ARECHI I
Secondo duca longobardo di Benevento; parente e forse precettore dei figlioli di quel Gisulfo I cui Alboino, nel 569, appena entrato in Italia, aveva affidato il compito di difendere i confini orientali del regno, col titolo di duca del Friuli. A. fu insediato a Benevento come successore di Zottone, morto nei primi mesi del 591, da Agilulfo, probabilmente dopo che queseultimo aveva ricevuto il riconoscimento della sua potestà regale da parte dei Longobardi riunitisi in Mílano nel maggio.
Recentemente il Bognetti ha avanzato l'ipotesi che A. - secondo lui un nobile al seguito di quel Gisulfo (II) che, nel 590, s'era ribellato in Istria con l'aíuto degli imperiali al padre Grasulfò I, duca dei Friuli - fosse stato spinto a Benevento proprio dai Bizantini; mette cioè. in rapporto la nomina di A. a duca di Benevento con la comparsa, quasi contemporanea, a Spoleto di Ariulfo, da lui identificato con l'Ariulfo che comandava i contingenti longobardi agli ordini defl'ipostratego Giovanni Mistakon nella battaglia alla confluenza dei Nymphios col Tigri (a. 582) e che ritiene tornato in Italia nell'invemo del 590 insieme con le truppe di Nordulfò. Non vi è tuttavia motivo di negar fede alla notizia data da Paolo Diacono, secondo la quale A. sarebbe stato insediato a Benevento dal re Agilulfò; e questo per molte ragioni. A. infatti proveniva dal Friuli, e Paolo Diacono, friulano, anche se poteva ignorare (cosa che sembra d'altro canto difficile, dato che fu monaco a Montecassino negli ultimi tempi della sua vìta) tante cose avvenute nell'Italia meridionale in quel periodo, era bene a conoscenza - e lo dimostra a varie riprese - dei casi, dall'arrivo di Alboino in poi, della propria terra, dove, ancora alla sua epoca, doveva esser vivo il ricordo della famiglia di A. e delle sue vicende. Paolo Diacono, inoltre, avverte, di norma, se a Benevento una successione avviene ereditariamente o no, e se vi sia o meno intervento del re; intervento che è ricordato appunto per A.' come poi per Gregorio (a. 732), per la restaurazione di Gisulfo II (a. 742) e per Arechi II. Da ultimo si può ricordare come, tradizioni beneventane e friulane a parte, fonte per questa sezione dell'opera di Paolo Diacono sia l'Historiola dell'abate Secondo di Non, personaggio assai vicino ad Agilulfo e alla regina Teodelinda, che poté, quindi, valersi di notizie e di documenti di prima mano.
Probabilmente la nomina di A. a duca di Benevento rientra nel più vasto quadro della politica interna di Agilulfo, tendente a riaffermare il prestigio della corona sull'autorità ducale; creando duca a Benevento uno che non era dei capi scesivi con Zottone, il re intendeva evidentemente porre un freno alle tendenze autonomistiche dei Longobardi che si erano insediati e che conducevano la guerra nell'Italia meridionale. Ma A. non poteva rimanere insensibile alle istanze dei nuovì sudditi e non adeguarsi alla realtà politica locale, specie se si tiene presente l'iniziale debolezza della sua posizione, minata dal carattere del suo avvento certo assai impopolare fra i Beneventani; e, infatti, A. cercò di svincolare subito il suo potere dall'ipoteca regia, legandosi ai Bizantini con un giuramento di fedeltà da lui più tardi violato quando, in lega con Ariulfo di Spoleto allora in lotta nell'Italia centrale (592-593), aveva anch'egli attaccato i territori bizantini, riprendendo le direttive dì conquista ch'erano state di Zottone: dopo aver devastato le città di Velia, Busento e Blanda sulla costa tirrenica della Lucania, aveva spostato nel 392 la sua azione più a nord, contro le città della costa campana e del Latium. Le sue truppe avevano investito Napoli con taleviolenza da farla dare per persa, invaso i territori di Formia e di Fondi e distrutto quest'ultima. Così pure per tutto il periodo che Agilulfò operò nell'Italia centrale (593-594), A. si mantenne sulla stessa linea di Ariulfo di Spoleto; i due duchi non solo non collaborarono col re, ma cercarono, per quanto era loro possibile, di intralciargli il passo interrompendo le loro azioni contro gli Imperiali. Avevano previsto, infatti, che con la sua marcia su Roma, motivata dal timore che nell'Italia centromeridionale si venisse a creare uno stato di cose pregiudizievole alla sicurezza del suo trono (nel timore che A. ed Ariulfa stessero per divenire alleati dell'Impero o lo fossero già), Agilulfò avrebbe ottenuto lo scopo di prendere l'iniziativa nella politica italiana, facendovi prevalere il peso della sua autorità, e avevano valutato il pericolo che sarebbe derivato a loro e alla autonomia dei loro ducati. Perciò Ariulfo aveva lasciato il re a combattere solo contro i Bizantini, né aveva opposto resistenza a questi ultimi quando (novembre 594) avevano rioccupato i territori perduti nel 593 ad opera delle truppe di Agilulfo; per questo A., mentre ancora nel 593 continuavano le sue conquiste in Lucania e nei Bruttii, l'anno dopo si era fermato in una posizione di attesa, tanto che Gregorio Magno poteva prendere in due diocesi dell'Italia meridionale provvedimenti che mal si concilierebbero col persistere di propositi ostili nel duca di Benevento: il rientro del clero a Myria (località non identificata dei Bruttii) e la nomina del vescovo di Nola a visitatore della Chiesa di Capua, città che i Beneventani avevano conquistato dopo l'aprile del 593. A., dunque, si astenne da azioni offensive contro i Bizantini fino al 595. Ma da quest'anno, adoperandosi il papa perché si addivenisse ad una pax generalis fra Longobardi e Bizantini, Ariulfo (che pure nel 592 si era mostrato assai favorevole a una tregua e perfino ad un'aueanza cogli Imperiali) modificò radicalmente la sua poiitica in senso ostile a una tregua negoziata fra Agilulfo e l'esarco; e A. fu ancora una volta al suo fianco. Un'intesa fra il re, il papa e l'esarco nqn avrebbe potuto rivelarsi, alla fine, che dannosi per i due duchi e per l'autonomia dei loro statì. Per questo A., tra la fine del 595 e la primavera del 598, riprese, dopo quasi due anni di quiete, l'offensiva contro gli Imperiali in Campania, in Lucania, nei Bruttii e perfino nel Lazio: caduta dopo il 591 V??, l'intera Campania, alla fine del 595, era controllata dalle sue truppe; nel 596 Napoli e le altre città bizantine della costa erano state chiuse nel loro entroterra. Nell'estate del 596 la Lucania era stata completamente sottomessa e così pure buona parte dei Bruffii, di cui rimanevano ai Bizantini le fortezze sul mare ed i territori più meridionali; trail 596 e il 597 contingenti beneventani agivano nella zona della Sila e lungo la costa ionica, dove conquistarono Crotone. L'anno dopo li ritroviamo nel Lazio, sotto Terracina; e forse Beneventani erano quei Longobardi che si trovavano, come scrisse il papa alla patrizia Rusticiana, nei dintorni di Roma nella primavera del 598, proprio l'anno in cui venne conclusa e sottoscritta quella pace fra il re e l'esarco che il papa aveva tanto desiderata e alla quale i duchi di Spoleto e di Benevento e"o acceduti assai malvolenfieri per le ragioni precedentemente dette. Anche se nell'Italia meridionale continuarono, facendosi anzi più fitte dopo il 600, probabilmente come riflesso della ripresa delle ostilità nel settentrione, le incursioni contro le città bizantíne (nel 601 contingenti beneventani operavano nei pressi del Sarno, il che vuol dire che Nola era già caduta nelle loro mani; nel 602 mantenevano sotto il loro controllo il territorio di Napolì), i rapportì fra il papa ed A. migliorarono notevolmente dopo la tregua del 598; ne fa fede la lettera che papa Gregorio, inviò ad A. nel 599, Pregandolo di agevolare, Per quanto era in suo potere, il trasporto delle travi necessarie ai lavori di restauro della basilica vaticana, travi che erano state ricavate da boschi di proprietà della Chiesa nei Bruttii ancora occupati dai Bizantini. In questa lettera il papa non qualifica più A. come hostis, ma coi titolo di 0~~ vestra, come autorità riconosciuta cui ci si possa rivolgere con piena fiducia. E proprio in questi anni, gli ultimi dei pontificato di Gregorío, I, furono ristabilité molte sedi vescovili nei Bruttii, nella Lucania e nella Campania; in quelle regioni, cioè, che avevano maggiormente provato e rínvasione e la guerra.
Poco sappiamo degli ultimi anni della ducea di A.: non conosciamo né l'atteggiamento da lui preso nei confronti dei torbidi che travagliarono l'Italia bizantina fra il 616 e fi 619, né come sì comportasse rispetto alla politica accentratrice di Rotari (636-651). Certo profittò della rivolta di Giovanni da Conza a Napoli (615-616) e della repressione di questo moto ad opera dell'esarco Eleuterio per estendere ancor più le sue conquiste, importante fra tutte quella di Salemo, che, stretta da ogni parte, dovette arrendersi dopo breve assedio e per accordo (dopo il 626), dato che non fu devastata e che il suo vescovo, Gaudioso, poté continuare a risiedervi. Con Rotari dovette mantenersi in buoni rapporti; anche se cercò di giocare ancora una volta sull'anmgonismo fra il Regno e l'Impero per salvaguardare l'autononùa del suo ducato. P, di questi anni, infatti - i suoi ultimi anni - (dopo il 636 e prima del 641), il viaggio di suo figlio Aione a Pavia, presso la corte del re. Narra Paolo Diacono che Aione si fermò, durante il tragitto, a Ravenna, e che qui gli venne propinata, "Romanoruin malitia ", una pozione che gli avrebbe sconvolto la mente; a tal punto che A., quando volle designare il proprio successore, non fece il nome del figlio, ma quelli di Radoaldo e di Grimoaldo, i superstiti figli di Gisulfò II del Frìulì, i quali, dopo la tragìca morte dei fratelli Taso e Cacco (uccisi a tradimento in Oderzo dal patricius bizantino Gregorio), si erano rifugiati presso di lui, loro . 5 da cui erano stati adottati (prima del 625). P,, questa del viaggio di Aione, una vicenda assai oscura, di cui non possiamo valutare, per il momento, né le cause né le conseguenze.
Due ipotesi si potrebbero avanzare. A., temendo una minaccia da parte dei Bizantini, voleva assicurarsi l'aiuto di un re che sapeva esser loro sicuramente ostile, e allora Aione si sarebbe fermato di sua iniziativa a Ravenna, forse allettato da proposte bizantine; cosi ci si spiegherebbe, meglio di quanto non faccia il racconto di Paolo Diacono, il proposito di A. d'interdire il figlio. Oppure A., minacciato nella sua autonomia dafl'autorità del re, avrebbe cercato di accordarsi nuovamente con l'esarco, sebbene sembri strano che A., dopo che i suoi figli adottivi, Radoaldo e Grimoaldo, avevano così duramente sperimentato la perfidia greca, cercasse ancora di accordarsi coi Bizantini, i quali, dal canto loro, non potevano non guardarlo con sospetto, dopo la sua defezione dei 592: in questo caso Aione sarebbe stato il portavoce di A.' e i Bizantini avrebbero cercato di sobillarlo contro il padre o gli avrebbero propinato davvero quella tal pozione. Ad ogni modo non sembra accettabile l'ìpotesi avanzata dallo Hirsch, per altro in forma assai dubitativa, secondo la quale Aione sarebbè stato inviato a Pavia perché gli venisse rìconosciuto il diritto alla successione.
Sotto la guida di A. la conquista longobarda dell'Italia meridionale venne quasi completata; salve lievi modifiche il ducato di Benevento, alla morte di A. - che si può considerare il suo vero fondatore -, aveva acquistato l'estensione che avrebbe poi mantenuto negli anni successivi. Confinava a nord col ducato di Spoleto e comprendeva parte della Valeria, col territorio di Teate (Chieti), parte del Latium con Atina, Aquino e i loro territori, Fondi e Formia sul confine del ducato di Roma (bizantino). Da lì si estendeva sulla maggior parte della Campania, dove s'erano mantenuti indipendenti i due importantissimi scali di Napoli e di Gaeta, coi loro distretti, e la fascia costiera a nord e a sud di Napoli da Cuma ad Amalfi, sull'intera Lucania e su buona parte dei Bruttii con Crotone e Cosenza (la zona di Turris e Tauriana, se pur non era occupata, era però controllata dai Beneventani). Nell'Apulia era rimasta ai Greci la parte più meridionale, la Calabria cioè, coi territori della città di Taranto, Brindisi, Gallipoli, Otranto ed Oria. All'intemo i Longobardi possedevano tutto il Samnium.
Nulla sappiamo della vita economica e culturale del ducato sotto Arechi. Quanto al trattamento riserbato dai conquistatori agli Italici, questi vennero considerati come vinti, costretti a pagare tributo, ma non perdettero la loro personalità giuridica e non furono sottoposti a particolari gravezze dopo il primo periodo dell'invasione. I Longobardi di Zottone e di A., per la massima parte ancora pagani, non infierir ono contro i cattolici e i loro luoghi di culto: gli episodi di arbitri e di violenze a noi noti si riferiscono tutti al periodo della conquista; le distruzioni da loro operate nell'Italia meridionale rientravano nei loro sistemi di guerra. Lo stesso papa Gregorio ammette che non vi furono persecuzioni religiose da parte loro, e attribuisce il fatto a un intervento speciale della Provvidenza divina; è anzi questo papa, ìnoltre, che ci dà la signdìcativa notizia di frequenti fughe di Italici, vessati dai funzionari bizantini, presso i Longobardi, e non solo di persone per cui, come gli schiavi e i coloni, ogni cambiamento era in meglio, ma di possessores, di milites e perfino di ecclesiastici. Tutto questo fece sì che invasori e vinti venissero a formare un complesso omogeneo: allo stato attuale delle nostre conoscenze, nulla sappiamo di odi di razza o di rivolte tentate dall'elemento italico contro i Longobardi, anche nei momenti di maggior pericolo per questi ultimi.
Fonti e Bibl.: Erchemperti Historia Langobardorum Beneventanorum, a cura di G. Waitz, in Monumenta Germ. Hist., Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum, Hannoverae 1878, cap. 5, p. 236; Pauli Diaconi Historia Langobardorum, a cura di L. Bethmann-G. Waitz, íbíd., III, 35, pp. 113-II S; IV, 19, pp. 122 s.; IV, 34, p. 128; IV, 37, pp. 128-130; IV, 38, p. 132; IV, 39. p. 133; IV, 42 ss., pp. 134 ss.; V, 28, p. 153; Gregorií I Papae Registrum epistolarum, a cura di P. Ewald e L. M. Hartmann, ibid., Epistolae, I-II, Berolini 1887-1899, nn. 1, 66; 11, 28, 33, 34, 42, 45, 48; 111, 13, 15, 34; IV, 15, 39, V; 9, 13, 14, 27, 34, 38, 40; VI, 11, 23, 32, 58; VII, 23, 38; VIII, 19, 22; IX, II, 44, 66, 80,81, 124, 125. 126, 127, 142, 162; X, 6, 7; XI, 31, 54; XII, 12, 16; XIII, 4, 20, 21; Epistolae Langobardicae collectae, a cura di W. Gundlach, ibid., III, Epistolae Merowingici et Karolini aevi, I, Berolini 1892, n. S. DD. 696 s.; Oratio encomiastica infesto S. Gaudiosi, in Acta Sanctorum Octobris, XI, Parisiis et Romae 1869, p. 906 ss.; Regesti: L. Bethmann-O. Holder-Egger, Langobard. Regesten, in Neues Arch.r GeselIschaftMr dItere deutsche Geschichtskunde, 111, 2 (1878), pp. 227 S., 229-318, passim; A. Di Meo, Annali critico-diplom. del Regno di Napoli della Mezzana Et......