La drammatica crisi economica argentina del 2001, poi sfociata in gravi disordini sociali e in un periodo di intensa instabilità politica, ha lasciato profondi strascichi per l’affidabilità dell’Argentina sia nella comunità finanziaria internazionale, sia nell’opinione pubblica dei paesi i cui risparmiatori sono stati più coinvolti. Tra le vittime della cessazione dei pagamenti dichiarata allora dal governo di Buenos Aires vi sono infatti centinaia di migliaia di risparmiatori di vari paesi occidentali, che avevano sottoscritto i titoli del debito argentino confidando nella solvibilità del sistema finanziario dell’Argentina e nella garanzia delle banche che avevano gestito i loro risparmi. Sul modo in cui tale pesante eredità è stata gestita dal governo di Nestor Kirchner prima e di Cristina Fernández de Kirchner in seguito esistono tuttora versioni assai difformi. Per i loro estimatori, entrambi avrebbero conseguito l’enorme successo di anteporre la crescita del paese al saldo dei suoi immani debiti, offrendo ai creditori il rimborso negoziato di una quota ridotta dei loro investimenti senza passare dalle forche caudine del Fondo monetario internazionale, a suggello della rinnovata indipendenza argentina. Per i critici, tra i quali figurano molti creditori che non hanno accettato la soluzione offerta dal governo argentino e reclamano ancora il compenso dovuto, quello perpetrato dalle autorità di Buenos Aires è un inaccettabile sopruso e la contrapposizione col Fondo monetario un mero artificio demagogico a uso interno. Di certo, il principale effetto del default dichiarato nel 2001 rimane il duro colpo inferto alla credibilità finanziaria argentina e alla fiducia internazionale nella sua classe dirigente, causa dell’isolamento del paese dai grandi flussi di investimenti esteri e ulteriore ragione della relazione intessuta col Venezuela, paese la cui abbondanza di liquidità grazie agli introiti petroliferi lo rende dispensatore di capitali, spesso in base a criteri politici.