ARESE LUCINI, Francesco Teodoro
Nato a Milano il 30 genn. 1778 dal conte Benedetto e dallaa marchesa Margherita Lucini, compì gli studi, dal 1788 al 1795, in un collegio di Parma, Chiamato alle armi nel 1797 dal governo della Repubblica Cisalpina, prestò dapprima servizio in un corpo speciale di usseri creato dal generale Bonaparte dopo il suo ingresso in Milano; scioltosi poi questo corpo, l'A. entrò come allievo nella Scuola di artiglieria e genio di Modena. Invaso dagli Austro-russi il territorio della repubblica, seguì la ritirata delle truppe francesi e partecipò ai combattimenti: per la difesa della Liguria. Nel dicembre 1799 fu costretto dalle cattive condizioni di salute a lasciare l'esercito, e soltanto nell'agosto 1802 poté rientrare nella vita pubblica come segretario aggiunto al ministero degli Interni. Tre anni più tardi tornò però nuovamente sotto le armi, e con il grado di capitano comandò la guardia d'onore a cavallo dell'imperatore Napoleone, venuto in Italia a cingere la corona di re d'Italia, ottenendo in ricompensa dei suoi servigi le cariche di scudiero e maresciallo degli afloggi di S.M.I.R. Nel marzo 1806 divenne capo di battaglione nel reggimento dei veliti reali, e nei tre anni successivi prese parte alle campagne di guerra in Dalmazia, nel Tirolo, in Carinzia e in Croazia. In questo periodo i suoi meriti furono riconosciuti con la concessione del cavalierato dell'ordine della Corona di Ferro e del titolo di barone del regno. Nell'agosto 1810, dopo un breve servizio nel reggimento dei granatieri della Guardia, fu promosso colonnello, e come tale gli venne affidato il comando del Io reggimento fanteria di linea, con il quale partecipò nel 1811-12 alle operazioni di guerra svolte dalle truppe del Regno italico nella penisola iberica: nel corso di questa campagna fu ferito tre volte e per il valore dimostrato gli fu concessa da Napoleone l'onorificenza della Legion d'onore. Nel 1813 fu costretto a rientrare in Italia per la salute malferma, e nel maggio di questo stesso anno venne nominato capo divisione al ministero della Guerra e Marina, carica che mantenne sino alla caduta del Regno italico. Fece pure parte del successivo govemo provvisorio, in qualità di membro della comiiiissione straordinaria di guerra che aveva sostituito il vecchio nùnistero, ma nel 1815, essendo nuovamente peggiorate le sue condizioni di salute, dette le dimissioni e si ritirò a vita privata.
Nei primi anni della restaurata dominazione austriaca, l'A. continuò a vivere in disparte, senza occuparsi di politica, ma, avendo legami di amicizia con il Pecchio e con il conte Confalonieri, fu da questo convinto a entrare nella cospirazione che aveva come obiettivo la liberazione della Lombardia e la sua unione con il Piemonte. Pur senza aderire alla società segreta dei Federati, egli partecipò quindi a diverse riunioni dei congiurati; il suo nome venne iscritto nella lista dei componenti il governo provvisorio, destinato a reggere la Lombardia dopo la cacciata degli Austriaci, come membro per la guerra e quartiermastro generale della Guardia nazionale. Falliti i moti insurrezionali piemontesi del 1821 e la cospirazione lombarda a essi collegata, la polizia austriaca riuscì rapidamente a mettere le mani su molti degli implicati, compreso il Confalonieri. Arrestato a sua volta il 6 luglio 1822, l'A., non appena gli fu chiesto se sapesse o supponesse il motivo di tale provvedimento, rispose che non essendo abituato a mentire gli era ora impossibile cambiare carattere e che pertanto era disposto a rivelare quanto sapeva. Le sue deposizíoni, sostenute senz'astio ma sino in fondo durante il confronto a cui fu sottoposto con lo stesso Confalonieri, aggravarono notevolmente la posizione di quest'ultímo.
Dall'esame dei verbali delle sedute in cui la commissione inquirente discusse la sorte degli accusati appare chiaramente come questo comportamento giovasse all'A., che venne particolarmente raccomandato alla clemenza imperiale perché con le sue deposizioni aveva " somministrato gravissimi argomenti per abbattere l'ostinazione del Confatonieri ". La sua deposizione non fu tuttavia che uno degli elementi che compromisero il Confalonieri.
Con sentenza del 21 genn. 1824, l'A. venne riconosciuto colpevole del reato di alto tradimento e condannato alla pena di morte mediante impiccagione, ma questa gli venne commutata per grazia sovrana in tre anni di carcere duro da scontarsi nello Spielberg. Espiata interamente la sua pena, tornò in patria e qui si dette a incoraggiare le arti e i giovani artisti, cercando in quest'attività un conforto alle sofferenze fisiche che spesso l'inchiodavano a letto per lunghi periodi. Di lui si conserva un ritratto dipinto da F. Hayez.
L'A. morì a Milano il 3 apr. 1835.
Bibl.: Biografie di A. Fontanelli, F. T. Arese e P. Teuliè scritte dal maggiore Yaco Petti, Milano 1845, pp. 49 ss.; A. D'Ancona, Federico Confalonieri, Milano 1898, pp. M S. e passim; A. Luzio, Antonio Salvotti e i processi dei Ventuno, Roma 1901, pp. 81 s., 89, 91 s. e passim; Id., Nuovi documenti sul Processo Confalonieri, Roma Milano 1908, pp. 71 ss., 128 ss. e passim; Carteggio del conte F. Confalonieri..., a cura di G. Gallavresi, II, 1, Milano 1911, pp. 71, 154, 304, 447, 452; A. Sandonà, Contributo alla storia dei processi del Ventuno e dello Spielberg, Torino 1911, pp. 116 ss., 229 ss. e passim; I Costituti di Federico Confalonieri, a cura di F. Salata, 1, Bologna 1940, pp. 279-287, 291-294, 300, 302 e passim; II, ibid. 1940, pp. 169-174 e passim; III, ibid. 1941, pp. 140-144 e passim; IV, a cura di A. Giussani, Roma 1956, passim.