ARETALOGIA (dal gr. ἀρεταλόγος "narratore di miracoli", da ἀρετή nel senso di manifestazione della virtù divina, e λόγος "discorso")
È, nelle letterature classiche, una forma di novellistica sacra, e perciò un succedaneo, o, se si vuole, un precedente pagano, dell'agiografia cristiana. Il termine "aretalogo", estraneo al greco classico, risale all'età ellenistica, dove compare nelle iscrizioni, mentre ricorre un paio di volte nella letteratura romana. La interpretazione di aretalŏgus come filosofo buffone, accolta per molto tempo nei lessici (Forcellini, Freund, Georges) è falsa, e risale a un errore del Casaubono (a Svetonio, Aug., 74). Fu primo S. Reinach (1885) a determinare l'esatto significato della voce, sulla base di due iscrizioni di Delo, tale interpretazione trovò conferma nella tradizione antica, conservata nello scolio bobbiense a Giovenale, XV, 16 (mendax aretalogus). Più tardi (1900) R. Reitzenstein, nel tentativo di dare un contenuto concreto al termine di aretalogia, con un'indagine, talora troppo acuta, ha ricercato le tracce dell'aretalogia ellenistica nella letteratura classica e cristiana dell'età imperiale, con risultati ingegnosi ma di rado persuasivi. Quello che si può dire con sicurezza è che nel culto ellenistico delle divinità egiziane, ἀρεταλόγος è termine professionale per l'interprete di visioni e di sogni, addetto al servizio del tempio (Sylloge inscriptionum graecarum, n. 1133). A tale ufficio era naturale si legasse, a vantaggio del santuario e a esaltazione del dio, il compito di narrarne i miracoli, che presto si pensò di raccogliere per scritto, sicché il termine passò subito a designare il narratore e lo scrittore di miracoli. Così in Filodemo (Περὶ ποιημάτων, col. 9 Jensen) gli aretalogi sono ricordati accanto ai mimografi, tra le forme inferiori della letteratura. Dal sacro al profano il passo era breve. Più tardi il termine designa semplicemente il narratore di prodigi. Dal luogo citato di Giovenale e da un passo di Svetonio (Aug., 74) appare che gli aretalogi appartenevano a quella categoria di artisti di varietà chiamata a distrarre i convitati durante i banchetti (l'imperatore Augusto nei suoi pranzi "aut acroamata, et histriones, aut etiam triviales ex circo ludios interponebat, ac frequentius aretalogos"). Naturalmente non si può negare, nella letteratura dell'età imperiale, la presenza di tracce di aretalogia, anche se queste appaiono molto difficili a determinare con sicurezza. Sembra tuttavia di poter affermare che da aretalogie derivino molti ἱεροὶ λόχοι presso Pausania, e le novellette del Filopseude in Luciano.
È opinione del Reitzenstein che il Pastore di Erma sia una sorta di aretalogia cristiana.
Bibl.: S. Reinach, Les arétalogues dans l'antiquité, in Bull. Corr. Hellén., IX (1885), p. 257 segg.; E. Preuner, Ein delphisches Weihgeschenk, Lipsia 1909, p. 94; R. Reitzenstein, Hellenistische Wundererzählungen, Lipsia 1906, p. 8 segg.; U. v. Wilamowitz, Der Glaue der Hellenen, II, Berlino 1932, p. 356; A. Rostagni, in Riv. fil. cl., n. s., IX (1931), p. 103; contro il Reitzenstein, v. H. Delehaye, Les passions des martyrs et les genres littéraires, Bruxelles 1924, p. 160.