ARCHITETTURA (IV, p. 63; App. II, 11, p. 229; III,1, p. 122)
A partire dagli anni Sessanta il dibattito architettonico s'incentra sui problemi linguistici. Ciò dipende da molteplici ragioni attinenti allo sviluppo della semiotica, all'esigenza di decodificare le arti onde inserirne la specificità nel circuito delle scienze della comunicazione, e principalmente alla crisi che colpisce il movimento moderno, i suoi obiettivi e le sue poetiche.
Scompare la maggior parte dei maestri che avevano alimentato il rinnovamento dell'a. sin dagli albori del secolo e, con particolare tensione, nell'arco tra le due guerre mondiali: Frank Lloyd Wright, massimo genio creativo, muore nel 1959; Erich Mendelsohn, protagonista dell'espressionismo, già nel 1953; Le Corbusier, guida e animatore del razionalismo internazionale, nel 1965; Walter Gropius, leader del Bauhaus, e Ludwig Mies van der Rohe, lirico interprete della sintassi De Stijl, nel 1969; il grande Aalto nel 1976. S'inaridiscono quindi le fonti d'ispirazione e i poli di riferimento culturale, mentre si constata che le finalità sociali dell'urbanistica escono largamente frustrate da una ricostruzione post-bellica condotta, salvo poche e parziali eccezioni, in modo caotico, ignorando i temi basilari dell'assetto territoriale enunciati nella "Carta d'Atene" del 1933.
Le reazioni a tale usura della tradizione moderna possono raggrupparsi in tre canali: abbandono di ogni intento didascalico e riformatore; ricerca affannosa di nuove personalità che surroghino i maestri; approfondimento critico e riflessione manieristica. La prima opzione è incarnata dallo stesso Le Corbusier che, col grido della Chapelle de Ronchamp, tronca l'itinerario razionalista chiudendosi, a rischio dell'incomunicabilità, in un'eroica solitudine. Quanto alla seconda, Louis Kahn assume provvisoriamente negli Stati Uniti il ruolo di caposcuola, ma la sua influenza si nutre della carica ipnotica di un pensiero fervente più che di un chiaro indirizzo operativo. Il manierismo si estrinseca su binari poliformi e spesso contraddittori, implicando comunque il riesame del patrimonio linguistico, un dialogo efferato, denso di ambiguità ed evasioni, con Le Corbusier e, in misura meno incisiva, con Mies, Wright, Mendelsohn e Alvar Aalto. Fra le cause delle difficoltà architettoniche in questo periodo va segnalata la repentina interruzione dello scambio con la pittura e la scultura. Dalle Arts and Crafts inglesi del 1860 e dall'Art Nouveau del 1880 fino al razionalismo e all'espressionismo del 1920, all'organico del 1930 e ai loro prolungamenti negli anni Cinquanta, l'esplorazione pittorica e plastica aveva accompagnato il cammino dell'architettura. Col sorgere dell'informel, delle poetiche del gesto e della materia, poi con la pop-art e l'estetica degli happenings, l'a. resta isolata perché il momento progettuale, ineliminabile dal suo processo, viene negato. Un'action-architecture risulta impossibile e velleitaria. L'impegno consiste dunque nell'assimilare la gestualità materica in un'attività che sembra escluderla, e ad esso si dedicano le numerose correnti succedutesi nell'intreccio dell'ultimo quindicennio.
Per coglierne la peculiarità, è utile relazionarle alle conquiste raggiunte dal movimento moderno nel secolare sforzo di affrancarsi dal classicismo maturando un codice alternativo a quello dell'École des Beaux-Arts. Il nuovo linguaggio, formulato agli inizi degli anni Settanta, s'impernia su sette principi, o invarianti, che contestano l'intera gamma dei dogmi e dei precetti accademici:
1) elenco o inventario delle funzioni, loro rappresentazione diretta, additiva, scevra da ogni vincolo concernente rapporti tra pieni e vuoti, ritmi e proporzioni, giustapposizione e sovrapposizione di "ordini" uniformanti. É il contributo rivoluzionario delle Arts and Crafts, che destruttura ogni nesso grammaticale e sintattico convenzionato. Si punta sui contenuti, non sugli schemi compositivi, disconoscendo qualsiasi valore alla sintesi, sia a priori che a posteriori;
2) asimmetria e dissonanza, accentuazione espressiva delle diversità funzionali rilevate dall'elenco, che il classicismo coarta in omaggio a una visione irreggimentatrice e dispotica. L'Art Nouveau e i prerazionalisti, da victor Horta a Adolf Loos, nelle effusioni linearistiche come negli organismi altimetricamente sfalsati secondo il metodo del Raumplan, concretano questa invariante sotto lo stimolo delle vicende qualificanti la musica moderna;
3) tridimensionalità antiprospettica, fine dei "quadri" statici rinascimentali, mobilità del punto di osservazione, e dunque equivalenza dei fronti di un edificio, cioè rifiuto di privilegiare una facciata rispetto ai fianchi e al retro. La pittura cubista incita gli architetti alla simultaneità e alla trasparenza delle immagini, mentre l'espressionismo induce a esaltare gli scorci angolari, e quindi un'autentica tridimensionalità;
4) scomposizione quadrimensionale, apporto del gruppo olandese De Stijl, intento allo smontaggio della scatola edilizia in lastre, che vengono poi riassemblate mediante incastri atti a evitare il riprodursi della compattezza prismatica;
5) strutture in aggetto, a guscio e membrana, scaturite dalle acquisizioni dell'ingegneria, e coinvolgimento delle forme nella logica scientifico-tecnica;
6) temporalità dello spazio, che traduce in termini di cavità fruite, precipue dell'a., la dinamica esercitata da De Stijl sulle tre dimensioni volumetriche. La coscienza del "campo" spaziale trionfa in Wright e in Aalto;
7) reintegrazione edificio-città-territorio in un continuum che superi la dicotomia fra casa e strada, nonché quella tra nuclei urbani e campagna.
Le tendenze entro le quali si classifica la produzione architettonica dal 1960 in poi sottolineano una o più di queste invarianti, oppure ne dosano i suggerimenti con vari esiti combinatori; in alcuni casi, magari postulando la "morte dell'architettura" e ritorni illuministici, le rigettano scadendo in versioni sofisticate e sterili dell'accademismo ottocentesco.
Il neoespressionismo si avvale della grande figura di Hans Scharoun che, dopo aver partecipato giovanissimo alle tumultuose eversioni del primo dopoguerra tedesco, sopravvive alla barbarie nazista e rilancia nel 1945 la stupefacente ipotesi di una saldatura con l'organico; tra i suoi lavori più significativi, la scuola di Lünen e la Philharmonie di Berlino propugnano un linguaggio sottratto al dominio della geometria, dettato dall'uso, creativo nei flussi della circolazione e negli spazi ravvolti in volumi aleatori, fuori e contro ogni regola. Incrociano il neoespressionismo Eero Saarinen, nel Twa Terminal dell'aeroporto di Idlewild, New York; Jörn Utzon, nel teatro dell'Opera coronato da vele scattanti sul promontorio di Sidney; Oscar Niemeyer nell'attività che segue la costruzione di Brasilia, e soprattutto nella sede del PCF a Parigi. In generale, questa corrente si distingue dall'espressionismo 1917-24 sganciandosi dal carattere scultoreo, rugginoso ed esaltato nella ridondanza materica: il recupero delle idee di Hugo Häring vertebra la sua fioritura. In Italia, Giovanni Michelucci ne offre una versione strutturalistica nella chiesa dell'autostrada del sole presso Firenze; sul fronte dell'ingegneria, l'arricchisce Riccardo Morandi, specie nel salone sotterraneo dell'automobile a Torino, e parimenti Félix Candela nei paraboloidi iperbolici realizzati in Messico. Essa trova uno straordinario esponente nel paesaggista brasiliano Roberto Burle Marx che, attingendo all'enciclopedia vegetale di una foresta incontaminata, supera l'annoso dilemma tra giardini e parchi all'italiana o all'inglese.
Il neorazionalismo, invece di enfatizzare le invarianti dell'elenco e della temporalità spaziale, come fanno i neoespressionisti indulgendo talora in accenti monumentali, rivendica quelle della tridimensionalità antiprospettica e della scomposizione quadridimensionale. In Germania, Helmut Hentrich e Hubert Petschnigg nel grattacielo Phoenix-Rheinrohr a Düsseldorf; in Svizzera, lo studio Haefeli, Moser, Steiger e Studer nella torre Zur Palme a Zurigo; in Gran Bretagna, Denys Lasdun e, in Danimarca, Arne Jacobsen; in Olanda, Jacob Bakema e Johannes van den Broek, nonché Aldo van Eyck, dilatano il panorama linguistico razionalista rimeditando sulle esperienze del Bauhaus e del gruppo De Stijl. La corrente si propaga nell'America latina, nei quartieri messicani di Mario Pani e in quelli venezuelani di Carlos Raul Villanueva, mentre in Francia Emile Aillaud la reinterpreta in tracciati serpentinati a Pantin, Bobigny e nella Grande Borne a Grigny. Nei suoi testi migliori, il neorazionalismo è agli antipodi della stereometria scatolare del curtain wall che mortifica un vasto settore dell'edilizia urbana mondiale.
L'informale, innescato da Le Corbusier a Ronchamp, riazzera il linguaggio per sondare l'anti-progetto, la gestualità primordiale. Gli habitacles e gli espaces sculptés di André Bloc in Francia si riallacciano alle grotte trogloditiche; e così, in diversa misura, la casa sulla prateria a Norman, Oklahoma, di Herbert Greene, il centro studentesco a Otaniemi di Reima Pietilä e Raili Paatelainen, la "casa senza fine" di Frederick Kiesler e, in certi limiti, anche l'a. à l'oblique di Claude Parent. Questa tendenza passa dall'elenco alla reintegrazione, omettendo le cinque invarianti intermedie; il suo merito, più che nei risultati, sta nel riproblematizzare le metodologie progettuali, ponendole a confronto con la spontaneità dell'"architettura senza architetti", indigena e popolare.
Il brutalismo, teorizzato da Reyner Banham sulla base della miesiana scuola a Hunstanton di Alison e Peter Smithson, determina in Gran Bretagna un clima effervescente nella cui cornice spicca la personalità di James Stirling. Le fragranti abitazioni a Preston e la splendida facoltà d'ingegneria a Leicester ripensano Le Corbusier dalla villa a Garches alle Maisons Jaoul, vitalizzano il principio della dissonanza nella scomposizione volumetrica e nell'arguta asimmetria delle partiture; la successiva facoltà di storia a Cambridge vede lo spazio della sala di lettura drammaticamente schiacciato dal "crollo" del tetto luminoso che rievoca le grandiose serre dei Kew Gardens. Il brutalismo configura gli irruenti aggetti della Pimlico comprehensive school a Londra e l'Arts Center della South Bank; si diffonde in Italia con l'istituto Marchiondi a Milano di Vittoriano Viganò, i dormitori universitari a Urbino di Giancarlo De Carlo, le opere di Leonardo Ricci a Firenze e di Enrico Castiglioni a Busto Arsizio; tocca Israele nel blocco residenziale a Ramat-Gan di Alfred Neumann, Zvi Hecker ed Eldar Sharon. Pragmatico e quindi fungibile in senso pluralistico, questo indirizzo, sorto dal béton brut corbusieriano di Marsiglia ma spesso attento a Wright, caso per caso, indaga le sette invarianti nel più fertile parametro manierista del secondo dopoguerra europeo.
Il movimento organico, di matrice wrightiana e aaltiana, recluta numerosi seguaci, dall'americano Bruce Goff agli italiani Giuseppe Samonà, Carlo Scarpa e Marcello D'Olivo. Si manifesta a scala territoriale nel Sea Ranch a Gualala, California, dove il paesaggista Lawrence Halprin orchestra le architetture di Joseph Esherick e dello studio Moore, Lyndon, Turnbull e Whitaker. Qui evidentemente prevalgono la temporalità spaziale e la reintegrazione edificio-città-territorio.
Il neostoricismo vanta l'anomala figura di Louis Kahn che, dopo un'educazione Beaux-Arts e decenni di opaca professione, emerge improvvisamente per i laboratori Richards a Philadelphia e l'eccezionale messianesimo didattico; gli erratici sondaggi nel passato approdano però negli ambigui fabbricati di Dacca, capitale del Pakistan orientale. Fra i suoi allievi, Robert Venturi, pur regredendo spesso nel classicismo, svolge una sferzante azione culturale, che rivaluta l'estetica pop di Las Vegas. Il neostoricismo ripudia il codice moderno nel vieto Lincoln Center a New York, e nella vena monumentalistica e decorativa di Philip Johnson e Minoru Yamasaki.
Il manierismo, nell'accezione più rigorosa, s'invera con originalità e vigore nei brillanti prodotti di Paul Rudolph, nel municipio di Boston progettato da Gerhard M. Kallmann, Noel M. McKinnel e Edward F. Knowles, nel ciclo giapponese reso estremamente fecondo da Kenzo Tange e da una folta schiera di seguaci. Ogni ramificazione manierista conferma e impreziosisce le sette invarianti.
L'utopia permea gli anni Sessanta. Il gruppo inglese Archigram, quello nipponico Metabolism, Yona Friedman in Francia, Buckminster Fuller negli Stati Uniti, Frei Otto in Germania postulano paesaggi metropolitani futuribili, cui concorrono anche Paolo Soleri, Maurizio Sacripanti, Aldo Loris Rossi. L'acme tecnologico sposa l'arte povera negli insediamenti hippy a Drop City, Colorado.
Infine, la dimensione urbana, cioè la consapevolezza, a ogni scala, della settima invariante. Tra gli esempi più sintomatici, il piano di Toulouse-Mirail dovuto a Georges Candilis; il quartiere Pampus ad Amsterdam, di Bakema e van den Broek; i grattacieli a cucchiaio per Tel-Aviv/Jaffa, di Jan Lubicz-Nycz; l'ampliamento di Tokyo proposto da Kenzo Tange. Inoltre, l'Illinois University a Chicago, di Walter Netsch; lo Scarborough College a Toronto, di John Andrews; l'edificio polifunzionale a Roma, dello studio Passarelli. Soprattutto, l'Habitat '67 a Montreal di Moshe Safdie e il Mummers Theater a Oklahoma City di John Johansen, liberi montaggi di "pezzi e circuiti" proiettati nel contesto ambientale e tali da risucchiarlo nell'organismo edilizio. Urbanistica e a. fondono, segnando il declino delle new towns e la vittoria della città-territorio profetizzata da Frank Lloyd Wright. La crisi del movimento moderno risulterà dunque proficua se la verifica di questo quindicennio comporterà, vicino alla scrupolosa tutela del patrimonio storico, l'avvento di un nuovo assetto dell'habitat cui il codice anticlassico garantisce uno strumento linguistico collaudato al duplice livello dei messaggi colti e popolari. vedi tav. f. t.
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