MARCELLINO, Ardigotto
Appartenente a una famiglia della Parte popolare di Milano, nacque intorno al 1160.
Per ricchezza, prestigio e stile di vita la famiglia del M. poteva essere paragonata alle più potenti stirpi aristocratiche, ma fino al 1277 non entrò a far parte della nobiltà cittadina, non avendo legami vassallatico-feudali con l'arcivescovo o con l'Impero. I Marcellino risiedevano nel pieno centro cittadino, non lontano dal broletto, nella parrocchia di S. Tecla, connotando con la loro presenza un'intera strada detta appunto "contrada dei Marcellino". Possedevano consistenti beni fondiari, in varie località dei contadi di Milano e di Como, e diversi membri della famiglia esercitavano la mercatura o avevano comunque legami di affari con esponenti del mondo del commercio. I Marcellino arrivarono rapidamente ai vertici della vita politica milanese con Pedrocco, console cittadino nel 1151, nel 1160 e nel 1167. A lui seguirono Ruggero, console nel 1169, nel 1171, nel 1177 e rettore della Lega lombarda nel 1178, e Abiatico, console nel 1170. Sullo scorcio del XII secolo emerse, in particolare, la figura di Drudo Marcellino, che ebbe un'importante carriera fuori dalla città: egli fu infatti podestà di Genova nel 1196 e nel 1197, di Vercelli nel 1198, nel 1200 e nel 1207, di Verona nel 1204, di Vicenza nel 1209, di Piacenza nel 1210 e di Alessandria nel 1211. Suo figlio Abiatico fu rettore di Alba nel 1221 e di Alessandria nel 1225 e nel 1228.
Ancora in giovane età, il M. fu chiamato a ricoprire il consolato nel 1184 e nel 1190. Nel 1198 la discordia fra la nobiltà milanese dei capitanei e dei valvassori e il Popolo sfociò in una dura contrapposizione, anche armata, e nella creazione dell'associazione popolare detta Credenza di S. Ambrogio, retta da un Collegio consolare. Nel 1201 il conflitto riprese con intensità e le parti, secondo il racconto del cronista trecentesco Galvano Fiamma, si diedero una guida unitaria. La guida della Credenza fu assunta da Drudo Marcellino: iniziò in tal modo un legame tra la famiglia del M. e i populares, destinato a raggiungere il suo culmine negli anni successivi.
Nel 1212, infatti, dopo un succedersi di scontri ed effimere tregue, l'imperatore Ottone IV tentò di pacificare le due fazioni, ordinando un'equa divisione delle cariche pubbliche fra nobiltà e Popolo. In conseguenza di tale provvedimento, nel 1213 venne istituito un Collegio di quattro podestà, che dovevano reggere la città: i due aristocratici furono Manfredo de Buxinate e Ottone Mandelli, i due popolari Busnardo Ingoardi e il Marcellino. Sulla scia di Drudo, il M. si affermava dunque come una delle figure di riferimento della Pars populi.
Dopo tale incarico, il M. fu consigliere del Comune nel 1215 e nel 1218 fu posto per la prima volta a capo della Credenza di S. Ambrogio, schierando il Popolo su posizioni avverse all'imperatore Federico II di Svevia.
Egli era dunque un personaggio di rilievo, che possedeva vasti beni fondiari amministrati dinamicamente: nei primi decenni del Duecento, infatti, acquistò terre nei pressi della città, nelle località di Pantigliate e Poasco e ne vendette ai Prealloni e ai Beccaria, importanti famiglie popolari, con le quali evidentemente aveva stretti rapporti. Il suo tenore di vita assimilabile a quello di un nobile è attestato dalle parole di un uomo che nel 1211, nel corso di un processo, asserì di averlo visto percorrere i propri beni nel contado con un corteo di cani e scudieri (cfr. Grillo, p. 340).
Il riaccendersi del conflitto politico in città proiettò nuovamente il M. in un ruolo di primo piano. Nel 1221 l'arcivescovo di Milano, Enrico da Settala, scomunicò infatti il podestà di Monza per una vertenza che lo opponeva alla locale canonica di S. Giovanni. Il Comune cittadino intervenne a difesa del suo funzionario e, il 15 agosto di quell'anno, giunse a bandire il prelato. Ne nacque una nuova stagione di scontri fra Popolo e nobili, conclusasi nel dicembre di quell'anno con la fuoriuscita dalla città degli aristocratici e dello stesso arcivescovo. Essi si rifugiarono a Cantù, trovando l'appoggio delle famiglie signorili della Brianza settentrionale. I populares per meglio affrontare l'emergenza decisero di darsi una guida unitaria, eleggendo a loro podestà proprio il Marcellino. Egli agì con vigore e, nell'agosto del 1222, guidò una spedizione armata a Vaprio d'Adda, dominio dell'arcivescovo, distruggendone il castello. L'esercito popolare puntò poi contro le roccaforti dell'aristocrazia rurale, mettendo a sacco anche le fortezze di Pirovano, Barzanò, Mergano e Verano, nonché Carugo e Giussano, sedi dell'importante consorteria dei da Giussano. In generale, pare che l'intera parte settentrionale del contado ambrosiano, il cosiddetto comitato di Martesana, sia stata corsa dal M., nell'evidente intento di colpire l'aristocrazia della regione per punirla dell'aiuto fornito ai fuoriusciti. Il conflitto, pur senza ulteriori episodi d'armi, proseguì fino al 1225, quando l'arcivescovo era ancora a Cantù, affiancato da molti nobili.
Nei quattro anni di predominio in città il Popolo, guidato dal M., intraprese importanti riforme, imponendo la nomina di ufficiali comunali in tutti i borghi del contado, tentando di sottomettere anche i nobili al Fisco urbano e sviluppando in generale il peso e l'efficienza dell'amministrazione pubblica. Infine, nel 1225 un fattore esterno fece cessare il conflitto: l'attività politica sempre più intensa da parte di Federico II in Lombarda, soprattutto nella preparazione della Dieta convocata a Cremona per la primavera del 1226. In tale situazione non era possibile che Milano, la principale esponente del fronte antimperiale, rimanesse indebolita dalle discordie interne, sicché le altre città della Lega lombarda premettero per una pacificazione, raggiunta nel luglio del 1225, nell'ambito della quale le due parti trovarono un accordo, rinunciando i nobili a diversi dei loro privilegi e i popolari a varie riforme compiute nel periodo del loro predominio.
Fra le diverse clausole, la pace del 1225 prevedeva che il Popolo e gli aristocratici rinunciassero a darsi dei podestà, affidando le rispettive societates a Collegi consolari. Il M. dovette così abbandonare la carica e il potere che aveva esercitato nel quadriennio precedente. Negli anni successivi egli restò partecipe della vita politica milanese, ma in ruoli più defilati. Il 26 marzo 1227 fu tra i testimoni dell'atto con cui i rappresentanti della rinnovata Lega lombarda definirono le loro condizioni per trovare un accordo con l'imperatore e le trasmisero a papa Gregorio IX. Nell'ottobre successivo il M. presenziò a un trattato fra i Comuni di Vercelli e di Milano. Nel 1228 fu podestà di Lodi, dove lasciò un buon ricordo, visto che suo figlio Pedrocco fu a sua volta chiamato a reggere la città nel 1232 e nel 1234.
Il suo impegno nel Comune pacificato nel suo interno e ormai in conflitto aperto con l'imperatore e i suoi alleati portò il M. a partecipare, nel 1231, a una campagna militare contro il marchese di Monferrato Bonifacio II assediando la roccaforte di Chivasso. Secondo Galvano Fiamma, durante l'operazione, iniziata il 18 agosto e conclusasi con la resa del borgo il 15 sett. 1231, il M. perse la vita trafitto da una freccia.
La notizia che fosse capitano generale dell'esercito milanese, riportata da alcuni storici, è un'illazione posteriore, priva di riscontri documentari. La scomparsa del M. segnò il ridimensionamento del ruolo politico dei Marcellino. A partire dal 1240 come nuovi leader popolari si affermarono infatti Pagano e Martino Della Torre. L'ultimo esponente di rilievo della famiglia fu Azolino, podestà di Brescia nel 1255 e sfortunato rivale di Martino Della Torre quale anziano del Popolo nel 1259. Secondo Fiamma, Azolino morì negli scontri fra i suoi seguaci e quelli di Martino; in realtà probabilmente Azolino, allora o in un momento successivo, lasciò la città e si unì ai fuorusciti antitorriani. Dopo la sconfitta dei Della Torre e l'ingresso in Milano di Ottone Visconti, nel 1277, i Marcellino, quale ricompensa per il loro schieramento politico, furono dichiarati nobili e ammessi fra i capitanei. Il loro ruolo nella vita politica della città non tornò però mai più ai livelli del primo Duecento.
Fonti e Bibl.: G. Fiamma, Manipulus florum sive Historia Mediolanensium, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XI, Mediolani 1727, coll. 668, 671, 688; Notae S. Georgii Mediolanenses, a cura di P. Jaffé, in Mon. Germ. Hist., Script., XVIII, Hannoverae 1863, p. 389; Chronicon extravagans et Chronicon maius auctore Galvaneo Flamma, a cura di A. Ceruti, in Miscellanea di storia italiana, VII, Torino 1869, p. 748; Gli atti del Comune di Milano fino all'anno 1216, a cura di C. Manaresi, Milano 1919, pp. 213, 247, 511, 561; Gli atti del Comune di Milano nel secolo XIII, I (1217-1250), a cura di M.F. Baroni, Milano 1974, pp. 50, 204, 215, 260, 276; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, I, Torino 1978, pp. 317, 322-326; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo… di Milano…, IV, Milano 1855, pp. 218, 276 s., 282, 285, 289 s., 336; G. Franceschini, La vita sociale e politica nel Duecento, in Storia di Milano, IV, Milano 1954, pp. 206-208; J. Koenig, Il "Popolo" dell'Italia del Nord nel XIII secolo, Bologna 1986, pp. 111, 114; M. Vallerani, Le città lombarde nell'età di Federico II, in Storia d'Italia (UTET), VI, Comuni e signorie nell'Italia settentrionale, La Lombardia, Torino 1998, pp. 398 s.; P. Grillo, Milano in età comunale (1183-1276). Istituzioni, società, economia, Spoleto 2001, pp. 338-343, 405, 457, 477, 481, 569, 660.