DELLA PORTA, Ardicino (Adriano, Arduino)
Nacque da Pietro, figlio di Ardicino (rimasto vedovo, Ardicino era entrato nello stato ecclesiastico e divenne cardinale nel 1426) e da una Visconti, a Novara nel 1434. Compì studi giuridici, addottorandosi in utroque iure ed abbracciò la carriera ecclesiastica, divenendo vicario dell'arcivescovo di Firenze, Giovanni Neroni, il quale nel 1466 fuggì dalla città, essendo compromesso nella congiura contro Piero de' Medici.
Successivamente il D. fu uno dei prescelti dal papa per incontrare ed ossequiare l'imperatore Federico III, quando giunse a Roma, nel dicembre 1468. Ormai trasferitosi a Roma, fu nominato datario da Sisto IV e quindi referendario domestico fino a divenire il 22 febbr. 1475 vescovo di Aleria, in Corsica, diocesi che egli con ogni probabilità non vide mai. Iniziò allora una attività di prolegato che proseguì per vari anni. Fu infatti governatore di alcune città dell'Umbria e dalla Marca, come Perugia, Norcia, Todi, Terni e Città di Castello, dove era nel 1482. Contemporaneamente compì alcune missioni diplomatiche per la S. Sede: nel settembre del 1477 egli fu infatti inviato presso l'imperatore e presso Mattia Corvino, allora in stato di guerra fra loro.
Secondo le istruzioni il D. doveva recarsi prima presso Federico III e illustrargli il desiderio di Sisto IV di vedere cessare le ostilità fra i due sovrani, anche in vista di una eventuale spedizione contro i Turchi. Il D. doveva invitarlo inoltre ad acconsentire se non alla pace almeno ad una tregua e proporre un arbitrato del papa. Una volta effettuata questa prima parte della missione il D. doveva recarsi presso il re di Ungheria e fargli le medesime esortazioni con i medesimi argomenti. In Ungheria, inoltre, il D. doveva informarsi se corrispondeva a verità che l'arcivescovo di Esztergon fosse favorevole a Federico III e non all'Hunyadi.
Pochi mesi più tardi, nell'aprile del 1478, il D. era inviato, insieme col vescovo di Forlì, di nuovo presso l'imperatore. Essi dovevano consegnarli un breve del papa ed esortarlo ad adoperarsi per la liberazione dell'arcivescovo di Colonia imprigionato dal langravio d'Assia.
L'imperatore - si sosteneva nell'istruzione - aveva il dovere di proteggere gli ecclesiastici dell'Impero e tanto più l'arcivescovo di Colonia, che era un "elettore"; pertanto avrebbe dovuto inviare ambasciatori al langravio di Assia, accompagnati da uno dei due inviati del papa, insieme, costoro avrebbero ricordato al langravio il suo dovere verso il pontefice, arrivando a minacciare perfino la scomunica.
Nel 1483 il D. aveva un canonicato nella cattedrale di Novara, i cui cittadini pare l'avessero richiesto come vescovo, e almeno dal 1484 egli divenne abate commendatario del monastero benedettino di S. Michele di Brembio nella diocesi di Lodi. Insieme al Comune di Novara provvide alla riedificazione dell'ospedale dei poveri di S. Michele chiamato Domus Caritatis. Salito al soglio pontificio Innocenzo VIII (29 ag. 1484), questi lo nominò subito fra i suoi prelati assistenti, gli ridette poi la carica di datario e lo incaricò di "sovrintendere e spedire gli affari degli ambasciatori esteri".
Da allora il D. rimase quasi costantemente a Roma, presente a molteplici cerimonie. Il 20 dic. 1484 partecipò al concistoro tenuto nel palazzo apostolico presso S. Pietro per decidere la canonizzazione di Leopoldo d'Austria. Nel 1486 il D. fu nominato abate commendatario del monastero di S. Vittore a Milano. Fra il 1485 e il 1489 fu numerose volte celebrante o assistente del papa in cerimonie religiose e in consacrazioni. Alla fine di novembre 1488 gli fu concessa dal papa la facoltà di firmare commissiones et supplicationes proponendas,durante la malattia dello stesso pontefice.
Probabilmente all'inizio del 1489 il D. fu inviato in Francia.
Le sue istruzioni, senza data, conservate manoscritte nella Bibl. ap. Vaticana (Vat. lat. 13-454, cc. 13r-14r), lo esortavano ad invitare Carlo VIII a non "dar fede alle lingue cattive". Doveva inoltre dissuadere il re dall'idea di un concilio, del quale la "repubblica cristiana" non aveva alcun bisogno. Lo doveva esortare ad inviare a Roma aiuti in denaro o in altra forma e a persuadere a fare altrettanto gli altri principi cristiani che erano "oltra i monti".
Il 9 marzo del medesimo anno il D. fu nominato cardinale e prese il titolo di Ss. Giovanni e Paolo. Mantenne il vescovato di Aleria, divenendo noto come il cardinale aleriense. Il D., che possedeva una casa in Borgo Sistino e degli "orti" presso l'attuale vicolo del Campanile, continuò la vita in Curia, officiando, assistendo e partecipando a numerose cerimonie.
Nel giugno del 1491 il D. dette corso ad una decisione che aveva in animo di prendere già da qualche tempo. Fin dal 1484-85 egli aveva espresso al papa il suo desiderio di darsi alla vita monastica e ne aveva finalmente ottenuto licenza oralmente nell'aprile, ricevendone poi anche conferma scritta.
Il 10 giugno il D. chiamò a sé tutta la famiglia e consegnò a un fratello una "cartula", in cui erano espresse le sue volontà riguardo ai suoi beni materiali, destinati ai convocati. Senza rispondere alle domande dei familiari che volevano sapere dove fosse diretto, egli, presi con sé cinque "famuli", uscì dalla città "non ut cardinalis, sed ut simplex clericus" (Infessura, Diario, p.265). Era convinto infatti di non poter raggiungere la salvezza continuando nella sua vita precedente, ma probabilmente non divenne mai monaco. Sembra fosse diretto nel convento di Monteoliveto nel territorio di Siena, come sostengono alcuni; altri però lo dicono associato all'Ordine camaldolese, altri ancora ai minori. Era tuttavia arrivato appena a Ronciglione quando inviava al papa, il 2 o il 12 giugno, una lettera in cui ancora sosteneva, perorava e difendeva le sue tesi. Era avvenuto che il S. Collegio aveva fatto opposizione all'abbandono da parte sua della dignità cardinalizia e che il papa aveva, quindi, receduto dalle decisioni già prese. Nella lettera il D. riepilogava le vicende avvenute prima della sua partenza, enumerava quanti lo avevano preceduto nel rifiuto delle dignità papali, cardinalizie e vescovili, sostenendo che ai cardinali per così dire dimissionari non era stato necessario il permesso del S. Collegio, ma soltanto quello del papa. Concludeva con umilissime e fervidissime preghiere per ottenere quanto desiderava. Probabilmente tornò direttamente a Roma, senza nenimeno aver raggiunto la sua destinazione. Era comunque nell'Urbe il 18 del medesimo mese.
Avendo evidentemente accettato di conservare la dignità cardinalizia, nel marzo del 1492 il D. accolse il card. Giovanni de' Medici al suo arrivo a Roma e gli rese visita poco dopo in occasione della morte del padre. Nel conclave che seguì alla morte di Innocenzo VIII (25 luglio 1492) il D., che l'Infessura definisce "uomo dottissimo", pervenuto al cardinalato "propter virtutem et benemerituni", fu uno dei candidati la cui elezione al pontificato era ritenuta probabile. L'oratore estense, ritenendo che i voti di Giuliano Della Rovere sarebbero in breve confluiti in suo favore, sosteneva che la sua elezione era desiderata da tutti "per la somma bontà sua". Tuttavia il D. fu poi uno dei fautori di Ascanio Sforza, dal quale fu infine indotto a votare per il Borgia. Alessandro VI subito dopo la sua incoronazione gli manifestò la sua gratitudine, concedendogli vita natural durante per "singularia merita", non altrimenti specificati, verso il pontefice stesso e verso la S. Sede, l'oppidum di S. Lorenzo e il castrum Griptarum con tutte le loro pertinenze (Arch. segr. Vaticano, Arm. 39, t. 17, c. 135v) e creandolo abate commendatario del monastero benedettino di S. Martino nella diocesi di Giavasino (Györ) in Ungheria. Il 22 giugno del medesimo 1492 aveva rinunciato all'amministrazione del monastero di S. Silano di Romagnano, nella diocesi di Novara. Poco dopo l'elezione pontificia il D. si ammalava e, rimasto infermo per cinque mesi, finiva i suoi giorni a Roma il 4 febbr. 1493.
Lasciò un buon ricordo di sé, come appare da una lettera dell'oratore fiorentino, che scrisse a proposito della sua morte: "Veramente tutta questa corte ne ha preso dispiacere per essere stato persona di buona et santa vita" (Burchardo, Diarium, II, p. 37). Le esequie si celebrarono in S. Pietro, presente Alessandro VI. Fu seppellito nell'oratorio di S. Tommaso, nella basilica vaticana, presso la tomba del nonno omonimo ed in seguito fu traslato nelle Grotte vaticane, dove ancora sono la sua tomba e il suo epitaffio. L'orazione funebre recitata da Francesco Cardoli da Narni, che era stato suo segretario, fu stampata insieme alla lettera del D., diretta a Innocenzo VIII da Ronciglione (Ind. gen. degli Incunaboli, n. 2523). L'orazione, secondo L. A. Cotta, fu ristampata a Milano nell'anno 1700 e la lettera si legge anche nei Fasti del Palazzi (II, coll. 435 s.) e nell'edizione ottocentesca del Diarium del Burchardo (I, pp. 524 ss.). Secondo lo stesso Cotta, egli avrebbe scritto anche una Nuncupatoria delle Epistole di s. Leone Magno.
Fonti e Bibl.: Bibl. ap. Vaticana, Chig. Q I 6, cc. 131-15v, 24r-26v (altre copie anche nell'Arch. segr. Vaticano, cfr. Sched. Garampi, serie Cronologico, sub data;cfr. inoltre ibid., Serie Vescovi, s. v. Aleriensis); V. Forcella, Iscrizioni delle chiese... di Roma, VI,Roma 1875, pp. 48, 50; S. Burchardi Diarium,a cura di L. Thuasne, I-II, Paris 1883-1884, and Indicem;S.Infessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tommasini, Roma 1890, pp. 239, 265 s., 279; Idue primi registri di prestito della Biblioteca apostolica Vaticana...,a cura di M. Bertola, Città del Vaticano 1942, pp. 11, 34, 82; I. Burchardi Liber notarum, in Rer. Ital. Script.,2 ed., XXXII, 1, a cura di E. Celani, ad Indicem;G. Garimberti, La prima parte delle vite... d'alcuni papi e di tutti i cardinali passati, Vinegia 1567, pp. 120 s., 253 ss., 482; L. A. Cotta, Museo novarese...,Milano 1701, pp. 72-75; G. Palazzi, Fasti cardinalium..., II,Venetiis 1703, coll. 434-38; L. Cardella, Mem. stor. de' cardinali...,III, Roma 1793, pp. 231 ss.; G. Muzi, Mem. civili di Città di Castello, II,Città di Castello 1844, pp. 60, 221; G. B. Picotti, Giovanni de' Medici nel conclave per l'elezione di Alessandro VI, in Arch. della Soc. romana di storia patria, XLIV (1921), pp. 95, 99, 116 s., 157; L. von Pastor, Storia dei papi,III,Roma 1959, pp. 313, 331, 333, 336, 509, 1018; E. Cattaneo, Istituzioni eccles. milanesi, in Storia di Milano, IX,Milano 1961, p. 595; G. Moroni, Diz. di erud. storico-eccles., LIV, pp. 153 s.; C. Eubel, Hierarchia catholica Medii Aevi..., II, Monasterii 1914, pp. 20, 48 ss., 85; B. Katterbach, Refend. utriusque Signat.,Città del Vaticano 1931, pp. 43, 50, 54 s.