ARETA ('Αρέϑας, Arethas; in arabo ḥimyarita Ḥārith)
Il principale dei maggiorenti della città di Naǵrān, nella parte settentrionale del Yemen, che in tarda età, passato al cristianesimo, fu tra le vittime dei massacri anti-cristiani compiuti nell'autunno del 523 dal re degli Omeriti (Ḥimyariti), detto Masrūq o Dhū Nuwās nelle fonti arabe musulmane. La realtà storica e il nome del personaggio sono accertati dal "Libro dei Ḥimyariti", redatto in siriaco non molti anni dopo, probabilmente nello stesso Yemen; incerto, invece, sembra il nome del padre, che manca nel libro ora citato, ed è Ka‛b nella lettera siriaca di Simeone, vescovo di Bēth Arshām, intorno a questi avvenimenti a lui contemporanei; il fatto, rilevato dal Caussin de Perceval, che a Naǵrān e nel suo territorio abitava la tribù araba degli al-Ḥārith ibn Ka‛b indusse, a torto, a credere che gli scrittori siriaci, cadendo in equivoco, avessero attribuito al martire il nome della tribù cui egli apparteneva; anzi taluno, con molta fantasia, pensò che, invece, il martire famoso fosse ‛Abd Allāh ibn ath-Thāmir, dalle tradizioni musulmane designato quale introduttore del cristianesimo a Naǵrān. A quella persecuzione si collega la conquista del Yemen per opera degli Etiopi, che nel 525 intesero vendicare i martiri di Naǵrān. Così la storia di Areta (Ḥārith) e dei suoi compagni di martirio, più o meno ampliata e inorpellata, si sparse rapidamente per l'Oriente cristiano e nel mondo bizantino, venendo, fra l'altro, raccolta fin dalla prima metà del sec. VI in uno speciale scritto, detto appunto il Martyrium Arethae, derivante dal siriaco libro dei Ḥimyariti, e che, forse steso originariamente in siriaco, ebbe larga diffusione nel testo greco, solo giunto a noi. Anche parecchie altre opere greche bizantine parlano, più o meno a lungo e in varia forma, di questi fatti di Naǵrān, di cui alcuni esegeti musulmani credono di trovare l'eco anche nel Corano (LXXXV, 4-9). Sebbene probabilmente monofisita, Areta fu ammesso fra i santi martiri anche dalla chiesa ortodossa. Di lui e dei suoi compagni è menzione, al 24 ottobre, nel calendario marmoreo di Napoli, essendo stati i suoi Atti tradotti dal greco in latino da Atanasio Iuniore, vescovo di Napoli, nel sec. IX; tuttavia egli trovò cittadinanza nei martirologi latini soltanto in tempi recenti, per opera degli eruditi (Molano, Baronio) dopo il sec. XVI.
Bibl.: Gli Acta Arethae, nel testo greco, sono in Boissonade, Anecdota graeca, V, Parigi 1833, pp. 1-62, e, con traduzione latina, in E. Carpentier, Acta Sanctorum, X, Parigi e Roma 1869, pp. 721-759; nel testo etiopico, in F. M. Esteves Pereira, Historia dos martyres de Nagran, Lisbona 1899, nel testo armeno, in Acta Sanctorum già citato e in Bibliotheca hagiographica orientalis, edd. Socii Bollandiani, Bruxelles 1910, p. 26; nel testo arabo, in L. Cheikho, Le christianisme et la littérature arabe avant l'islam, I, Beirut 1912, p. 21; nella versione latina, Acta Sanctorum, citati, n. 761 seg. Le fonti siriache sono date in: I. Guidi, La lettera di Simeone vescovo di Bêth Arèâm sopra i martiri Omeriti, in Atti R. Acc. Lincei, classe di scienze mor., VII, Roma 1881, pp. 471-515; A. Moberg, The book of the Himyarites, fragments of a hitherto unknown Syriac work, Lund 1924.