ARETÈ (᾿Αρετή)
Personificazione della virtù umana, militare o etica, in senso più vasto, vicina ed affine ad Atena, con la quale è spesso scambiata. Letterariamente ci è nota da Prodico nel suo scritto ῟Ωραι, con la favola allegorica di Eracle al bivio. È cantata da Aristotele come una giovane donna maestosa, che aspira ad una faticosa umanità. Non si giunge con certezza a determinare una vera personalità divina di A., che resta piuttosto come una allegoria. Come tale si ha nella Suda una genealogia allegorica, che la fa figlia di (Zeus) Sotèr e di Praxidike. È spesso raffigurata nell'arte a partire dal IV sec. a. C.: Plinio (Nat. hist., xxxv, 70) la dice raffigurata con Dioniso da Parrasio, in un dipinto di Aristolaos (Nat. hist., xxxv, 137) e, in un gruppo statuario di Euphranor, in atto di incoronare Hellas (Nat. hist., xxxiv, 78). Nella processione di Tolomeo (Athen., v, 201 d) A. era rappresentata mentre poneva una corona d'ulivo d'oro alla statua di Tolomeo. In un epigramma dell'Anthologia Palatina (vii, 145) è narrato che A. era seduta accanto alla tomba di Aiace Telamonio, e in Quint. Sm., v, 50, si dice che era raffigurata sullo scudo di Achille.
La favola di Prodico è raffigurata su specchi etruschi dove Minerva è al posto di Aretè. A. iscritta appare con altre personificazioni nella fascia inferiore del rilievo di Archelaos (v.) con l'Apoteosi d'Omero, al British Museum.
Bibl.: H. W. Stoll, in Roscher, I, c. 494, s. v.; K. Wernicke, in Pauly-Wissowa, II, s. v. ᾿Αρετή; Waser, in Pauly-Wissowa, Suppl. I, 1903, c. 127; E. Gerhard, Etrukische Spiegel, I-IV, Berlino 1840-97, tav. 155-156; A. Della Seta, I monumenti dell'antichità classica2, Città di Castello 1928, p. 99, fig. 246.