivivere le antiche comunità, ma nello stesso tempo educare gli artigiani a produrre nuove forme. Il movimento Arts and crafts, creato dal Morris, dà grande incremento allo svolgimento dell'Art nouveau, che infatti può, nei suoi inizî, considerarsi come il tentativo di sviluppare modernamente i motivi floreali e zoomorfi della decorazione gotica. Questo principio, che si fondava sulla miglior tradizione inglese del Gothic Revival e soprattutto sugli studî di K. W. N. Pugin intorno alla suppellettile e all'arredamento gotico, amiplia notevolmente l'orizzonte del problema dell'architettura: estendendolo appunto all'arredamento, agl'interni, alla pìù consueta e modesta suppellettile. Cercando nella casa, non più un astratto valore monumentale, ma un'immagine di vita sociale, il problema si sposta dall'imponenza esteriore dei prospetti alla praticità delle piante, dal decoro all'utilità; ed investe necessariamente tutti gli elementi che formano l'ambiente della vita famigliare.
In Germania, l'istanza sociale, che il movimento del Morris mirava a risolvere con la restaurazione dell'artigianato, viene posta in termini più rigorosi. La stessa industria, essendo un fatto sociale, non può limitarsi a ripetere le forme dell'artigianato, schematizzando nel processo meccanico la laboriosa vicenda della fattura manuale, ma deve creare i suoi tipi, pensati appositamente per la produzione meccanica e che soltanto con quel mezzo possono raggiungere una qualità perfetta. La possibilità della produzione meccanica in serie è la condizione della validità artistica e sociale dell'oggetto. Questo concetto, indiscriminatamente valido per l'architettura e le arti applicate (la cui storia è ormai indissolubilmente legata), ripristina la distinzione tra un momento d'ideazione e un momento di esecuzione, per quanto tutti i problemi dell'esecuzione siano posti e risolti a priori nell'ideazione. Così devono essere posti e risolti a priori nell'ideazione tutti i problemi di carattere pratico o utilitario. Il movimento dei Deutsche Werkbunde fonda così il principio dello standard, come "tipo" capace di rispondere razionalmente a tutta la gamma di esigenze particolari connesse all'oggetto. È facile intendere come una concezione siffatta portasse in primo piano, anche come problema figurativo, l'architettura industriale: tipico esempio di funzionalità costruttiva e di rigorosissima corrispondenza a un fine pratico. Con H. Poelzig e, soprattutto, con P. Behrens l'architettura della fabbrica non soltanto si allinea sullo stesso piano di valori estetici dell'architettura civile, religiosa, celebrativa, ma diventa esemplare. Il punto d'arrivo della cultura architettonica moderna in Germania, e forse in Europa, è l'opera teorica e costruttiva di W. Gropius: in essa, non soltanto lo standard si pone come ideazione perfettamente razionale, o come puro "disegno", ma l'architettura stessa nel suo attuarsi, e le arti applicate che sono tutt'uno con essa, sono un'altra pedagogia che, attraverso la diffusione illimitata dei suoi prodotti, diventa strumento di progresso sociale, quasi norma di una civiltà superiore. Questa pedagogia dell'arte si è concretata, dopo la guerra 1914-18, nel Bauhaus (v. in questa App.). Ponendo l'architettura come puro "disegno", l'ideale architettonico del Gropius s'incontra naturalmente, e non per artificiosa derivazione, con le correnti ideali dell'arte figurativa contemporanea e specialmente con l'astrattismo di V. Kandinskij; mentre d'altro lato, la sua concezione dell'architettura come forma tipicamente razionale sfocia naturalmente in un'idea urbanistica, come suprema realizzazione dell'ideale razionale dell'architettura sul piano sociale. Accanto al perfetto razionalismo del Gropius va ricordato l'espressionismo architettonico di E. Mendelsohn che, pur muovendo anch'esso dalla tradizione di H. Poelzig e P. Behrens, mirava a esprimere l'idea sociale in forme simboliche o allusive.
È facile intendere come l'ideale sociale dell'architettura moderna provocasse l'opposizione violenta dei regimi reazionarî (soppressione del Bauhaus da parte del nazismo; appoggio ufficiale all'architettura accademica da parte del fascismo). Senza contrasto invece, l'architettura moderna si sviluppa nei paesi a regime democratico: in Olanda con H. P. Berlage prima (morto nel 1934), e poi con W. H. Dudok, J. J. P. Oud, J. A. Brinkmann, L. C. van der Vlugt, G. Rietveld, J. Dujker; in Danimarca con P. Baumann, K. Fisker, C. F. Moller, A. Jacobsen, A. Pedersen; in Svezia con R. Ostberg, J. Tengbom, S. Markelius, E. G. Asplund, E. Sundahl; in Norvegia con A. Arneberg e M. Poulsson, G. Blakstad e H. Munthe-Kaas; in Finlandia con P. Blornstedt, A. Aalto e E. Bryggman; in Svizzera con K. Moser, M. E. Häfeli, O. Salvisberg, Ch. É. Jeanneret (Le Corbusier), Hannes Meyer; in Ungheria con B. Lajta, M. Breuer, L. Kozma, Farkas Molnár, J. Molnár; in Cecoslovacchia con J. Kotĕra, E. Wiesner, I. Gočár, I. Fragner; negli Stati Uniti con H. H. Richardson, L. H. Sullivan, F. L. Wright. In Austria il movimento per l'architettura moderna s'inizia, in accordo con la "Secessione", con O. Wagner e J. Olbrich sia in senso formale come reazione allo eclettismo, sia in senso sociale, come polemica per un'aderenza più viva della forma alle esigenze; si sviluppa nella vigorosa campagna di A. Loos per un'architettura spoglia d'ornati, funzionale, realizzata per mezzo di materiali nobili valorizzati dalla nitida distribuzione dei volumi e delle superfici. Da ricordare anche l'opera del Behrens in Austria, di J. F. M. Hoffmann, e di Haerdlt.
In Francia Le Corbusier tenta, dopo la prima Guerra mondiale, un radicale rinnovamento delle forme secondo gli schemi della pittura cubista. Anche lui assume come base il concetto di standard: si tratta però di uno standard fondato sul naturalismo delle occorrenze pratiche o utilitarie, che vengono ridotte a un comune denominatore. Così la razionalità diventa una specie di naturalità ideale e il problema sociale si riduce a una questione di benessere e di igiene: la casa è una machine à habiter per una società condizionata dalla civilisation machiniste. Sbocco naturale di questa architettura è l'urbanistica, come immagine utopistica di perfetta organizzazione sociale o città ideale (la Ville Radieuse). Benché fortemente limitata nella sua validità da questo pensiero di una società stabile e senza problemi, ma priva di qualsiasi realtà storica, la polemica di Le Corbusier ha avuto un'efficacia grandissima nella diffusione delle nuove forme, dei nuovi concetti di razionalità e praticità dell'architettura, delle inderogabili condizioni di igiene, agio, luminosità, aerazione, ecc., dell'edilizia moderna.
In Italia il problema dell'architettura moderna si è posto in termini essenzialmente formalistici o da stile con G. Terragni e in termini di polemica sociale e di riforma urbanistica con G. Pagano.
Se nei paesi dell'Europa orientale l'architettura moderna, in quel suo stadio che va sotto il nome di razionale o funzionale, ha avuto notevole sviluppo, parallelamente alla diffusione della cultura e delle forme artistiche francesi e tedesche, nella Russia sovietica l'architettura moderna ha avuto larga diffusione con V. Tatlin, El Lisickij (Lissitzky), V. A. Vesnin, K. Melnikov, e ha dato luogo a notevoli risultati negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione. A questa fase è succeduto un ritorno verso forme classicistiche. L'uno e l'altro movimento devono tuttavia considerarsi come i due diversi aspetti di uno sforzo di assimilazione della cultura artistica occidentale. Alla stessa stregua deve considerarsi la diffusione delle moderne forme architettoniche che si osserva in Giappone, in Turchia, in Palestina e, recentemente, anche nei paesi sudamericani.
Molto più complessa è stata la situazione dell'architettura moderna negli Stati Uniti d'America. Nella seconda metà del secolo scorso, con il rapido ingrandirsi delle città, si pongono serî problemi edilizî: da un lato, per la necessità di evitare eccessivi allargamenti dei perimetri urbani, si tende a sfruttare le nuove possibilità tecniche per la costruzione di edifici altissimi (skyscrapers, grattacieli), dall'altro, sia per reazione a quel congestionamento delle città sia per la tendenza a conservare un contatto profondo tra uomo e natura, le forme della tradizione indigena (Prairie-style; Colonial-style, ecc.) si sviluppano secondo i precetti del naturalismo architettonico del Ruskin e del Morris. Nasce così, attraverso una libera rielaborazione delle forme romaniche, l'architettura del Richardson, realizzata per grandi masse con intensi effetti atmosferici e luminosi, per mezzo dei quali l'edificio partecipa liberamente dello spazio circostante. Con L. H. Sullivan invece, il problema spaziale si precisa in problemi di stile e di struttura. Il Sullivan è infatti il primo che concepisca il grattacielo, non come una mera sovrapposizione di elementi diversi, ma come una costruzione unitaria e organica. Dal Richardson e dal Sullivan muove F. L. Wright, la cui opera vastissima e originale, non meno che la sua polemica per un'architettura "organica" ha esercitato una profonda influenza non solo in America, ma anche in Europa. L'ideale organico del Wright è una forma plastica pura, nella quale la realtà della materia e dello spazio trovi quasi una naturale continuazione: il processo costruttivo diventa così un processo di sviluppo o di crescita (growth) della materia in un ambiente (environment): così si concreta, contro il concetto classico di una bellezza come proporzione numerica, il concetto ruskiniano di una bellezza inerente (vital beauty). La "casa sulla cascata", nella quale l'unione dell'elemento costruttivo e dello spazio di natura è attuato con alto valore di poesia, è forme il capolavoro più alto della moderna architettura. Lo sbocco urbanistico dell'ideale architettonico del Wright è implicito in quel pensiero del crescere e dell'espandersi della forma; ma il fondamento rimane pur sempre il rapporto individuo-realtà e la soluzione una soluzione naturalistica, senza che i grandi problemi, le grandi contraddizioni sociali trovino in quell'ideale una concreta proposta di soluzione.
In America hanno continuato a lavorare e produrre, dopo il 1933, gli architetti tedeschi condannati dal nazismo: il Gropius, il Breuer, il Neutra e altri.
Dopo la seconda Guerra mondiale, che, almeno in Europa, ha completamente paralizzato la produzione edilizia, l'interesse degli architetti si è polarizzato intorno al problema della ricostruzione; e principalmente sui mezzi per una ricostruzionc rapida e sistematica, capace di condurre a risultati permanenti. Mentre in Russia il problema della ricostruzione edilizia è stato affrontato dalla base predisponendo un'organica distribuzione dei materiali e dei mezzi di costruzione, in Inghilterra, fin dal tempo di guerra si studiavano i nuovi piani di Londra e di Coventry e, in Olanda, il nuovo piano di Rotterdam (W. M. Dudok).
Il problema sul quale sembra soprattutto concentrarsi l'attenzione degli architetti contemporanei è quello della casa prefabbricata o della produzione in serie, fatta dall'industria, degli elementi della casa d'abitazione. È facile intendere come questo problema, che sembra ridurre il processo costruttivo a un mero esercizio meccanico, sia invece il logico punto d'arrivo di quel rapporto tra architettura e arti applicate, da un lato, e industria, dall'altro, che costituisce il tema principale della storia dell'architettura negli ultimi cinquant'anni. È anche evidente, da tali premesse, che il compito dell'architettura, come costruzione di singoli edifici, tende logicamente a identificarsi con il compito dell'urbanistica: tanto da potersi dire che l'urbanistica, com'è oggi pensata dai suoi teorici, non è altro che la forma storica più attuale dell'architettura.
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