Nell’arco dell’ultimo decennio, la Cina è diventata un partner economico strategico dell’Argentina. Tale circostanza rappresenta una novità radicale nei rapporti argentini col mondo, caratterizzati fino alla Seconda guerra mondiale dalla stretta integrazione all’espansione del capitalismo britannico e poi dal costante bisogno di accedere al mercato statunitense. Tra Cina e Argentina esiste una chiara complementarietà economica, in base alla quale la seconda ha fornito alla prima una crescente quantità di materie prime a prezzi elevati, ottenendone lauti guadagni e un effetto di trascinamento sulla ripresa economica successiva al tracollo del 2001. Al tempo stesso, proprio perché basato sull’esportazione di prodotti naturali e l’importazione di molteplici beni lavorati di ampio consumo, il vincolo economico argentino con la Cina è di per sé asimmetrico e causa di ricorrenti tensioni commerciali tra i due paesi. I beni cinesi, infatti, sono spesso accusati di dumping dagli industriali argentini, ai quali in molti casi tendono a sottrarre quote di mercato interno, sommandosi in tal senso alla già potente competizione dei produttori brasiliani. Per questo, se da un lato gli scambi con la Cina sono sempre più vitali per la crescita dell’economia argentina, dall’altro lato sono soggetti a frequenti andirivieni, ora causati dall’introduzione di misure protezionistiche per frenare il massiccio ingresso di beni cinesi da parte delle autorità argentine, ora determinati dalle ritorsioni cinesi, per esempio sulla soia argentina, le cui esportazioni si aggirano intorno all’enorme cifra di 1,7 miliardi di dollari annui. Per tenersi aperto il mercato argentino e garantirsi l’accesso a fonti di materie prime così vitali, intanto, le imprese cinesi prevedono ingenti investimenti nel campo dei trasporti ferroviari dell’Argentina, in gran parte andati in rovina: proprio come fecero gli inglesi un secolo e mezzo fa.