AREA
. Considerando una superficie limitata, tutti sanno, in modo più o meno preciso, che cosa si possa intendere per estensione, o, come si dice più propriamente, per "area" della superficie stessa. Specialmente nelle applicazioni pratiche è per l'appunto questo concetto che ha la massima importanza; così, p. es., il valore di un appezzamento di terreno non dipende dalla forma del suo contorno, ma, astraendo da altri pregi non geometrici, dipende soprattutto dalla sua area. Similmente, se vogliamo verniciare la superficie di un certo oggetto e desideriamo sapere perciò la quantità di vernice che ci occorre, a noi non interesserà affatto la forma dell'oggetto stesso, ma solo la sua area, poiché ad essa è proporzionale la quantità di vernice da usare. E anche da numerosi altri esempî si vede come questo concetto geometrico di area d'una superficie trae le sue origini intuitive da una quantità di esperienze e di necessità pratiche.
Del resto, tutto quel complesso di teorie che oggi vanno sotto il nome di "geometria" (parola equivalente all'altra, latina, "agrimensura", misurazione dei campi), è nato inizialmente dalla necessità degli agricoltori di poter valutare l'estensione, la grandezza di un campo.
È poi implicito nel concetto comune che, se si considerano due o più pezzi di superficie, l'area totale è uguale alla somma delle aree parziali dei singoli pezzi; il che si esprime dicendo che "l'area gode della proprietà additiva" (v. additiva, proprietà).
Così pure, se una figura ne contiene interamente una seconda, si dice che questa ha un'area minore della prima (la prima ha un'area maggiore della seconda, perché costituita dalla somma dell'area inserita e dell'area che le resta attorno).
Date queste proprietà fondamentali, l'area d'una superficie risulta dunque una grandezza, di tipo ben determinato. Per valutarla, dovremo confrontarla con una certa area, fissata una volta per sempre, che si prenderà per unità di misura, p. es., l'area di un quadrato col lato di un metro; il rapporto fra l'area da valutare e questa unità sarà un certo numero, che si dice la misura dell'area stessa.
Figure piane rettilinee (poligoni). - Il problema accennato della misura delle aree si risolve facilmente per tutte le regioni piane limitate da segmenti rettilinei, o poligoni, come comunemente si chiamano. Basterà infatti spezzare il poligono considerato in tanti triangoli, mediante un sistema di diagonali, valutare separatamente l'area di ciascuno di questi triangoli, e poi far la somma di tutte queste aree parziali, per avere l'area totale del poligono.
Siamo così ricondotti al caso più semplice di determinare l'area di un triangolo qualunque. Per far ciò si cerca di tagliare il triangolo considerato in tanti poligoni parziali, e di ricomporre poi con questi un'altra figura, che avrà evidentemente la stessa area del triangolo (si dice anche che essa è equivalente al triangolo considerato), ma che sia più facilmente misurabile; p. es. un rettangolo di altezza uguale al lato del quadrato unità di misura, e base conveniente (in questo caso, l'area del rettangolo, e quindi anche quella del triangolo equivalente, è data infatti dal rapporto della base all'altezza del rettangolo).
Ciò si può sempre fare, con un numero finito di costruzioni geometriche, eseguibili con la riga e il compasso, e quindi anche il problema della misura dell'area di un poligono qualunque è risolubile con queste operazioni elementari.
Come si vede, questo problema ha fatto nascere quella teoria, così importante nella geometria elementare, che studia le trasformazioni lmno nell'altro di due poligoni equivalenti, cioè somme di poligoni uguali, e quindi di area uguale (teoria dell'equivalenza).
Diamo appresso un elenco di formule per la misura A dell'area dei poligoni più comuni; con le lettere intendiamo, come di consueto, le misure delle grandezze appresso indicate:
Triangolo:
Pei poligoni regolari (cioè con tutti i lati ed angoli uguali), l'area A si ottiene dalla formula A =
(p = perimetro = somma dei lati, a = apotema = distanza del centro da un lato), oppure dalla formula
in particolare:
Altre figure piane. - Quando si voglia invece misurare l'area di figure piane limitate non più soltanto da segmenti rettilinei ma anche da curve, in tutto o in parte, il problema diventa molto più difficile. Come dal problema precedente della misura dei poligoni si può ritenere abbia avuto origine buona parte della geometria elementare, e soprattutto la teoria dell'equivalenza, dal problema della misura delle figure piane limitate da curve ha avuto la prima origine tutta quella vasta branca della matematica superiore, e più precisamente del calcolo infinitesimale, che va sotto il nome di calcolo integrale. La differenza sostanziale consiste in questo, che, mentre nel caso dei poligoni la valutazione dell'area si può sempre eseguire, come già abbiamo detto, con un numero finito di operazioni, nel caso ora considerato ciò è impossibile, non potendosi più tagliare le figure limitate da curve in un numero finito di poligoni elementari (triangoli o rettangoli). Bisogna perciò determinare tutta una successione di valori, via via più approssimati, dell'area cercata, e solo il numero limite, a cui ci si avvicina sempre più col succedersi indefinito di queste determinazioni, può rappresentarci il valore esatto dell'area cercata. Questo valore può dunque ottenersi solo con un procedimento infinito di passaggio al limite.
Fin dall'antichità, questo problema richiamò l'attenzione degli studiosi; soprattutto non può essere taciuto il metodo ingegnoso che permise al sommo Archimede il calcolo dell'area di parecchie figure.
Per determinare l'area di una figura, racchiusa da una curva Archimede cominciava col sottrarre alla figura un poligono ad essa interno, di cui potevasi facilmente calcolare l'area. Dalla figura rimanente sottraeva via via altri poligoni, sempre più sottili, fino ad esaurire completamente la figura stessa (donde il nome di metodo di esaustione dato a questo procedimento); sommando le aree dei poligoni sottratti si avevano valori sempre più approssimati, per difetto, dell'area cercata, il cui valore esatto era dato dal limite della successione di questi valori. Col metodo di esaustione Archimede poté calcolare l'area del circolo, del settore parabolico, ecc., nonché parecchi volumi.
Dal metodo di esaustione degli antichi siamo passati ai metodi più moderni del calcolo integrale, che, sebbene più generali, dànno però sempre l'area cercata (esatta) come un limite di infiniti valori approssimati. Se si vuol determinare, infatti, l'area A di un campo C (fig.1) racchiuso da una curva (non intrecciata), si tracciano sul piano considerato due sistemi di rette parallele, tra loro ortogonali, e si considerano tutti i rettangolini, formati da queste rette, e interni alla curva; la somma delle loro aree, facilmente calcolabile, sarà allora l'area di una figura poligonale tutta interna alla curva data, e quindi minore dell'area cercata. La somma delle aree dei rettangolini, che contengono anche solo qualche punto interno alla curva, sarà invece l'area di un'altra figura poligonale, contenente completamente la curva data, e quindi maggiore dell'area cercata. Si ottengono così due valori approssimati, uno per difetto, l'altro per eccesso, dell'area racchiusa dalla curva. La loro differenza, e quindi anche l'errore commesso, che è ad essa inferiore, sarà tanto minore quanto più piccoli sono i lati dei rettangolini, poiché questa differenza non è altro che l'area di tutti i rettangolini che contengono qualche punto del contorno. Quando si considerano successioni di valori sempre più approssimati, il loro limite, compreso sempre tra le approssimazioni per eccesso e quelle per difetto, giusto come l'area cercata A, dovrà dunque darci proprio la misura esatta di quest'area. Questo limite s'indica col simbolo
e si chiama l'integrale d'area esteso al campo C. Si dice anche qualche volta, impropriamente, che esso è dato dalla somma (il segno ∉ d'integrale è una deformazione della lettera s iniziale di "somma") di tutti gl'infiniti rettangolini, di lati infinitesimi dx e dy (e quindi d'area uguale al prodotto d x d y), interni al campo C; ma abbiamo già visto che il valore esatto dell'area A non è propriamente una sormma, sibbene il limite di una successione di somme approssimate.
Così pure, quando si vuol calcolare l'area A racchiusa da tre segmenti rettilinei, di cui due perpendicolari al terzo negli estremi (fig. 2) e da un arco di curva congiungente gli estremi liberi di questi due, si può procedere in modo simile, dividendo l'area stessa in tante striscioline mediante rette parallele ai due segmenti. L'area di ognuna di queste sarà maggiore del massimo rettangolo iscritto in essa, e minore del minimo rettangolo circoscritto; quindi anche l'area cercata sarà compresa tra quella di tutti i rettangoli iscritti e quella di tutti i rettangoli circoscritti. Le somme delle aree dei rettangoli iscritti o circoscritti saranno valori tanto più approssimati dell'area cercata (per difetto o per eccesso, rispettivamente), quanto più sottili sono le striscioline; il limite di tutte queste approssimazioni sarà proprio l'area A. Se in questo piano fissiamo delle coordinate cartesiane x, y (v. analitica, geometria) prendendo per asse y uno dei due segmenti perpendicolari al terzo, e questo, di lunghezza l, per asse delle x, ed è y = f (x) l'equazione della curva che completa il contorno dell'area cercata, il limite precedente, uguale all'area A, s'indica col simbolo
e si chiama l'integrale definito tra 0 e l (ascisse degli estremi del segmento base) della funzione f (x). Qualche volta si dice anche, impropriamente, che quest'area A è la somma (ricordata nel segno ∉ d'integrale) delle infinite striscioline di altezza f(x) e di base infinitesima d × (e quindi di area uguale al prodotto f(x) d(x) in cui è stata divisa l'area stessa.
Comunque, da ciò che precede, si rileva come il concetto di integrale definito di una funzione prenda la sua origine da quello intuitivo di area, anzi non ne sia altro che una precisazione e una definizione analitica.
Un'altra espressione dell'area A, racchiusa da una curva piana L, si ha dall'integrale curvilineo A =
se x e y sono le coordinate cartesiane di un punto che descriva la curva L nel senso diretto, lasciando cioè l'area interna alla sinistra. L'espressione più generale dell'area A di una regione C, in coordinate qualunque u, v, è data poi dall'espressione
dove:
è il determinante jacobiano della trasformazione x = x (u, v), y = y (u, v), e D è il campo delle coppie di coordinate u, v dei punti interni alla regione considerata. Se questo determinante jacobiano è uguale a 1, la rappresentazione che a ogni punto del piano cartesiano u, v fa corrispondere un punto del piano cartesiano x, y, si dice equivalente, poiché due campi di punti corrispondenti nei due piani, come C e D, hanno uguale area. Questa nozione è molto importante nella teoria delle carte geografiche.
Col calcolo integrale si riesce poi a definire e calcolare, in alcuni casi, anche l'area di regioni che si estendono all'infinito. Così p. es., si trova che l'area compresa tra la cissoide e il suo asintoto è uguale a 3 volte quella del cerchio, da cui ha origine la curva.
Vi sono poi anche varî strumenti meccanici detti planimetri per il calcolo dell'area racchiusa da una curva: descrivendo la curva con una punta dell'apparecchio, questo fornisce immediatamente l'area cercata.
Diamo qui sotto, infine, un elenco di formule per il calcolo dell'area A di alcune figure piane, racchiuse dalle curve più comuni.
Circolo:
Ellisse:
Settore parabolico (compreso tra una corda e l'arco di parabola)
dell'area del parallelogramma circoscritto che ha un lato sulla corda.
Cicloide (area compresa tra un'arcata e il segmento congiungente i due estremi), A = 3 volte quella del cerchio generatore (v. cicloide).
Lemniscata (area racchiusa da un cappio), A = metà dell'area del quadrato costruito sul semiasse.
Area di superficie curve. - Per la definizione e il calcolo dell'area delle superficie curve, sorgono questioni anche più complicate che nei casi precedenti; si riesce però ancora, col calcolo integrale, ad ottenere un'espressione dell'area, roispondente al concetto intuitivo che tutti ne abbiamo. Intanto, nel caso più semplice che la superficie considerata possa distendersi su un piano senza slargature o ripiegature, sia cioè sviluppabile, come si dice con un termine più esatto, il problema è ricondotto al caso precedente. Ogni pezzo di una tale superficie verrà infatti a distendersi in una regione piana, limitata da un certo contorno, e la sua area sarà calcolabile coi procedimenti già esposti. Così, p. es., nel caso di una superficie cilindrica o conica, basterà tagliare la superficie stessa lungo una generatrice e poi distenderla su un piano.
Nel caso di superficie che non si possono distendere su un piano, cioè di superficie non sviluppabili, come p. es. la sfera, possiamo immaginare di approssimare la superficie stessa mediante tante striscioline di superficie sviluppabili, tangenti alla superficie stessa lungo un sistema di linee abbastanza ravvicinate. Così, p. es., nel caso della sfera, seguendo il metodo di Archimede, possiamo immaginare di racchiudere la sfera stessa entro un solido formato da tante striscie tangenti a un sistema di paralleli (superficie laterali di altrettanti tronchi di cono), e poi di calcolare l'area totale di tutte queste striscioline di sviluppabili. Quest'area darà un valore approssimato dell'area cercata; e sarà tanto più approssimato quanto più le striscioline sono ravvicinate e sottili. Il limite di una successione di valori sempre più approssimati, ottenuti considerando striscie di larghezza indefinitamente decrescente, sarà il valore esatto dell'area cercata.
Un altro metodo per la definizione dell'area di una superficie curva era stato proposto mediante la considerazione di superficie poliedriche, iscritte nella superficie stessa. Facendo impiccolire indefinitamente le facce, si definitiva l'area della superficie come il limite delle aree delle superficie poliedriche iscritte; Schwarz però osservò giustamente che se le facce impiccolivano indefinitamente, ma non si accostavano indefinitamente al piano tangente alla superficie in uno dei loro vertici, questo limite poteva risultare indeterminato.
L'obbiezione fu rimossa, definendo l'area della superficie come il limite delle aree di una successione di superficie poliedriche iscritte, quando le facce di queste si restringano indefinitamente, e contemporaneamente i loro piani si accostino indefinitamente al piano tangente in un vertice.
Un altro modo di definire l'area, in modo ben rispondente alla concezione intuitiva, è quello dato da Minkowski. Questo matematico immagina di tracciare, col centro in ogni punto della superficie data, tante sfere di raggio uguale, molto piccolo. I punti interni a queste sfere verranno a riempire una certa regione dello spazio, e cioè uno strato di spessore doppio del raggio, racchiudente nel suo nterno il pezzo di superficie. Il volume di questo strato si otterrà approssimativamente moltiplicando il suo spessore per l'estensione della superficie, cioè per la misura di quella grandezza, che intuitivamente pensiamo come area della superficie stessa; viceversa, dividendo il volume dello strato per il suo spessore (diametro delle sfere), si avrà un valore approssimato di quest'area. Esso sarà tanto più approssimato quanto più è piccolo il diametro; il valore limite di questo quoziente del volume dello strato per il diametro delle sfere, quando il diametro s'impiccolisce indefinitamente, darà il valore esatto dell'area cercata.
Del resto, ancora oggi si discute da molti matematici sul modo migliore di definire esattamente il concetto di area di una superficie, in maniera confacente all'idea intuitiva che tutti ne abbiamo. Fra i lavori più recenti ricorderemo quelli del Tonelli e quello del Severi, secondo il quale si parte da due diverse considerazioni intuitive, di cui una si ricollega alla possibilità, dimostrata dal matematico russo Čebyšev, di rivestire qualunque superficie regolare con un pezzo di stoffa (i fili della stoffa vengono a disegnare sulla superficie una "rete di Čebyšev").
La considerazione di due sistemi di linee tracciate su una superficie (reticolo), in ciascuno dei quali le linee stesse siano individuate dai valori di due numeri u, v, ci permette d'individuare ogni punto della superficie, intersezione di due linee corrispondenti ai valori u, v, mediante la coppia di numeri u e v. Se la distanza ds di due punti infinitamente vicini corrispondenti alle coppie u, v e u + d u, v + d v è data, come di consueto, da una espressione del tipo
l'area A di una regione della superficie si ottiene calcolando l'integrale doppio (v. integrale)
esteso al campo D di tutte le coppie di valori u, v, che individuano punti della regione considerata.
Se invece una superficie è individuata da un'equazione del tipo z = f(x, y), essendo x, y, z coordinate cartesiane ortogonali, l'area A di una regione della superficie, incontrata in un solo punto al più dalle rette parallele all'asse z, è data dall'integrale doppio
esteso al campo C, proiezione della regione considerata sul piano x, y. In questa formula p, q sono le derivate parziali della funzione f (x, y), cioè
Non possiamo infine tralasciare di accennare al fatto che il problema di determinare la curva chiusa (circolo), di data lunghezza, e racchiudente l'area massima (problema degli isoperimetri) è stato il punto di partenza di un ramo fiorente della matematica moderna, cioè del calcolo delle variazioni.
Diamo appresso l'area A di alcune superficie più comuni:
Cilindro circolare retto (area laterale):
Cono circolare retto (area laterale):
Sfera:
In generale, l'area A di una superficie di rotazione, limitata da due paralleli, è data dall'integrale
in cui r = f(x) è l'equazione della curva sezione meridiana, l'asse x è l'asse di rotazione, a, b, sono le ascisse dei due paralleli che limitano la regione considerata, r′ è la derivata della funzione f(x).
Principio delle Aree. - La seconda legge di Keplero afferma che le aree descritte dai raggi vettori dei pianeti sono proporzionali ai tempi impiegati a descriverle. È questo un caso particolare di un principio generale che prende il nome di principio delle aree o dei momenti delle quantità di moto.
Si chiama quantità di moto areale di un punto materiale P rispetto ad un punto fisso O il prodotto vettoriale del vettore
per la quantità di moto del punto mV???. Il nome deriva dal fatto che il vettore così definito ha grandezza eguale, salvo il fattore m/2, al rapporto tra l'area dS descritta in un tempo infinitesimo d t dal raggio vettore OP e il dt tempo stesso. Nel caso di un sistema costituito da più punti materiali, prende il nome di quantità di moto areale rispetto a un punto fisso O la somma vettoriale delle quantità di moto areali dei varî punti materiali del sistema rispetto al punto O.
Sia Q la quantità di moto areale di un sistema rispetto a un punto O e sia M il momento delle forze esterne applicate al sistema rispetto ad O. Vale allora la seguente relazione (teorema delle quantità di moto areali o principio delle aree):
Prende il nome di principio della conservazione delle quantità di moto areali un caso particolare del teorema precedente che si ha quando il momento delle forze rispetto al punto O è nullo. In questo caso risulta dalla formula precedente che la quantità di moto areale è costante (in grandezza e direzione).
Segue in particolare che se un sistema non è soggetto ad alcuna forza esterna, la sua quantità di moto areale rispetto a un punto qualunque è costante. Così pure è costante la quantità di moto areale di un sistema rispetto a un punto O quando le forze esterne che agiscono sul sisterna sono tutte dirette verso il punto O (poiché in questo caso il momento delle forze esterne rispetto ad O è evidentemente nullo). Per questa ragione risulta costante la quantità di moto areale di un pianeta rispetto al Sole, quando si trascuri la perturbazione dovuta agli altri pianeti. La seconda legge di Keplero esprime appunto questa proprietà.
Area in Architettura.
I Latini con la parola area indicavano uno spazio di terreno libero, di forma pianeggiante, che aveva funzioni di piazza. Questi luoghi in genere erano consacrati a qualche divinità, e in tal caso si abbellivano con altari eretti al centro, o con colonne, statue, ecc.
Per proteggere queste aree e indicarne i limiti alle costruzioni dei privati, si usava anche recingerle con steccati o con muro. Area si diceva anche lo spazio scoperto lasciato sul davanti di una casa di abitazione o di un edificio pubblico. Anche così era chiamato il terreno libero di un cimitero sul cui perimetro si disponevano i sepolcri. Al centro era la pira su cui venivano bruciati i cadaveri.
Area fabbricabile. - S'intende uno spazio di terreno libero e che sia adatto alla costruzione di edifici e a ciò destinato dai piani regolatori secondo norme fissate dai regolamenti edilizî. Infatti, di una area dichiarata fabbricabile non tutta la superficie può realmente essere coperta da costruzioni, giacché i regolamenti fissano oltre che le altezze del fabbricato in rapporto alle larghezze stradali e alle zone della città, anche dei rapporti tra la parte costruibile e quella da lasciar libera rispetto all'area totale (v. edilizia).
In Italia i regolamenti fissano solo le dimensioni dell'area da lasciar libera secondo le zone e le altezze dell'edificio, mentre all'estero qualche volta sono fissati dei veri e proprî allineamenti liniti interni, di modo che in un'area fabbricabile rimane libera una grande zona interna formante un ampio cortile o giardino.
È notevole l'influenza del valore delle aree fabbricabili sulla formazione delle moderne città e sul fenomeno detto urbanesimo. Con l'espandersi spesso impreveduto e rapidissimo dei centri degli abitati, le aree poste alla periferia subiscono fortissimi aumenti di valore, tanto da decuplicare di prezzo in pochi anni.
L'autorità comunale deve sempre prevedere tali possibili aumenti e necessità di espansione, e quindi esercitare un controllo anche per mezzo di forti indemaniamenti di aree fabbricabili poste nelle varie zone della città. Anche il predisporre servizî pubblici, strade, ecc. influisce sul valore delle aree fabbricabili.
L'elevatissimo prezzo delle aree nel centro delle grandi metropoli moderne ha spinto l'uomo a creare gli skyscrapers, o grattacieli, come a New York, Chicago, ecc., in cui lo sfruttamento di un'area di superficie relativamente limitata è spinto al massimo con l'innalzarvi edifici di 70 o 80 piani, di cui alcuni sotto il livello del suolo. Anche nelle città europee ed italiane comincia una crisi simile per il grande valore che assumono oggi le aree dei centri cittadini. Benché i regolamenti edilizî contrastino in Italia questa tendenza a raggiungere la maggior altezza compatibile coi mezzi che offre la tecnica moderna, pure, in certi periodi di crisi di alloggi, possono emanarsi disposizioni transitorie per consentire la sopraelevazione di edifici esistenti oltre i limiti normali permessi dai regolamenti. Ciò però, oltre che arrecare danni estetici, produce anche un maggior affollamento delle zone centrali, senza poi risolvere la crisi.
Area di un edificio è la superficie della proiezione verticale della figura geometrica che la costruzione copre nel terreno.
Area di una stanza, di un ambiente, è la superficie della superficie geometrica tracciata dalle mura perimetrali e completamente libera.
Area in Embriologia.
Già dagli antichi embriologi, il nome di area venne dato a varie formazioni che, durante i primi stadî di sviluppo, si mostrano nel germe dei vertebrati, particolarnente dei vertebrati superiori, degli Amnioti, e che si scorgono più distintamente quando si esamini dal di sopra, cioè dalla faccia dorsale, con una lente d'ingrandimento o col microscopio e a luce trasmessa il germe in situ o distaccato, opportunamente tenuto in soluzione fisiologica di cloruro di sodio o preparato in altro modo.
Nelle uova dei rettili e degli uccelli, così nell'uovo di gallina, che può essere preso come esempio, quando sta per iniziarsi lo sviluppo, si vede al polo superiore o animale - nella parte superiore della sfera che costituisce il tuorlo - una piccola macchia di color bianco opaco, dapprima circolare, poi ovale, nella quale avviene la segmentazione e dalla quale procede lo sviluppo dell'embrione; essa si chiama area germinativa. Dopo avvenuta la segmentazione, il germe si distende maggiormente alla superficie del tuorlo, a guisa di una membrana pianeggiante, di forma ovale, e costituisce il blastoderma (fig. 3). Intanto il tuorlo immediatamente sottostante si fluidifica e si forma Così la cavità subgerminale, al di sopra della quale il blastoderma sembra poggiare come un vetro da orologio. Di mano in mano che lo sviluppo embrionale progredisce, il blastoderma si estende sempre più alla superficie del tuorlo. Poco dopo che il blastoderma si è costituito, la sua parte di mezzo appare più sottile, più chiara, alquanto trasparente, e si denomina area pellucida (area chiara o area germinativa trasparente), mentre la restante parte periferica, più spessa perché contiene il sincizio marginale o cercine marginale, si mostra piuttosto scura, e si dice area opaca (area scura, area germinativa scura). Dalla porzione centrale dell'area pellucida si sviluppano la linea primitiva e il vero embrione, ossia si sollevano le forme del corpo dell'embrione, e pertanto quella porzione centrale si distingue col nome di area embrionale (area embryonalis); nel blastoderma dei rettili è rappresentata dallo scudo embrionale. All'incontro, tutta la zona del blastoderma che sta al di fuori dell'area embrionale, e che comprende la rimanente parte dell'area pellucida e l'area opaca, si chiama area estraembrionale (area extraembryonalis): essa non partecipa alla costruzione del corpo dell'embrione, ma è destinata alla formazione degli annessi embrionali, quali la parete del sacco vitellino, l'amnio, la sierosa o corion. Nel blastoderma delle uova dei selaci e dei teleostei, l'area estraembrionale è impiegata alla formazione del solo sacco vitellino. Nell'uovo di pollo, l'area pellucida da principio è circolare, poi, con l'accrescersi in superficie, si allunga maggiormente secondo l'asse sagittale dell'embrione. Nell'area opaca, la quale dapprima circonda a guisa di ferro di cavallo, accogliendole nella sua concavità, le regioni posteriori e laterali del blastoderma, si formano, dal materiale di una determinata porzione del mesoderma, i primi abbozzi del sangue e dei vasi sanguiferi. Si sviluppano quindi i vasi della circolazione vitellina. Questi però non comprendono tutta l'intera larghezza dell'area opaca, ma ne lasciano libera una zona esterna marginale, sicché in essa si distinguono ora due territorî a forma di anello, di cui uno interno, l'area vasculosa (area vascolare o campo vascolare), l'altro esterno, l'area vitellina, che circonda la prima. Più tardi l'area vasculosa viene a trovarsi alla periferia di tutta l'area pellucida ed è situata tra questa e l'area vitellina. Nell'area pellucida si propaga la formazione dei vasi. Col progredire dello sviluppo, l'area vascolare, delimitata all'esterno da un ampio seno marginale circolare, detto seno o vena marginale (seno terminale), si estende sempre più perifericamente nella parete del sacco vitellino. L'area pellucida nell'uovo di pollo, nei primi giorni dello sviluppo, s'ingrandisce, appare molto sottile e trasparente, è percorsa da fini vasi sanguiferi che camminano paralleli tra loro, in direzione trasversale rispetto all'asse longitudinale dell'embrione, e non formano una ricca rete, come nell'area vascolare propriamente detta. L'embrione avvolto dall'amnio si adagia, come sopra un molle cuscino, sull'area pellucida, la quale per il peso di quello s'infossa nella sottostante cavità subgerminale, ingranditasi e ripiena di tuorlo molto fluido, e viene a circondare l'amnio e l'embrione. Gaspare Federico Wolff adoprò il nome di falso amnio, in opposizione al vero amnio, per denotare, appunto, quella fossa del blastoderma delimitata dalle pieghe del sacco vitellino nella quale l'embrione da principio si approfonda (fig. 4). Similmente accade nei Rettili (fossetta embrionale [Lereboullet] o letto embrionale [Bathke]).
L'area vitellina (campo vitellino), che è la porzione del blastoderma dei rettili e degli uccelli che sta alla periferia dell'area vascolare, rappresenta la zona più esterna dell'area opaca, non possiede vasi, risulta costituita solo dall'entoderma o foglietto vitellino e dall'ectoderma, e precede l'area vascolare nel cammino della parete del sacco vitellino verso il polo inferiore. A mano a mano che vi penetra il mesoderma coi vasi, essa si va sempre più restringendo. L'area vasculosa si estende sempre più alla periferia a spese dell'area vitellina. Nei selaci l'area estraembrionale lascia distinguere soltanto un'area vascolare e un'area vitellina.
Nei mammiferi che hanno segmentazione totale, al termine della segmentazione si ha la vescicola blastodermica o blastocisti, vale a dire il blastoderma a forma di vescicola. L'embrione si forma nella parte centrale della calotta superiore della blastocisti, dove alla fine della segmentazione si trova, attaccato alla parete della blastocisti, un particolare accumulo di elementi, il bottone o gemma embrionale: questa parte viene chiamata area centrale (area centralis): essa corrisponde all'area embrionale.
Nella vescicola blastodermica di certi mammiferi si può distinguere nell'area estraembrionale un'area pellucida, un'area opaca (area scura), un'area vascolare (area vasculosa) con una fitta rete di capillari, e si distingue pure, talvolta, al polo inferiore un'area vitellina, dove l'entoderma vitellino e l'ectoderma coriale si trovano per un certo tratto direttamente uniti tra loro senza l'interposizione del mesoderma. Anche nei mammiferi il primo sviluppo del sangue e dei vasi avviene al di fuori dell'embrione nella membrana mesodermica del sacco vitellino.
Con l'area centrale sopra ricordata non ha invece nulla che fare l'area centrale della retina, che è il luogo della massima visione nella retina dell'occhio dei vertebrati (v. occhio e retina).