ARCIERE (dal fr. archer: gr. τοξότης; lat. sugittarius; fr. archer; sp. arquero; ted. Bogenschütze; ingl. archer)
Soldato armato di arco (v.). Gli arcieri nell'antichità. L'arco, arma antichissima, già usata dai cacciatori dell'età paleolitica, e diffusissima nelle sue varie forme, fu largamente impiegato in tutte le epoche negli eserciti egiziani, e il Faraone stesso è spesso rappresentato nell'atto di combattere con l'arco (v. W. Wolf, Die Bewaffnung des altagyptischen Heeres, Lipsia 1926). Dopo Sargon, gli arcieri compaiono anche sui monumenti babilonesi, e il re Naramsin (circa 2500 a. C.), nella celebre sua stele, impugna con altre armi anche l'arco. Icsos, Ittiti, Siriaci, Ebrei erano valentissimi arcieri, e la fanteria del formidabile esercito assiro si divideva in archi e in portatori di scudo e lancia. Gli Assiri maneggiavano l'arco combattendo a piedi, dal carro, da cavallo, fermi e correndo. I Medo-Persiani continuarono la tradizione orientale e furono prevalentemente arcieri (cfr. Plinio, XVI, 159: Calamis orientis populi bella conficiunt); si poteva perciò dire che essi oscuravano il sole con le loro saette (v. i contingenti di arcieri dell'esercito di Serse in Erodoto, VII, 60, e cfr. in genere per l'Oriente: Bonnet, Die Waffen der Völker des alten Orients, Lipsia 1926). Anche negli eserciti del risorto impero persiano dei Parti, gli arcieri avevano parte preponderante e gli eserciti romani soffrivano gravemente delle saette partiche.
Presso le popolazioni preelleniche dell'Egeo, l'arco era in grande onore come presso gli Egiziani e gli Orientali, e la tradizione arciera di Creta risale ai tempi minoici. Alcuni episodî e le figure di parecchi importanti eroi, greci e troiani, che combattono come arcieri nell'epopea omerica, mostrano l'alta considerazione in cui l'arco era tenuto nei tempi ai quali risalgono gli elementi più antichi della leggenda epica. Con la venuta dei Dori, popolo di lancieri, l'arco decade come arma da guerra; i Dori lo disprezzano e questo disprezzo si riflette nell'Iliade. L'arco rimane in uso come arma da caccia, e come arma da guerra solo in alcune regioni, come l'Attica. D'ora innanzi le lotte fra Greci e Orientali sono lotte fra l'asta dorica e l'arco asiatico. L'arco tornò in uso presso le città greche del Ponto, costrette a lottare contro gli arcieri sciti e traci, e presso le colonie occidentali, che dovevano lottare con gli arcieri italici, etruschi e cartaginesi: nell'esercito che Gelone offriva d'inviare contro i Persiani, erano compresi 2000 arcieri, che si distinsero ad Imera. Ma già nel sec. VII, il tiranno Policrate di Samo teneva un corpo permanente di 1000 arcieri. Le navi ateniesi a Salamina avevano ciascuna quattro arcieri, che saettarono i Persiani sbarcati nell'isoletta di Psittalea, e a Platea i 300 arcieri ateniesi (reclutati 30 per ognuna delle 10 tribù) erano i soli dell'esercito greco. Alla metà del sec. V il contingente fu portato a 160 per tribù, in tutto 1600. Accanto agli arcieri cittadini, Atene aveva per il servizio di polizia un corpo di schiavi pubblici sciti, arcieri, detti Speusinioi dal nome del loro organizzatore, erano 300 intorno al 450 a. C., poi 1200, accasermati nell'Agora e poi sull'Areopago. Questi arcieri servivano a piedi e a cavallo. Il servizio di guardia alle frontiere era disimpegnato dai cavalieri, ἱππεῖς, portati da 300 a 1200, compresi 200 ἱπποτοξόται ateniesi, istituiti forse già da Pisistrato. Nel 425 si arruolarono per la flotta i primi arcieri cretesi, e pare che intorno al 400 siano scomparsi gli arcieri cittadini e sciti. A Sparta solo nel 424 si creò un corpo di 400 cavalieri e arcieri per proteggere le coste dagli sbarchi: in seguito si arruolavano arcieri alleati o cretesi. Forti contingenti di arcieri sono in tutti gli eserciti greci dopo il sec. IV e specialmente nell'età ellenisnca.
In Italia, la testimonianza dei monumenti ci mostra che l'arco fu una delle armi principali degli Umbri, dei Lucani, dei Sardi, e degli Etruschi. Ma fino al tempo della seconda guerra punica la tradizione non conosce arcieri negli eserciti romani; Livio ricorda all'anno 217 (XXII, 37, 7) gli arcieri inviati da Gerone in aiuto ai Romani, al 214 (XXIV, 34, 5) gli arcieri sulle navi di Marcello all'assedio di Siracusa, e poi all'anno 207 (XXVII, 38) gli arcieri dell'esercito di Sicilia. Per i reparti di arcieri, i Romani ricorsero sempre ai soci, e troviamo nei loro eserciti arcieri cretesi, siriaci, iturei, ecc. Nell'epoca imperiale questi reparti ausiliarî diventano alae e cohortes regolari dell'esercito, a piedi o a cavallo o miste di fantì e di cavalieri, reclutati specialmente nei paesi che avevano la tradizione dell'arco (Tracia, Siria, ecc.). S'aggiungono poi i numeri irregolari. Dopo Diocleziano, il numero di questi reparti andò sempre aumentando: la Notitia Dignitatum dà 60 reparti di arcieri a cavallo e 13 a piedi. Numerosi reparti d'arcieri erano anche nell'esercito bizantino.
L'equipaggiamento degli arcieri è in genere leggiero; fanno eccezione solo alcuni reparti assiri e persiani. Nei poemi omerici si descrive l'equipaggiamento degli arcieri micenei: veste corta, senza elmo e scudo, con una pelle di belva sul capo. Il tiro si fa stando con un ginocchio a terra, e tenendo pronte le freccie al piede. Presso gli Assiri e nella Grecia omerica, come altrove, gli arcieri sono spesso protetti dagli scudi di altri guerrieri. L'abbigliamento degli arcieri ateniesi è simile a quello degli arcieri sciti: tunica corta che lascia nude le braccia e le gambe dall'alto delle coscie, in testa il berretto frigio, i piedi nudi o con alti stivaletti traci, turcasso sulle spalle o alla cintola; nessun'arma difensiva. I Cretesi, raffigurati spesso sulle monete delle città cretesi, che facevano dell'arciere il loro simbolo, portavano il turcasso sul dorso e un leggiero scudo.
Gli arcieri nel Medioevo. - Nell'Alto Medioevo l'arco non fu usato che per la caccia; Franchi, Sassoni, Alemanni, Burgundî, Inglesi, Cheruschi, Marcomanni lo disdegnavano ritenendolo arma "puerile e perfida".
Verso il sec. XI però Normanni ed Anglo-Sassoni appaiono armati di arco e ne fecero molto uso alla battaglia di Hastings (1066), che portò alla conquista dell'Inghilterra da parte dei Normanni. L'arco di questi ultimì era piccolo, di un metro circa; quello degli Anglo-Sassoni misurava quasi due metri e variava con la statura dell'uomo. Gli arcieri inglesi vennero in grande fama a partire dal sec. XIII; essi traevano sino a dieci o dodici frecce per minuto e fino alla distanza di 200 metri circa. Nei tempi umidi toglievano le corde degli archi per mantenerle asciutte, ed ebbero in tale modo grande vantaggio sui tiratori di balestra (quando divennero di uso frequente), benché queste avessero maggior gittata e colpo più penetrante.
In Francia e in italia nei sec. XI e XII gli arcieri costituirono speciali corpi comunali. Si reclutavano nelle classi inferiori: villani, operai, piccoli borghesi; il loro armamento non era costoso, né ingombrante, né pesante e si rinnovava facilmente. Era tanto curata in Piemonte l'istruzione nell'uso dell'arco, per avere buoni arcieri nel popolo, che nel 1206 Tomaso I di Savoia istituì ad Aosta una Compagnia dell'arco, riconfermata nel 1258 da Tomaso II: è questa la più antica notizia di un tiro a segno, che nel 1337 dette origine al giuoco dell'archibugio.
Intanto erano penetrate in Europa anche le balestre (v.) portate, forse, dai crociati alla fine del sec. XI. Sotto Luigi VI il Grosso (1098-1108) si diffusero in Francia; Filippo Augusto (1180-1223) creò le prime compagnie di balestrieri a piedi ed a cavallo, e la loro importanza divenne tale che il loro capo ebbe il titolo di Gran Maestro de' Balestrieri, carica che seguiva immediatamente quella di Maresciallo, e che solo nel 1515 fu riunita a quella di Gran Mastro dell'artiglieria.
Da noi, arcieri e balestrieri formarono il nucleo delle milizie comunali, le quali si affermarono alla battaglia di Legnano, contro Federico Barbarossa (22 maggio 1176), e sono spesso ricordati in documenti medievali.
In una cronaca trevisana del 1220, p. es., si legge che quando in guerra si facevano prigionieri e si stabiliva una taglia per il loro riscatto, questa era di 11 lire trevisane per ogni milite, e di 10 per ogni fante; gli scudieri e donzelli erano lasciati liberi, "gli arcieri perdevano solo armi e bagaglio"
Quando Firenze guelfa dichiarò guerra a Siena ghibellina, nel 1259, compilò un codicetto militare e, di più, regole di raccolta delle truppe, di condotta, di marcia e simili; tutti questi documenti sono riuniti nel cosiddetto Libro di Monteaperti, prezioso per le notizie che esso dà sulle costumanze militari.
Nei documenti predetti gli arcieri sono detti arcatori; le balestre, baliste; il che conduce molti commentatori a confondere le armi manesche con le macchine nevrotone di egual nome.
Nelle milizie fiorentine si impiegarono anche balestre da posta e sono spesso indicate col nome di baliste grosse e tornî; sappiamo di esse che erano portate a soma e che dovevano far parte delle salmerie per non ingombrare la marcia alle truppe spedite.,
Secondo il codicetto citato gli arcieri e balestrieri dovevano avere: panciera o coretto con maniche di ferro (o di lamiera) ovvero corazzette e maniche simili, cappello di acciaio o cervelliera (cioè piccolo casco), gorgiera o collaretto di ferro: se non avevano queste parti di armatura dovevano pagare un'ammenda; di più, dovevano tenere sempre pronta per l'esercizio un'arma propria "sub poena quam Potestas vellet auferre". Nelle marce gli arcieri e balestrieri erano alla testa delle fanterie; dietro essi venivano le "some de' palvesi" poi quelle delle balestre e de' tornî, infine il saettame e le tende del comune. Il saettame ora si direbbe il parco delle munizioni. Approssimandosi al nemico gli arcieri e balestrieri procedevano "per antiguardo"; teneva dietro ad essi, in una schiera, la cavalleria di tre sesti della città ed il popolo dei medesimi sesti; poi l'altra cavalleria ed il popolo dei sesti rimanenti.
In epoca successiva, al principio del'300, sappiamo che "balestrieri pisani e genovesi, stante la loro grande perizia, venivano chiesti a servire in guerra da tutte le parti" (Ricotti, Storia delle Compagnie di ventura in Italia). Così Rinieri de' Grimaldi, un fuoruscito genovese, per la destrezza dei suoi balestrieri fece vincere al re di Francia una battaglia combattuta presso i lidi d'Olanda nel 1304 ed egli medesimo uccise dodici nemici. Nel 1346, balestrieri genovesi in grande numero furono a servizio della Francia, alla battaglia di Crécy. Pare anzi che una delle cause che influì sulla rotta dei Francesi in quella battaglia, sia da vedersi in questa circostanza: sopravvenuta la pioggia, i balestrieri liguri ebbero difficoltà a caricare le loro armi mentre gli arcieri inglesi, i quali avevano modo di cambiare le corde dei loro archi, ebbero il predominio. Nel 1356 i Francesi subirono una nuova disfatta a Poitiers; l'inferiorità della balestra rispetto all'arco fu confermata, e i Francesi istituirono sotto altra forma (cioè sotto forma più moderna) il corpo degli arcieri già esistente nel Medioevo; la loro abilità divenne presto così grande, che i nobili cavalieri ne presero sospetto e gelosia e riuscirono a farli escludere dall'esercito. Furono ricostituiti alla metà del '400, e quando Enrico III organizzò nel 1579 le Compagnie di ordinanza, prescrisse che nessuno potesse appartenere alla gendarmeria (che era corpo scelto) se non fosse stato arciere, o cavalleggiero, né potesse essere arciere chi non fosse nobile.
In Italia l'istituzione degli arcieri e balestrieri si mantenne qua e là nei diversi eserciti dei piccoli stati, e dagli statuti sincroni come dai cronisti (specialmente dal Villani) risulta che verso il 1380 nelle bande mercenarie erano comprese, fra quelle a cavallo: arcieri da uno a due cavalli, e fra quelle a piedi: balestrieri, distinti dagli altri fanti comuni.
Gli arcieri a cavallo avevano armatura più leggiera degli uomini d'arme; i balestrieri a piedi dovevano avere corazzina, cervelliera, coltello, balestra, berrettone e turcasso; i fanti comuni: zuccotto, spada, coltello, lancia e palvese. Alla battaglia di Maclodio (11 ottobre 1426) tra i Veneziani condotti dal Carmagnola e i Milanesi condotti da Francesco Sforza e da Niccolò Piccinino, i primi avevano imboscati arcieri e balestrieri in grande numero e furono questi che decisero per la vittoria del Carmagnola sui due celebri capitani. Più tardi anche presso di noi si ebbero balestrieri a cavallo, come si legge in una condotta di Costanzo Sforza, Signore di Pesaro (17 febbrajo 1479) ov'era detto che egli doveva mantenere a servizio anche "tempore pacis, balestrieri a cavallo 25 di bona gente...".
Continuando l'esame dei documenti, si trova che nella guerra di Ferrara del 1482-1484 fra Ercole I e la Repubblica di Venezia, Giovanni Bentivoglio condusse in aiuto del duca "300 fanti, 100 uomini d'arme e 50 balestrieri bolognesi" e Marin Sanudo scrivendo di questa guerra (Commentari della guerra di Ferrara tra li viniziani ed il duca Ercole d'Este) dice: "... Vennero loro incontro (ai Veneziani) trecento balestrieri lombardi, i quali furono dagli stradiotti presi in mezzo, avendone uccisi molti; e tagliata loro la testa, se l'attaccarono alla cintura, per avere il premio consueto: ad altri tagliarono la lingua, ad altri la mano, lasciandoli andare acciò facessero conoscere a Milano la loro ferocia" (cfr. M. Borgatti, in Riv. d'Art. e Genio, 1917).
In una condotta di Bartolomeo d'Alviano con la Repubblica di Venezia (1513) questa si obbligò per ducati 50 mila all'anno, e l'Alviano si obbligò a fornire "... in essere 300 uomini d'arme e 500 balestrieri a cavallo, pronti ad ogni servizio..."
Da queste e da altre testimonianze risulta provato, per l'Italia, l'impiego continuo di arcieri e balestrieri a piedi o a cavallo, misti spesso agli schioppettieri, durante quasi tutto il secolo XVI.
In Germania vi furono balestrieri sino dal sec. XIII e l'imperatore Federico II nel 1232 mandò 50 cavalli e 100 balestrieri in aiuto di Ezzelino da Romano; poi la balestra divenne l'arma favorita dei Tedeschi, che la perfezionarono notevolmente. Essi ebbero in tutti i tempi, dal '300 al '500, balestrieri a cavallo con arma più leggiera (balestra a leva) e balestrieri a piedi con arma più complessa (balestra a martinello); finchè, diffusosi da parte della cavalleria l'impiego della pistola lunga d'arcione, gli arcieri e i balestrieri sparirono dalla Germania, come dal resto di Europa.
Brantôme scrive che nella giornata della Bicocca nel 1522, tra Francesco I e Carlo V, vi era sul campo un solo balestriero, ma così abile che "avendo Giovanni di Cardona aperta la visiera della celada per respirare, il balestriere tirò la freccia con tanta aggiustatezza che lo colpì nel viso e l'uccise...".
Nel 1627 all'assedio della Rochelle si trovarono ancora arcieri inglesi mercenarî al soldo di Richelieu.
Anche dopo che fu soppressa questa specie di armati negli eserciti europei, molte città dell'Italia Settentrionale e del nord della Francia, quelle del Belgio, e qualche città d'Inghilterra conservarono la loro compagnia di arcieri, come ultimo residuo dell'importanza che questi avevano avuto nel Medioevo; ed in Iscozia è mantenuta tuttora una compagnia di volontarî arcieri equipaggiata all'antica e armata dell'arco tradizionale.
Gli arcieri, invece, mantennero tutta la loro importanza fra i popoli meno progrediti: per esempio alla battaglia di Friedland fecero buona prova arcieri calmucchi al servizio della Russia, e riuscirono molto molesti ai francesi, e presentemente vi sono arcieri abilissimi fra gli Abissini, i Congolesi, i Senegalesi, gli Ottentotti, i Cafri ed anche fra i Lapponi e gli Esquimesi.
I Cinesi ebbero arcieri celeberrimi, e così pure i Mongoli; e si possono ricordare ancora gli arcieri baschiri che militarono ultimamente nell'esercito russo.
Circa la tattica seguita dagli arcieri nelle battaglie, nei primi tempi essi venivano messi di solito in linea sulla fronte dell'esercito per preparare l'azione. Era il loro tiro che doveva cominciare a mettere il disordine nelle file avversarie, permettendo così alla cavalleria di caricare con profitto. Poi si spargevano a raccogliere i prigionieri ed a finire i feriti. Questa era la tattica seguita in Oriente, donde ci venne l'istituzione. Più tardi, quando i cavalieri furono coperti d'armatura dal capo ai piedi e avevano grande scudo al fianco, gli arcieri non tirarono più di lancio, giacché le frecce sarebbero state inefficaci, ma le lanciavano in alto e queste, descrivendo una parabola, cadevano verticalmente con tutto il loro peso colpendo i cavalieri alle spalle, alle braccia, al viso e ferendo mortalmente i cavalli. Gli arcieri normanni avevano acquistata tale e tanta abilità in questo genere di tiro che potevano calcolare il punto giusto di caduta dei proietti, ed alla battaglia di Hastings dopo sei ore d'inutile lotta, conseguirono la vittoria facendone applicazione. Contro le fanterie era sempre preferibile, peraltro, il tiro diretto.
Gli arcieri inglesi traevano da ritti ed in ginocchio; tenevano le frecce in un turcasso; avevano la mano destra protetta da un guanto di cuoio e l'avambraccio sinistro da un bracciale di ferro per parare le vibrazioni della corda. Si riparavano dietro grandi palvesi di legno che piantavano in terra, o che fermavano a picche, pure piantate in terra e che servivano poi per la difesa nel caso d'attacco vicino. Questa tattica si diffuse in Europa, e anche presso di noi si trovano nel sec. XIV, come si è visto, arcieri e balestrieri alternati coi palvesatori (v. palvese).
L'uniforme degli arcieri, come si è accennato, subì variazione coi tempi: fu però sempre succinta e leggiera, quale si conveniva a soldati che dovevano combattere alla spicciolata e destramente. In particolare risulta da disegni che gli arcieri inglesi avevano due astucci (faretre) uno per l'arco e le corde di ricambio e uno per le frecce.
Arcieri furono chiamati anche ufficiali subalterni di giustizia o di polizia, armati di spada, di alabarda, d'arma da fuoco, incaricati di arrestare i ladri, di fare la guardia nelle città, di esercitare ordinanze giudiziali. Rimase poi questo nome a un soldato del prevosto al quale si commetteva o l'esecuzione dei soldati delinquenti, o anche, semplicemente, l'ordine e la pulizia delle prigioni disciplinari negli eserciti moderni. Fu soppresso nell'esercito sardo nella seconda metà del secolo passato.
Arciere era detto infine il soldato di guardia d'un principe, armato di piccola alabarda: il nome deriva dallo spagnolo archero, voce importata fra noi all'epoca di Carlo V per denigrare il soldato armato di coltellaccio in asta, chiamato in spagnolo archa. Si ricorda a questo proposito che Emanuele Filiberto di Savoia nel 1560 istituì una sua guardia personale, formata da archibugieri e da arcieri a cavallo: specialmente reclutati, questi, fra i Savoiardi, e la compagnia prese il nome di "Gentiluomini archieri".
Bibl.: W. Gaerte-H. Ranke-B. Meissner, art. Bogen, in M. Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, II, Berlino 1925, p. 49 seg.; A. J. Reinach, art. Sagitta; id. e R. Cagnat, art. Sagittarii, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiquités, IV, ii, p. 997 seg.; Fieber, art. Sagitta e Sagittarius, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., 1ª, col. 1742; E. Bulanda, Bogen und Pfeil bei den Völkern des Altertums, (Abhandl. des Archäol. Seminars der Univ. Wien, fasc. 15), Vienna 1913; A. Schaumberg, Bogen und Bogenschütze bei den Griechen, Norimberga 1910; J. Kromayer e G. Veith, Heerwesen und Kriegführung der Griechen, Monaco 1928, passim. Per la parte medievale: C. J. Longmans e H. Walrond, Archery, Londra 1894; H. Stein, Anchers d'autrefois, archers d'aujourd'hui, Parigi 1925.