Ardā di Virāf
Protagonista di un racconto escatologico iranico, giuntoci in un'originaria redazione pahlavi (Artāy Virāp nāmak) del VI secolo d.C., e in versioni da questa in neopersiano.
Ardā figlio di Virāf è un pio sacerdote zoroastriano, che nella confusione e incertezza religiosa succeduta alla distruzione dei libri sacri persiani ad opera di Alessandro, è prescelto per essere inviato in ispirito nell'aldilà, onde assicurarsi che le preghiere e pratiche rituali dei credenti giungessero ancora efficaci presso la divinità. Bevuto un vino narcotico, egli si addormenta e giace immerso per sette giorni in sonno profondo, mentre intorno a lui si tien vivo il fuoco sacro, si bruciano profumi e si recitano preghiere. Al termine dei sette giorni, l'anima di Ardā fa ritorno al corpo dalla sua trasmigrazione oltremondana, ed egli detta a uno scriba la relazione dell'escatologico suo viaggio. Guidato dagli angeli Serōsh e Atār, aveva attraversato il ponte Sinvat, e iniziata la sua visita ai regni d'oltretomba: anzitutto il Limbo, sede delle anime le cui buone e cattive azioni si equivalgono, poi i ‛ quattro paradisi ', delle stelle, della luna, del sole, e infine la ‛ Casa della lode ', sede del dio supremo. La descrizione della dimora dei beati, distinti per meriti e classi sociali, è uno dei luoghi più vivaci del racconto, che accenna solo brevemente e freddamente alla visione di Dio, e altrettanto freddamente descrive poi le sedi e pene infernali. Il racconto, impregnato dell'arido formalismo mazdaico, è privo di ogni drammaticità e caratteristica individuale nell'enumerazione dei tipi di anime incontrate, e riflette le prevalenti preoccupazioni più che etiche ritualistiche del mazdeismo, e l'organizzazione chiusa della società nella tarda epoca sasanide.
All'Ardā Virāf come possibile fonte di D. accennarono il Blochet, il Pizzi e soprattutto il dotto parsi J.J. Modi, ma nessuno ha potuto dare una soddisfacente indicazione per qual via il racconto medio-persiano, del tutto sconosciuto al Medioevo occidentale, possa esser giunto a cognizione del nostro poeta, a parte l'accennata sostanziale differenza di rappresentazione, di tono, di intenti etici e religiosi fra le due opere. Alla luce delle posteriori ricerche dell'Asín e del Cerulli, che localizzano nell'ambito musulmano una possibile secondaria componente dell'ispirazione dantesca, all'operetta parsi dell'Ardā Virāf non si può riconoscere, sotto questo lato, che un indiretto influsso fecondatore dell'escatologia islamica, essa stessa in tutt'altro che sicuro rapporto con la Commedia.
Bibl. - Artāy Virāp nāmak, trad. francese dell'abate Barthélemy, Parigi 1887; I. Pizzi, Storia della poesia persiana, Torino 1894; E. Blochet, Les sources orientales de la D.C., Parigi 1901; J.J. Modi, Dante Papers, Bombay 1914; A. Pagliaro, Storia della letteratura persiana, Milano 1960, 105-111.