AREZZO
(gr. 'Aϱϱήτιον; lat. Arretium, Aritium; Arizzo nei docc. medievali)
Città della Toscana di antica origine, fece parte della dodecapoli etrusca, per poi divenire municipium al tempo della guerra sociale. In età imperiale divenne colonia; fu diocesi dal sec. 4°, ampliando in seguito la propria influenza religiosa e politica in età longobarda.
La città, che in età ellenistica e romana si era estesa su una vasta fascia di pianura e sui poggi detti di San Donato e di San Pietro, nell'Alto Medioevo si contrasse sulla sommità del secondo, in parte utilizzando la cinta tardoetrusca, ristrutturata in età romana e poi ripetutamente restaurata. Tratti di tale cinta in opera poligonale sono conservati sul lato meridionale e su parte di quello occidentale: se ne vede un tratto sotto la chiesa di S. Niccolò e un altro a E della porta S. Andrea; del corpo avanzato di quest'ultima è conservato un lacerto di paramento murario a file regolari di conci di arenaria, forse rifacimento di età romanica. Nell'area di piazza Grande, una recente esplorazione archeologica ha rivelato la presenza di un recinto altomedievale poco esterno alla cinta etrusca con largo utilizzo di materiale di quest'ultima. Dell'ampliamento della cinta, nella prima metà del sec. 11°, restano tratti solo del lato sud, utilizzanti anch'essi in parte resti preromani. Su tale ampliamento è localizzabile la Porta Nova - citata in documenti del sec. 11° (Arch. Capitolare, Carte di S. Flora, 397) - della quale sussistono le basi delle torri laterali, sotto costruzioni più tarde; nessuna traccia è invece riconoscibile delle altre porte, del Castrum Marchionis e del Castellum de civitate aretina, pure documentati dalle fonti (Pasqui, 1899-1937, I, nr. 289). Entro il circuito murario altomedievale sussistevano i principali tracciati viari antichi, che avevano una continuazione extra moenia e si incrociavano in quello che nell'876 era chiamato forum, dove, delle funzioni antiche, si manteneva ancora quella giudiziaria. Inoltre, su percorsi urbani antichi si svilupparono nel sec. 11°, fuori delle porte, i principali borghi.Della maggior parte dell'agglomerato altomedievale, distrutto nel sec. 16° per la costruzione della fortezza Medicea, niente resta fuori terra; quasi certamente sussistono resti interrati della chiesa di S. Donato in Cremona, a tre navate, racchiusa entro la fortezza e officiata fino al 18° secolo.A S-O della cinta muraria si venne a creare il complesso episcopale, distrutto nel 1561, ma documentato dal 714, presso la tomba di s. Donato, presunto secondo vescovo della città, nell'estremo lembo della necropoli etrusco-romana. Nel sec. 11° detto complesso risultava munito di cinta e comprendeva la cattedrale, il martyrium di S. Donato, o duomo vecchio, consacrato nel 1032, attestato anche da una planimetria di Giorgio Vasari il Giovane (Salmi, 1971, p. 47), l'episcopio, la canonica e vari annessi. Gli scavi del 1970-1974 hanno riportato alla luce i resti della cattedrale di S. Maria e S. Stefano, a tre navate e triplice abside, eretta tra la seconda metà del sec. 7° e la metà dell'8°, con una cripta a nove colonne costruita nel 1006-1009, coeva al raro mosaico pavimentale figurato, a tessere bianche e nere (Melucco Vaccaro, 1985), i cui frammenti sono in parte conservati nell'oratorio di S. Stefano. Addossati alla navata destra sono forse riconoscibili resti della canonica, documentata nell'840.A un livello più basso è apparso un tratto della necropoli dei secc. 6°-7°, comprendente oltre cento tombe, sul sito di un sepolcreto cristiano più antico, disposto a sua volta sull'interro, del sec. 4°-5°, di un edificio preesistente. Difficilmente databili sono alcuni sarcofagi in arenaria non scolpiti, ivi ritrovati, mentre gli altri frammenti di scultura recuperati sono nella maggioranza databili all'8°-9° secolo. Sepolture altomedievali si sono rinvenute pure all'interno dell'anfiteatro (Perilasium), lungo via Romana e in via Setteponti. Nelle chiese superstiti, anche se verosimilmente preesistenti alle più antiche menzioni, tutte del sec. 11°, quando A. ebbe una vivace ripresa economica, scarsi sono i resti altomedievali. Tuttavia risalente a questo periodo sembra il paramento dei fianchi e della facciata di S. Agnese, mentre la cripta di S. Maria in Gradi è databile al 9° o 10° secolo.Fuori della cinta erano le pievi di S. Maria, S. Michele, S. Adriano, S. Pier Piccolo e forse S. Pietro Maggiore. Sui prolungamenti extraurbani di strade romane vanno ricordate poi S. Antonio di Saione, S. Clemente, S. Angelo in Arcaltis, S. Maria del Murello, S. Marco del Murello e S. Maria in Gradi. Quasi nessuna di tali chiese è stata oggetto di esplorazioni archeologiche, mentre soltanto casuali furono quelle condotte nella pieve di S. Maria nel 1862-1875.
Bibl.:
Fonti. - V. De Vit, Totius latinitatis Onomasticon, Prato 1859; U. Pasqui, Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medio Evo, 4 voll., Firenze-Arezzo 1899-1937; Regesto di Camaldoli, I-II, a cura di L. Schiaparelli, F. Baldasseroni, Roma 1907-1909.
Letteratura critica. - G.F. Gamurrini, Di una testa antica di terracotta e la distruzione di Arezzo nell'anno 81 a.C., AMAP, n.s., 1, 1919-1920, pp. 262-284; M. Falciai, Storia di Arezzo dalle origini alla fine del Granducato Lorenese, Arezzo 1928; M. Salmi, La cripta di S. Maria in Gradi, AMAP, n.s., 12, 1932, pp. 39-50; A. Sestini, Studi geografici sulle città minori della Toscana, I, Arezzo, Rivista geografica italiana 45, 1938, pp. 22-65; G. Devoto, Agli inizi della storia aretina, AMAP, n.s., 34, 1947-1948, pp. 49-60; G. Rohlfs, Historische Grammatik der italienischen Sprache und ihrer Mundarten, I, Lautlehre, München 1949 (trad. it. Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, I, Fonetica, Torino 1966); Carta archeologica d'Italia, F. 114, a cura di F. Rittatore, F. Carpanelli, Firenze 1951; M. Renzoni, Glorie e lutti del colle di Pionta, Bollettino diocesano, Diocesi di Arezzo 59, 1961, pp. 3-47; P.P. Donati, Scavi archeologici sul colle di Pionta in Arezzo, AV 4, 1965, 1, pp. 45-56; A. Fatucchi, I primi mille anni della vicenda urbanistica di Arezzo, AMAP, n.s., 39, 1968-1969, pp. 284-321; M. Salmi, Civiltà artistica della terra aretina, Novara 1971; A. Fatucchi, La diocesi di Arezzo (Corpus della scultura altomedievale, 9), Spoleto 1977; id., Arezzo e le invasioni barbariche alla fine della civiltà antica, Bollettino del Rotary Club di Arezzo 886, aprile 1977; A. Tafi, Immagine di Arezzo. Guida storico-artistica, Arezzo 1978; A. Melucco Vaccaro, Gli scavi di Pionta: la problematica archeologica e storico-topografica, in Arezzo e il suo territorio nell'Alto Medioevo, "Atti del Convegno, Arezzo 1983", Cortona 1985, pp. 139-155; A. Peroni, Problemi di studio della scultura altomedievale alla luce della catalogazione dei materiali aretini: la lunetta del portale meridionale della Pieve di S. Maria di Arezzo, ivi, pp. 175-188; J.P. Delumeau, Arezzo dal IX all'inizio del XII secolo: sviluppo urbano e sociale e gli inizi del comune aretino, AMAP, n.s., 49, 1987, pp. 271-312.A. Fatucch
Della cinta muraria, ricostruita o restaurata dopo la distruzione del 1111 a opera di Arrigo V, è stato supposto (Falciai, 1910) che in qualche misura sia stato allargato il perimetro sì da includere tutto il colle di San Pietro e la porzione a O e S-E; ma, per quel che risulta dai documenti - non univoca invece l'interpretazione dei resti archeologici (Tafi, 1978) -, sembra che le modifiche indicate risalgano a mutamenti già intervenuti nel sec. 11° (Pasqui, 1899-1937, I; Delumeau, 1987). La costruzione di una nuova cerchia, già iniziata nel 1194 (Pasqui, 1899-1937, II, nr. 410), fu completata, forse non integralmente, nel 1200 come testimoniano gli Annales Arretinorum (Pasqui, 1899-1937, IV, p. 61). È probabile che non tutto il sistema difensivo fosse costituito da mura, ma anche da fossati protetti da terrapieni e da strutture lignee sovrastanti (Sestini, 1938). Vi si aprivano numerose porte tra principali e secondarie, quattro delle quali localizzate nel tratto nordorientale (Pasqui, 1899-1937, II, p. VII; IV; Tafi, 1978) più esteso rispetto al precedente tracciato. Al culmine nord la cinta ripiegava dopo la porta S. Clemente, più interna rispetto a quella trecentesca, e percorreva con forte approssimazione, sebbene un poco più a monte, il tracciato della od. via Garibaldi sino alla porta di S. Giusto, localizzata all'inizio dell'odierna via Fontanella, oltrepassandolo per un tratto (Andanti, 1987). Esisteva già in questo periodo la suddivisione della città in quattro quartieri, due dei quali traevano denominazione da porte preesistenti: del Foro, di Borgo, di S. Andrea, di porta Crucifera o di Colcitrone (Pasqui, 1899-1937, IV, p. 61). Tratti di mura duecentesche sono emersi sul lato nord di piazza S. Agostino e poco sopra all'incrocio di via Garibaldi con via S. Lorentino (Tafi, 1978); altri resti sono forse da ravvisare nel lato nord della chiesa di S. Benedetto. Verosimilmente il lato nordorientale delle mura si impiantò su preesistenze romane, come il tratto a E dopo la porta Crucifera (Pasqui 1899-1937, IV; Andanti, 1987).La rete viaria, oggi molto alterata, doveva configurarsi secondo un andamento che seguiva le linee di pendenza e le curve di livello, in alcuni casi ricalcante direttrici di origine etrusco-romana ancora praticate (Sestini, 1938; Franchetti Pardo, 1986). Prevalente importanza acquistò il borgo Maestro (burgus sanctae Mariae, od. corso Italia), tracciato condizionante la nuova espansione della città su cui affacciava la pieve (Franchetti Pardo, 1986). Luogo di confluenza di molti percorsi e centro di aggregazione della civitas precomunale era l'area circostante e corrispondente alla od. piazza Grande, spiazzo per il mercato ancor prima della sistemazione (1200) in platea communis (la sua appendice a N-O conserverà nel sec. 14° la denominazione di platea porcorum). In posizione prospiciente alla stessa fu eretto nel 1232 il palazzo del Comune, accanto al quale fu elevata nel 1318, sulle mura della cittadella, la torre communis (la c.d. torre rossa) raffigurata in una formella del monumento Tarlati. Del palazzo, distrutto nel 1539, che forse era a capo di via Pellicceria, non rimane alcuna struttura in vista (Carpanelli, 1942-1944). Invece, nell'edificio raffigurato nella tavola con S. Rocco di Bartolomeo della Gatta (Arezzo, Mus. Statale d'Arte Medioevale e Moderna) è da riconoscere il palazzo del Popolo (1270-1278), che ebbe addossata una torre a beccatelli sporgenti, i cui lavori furono pagati a Giovanni da Firenze nel 1339 (Pasqui, 1899-1937, IV, pp. 71-72). Dell'edificio solo pochi resti sono conservati al sommo di via dei Pileati e consistono in due grandi arcate, un tratto di pavimentazione antistante a spina di pesce e resti della scalinata di accesso (Tafi, 1978). In concomitanza al sorgere degli episodi edilizi più rilevanti, alcune vie furono rettificate come attestano gli Annales Arretinorum del 1278 (Pasqui, 1899-1937, IV; per altri interventi urbanistici: Franchetti Pardo, 1986). Il vescovo Tarlati, poco dopo la sua elezione (1312), intraprese la costruzione di una nuova cerchia di mura che rappresentò la massima estensione raggiunta dal perimetro della città: dapprima dall'odierna fortezza all'angolo pressappoco corrispondente, ma più esterno rispetto al baluardo cinquecentesco di S. Clemente, e a S-O sino alla porta di S. Lorentino (1317; successivamente su questo lato fu aperta porta Buja); quindi nella vasta porzione a S-O con un lato risalente a N-E, ove si aprirono porta S. Pietro, porta S. Spirito e porta delle Gagliarde. L'intero circuito, che utilizzava a E il precedente impianto, comprendeva altre porte dal culmine nord al tratto nord-est (Andanti, 1987). Le mura erano difese da un fossato iniziato nel 1330 e da torri quadrangolari, delle quali due superstiti sono visibili in via Fra' Guittone e via Leoni. All'interno della cittadella erano i palazzi del Comune e del Popolo, le case dei Tarlati e varie chiese; S. Donato invece si trovava all'interno del 'cassaretto' (Tafi, 1978). Le porte della cinta trecentesca furono adornate (1339) da statue raffiguranti Madonne con il Bambino (tre delle quali ora al Mus. Statale di Arte Medioevale e Moderna, altre in S. Domenico, nel palazzo Comunale e nella sede della Banca Popolare dell'Etruria), di esecuzione corrente, ma con influssi prevalenti della statuaria trecentesca senese in interessante e varia commistione (Tafi, 1978; Maetzke, 1987).Il complesso che assunse la denominazione tarda di palazzo Pretorio (oggi sede della Bibl. della Città di Arezzo) constava nel sec. 13° delle case delle famiglie Albergotti, Lodomeri e Sassoli; il prospetto della prima (sede del Capitano di Giustizia dal 1290), su via dei Pileati, conserva un'impronta medievale soprattutto nel portale di accesso, sulle cui mensole che sostengono l'arco è lo stemma guelfo degli Albergotti e la data del 1272; in una delle porte su via degli Albergotti è reimpiegato un bassorilievo con cavaliere torneante, ritenuto uno degli stemmi più antichi del Comune. Tra le numerose testimonianze di architettura civile (Carpanelli, 1942-1944; Tafi, 1978) è da ricordare il palazzo Altucci, duecentesco ma restaurato, che conserva a pianterreno porte estradossate a gradini; la porta centrale ha il concio mediano dell'arco che si eleva sui laterali, carattere questo, come il frastaglio trilobato delle tre finestre superstiti, assimilabile a motivi usati nel palazzo del Popolo.L'edilizia civile di A. è contraddistinta sin dal sec. 13° dall'uso della pietra locale, arenaria o pietra serena, mentre rarissime erano le costruzioni in laterizio, con le ghiere talvolta decorate a stampo (Carpanelli, 1942-1944). Larga era la presenza di case-torri, in genere caratterizzate da finestre piccole e strette con architrave incluso in arco tondo, ovvero archiacute con architrave su mensole, e da porte sormontate da arco acutissimo, o, se tondo, estradossato in forma acuta. Tra le molte, ridotte in altezza, si ricordano quella detta dei Lappoli in piazza Vasari, quella adiacente al palazzo dei Priori, con merlatura a beccatelli di tipo fiorentino, e quelle all'inizio di via delle Torri.Il palazzo dei Priori (oggi del Comune) sorse nel 1333, ma la sua facciata, crollata nel 1650, dopo che l'edificio aveva già subìto un restauro quattrocentesco, fu allora ricostruita su linea arretrata e integralmente restaurata dopo il 1930; del palazzo originario rimangono, sul fianco in via Ricasoli, tre larghe arcate a sesto ribassato e un'ampia porta archiacuta e, al primo piano, alcune finestre ad arco tronco, bicrome per assimilazione ai finestroni del duomo. Altre costruzioni trecentesche sono il palazzo Palliani, realizzato in cotto su un lato, la casa Lodomeri (dinanzi alla pieve, ma ricostruita) e uno dei palazzi Camaiani, integro nelle aperture a pianterreno.Nell'ambito dell'edilizia civile, tuttavia, molto resta da definire, come per es. il palazzetto all'inizio di via Pescaia, dalle mensole della porta ritenute trecentesche, che apparteneva quasi certamente alla parte retrostante del ricostruito palazzo Vescovile (Ristori, 1871).Tra i cortili va menzionato quello trecentesco di palazzo Bacci, alterato, ma con lato ad archi troncati poggianti su pilastri a base esagona e capitelli recanti lo stemma di famiglia (Tafi, 1978).Per l'approvvigionamento idrico la fonte più importante era la fons Guinicelli, poi Vinitiana, alimentata da una conduttura romana che recava l'acqua dall'Alpe di Poti, sita all'esterno delle cinte murarie; edificata nel sec. 13° e ricostruita forse al tempo dei Tarlati, ne sussisteva il prospetto ancora nel sec. 15° (Pasqui, Viviani, 1925). Ritenuta trecentesca è una cisterna in via S. Bartolomeo con volta a crociera e archi di sostegno in laterizio su piloni (Carpanelli, 1942-1944).Tra i molti ospedali menzionati fra i secc. 11° e 13°, il più rilevante era quello di S. Maria ad pontem, costruito a partire dal 1213, la cui ubicazione presso il fiume Castro e nelle vicinanze di un ponte sul medesimo è puntualmente descritta nei documenti (Pasqui, 1899-1937, II, nr. 465); l'edificio, al quale venne annessa la chiesa di S. Maria, ebbe numerose aggiunte nel corso del Medioevo; ciò che ne rimane in corso Italia consta di profili di arcate forse trecentesche. Un mulino sul Castro era quello dei Lodomeri, presso la porta duecentesca così denominata, e un altro era quello di S. Michele.La pieve di S. Maria è sicuramente molto antica in relazione alla sua funzione battesimale (per ritrovamenti archeologici nell'area: Gamurrini, in Lazzeri, 1926; Fatucchi, 1977). Non concordemente è ritenuta riferirsi alla pieve la riedificazione nel 1009 di una chiesa di S. Maria a opera del vescovo Elemperto (Mercantini, 1982, doc. I), al tempo del quale tuttavia sicuramente esisteva (Pasqui, 1899-1937, I, nrr. 108, 125; II, p. VIII); molti altri documenti, in stretta successione a partire dal 1043, la menzionano. L'appellativo ad gradus, ad grada (in gradis, in gradibus), che ha motivato talvolta la confusione con la chiesa e monastero dipendente dalla camaldolese Badia di Agnano, l'attuale S. Maria in Gradi (Tafi, 1978), è dipeso dal fatto che al battistero, nonché alla chiesa, si doveva accedere mediante gradini giustificati dal dislivello del terreno. La pieve ricoprì un ruolo di primo piano già agli albori della civiltà comunale, ma è difficile stabilire, per le manomissioni apportate all'edificio in vari tempi e massicciamente nel corso del restauro ottocentesco (Mercantini, 1982), quale forma avesse la chiesa prima della metà del sec. 12°, quando si è ritenuto che fosse stata ricostruita a tre navate con cripta sotto il presbiterio rialzato (Salmi, 1972; 1973-1975). È verosimile che sia di quel periodo la traccia di arco absidale di diverso andamento rinvenuto sotto il paramento attuale (Corsi Miraglia, 1985). Al medesimo edificio appartenevano, forse, gli archi profilati del presbiterio e un capitello con teste ferine - il più integro conservato - poi seminascosto dal pilastro prospiciente sulla destra il presbiterio, cui fanno contrasto altri negli stessi piloni, più tardi di vari decenni. Il problema della facciata è complesso perché si collega alla questione del prolungamento dell'edificio, che è da stabilire se sia avvenuto in quella fase (Pasqui, Viviani, 1925) o contemporaneamente all'erezione del campanile - inglobato nell'ultima campata - che un documento trascritto, di cui l'editore non precisa la data, e una fonte tarda riferiscono al 1216 (Mercantini, 1982). L'ultimo rifacimento della chiesa poté essere intrapreso a cominciare dall'abside (integralmente rifatta nel restauro ottocentesco), in concomitanza con i lavori della platea magna e con la nomina di podestà pisani (fra il 1193 e il 1220). Riprova che i lavori si prolungarono nel corso del sec. 13° è il fatto che la cornice della porta mediana in facciata, sulla quale poggia la lunetta intagliata, datata 1216 e firmata da Marchio (il Marchionne di Vasari), fu ridotta ai lati; ciò permise l'inserimento nell'imbotte così ricavata, mediante pilastri cui si addossarono colonne, di un ciclo dei mesi. A breve distanza dalla decorazione dei portali (la lunetta del Battesimo è datata 1221) fu probabilmente terminato il primo ordine della loggia ad arcature; nel secondo, come nella cornice rettilinea della loggia sovrastante, Salmi (1972; 1973-1975) individua un mutamento di gusto in relazione con l'ambiente monastico della Toscana sudoccidentale. Lo studioso inoltre collega l'erezione della seconda loggia dell'abside, pur esemplata nel suo insieme su quella del duomo di Pisa, al rialzamento dell'arco trionfale e dei muri laterali del presbiterio, che nelle loro scansioni e aperture sono ispirati al Romanico francese, il cui tramite principale in Toscana è costituito dell'abbazia di Sant'Antimo. Ai muri del presbiterio furono collegati alti pilastri a fascio che, con archi acuti e pennacchi a sostegno del tamburo di una cupola (mai costruita), dettero origine a un transetto non aggettante (in seguito alterato e ricostruito nel sec. 19°). In coincidenza furono probabilmente continuate le bifore nelle pareti laterali. In quella che è oggi la facciata interna, la sopraelevazione si manifestò con l'iterazione delle triplici finestre. I lavori furono forse sospesi per l'esigenza di rifare o innalzare la torre (1330, come da iscrizione); d'altra parte la commissione nel 1320 a Pietro Lorenzetti del polittico dell'altar maggiore indica che in quella data era ritenuto in gran parte compiuto l'assetto interno dell'edificio. Ancora nel sec. 14° furono resi acuti gli archi nei due primi intercolumni (Pasqui, Viviani, 1925) o erette le volte costolonate del presbiterio (Salmi, 1972; 1973-1975), ricostruite nel restauro ottocentesco. Nel 1332 fu eretta a destra della tribuna la cappella di S. Donato, demolita nell'Ottocento, e si aprì il finestrone absidale. Sull'altare dell'attuale cripta è il busto-reliquiario di S. Donato, eseguito da due orafi aretini, Pietro e Paolo, che vi apposero la firma e la data (Galoppi Nappini, 1984). Delle sculture di età romanica appartenute alla chiesa rimangono il rilievo con l'Adorazione dei Magi e altri inseriti in facciata, nonché, probabilmente, la lunetta del sec. 11° riadattata nel portale di via Seteria (Peroni, 1985). Tra gli affreschi eseguiti nel corso del sec. 14° celebri erano quelli nella tribuna ascritti da Vasari a Pietro Lorenzetti, scialbati nel sec. 17° e poi distrutti; rimane un affresco con i Ss. Domenico e Francesco, riferito al Maestro del Vescovado, ma per i caratteri più rudi ascrivibile a un artista maggiormente legato alla pittura fiorentina.Un palazzo vescovile presso la pieve è menzionato già dal 1139. Denominato palatium vetus, risulta distrutto nel 1216 e in seguito riedificato più vasto (per l'interpretazione della data 1235 nell'adiacente casa Sandrelli: Pasqui, 1899-1937, II, p. VIII; Tafi, 1978); gli avanzi sono ravvisabili nella torre mozza a fianco della pieve, ma ancora nel secolo scorso molti resti sussistevano all'interno della casa Sandrelli (Ristori, 1871). Un nuovo palazzo fu fatto costruire dal vescovo Guglielmino degli Ubertini - è menzionato dal 1256 - ubicato presso la chiesa di S. Pier Maggiore, che dal 1203 aveva assunto le funzioni di cattedrale. Il palazzo, in seguito, dovette inglobare la chiesa altomedievale di S. Gregorio e subì varie modifiche a partire dal sec. 14°, fino alla radicale trasformazione del 1595 (Corsi Miraglia, 1985). Indagini in facciata hanno evidenziato tracce di aperture, alcune delle quali forse appartenute alla chiesa di S. Gregorio e il profilo parziale di quattro grandi finestre, risalenti probabilmente al 13° secolo.S. Domenico è ritenuta la prima chiesa costruita da un Ordine mendicante all'interno della cinta duecentesca; secondo Vasari l'edificio attuale fu fatto costruire dai Tarlati nel 1275, ma altrettanto determinante e anteriore dovette essere l'intervento degli Ubertini (Enrico e il fratello Ranieri, vescovo di Volterra, m. nel 1301, ambedue sepolti nella chiesa). A un precedente oratorio o chiesa Pasqui (1882) ha proposto di collegare la porta di accesso alla sagrestia attuale, caratterizzata dall'architrave ancora romanico nella decorazione e nelle mensole di sostegno. La facciata, divisa da quattro paraste, con le centrali che s'innestano ai pilastri del portale e inquadrano l'occhio circolare, si conclude con un coronamento asimmetrico; essa denota comunque incompletezza e manomissioni. L'ipotesi interpretativa di Salmi (1951a) relativamente alla medesima, ritenuta esemplata sulle testate del transetto di S. Maria Novella a Firenze appare verosimile, ma non è da escludere che a un iniziale coronamento a due spioventi siano subentrate in successione non chiara due modifiche, una delle quali si riferisce al coronamento orizzontale della pieve di S. Maria. L'aula è coperta con tetto a capriate e termina con una tribuna, nella quale si aprono cappelle rettangolari coperte a crociera, di cui soltanto la centrale aggetta all'esterno con muro piano: in questa la finestra tripartita è affine a quella absidale di S. Maria Novella donde verosimilmente proveniva il suo costruttore (Bigi, 1934); inoltre la porta laterale di S. Maria Novella è richiamata dal portale - quasi interamente rifatto - che si apre in facciata, a tutto sesto, digradante in profondità, con sottili colonne alternate a spigoli di pilastri, inquadrato da un protiro anch'esso di restauro. L'interno, dai caratteri gotici iniziali con essenziale decorazione a fasce bicrome, presenta sussistenze romaniche nelle finestrine a sguancio delle cappelle laterali della tribuna e nelle finestre allungate della navata, con arco tondo, ma estradossate in forma acuta. L'unico importante monumento funebre conservato all'interno è quello di Ranieri degli Ubertini, oggi mutilo, ma ricomposto con le parti superstiti e con qualche arbitrio nella collocazione originaria; di impronta chiaramente senese (Carli, 1982), sembra opera di transizione fra la tomba di Gregorio X e quella del vescovo Tarlati, entrambe nella cattedrale. La cappella Dragondelli ha struttura e decorazione tardogotica ed è firmata da Giovanni di Francesco da Firenze, forse lo stesso maestro che nel 1369 era impegnato nell'arca di S. Donato della cattedrale. Del convento, del sec. 14°, rimangono un lato del chiostro e il refettorio, molto rimaneggiato. Tra i dipinti e i numerosi affreschi (alcuni di questi staccati perché sovrapposti e rovinati in quanto intonacati nel Cinquecento) sono da ricordare la Croce di Cimabue, un trittico del Maestro del Vescovado (Donati, 1966; Bellosi, 1966), cui è anche attribuito l'affresco con il Redentore in trono (ma si veda Salmi, 1971), rilevanti affreschi di Spinello e di Parri e altri che mostrano echi lorenzettiani (Storie della vita di Cristo, Crocifissione). Gli Evangelisti nel sottarco della cappella Dragondelli, ascritti a Barna (Salmi, 1951a), denunciano comunque stretta dipendenza dal collaboratore del maestro principale negli affreschi neotestamentari nella collegiata di San Gimignano. Nella stessa cappella è un affresco della metà del sec. 14° con la Disputa nel Tempio, ascritto agli aretini Gregorio e Donato; nella navata è inoltre un frammento con Madonna, Bambino e santi assegnato a Niccolò di Segna (Maetzke, 1974), mentre sono databili alla fine del Duecento la Predica del beato Ambrogio Sansedoni e i Ss. Pietro e Paolo.Le notizie relative all'inizio della costruzione di una nuova cattedrale - abbandonata l'antica nel 1203 per la chiesa di S. Pier Maggiore, che ne assunse la funzione - si succedono dal 1277, quando ne fu deliberata la costruzione dal vescovo Guglielmino degli Ubertini, dopo che già Gregorio IX, (m. ad A. nel 1276), aveva lasciato a tal fine un'ingente somma (Pasqui, Pasqui, 1880). La fabbrica che fu verosimilmente intrapresa tra il 1278 e il 1279, sostenuta da elargizioni e fondi vari richiesti anche dai presuli di altre chiese, fra i quali i vescovi di Siena e di Volterra (1283), proseguiva nel 1286 (Vasari, Le Vite), ed è ritenuto che poco prima della battaglia di Campaldino fosse giunta al punto che vi si poteva offiziare.Nel 1341 è allogata la decorazione delle volte laterali corrispondenti alle prime due campate, da compiersi in analogia alle maggiori già eseguite, queste verosimilmente voltate sullo scorcio del terzo o inizio del quarto decennio. Ma i lavori nella struttura, forse già interrotti nel 1342 con l'erezione di poco precedente della facciata provvisoria (Salmi, 1915; 1962), risultano cessati, in base ai documenti esistenti, nel 1348. Nondimeno, pur lentamente e a fasi alterne, la costruzione dovette continuare nella seconda metà del sec. 14° e oltre (Salmi, 1962; Armandi, 1986), con l'elevazione parziale dei muri perimetrali nel tratto esterno alla facciata provvisoria (come è visibile nella citata tavola con S. Rocco di Bartolomeo della Gatta), e l'allogazione di varie opere decorative. I lavori furono ripresi, come precisato dai documenti, nel 1471, e conclusi con la completa erezione delle ultime due campate e l'elevazione delle tre volte grandi e delle sei minori corrispondenti, oltre che con la chiusura della facciata, nel 1571.La cattedrale era adorna all'interno di monumenti sepolcrali insigni e di molte cappelle; fra quelle trecentesche, la cui esistenza è provata dai documenti, rimane quella di Ciuccio Tarlati, commissionata da Roberto Tarlati a Giovanni di Agostino (Garzelli, 1969; Carli, 1980), che conserva notevoli affreschi attribuiti al Maestro del Vescovado. Restano inoltre un affresco con Madonna in trono, attribuito a Buffalmacco (Bellosi, 1966), della prima metà del Trecento, e un altro, sulla stessa parete, di Andrea di Neri (Maetzke, 1974); altri frammentari sulla parete opposta sono attribuiti ai pittori aretini Gregorio e Donato (Donati, 1968). Il sepolcro di papa Gregorio X, già inumato in S. Pier Maggiore, spostato dalla primitiva ubicazione nella cappella della tribuna e in parte manomesso, presenta caratteri insieme arnolfiani e senesi (Carli, 1982; 1990) collocabili tra la fine del sec. 13° e i primi anni del 14°, dal momento che le figure degli angeli trovano riscontro in frammenti senesi e nei modi di Gano (Bardotti Biason, 1984; ma si veda Carli, 1990). Opera di grande importanza è il cenotafio Tarlati, anch'esso firmato e datato (1330) da Giovanni di Agostino e Agnolo di Ventura; al culmine era forse collocata originariamente una statua del defunto in veste di guerriero (Salmi, 1971; Carli, 1980). Altra opera insigne della cattedrale è l'altare di S. Donato, composto dall'arca in cui sono contenute le reliquie dei santi aretini, ricavata dall'altare duecentesco, e dall'enorme dossale eretto dopo il 1364 al disopra di essa, che si estende sui fianchi e sul retro con complicata intelaiatura (Agnolucci, 1988). Questo, verosimilmente rimaneggiato nella struttura (Del Vita, 1914a), probabilmente aveva un coronamento pluricuspidato. Infatti alcune figurette poggiano su basi mobili che sembrano essere appartenute a pilastrini poligonali. Stilisticamente alcuni caratteri delle statuette e dei rilievi sono fiorentini della metà del secolo, mentre altri (lo confermano nomi di scultori facenti parte della maestranza), quelli pertinenti alle Storie di s. Donato, potrebbero avere origine aretina, venata di senesismi, e aver avuto come modello un codice miniato (Pasqui, 1880; Del Vita, 1914a).Sono inoltre conservati nella cattedrale il gruppo ligneo della Madonna con il Bambino del sec. 13° che, insieme a crocifissi lignei (Mus. Diocesano) e ad altre opere sparse (Salmi, 1971), suggerisce una continuità della produzione aretina in questo ambito dalla fine del 12° a tutto il 14° secolo.Dai documenti si ricava che i Frati Minori, già insediati nelle vicinanze della città (Poggio del Sole) nel 1232, avevano cominciato a costruire una chiesa nel 1248. Nel 1290 ricevettero in dono, entro le mura, una domus et casamenti. Di poco precedente è una delibera del Comune che invitava i frati ad abitare in città (Salmi, 1920). Alcune strutture forse duecentesche, poi rielaborate, sono state indicate nell'attuale cripta in occasione dei restauri (Salmi, Lumini, 1960) e oggi ulteriormente precisate (Corsi Miraglia, 1989) quali sussistenze di un nucleo conventuale insediatosi nella domus (1314). Poco dopo è menzionata una chiesa forse provvisoria e di limitata estensione come confermano elementi presenti nel fianco di levante (Centauro, 1990). Pertanto la planimetria del complesso di fra' Giovanni da Pistoia (Arch. Capitolare del Duomo: Salmi, 1920; Salmi, Lumini, 1960), ritenuta il progetto originario, è altresì un rilievo di quanto preesisteva, con modifiche dimensionali e soluzioni di interrelazione fra i due corpi, superiore e inferiore, che condizionarono l'impianto della chiesa sino al tardivo compimento (fine sec. 14°; Salmi, Lumini, 1960; Corsi Miraglia, 1989; Centauro, 1990). Nel 1348 fu comperata una casa perché con la sua demolizione potesse costruirsi la cappella Maggiore; altri acquisti sono del 1366, anno in cui essa fu fondata dall'operarius aretino fra' Angelo del Meglio, che attese all'intero assetto del presbiterio. Poco prima era stata eretta una cappella sul lato sinistro (in corrispondenza dell'area indicata nella pianta di fra' Giovanni come coemeterium); seguì dallo stesso lato la fondazione della cappella Grande di Pagno di Maffeo (1377), introdotta dal grande arcone sussistente - poi divisa in due cappelle per ragioni statiche (Centauro, 1990; ma si veda Salmi, Lumini, 1960) - fronteggiante quello a sesto acuto dal lato opposto, già impostato per un transetto, la cui costruzione fu evidentemente dismessa (Centauro, 1989). Altra costruzione (1366) sul lato a cornu epistolae della tribuna fu quella di un campanile a vela, sopraelevato nella forma attuale nel 16° secolo. Nel 1377 fu intrapresa la copertura a capanna della chiesa; varie opere di completamento continuarono dal 1379 con l'operarius fra' Bartolomeo da Lucca e proseguirono sino al 15° secolo. Nella chiesa è la grande croce duecentesca assegnata al Maestro di S. Francesco. Fra i numerosi affreschi di Spinello e della sua cerchia emergono le Storie di s. Michele e di s. Egidio nella cappella Guasconi e la più tarda Annunciazione; della sua scuola rimane un altro frammento con S. Francesco e l'approvazione della Regola. Sono da ricordare inoltre dipinti attribuiti a Parri, due figure di santi dal carattere fiorentino-orcagnesco e una sinopia di Crocifissione, staccata (ora nel corridoio che immette nella sagrestia).La costruzione della chiesa delle Ss. Fiora e Lucilla (Badia) fu iniziata a ridosso della cinta urbana duecentesca subito dopo la distruzione del monastero benedettino di Torrita presso l'Olmo (1196); nella nuova chiesa e monastero i frati si insediarono nel 1209, ma nel 1278 la ricostruzione era già avanzata. Si trattava di un edificio ad aula unica più corta dell'attuale e forse con unica cappella absidale (Pasqui, 1899-1937, II, p. 89; Salmi, 1912). Tingo da Poggibonsi con tale Aquista de Aritio ne fu architetto e capo delle maestranze. L'ultima ricostruzione, iniziata dopo la morte di Vasari, ma su suo disegno, e continuata sino al sec. 17°, ne modificò completamente l'interno e la facciata; quest'ultima fu rimessa in luce parzialmente nel 1914. Della chiesa duecentesca rimane anche la fiancata destra; la sommità di due bifore laterali è visibile dal soppalco della chiesa attuale. L'interno aveva semplici cappelle a guisa di altari con affreschi, alcuni dei quali ascritti a Pietro Lorenzetti da Vasari, monumenti sepolcrali e dipinti (Pasqui, Viviani, 1925). Oggi rimane la grande croce di Segna di Bonaventura. Niente è visibile dell'antica struttura dell'ampio convento e le stesse strutture più tarde hanno subìto numerose distruzioni e rifacimenti (Tafi, 1978).La prima pietra della chiesa di S. Agostino fu posta nel 1257, all'esterno della cinta duecentesca (Pasqui, Viviani, 1925; Tafi, 1978). La chiesa aveva tre navate divise da colonne le cui tracce sono tuttora visibili all'esterno. Verso la metà del Trecento l'edificio fu ricostruito per volontà dei Tarlati, ma non era ancora compiuto alla morte di Pier Saccone (1356). Secondo Vasari, certo Moccio Senese diede il disegno della chiesa - la più ampia della città dopo la cattedrale - e del convento, mantenendone forse la divisione in navate. La facciata conserva un'impronta gotica nel portale e nell'insieme, sebbene sia stata eretta nel sec. 15°, unitamente al campanile dall'insolita forma gotico-lombarda (la cuspide è stata ricostruita, ma con fedeltà all'originaria). La chiesa fu radicalmente rifatta nel sec. 18°, quando fu ridotta in lunghezza quasi della metà; furono distrutti anche gli importanti affreschi che conservava. Sul lato sinistro è rimasto integro il muro originario ed esternamente all'abside attuale può ancora vedersi l'attacco dell'arco di una cappella dell'abside precedente. Del convento sussiste qualche resto, in particolare del chiostro, ora murato per ricavarne ambienti.La chiesa di S. Maria di Monte Oliveto sorse successivamente al monastero, dedicato a s. Bernardo (1340), sui resti dell'emiciclo dell'anfiteatro romano a opera del beato Bernardo Tolomei, fondatore dell'Ordine. Terminata nel 1375, come il convento, fu costruita con materiale di spoglio proveniente dall'anfiteatro e constava di una sola navata con cappella absidale. Decorata con affreschi di Spinello e di Parri, subì radicali rifacimenti (Bigi, 1934) e poi la distruzione per un bombardamento; oggi conserva solo pochi brani della muratura originale. Del monastero trecentesco rimane qualche resto nel loggiato del piccolo chiostro a colonne.È da credere che alcuni degli edifici romanici aretini mostrassero caratteri assimilabili a quelli assunti dalla pieve di S. Maria, ma i mutamenti e le distruzioni intervenuti nelle chiese di fondazione più antica non permettono una campionatura probante. Una sola traccia è fornita dalle testimonianze iconografiche relative alla parte absidale del tempio di S. Donato (sul Pionta) prima della sua distruzione: un affresco di Buonamici nel palazzo Vescovile (Tafi, 1978), che mostra il corpo centrale della tribuna con tre ordini di arcature decrescenti in altezza, variante della soluzione adottata nella pieve, dal carattere forse più arcaico e con motivi a losanga di impronta pisano-lucchese.Tra le chiese di fondazione molto antica, ma che assunsero un ruolo di primo piano nel sec. 13°, era S. Pier Piccolo, documentata dalla metà del sec. 11°, con annessi un monastero e successivamente un ospedale. Dell'edificio medievale, che forse già nel sec. 12° assunse le tre navate mutando l'orientamento e il prospetto (Tafi, 1978), sono conservati resti di porte e finestre dai caratteri romanici e gotici e nell'attuale sagrestia è visibile la struttura di una cappella a crociera. Nel 1241 si insediò negli edifici adiacenti lo 'studio' aretino (Pasqui, 1899-1937, II, nr. 541).La chiesa di Santa Croce, menzionata dal 1081, sorse nel suburbio della città al centro di un borgo, denominato nel sec. 13° burgus sanctae Crucis: vi era annesso un monastero di monache benedettine, distrutto nel 1547; a seguito dei bombardamenti della seconda guerra mondiale la pianta dell'edificio (fine del sec. 12°-inizi del 13°) ha rivelato traccia di due cappelle sporgenti e affrontate nelle pareti laterali, per le quali Salmi (1971) indica un'origine oltremontana. Oggi sussiste integra in gran parte l'abside poligonale, decorata all'esterno da motivi ornamentali in cotto, che lo studioso collegava con la corrente di influsso ravennate presente nell'aretino almeno dal 10° secolo.La chiesetta di S. Antonio di Saione richiama la struttura delle più semplici chiese romaniche della zona, mentre a ridosso del tracciato della cinta altomedievale si trova la chiesa di S. Bartolomeo, costruita probabilmente sul podio di un antico tempio; al suo interno sono stati recentemente scoperti affreschi trecenteschi, altri, staccati, sono al Mus. Statale d'Arte Medioevale e Moderna (Maetzke, 1987).In prossimità del cardo della città romana è la chiesa di S. Niccolò, documentata dal 1113; del tutto rifatta nel sec. 17°, poco resta in vista dell'edificio duecentesco: inoltre sono state asportate quasi tutte le sculture di uno scomposto monumento sepolcrale trecentesco (Pasqui, Viviani, 1925; Agnolucci, 1988). La vicina chiesa di S. Agnese, rinnovata all'inizio del Duecento e integralmente nei secc. 16° e 17°, mostra nella parte inferiore della facciata un paramento a conci squadrati, forse provenienti dalle mura etrusche.La chiesa di S. Lorenzo, menzionata nel 1025, ma ricostruita nei primi decenni del sec. 13° e successivamente più volte, conserva nell'abside ornamenti in cotto a intreccio, paragonabili a quelli dell'abside di Santa Croce e del campanile di S. Michele; dal portichetto antistante, distrutto nel sec. 18°, perviene l'Annunciazione della cerchia di Spinello, oggi al Mus. Diocesano; di fronte a S. Lorenzo era la distrutta chiesa di S. Andrea, che dava il nome alla vicina porta urbica. Più a S, sempre in prossimità del cardo, sussiste la piccola chiesa di S. Gimignano, ricostruita agli inizi del sec. 13° (solo qualche resto originario nell'abside).Entro la cerchia duecentesca fu inclusa l'importante chiesa di S. Michele, documentata dal sec. 11°, ma verosimilmente più antica, cui si aggiunse l'intitolazione a s. Adriano quando la chiesa a lui dedicata - testimoniata nel 1083 - fu distrutta nel Settecento; resti dell'abside, assegnati al sec. 12°, sono conservati nella struttura del campanile e, in asse con questi, rimangono una monofora e il portale, oggi tamponato a lato della porta odierna. Il campanile a torre fu elevato nel 1216 forse in conformità a quello della pieve e modificato più tardi; rimane un residuo decorativo in cotto che ha qualche affinità con quello dell'abside di S. Lorenzo. La chiesa fu ridotta nel sec. 15°, quando fu ampliata l'annessa abbazia, del cui chiostro sussistono resti.Confraternite e compagnie svolsero un'attività assai vivace nei secc. 13° e 14°, erigendo chiese e oratori. Il sito destinato a ospitare il palazzo del supremo magistrato della Confraternita di S. Maria della Misericordia fu ricevuto in permuta nell'area di piazza Grande e nel 1375 ebbe inizio la costruzione dell'edificio a opera degli intagliatori fiorentini Baldino di Cecco e Niccolò di Francesco. I lavori continuarono con l'intervento di maestri lombardi sino al 1376 (Mercantini, 1980), quando si interruppero alla prima cornice sopra gli archi.L'oratorio della Compagnia dei Disciplinati della Vergine Annunziata (1349-1354), sorto nel sito ove fu poi costruita la chiesa che lo inglobò, ricevette in facciata, oltre l'inserimento del tabernacolo con l'Annunciazione di Spinello, quello più tardo di una porta istoriata; anche il basamento fu rimodellato in un secondo intervento (Secchi, 1974). Dedicato a s. Cristoforo (Tafi, 1978) era un altro oratorio trecentesco adiacente, trasformato nel Quattrocento e decorato da affreschi di Parri di Spinello. Quello eretto dalla Confraternita di S. Maria, in prossimità della trecentesca porta di S. Lorentino, ingrandito nel 1702, conserva un'architrave con Storie dei ss. Lorentino e Pergentino, eseguite da uno scultore prossimo alle maestranze impegnate nell'arca di S. Donato. Della metà del sec. 14° sono l'oratorio della Compagnia della Trinità, trasformato nel sec. 18° nella chiesa della Misericordia, e quello della Visitazione della Madonna (nell'od. piazza di Porta Crucifera). Altra chiesa trecentesca di compagnia era quella degli Innocenti (dei Puricelli) di cui restano avanzi nello stabile a fianco della chiesa di S. Agostino (Tafi, 1978).Fittissima era inoltre in città la rete dei monasteri, alcuni dei quali dipendenti da abbazie benedettine e camaldolesi e altri femminili, ubicati specialmente nel tratto dell'od. via Garibaldi, detto per tale motivo via Sacra. Tra i più antichi era quello delle monache camaldolesi di S. Benedetto: di esso ciò che rimane è duecentesco, con alcuni resti più antichi nella chiesa. Del monastero presso S. Maria in Gradi (antica chiesa di S. Maria in graticiata) sussiste solo un piccolo chiostro retrostante l'abside attuale (Tafi, 1978).Il Mus. Statale d'Arte Medioevale e Moderna comprende fra i pezzi scultorei esposti più rilevanti (ma molti sono pure nei depositi o non ancora pubblicati) due plutei altomedievali; sculture architettoniche dei secc. 11° e 12°; un bassorilievo angolare assegnato a Marchionne; colonnette e capitelli dall'abside e dalla facciata di S. Maria della Pieve; una testa maschile con bacinetto assegnata a Giovanni di Agostino, forse pertinente al monumento Tarlati; un'altra testa marmorea probabilmente di giacente (Bartalini, 1987); una statua di santo re, verosimilmente s. Sigismondo, ricavata da una colonna antica e proveniente dal duomo vecchio; un arco gotico con bassorilievi, forse parte di una scomposta cappella della cattedrale, e il gruppo con l'evangelista Luca entro edicola proveniente dalla facciata della medesima. Tra i dipinti (Maetzke, 1987) vanno ricordati: un gruppo di tavole assegnato a Margarito d'Arezzo; una Madonna con il Bambino della cerchia di Guido da Siena; un gruppo di affreschi di Spinello, staccati dalla chiesa della Trinità, dal portale del palazzo della Fraternita dei Laici e un frammento dalla distrutta chiesa di S. Angelo; un'Incoronazione della Vergine assegnata a Lorenzo di Niccolò e una tavola di Giovanni d'Agnolo di Balduccio, cui sono attribuiti pure alcuni affreschi staccati; infine, un importante gruppo di dipinti assegnati a Parri di Spinello. Dalla tomba di Gregorio X proviene un frammento di ricamo del sec. 13°; da ricordare poi una collezione di sigilli e di monete medievali, nonché oreficerie aretine e toscane dei secc. 12°-15° (Galoppi Nappini, 1987). Tra gli esempi di metallistica è una navicella attribuita a Parri di Spinello (Arte aurea aretina, 1985-1986).Il Mus. Diocesano conserva tre crocifissi lignei (provenienti dal duomo), uno dei quali in origine ricoperto di lamina dorata di cultura tardo-ottoniana, databile alla fine del sec. 12°, rimodellato con caratteri antelamici, dipinto e datato 1263 (Maetzke, 1974), e un altro ritenuto più antico che maggiormente si approssima a esemplari bronzei tardo-ottoniani (Maetzke, 1986). Da ricordare poi un'Annunciazione di Andrea di Neri (Maetzke, 1974) e affreschi staccati dall'oratorio dei Puricelli, dalla chiesa di S. Lorenzo - della cerchia di Spinello - e dal chiostro di S. Agostino, sicuramente di Spinello. Si conservano inoltre esempi di metallistica aretina dei secc. 12° e 13° e una navicella con Annunciazione (Arte aurea aretina, 1985-1986).
Bibl.:
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