Vedi ARGENTO dell'anno: 1958 - 1994
ARGENTO (v. vol. I, p. 621)
L'a., per la sua rarità, è utilizzato come elemento decorativo (nel mobilio o come placcatura di elementi architettonici) o di abbellimento personale, e costituisce un'offerta degna degli dei, per il servizio o per la decorazione dei loro santuari; nello stesso tempo, il suo valore venale fa sì che esso dia luogo a forme di tesaurizzazione o che divenga rapidamente un mezzo di scambio. A seconda delle epoche e delle località, dunque, l'a. in età antica riveste diverse funzioni, peraltro strettamente collegate le une alle altre. È utilizzato allo stato grezzo, sotto forma di lingotti, oppure lavorato nelle officine monetarie o negli ateliers degli orafi.
I primi oggetti in a. fanno la loro comparsa nel Vicino Oriente nel corso del IV millennio. Alcuni studiosi hanno pensato che esso sia stato isolato in maniera accidentale, in occasione del processo di raffinazione del piombo. In effetti, nel mondo antico, la principale fonte di tale metallo non è un minerale d'a., bensì un minerale di piombo, in molti casi il galeno (un solfuro di piombo) o la cerussite (un carbonato di piombo). La raffinazione si effettua in due tempi: dopo la frantumazione, la setacciatura e la lavatura, il minerale piombifero viene inizialmente trasformato in piombo metallico mediante un arrostimento riduttore. Segue quindi la coppellazione: mediante l'ossidazione il piombo produce il litargirio e l'a. si concentra, raggiungendo spesso un alto grado di purezza (meno dell'1% di piombo); talvolta è possibile che gli artigiani vi aggiungano anche del rame per migliorarne le proprietà meccaniche: tale procedimento è stato riscontrato in particolare nel vasellame argenteo sasanide.
Le strutture necessarie (forni, crogioli, ecc.) sono state ritrovate in diverse miniere, p.es. al Laurion, in Grecia, oppure in Spagna, nelle vicinanze di Cartagena. La quantità di a. estratta dal minerale, piuttosto scarsa, dipende tanto dalla qualità di quest'ultimo quanto dalla cura che viene posta nel procedimento: i Romani giudicarono redditizio riprendere la raffinazione di considerevoli quantità di scarti delle miniere del Laurion, nei quali era ancora presente una notevole percentuale di argento.
Lo studio delle miniere è sicuramente uno dei campi che oggi attira maggiormente l'interesse degli studiosi per i numerosi problemi che esso pone: localizzazione dei giacimenti, natura dei minerali, condizioni dello sfruttamento, status giuridico. I giacimenti del Laurion, così come quelli spagnoli, sono stati in questo senso oggetto di ricerche assai avanzate, le quali permettono di definire più compiutamente l'organizzazione economica della produzione dell'argento.
È ugualmente importante determinare i rapporti tra il minerale e gli oggetti lavorati. Da ciò deriva il moltiplicarsi delle analisi concernenti la composizione dell'uno e degli altri. La complessità delle operazioni di raffinazione, peraltro, introduce numerose modifiche, spesso difficili da valutare, nelle caratteristiche del minerale. Quanto ai prodotti finiti, non sempre essi derivano direttamente dal metallo grezzo: molti sono i risultati della rifusione di oggetti fuori uso o passati di moda, e di conseguenza costituiscono il frutto di ulteriori miscele. Per questi motivi è in via di sviluppo un nuovo procedimento di ricerca fondato sulla determinazione e il confronto degli isotopi di piombo contenuti negli oggetti e nel minerale. Risultati interessanti sono stati già ottenuti per quanto riguarda le monete; essi sono molto più limitati nel campo del vasellame d'argento.
L'uso dell'a. si diffonde assai rapidamente nel corso del IV millennio nell'Anatolia, in Oriente e in Egitto; a partire dalla metà del III millennio le tombe reali di Ur, quelle di Alaca Hüyük in Cappadocia, o ancora le scoperte di Troia II testimoniano la sua ampia diffusione, che abbraccia anche il mondo cicladico, Creta minoica e il mondo miceneo. In questo periodo la materia prima viene sostanzialmente fornita dai ricchi giacimenti superficiali di galeno dell'altipiano anatolico, anche se, con ogni probabilità, esistevano anche altre fonti di approvvigionamento, in Iran oppure in Afghanistan. Persino l'Egitto, dove, agli inizî del II millennio, il tesoro di Tod ci fornisce una testimonianza del gusto per il vasellame argenteo, deve ricorrere alle importazioni: non vi si riscontra infatti la presenza di a. del luogo, mentre il piombo locale è troppo povero di a.; indubbiamente, in una data ancora non determinata, esso venne estratto da un minerale aurifero, come sembrano indicare le analisi chimiche.
Soltanto alla fine del VI sec. fa la sua comparsa in Mesopotamia, nella Persia achemenide, la monetazione in a.; già prima di tale data, però, questo metallo era diventato un mezzo per la tesaurizzazione o lo scambio, sotto forma di lingotti, utilizzati interi o frazionati o sotto la forma più particolare di anelli o di asce (tesoro di Tepe Nuš-e Jān, VII sec. a.C.).
Il mondo greco dispone di due grandi fonti di approvvigionamento dell'a., che conferiscono potenza e prosperità alle città che ne detengono il controllo: le miniere di Siphnos, da cui l'isola, nel VI sec., traeva la sua ricchezza prima che esse venissero sommerse dal mare; e quelle del Laurion, di cui Atene avvia, al più tardi nell'VIII sec., lo sfruttamento. Queste ultime, di proprietà della città, sono affidate a imprenditori privati sottoposti a una legislazione molto severa: il lavoro di estrazione, così come quello di raffinazione, è assicurato dagli schiavi, il cui numero nel V sec., nel momento di più intensa attività, raggiunge forse le 30.000 unità. L'importanza economica e politica del Laurion in tale periodo fu considerevole. A queste fonti di approvvigionamento si aggiungono, a partire per lo meno dal VII sec., le importazioni dalle miniere della Spagna, allora sotto il controllo dei Fenici.
La contemporanea comparsa, nell'VIII e VII sec., della monetazione in a. e del vasellame prezioso documenta che anche in Grecia l'a. viene considerato sia prodotto di lusso sia forma di investimento; questi due aspetti rimangono a lungo collegati fra loro. L'argenteria non era prodotta per uso privato, ma essenzialmente per uso sacro, come dimostrano gli oggetti e gli inventarî rinvenuti nei grandi santuari, in particolare a Delo. La phiàle d'a. è il dono per eccellenza che si offre agli dei, perché meglio conserva, grazie all'iscrizione che vi può essere incisa, il ricordo del donatore e del suo gesto. Tra le regioni periferiche del mondo greco, la Tracia si distingue per il suo gusto particolare nella lavorazione dell'a. sia nel campo monetario che in quello del vasellame: i tumuli della regione di Duvanlij nella Bulgaria meridionale, risalenti alla fine del VI e al V sec. a.C., e altre tombe sporadiche del periodo che giunge sino alla conquista romana (Radiuvene, Loveč, Vraca, Lukovit) testimoniano la straordinaria attività degli orafi traci, la cui produzione si ritrova dalle coste del Mar Egeo sino al Dniepr. Essa è caratterizzata da un repertorio di forme molto particolari e di decorazioni figurate ispirate alla mitologia indigena o, talvolta, dipendenti direttamente dall'iconografia greca.
Lo straordinario ritrovamento di Rogozen costituisce uno spettacolare documento di questa ricchezza: si tratta di 165 oggetti, per c.a 20 kg di a., sotterrati senza dubbio intorno alla fine del V sec. a.C. Numerose coppe sono contrassegnate dal nome di sovrani indigeni. Anche se le forme sono poco variate, phiàlai (108), oinochòai (54) e boccali (3), vi si può distinguere l'apporto di diversi ateliers sparsi in tutto il territorio trace. I pezzi con decorazione figurata mostrano divinità locali (una grande dea, signora degli animali), rielaborazioni di leggende greche (Bellerofonte e la Chimera), così come immagini di ispirazione ellenistica più diretta, quali l'episodio di Eracle e Auge. L'insieme di questi pezzi formava probabilmente un corredo religioso.
L'argenteria sembra occupare uno spazio relativamente limitato nella vita quotidiana della Grecia classica. I ritrovamenti di questo periodo sono stati poco numerosi; e la maggior parte di essi, soprattutto per quanto riguarda il IV sec. a.C., sono stati effettuati nelle ricche necropoli della Macedonia. Di recente, a Verghina, la tomba attribuita a Filippo II ha restituito numeroso vasellame argenteo, notevole per la qualità, la varietà delle forme e per la parsimonia della decorazione figurata: quest'ultima, assai raffinata, si limita ad alcune teste di sileno, di Pan e di Eracle, poste sotto l'attacco delle anse. Gli orafi mirano soprattutto all'eleganza delle forme; a tutt'oggi non si conosce nemmeno un equivalente in a. del grande cratere bronzeo di Derveni (v.), con la sua decorazione a carattere dionisiaco.
Nel corso dell'età ellenistica, nel mondo greco si assiste a un notevole impulso nella lavorazione dei metalli preziosi: ne forniscono un'idea, p.es., i ritrovamenti di Tukh el-Karmus in Egitto e quelli di Taranto. Essi comunque non raggiungono l'eccezionale profusione che doveva caratterizzare le corti dei Diadochi, e di cui ci si può formare un'idea grazie alla descrizione della celebre processione dionisiaca organizzata da Tolemeo II ad Alessandria nella prima metà del III sec. a.C., con vasi e mobilio d'oro e d'a. in grande quantità, spesso di peso e di dimensioni considerevoli, talvolta contraddistinti da una ricca decorazione figurata.
Le tombe orientalizzanti etrusche hanno restituito, per il VII sec., materiali molto ricchi, in alcuni casi importati dall'Oriente, ma sovente anche di produzione locale. In età ellenistica numerosi esempi testimoniano l'importanza assunta dalla Magna Grecia nel campo dell'oreficeria: un centro particolarmente attivo è Taranto. Gli artigiani sono soprattutto Greci le cui creazioni riflettono spesso in forma diretta le grandi correnti della scultura (cfr. il Centauro di Civita Castellana).
L'argenteria si diffonde sia attraverso i normali canali commerciali sia attraverso le migrazioni di artisti. L'Italia settentrionale (tesoro di Arcisate) e il Ticino, così come la penisola iberica, offrono esempi significativi della produzione della fine del II e degli inizî del I sec. a.C.; ma soprattutto le necropoli di Ancona hanno restituito materiale più omogeneo, cronologicamente compreso tra il III sec. a.C. e la fine dell'età repubblicana, in un periodo di transizione nel quale si sviluppano progressivamente le forme destinate a divenire tipiche dell'oreficeria romana, con oggetti ancora privi di decorazione figurata. Senza alcuna decorazione sono anche le tre coppe recentemente scoperte in Francia nelle vicinanze di Chalon-sur-Saône.
Il mondo romano appare inizialmente restio di fronte alla crescente importanza dei metalli preziosi: le monete in a. cominciano a essere coniate soltanto poco prima delle guerre puniche, mentre l'uso dell'argenteria viene ostentatamente respinto. La spinta decisiva che condurrà a un netto rovesciamento di mentalità è determinata dalle guerre di conquista che porteranno i Romani a diretto contatto con la ricchezza delle città della Magna Grecia e delle corti ellenistiche: lo straordinario afflusso di bottini di guerra aumenta la ricchezza pubblica e privata. L'uso dell'a. per i servizi da tavola diviene, a partire dagli anni intorno al 100 a.C., un elemento indispensabile per il lusso e per la vita sociale: Verre ne costituisce un esempio tipico. Nella stessa direzione vanno le testimonianze offerte dalle fonti e le molteplici indicazioni fornite da Marziale e da Plinio il Vecchio (Nat. hist., XXXIII): si viene a creare un mercato d'arte, nei quale collezionisti appassionati non esitano a offrire prezzi notevoli per le opere dei celebri orafi greci (Mentor, Kalamis), al punto da provocare la nascita di una parallela attività di falsari. Alcune personalità devono la loro notorietà alla quantità di a. posseduto (p.es. Pompeo Paolino, governatore della Germania Inferiore, amico di Plinio, che ne possedeva 12 mila libbre): un'opposizione destinata a perpetuarsi sino a epoca tardo-antica è quella che - come testimonia un passo di Paolino da Pella - esiste tra coloro che preferiscono possedere solo pochi oggetti, ma di gran qualità, e coloro che mirano soprattutto a impressionare grazie al numero e al peso dei loro servizi da tavola. La produzione degli orafi non si limita però al solo vasellame, ma si estende a molti altri campi. L'a. viene di fatto impiegato di frequente nella grande statuaria; numerose iscrizioni conservano il ricordo di statue onorarie che, erette in luoghi pubblici, hanno immediatamente attirato la cupidigia per la massa di metallo prezioso da cui erano costituite, con il risultato che nessuna di esse è stata conservata. Abbondante è, al contrario, la piccola plastica: ritratti di imperatori (p.es. di Lucio Vero da Bosco Marengo) o di privati (busto di Vaison-la-Romaine), statuette di genere (il cavallo d'a. del Louvre e in particolare le statuette-saliere (?) di Chaourse, Nikolaevo e Saida) e immagini di divinità (p.es. le statuette del tesoro di Mâcon), in numero sufficientemente elevato da consentirci di distinguere la produzione di determinati ateliers.
Anche il mobilio poteva essere d'a.: si conoscono p.es. elementi pieghevoli (sepoltura di Concesti), appliques per poltrone o per casse (tesoro dell'Esquilino), sostegni per tavolo (tripode di Polgardi, in Ungheria). Un posto particolare era occupato dagli oggetti per l'illuminazione, lampadari o candelabri, numerosissimi nei banchetti di un determinato livello e, nel corso della tarda antichità, nelle chiese: i tesori di Beaurains e di Kaiseraugst hanno restituito due preziosi esemplari a fusto mobile, mentre una recente ricerca ha focalizzato l'attenzione su un gruppo di oggetti traforati i quali, completati da coppe di vetro, non sono altro che lampade poggianti su piede o sospese (p.es. il famoso «calice» di Antiochia).
Anche alcuni pezzi di armature o di bardature da parata erano occasionalmente d'a. (elmi a maschera di Plovdiv e di Horns). Questo metallo prezioso serve in particolar modo per gli oggetti da abbigliamento e da toletta: numerosi sono gli specchi d'a., soprattutto nei tesori del III sec. recentemente scoperti in Gallia (a Vienne e Rethel) e più elaborati sono gli scrigni per gioielli, per profumi o per abiti, di cui il tesoro dell'Esquilino ha restituito alcuni esemplari spettacolari, databili alla seconda metà del IV sec., analoghi a quelli riprodotti in un contemporaneo mosaico ritrovato a Sidi Ghrib, nelle vicinanze di Tunisi, con scena di toletta femminile.
Il confronto tra i diversi tesori, reso più significativo dal considerevole aumento del materiale pervenutoci grazie ai ritrovamenti effettuati negli ultimi decenni, ci consente ormai di avere un'idea più chiara sulla loro composizione e sull'importanza reciproca del vasellame potorio e dei piatti: mentre alla fine della repubblica e nel I sec. l'attenzione degli orafi era attirata soprattutto dal primo, con la fine del I sec. e almeno sino alla fine del III gli oggetti più raffinati sono costituiti dai piatti, e in genere dalle forme aperte. I testi scritti, in particolare un papiro conservato a Berlino, confermano per altra via le conclusioni suggerite dall'analisi dei tesori.
Come dimostra l'esempio di Pompei, la diffusione degli oggetti d'a. nel mondo romano è così vasta da interessare una porzione molto ampia della società: accanto a tesori particolarmente spettacolari, come quelli di Boscoreale o della casa del Menandro a Pompei, veri e propri servizi da tavola, sono attestati ritrovamenti più modesti, limitati talvolta a pochi pezzi. Tale situazione si protrae sino a epoca tardo-antica. In questo periodo però conosciamo con maggiore precisione i proprietari dei grandi tesori d'argenteria, appartenenti alle più grandi famiglie del mondo romano (i Turcii per il tesoro dell'Esquilino, i Cresconii per quello di Cartagine): tale appartenenza, così come lo splendore di alcuni complessi (più di 100 kg nel caso del tesoro di Treviri, oggi scomparso) può talvolta suscitare l'impressione, che nella realtà dei fatti bisogna invece decisamente attenuare, che il vasellame prezioso fosse più che altro riservato a una élite. Un caso come quello della Gallia, dove i ritrovamenti sono particolarmente importanti nel II e nel III sec., dimostra sino a che punto il gusto per l'argenteria si fosse diffuso attraverso tutto l'impero: una considerevole parte delle risorse d'a. del mondo romano veniva impiegata per la sua produzione, al punto che si è talvolta avanzata l'ipotesi che la penuria di a. monetale, in determinati periodi, si dovesse spiegare con una produzione eccessivamente abbondante di vasellame, che avrebbe sottratto in sostanza quasi tutto il metallo disponibile. In tale periodo la materia prima proviene soprattutto dalle miniere della Penisola Iberica, di cui si conosce dettagliatamente l'organizzazione grazie ad alcuni testi scritti (in particolare l'iscrizione in bronzo di Vipasca) e ai ritrovamenti archeologici. Ugualmente attivi restano i giacimenti in Anatolia, mentre i Romani organizzano lo sfruttamento di altre miniere argentifere (p.es. nella regione di Kosmaj, ex Iugoslavia). Una fonte essenziale, per lo meno per il vasellame, resta però la rifusione dei vecchi pezzi passati di moda o fuori uso.
Alcune fonti ci consentono di cogliere con maggiore concretezza l'attività degli orafi e i rapporti con i loro clienti, ma la loro distribuzione geografica e cronologica è molto discontinua: esse sono particolarmente numerose per quanto riguarda l'Oriente, soprattutto l'Asia Minore, la Siria e l'Egitto a partire dal IV sec., e costituiscono una conferma a ciò che indicano anche i ritrovamenti, vale a dire l'importanza dell'argenteria in queste regioni agli inizî dell'epoca bizantina (tesori di Kaper-Koraon in Siria o di Kumluca in Turchia). Ma qui, come altrove e come in altri periodi, resta difficile determinare la localizzazione delle fabbriche: gli oggetti firmati sono particolarmente rari (p.es. nel tesoro di Kaiseraugst ricorrono due firme, quelle di Pausylypos di Tessalonica e di Euticius di Naissus) e anche le attribuzioni stilistiche restano molto incerte. Rari sono i centri di cui si può distinguere l'attività: uno di essi è Naissus, l'attuale Niš nella Serbia, cui vengono attribuiti alcuni pezzi di IV secolo. Un altro caso privilegiato è quello della Gallia del III secolo. I numerosi ritrovamenti che vi sono stati effettuati nella gran parte dei casi sono dovuti a improvvisi seppellimenti provocati dalle invasioni degli anni 260-270. Il carattere assolutamente omogeneo del materiale consente di individuare con precisione l'esistenza di una produzione regionale, localizzabile nella parte N-NE della regione e caratterizzata da un repertorio tipologico molto particolare (con alcune forme, come le coppe a collarino, che sembrano tipiche di questi ateliers) e da decorazioni specifiche che fanno uso soprattutto della niellatura per eseguire motivi geometrici o vegetali che non ricorrono altrove.
Come le forme degli oggetti, variano, a seconda delle epoche, anche le tecniche della decorazione, non sempre facilmente distinguibili a livello di utilizzazione nell'argenteria senza un attento esame di laboratorio che metta in evidenza la struttura del metallo. Nel I sec., p.es., il procedimento più raffinato è considerato lo sbalzo, che consente la realizzazione di pezzi di eccezionale virtuosismo, come le due coppe con centauri di Berthouville, che ne esemplificano adeguatamente le tecniche. Nel II e nel III sec. invece lo sbalzo passa di moda a vantaggio di altre tecniche che assicurano una maggior uniformità del rilievo, quali la fusione a cera perduta e il cesello: il tesoro scoperto di recente a Vienne ne offre notevoli esempi. Nel medesimo periodo si assiste allo sviluppo dell'uso della niellatura, tipico di un gusto che preferisce i giuochi coloristici alla resa plastica del rilievo. Il tesoro di Rethel fornisce alcune considerevoli manifestazioni di tale procedimento, ancora in voga con successo nel IV sec., quando la decorazione geometrica si fa più varia e numerosi diventano i motivi figurati. Il «piatto di Arianna» del tesoro di Kaiseraugst ne costituisce uno degli esempi più significativi, assommando nella propria esecuzione la maggior parte delle tecniche in uso intorno al 350: la doratura, la niellatura e il rilievo, ottenuto con una leggera depressione dei motivi geometrici. Il gusto per il rilievo conosce, d'altronde, nel corso dell'età tardoantica un rinnovato interesse che si manifesta talora in forme strabilianti, come nell'anfora rinvenuta in mare al largo di Porto Baratti in Toscana, ornata con file di piccoli medaglioni ovali che imitano in maniera perfetta pietre incise.
Tali tecniche hanno prodotto eccezionalmente pezzi di argenteria che costituiscono vere opere d'arte, più di frequente oggetti di lusso che possiedono comunque valore proprio, dovuto al metallo in cui sono forgiati. È indubbio che molte volte fosse proprio il peso a determinarne il prezzo. È questa la ragione per cui l'argenteria rappresenta il dono di scambio per eccellenza tra privati al momento delle strenne (Marziale nei suoi epigrammi ricorda il fatto a più riprese), oppure in occasione dell'ingresso in carica di un magistrato che ne distribuisce agli amici (come fece Simmaco quando il figlio diventò questore). Essa costituisce anche un elemento importante nelle largitiones imperiali (v. vol. IV, p. 478, s.v. Largizione, piatti dì), soprattutto nel IV sec., periodo in cui gli esemplari conservatisi sono relativamente numerosi (tesoro di Niš, ritrovamento di Červenbreg in Bulgaria per i decennali di Licinio, tesoro di Monaco, per gli anniversari dei figli di Licinio e di Costantino). ln alcuni casi la decorazione figurata è elaborata (come nel missorium di Teodosio e in quello di Valentiniano), il più delle volte è molto semplice (coppe di Niš): ciò che conta è soprattutto il peso del metallo prezioso; è questo che costituisce l'oggetto dell'offerta nella stessa misura di un bel lavoro di oreficeria, talvolta trascurato al punto che l'oggetto viene letteralmente fatto a pezzi per monetizzarne più facilmente il valore: si tratta di una pratica diffusa tra i barbari («Hacksilber», p.es. nel tesoro di Gross Bodungen), ma attestata anche all'interno dell'impero sia attraverso alcune fonti scritte (Paneg., 12, 26, 2; Symm., Epist., I, 64), le quali, nel momento in cui il cristianesimo si è ormai diffuso, incitano i fedeli alla generosità (Vita di Santa Melania, 19), sia attraverso alcune testimonianze archeologiche (tesoro di Saulzoir, nella Francia settentrionale, del III sec.). È sempre l'importanza dell'a. in quanto metallo che spiega l'abbondanza di lingotti in epoca tardoantica: in alcuni casi si tratta della materia prima di un orafo (lingotti del tesoro di Eauze, nel Gers in Francia, di recente ritrovato), in altri addirittura di doni imperiali che recano stampigliato il ritratto del sovrano (lingotti di Dierstorf o di Kaiseraugst). È inoltre possibile che alcuni piatti d'a. o alcuni lingotti escano direttamente dalle zecche monetarie, come dimostrano i piatti del tesoro di Monaco. L'esistenza di manifatture di stato nel campo dell'argenteria rimane però incerta, anche in età tardoantica.
Questa importanza del metallo in rapporto al lavoro dell'orafo spiega perché in determinate epoche si sia fatta sentire l'esigenza di un controllo dell'a.: già nel III millennio il vaso creato per il re Entemena di Lagaš (intorno al 2450 a.C.) reca un'iscrizione che indica che il metallo di cui era composto era stato «purificato». Peraltro, anche se si rimane colpiti dall'altissima qualità dell'a. del vasellame romano (in genere più del 90%), che si mantiene costante nel corso di tutta l'età imperiale, è soltanto nella tarda antichità che si sviluppa un sistema di marchi, inizialmente sui lingotti, alcuni dei quali, contrassegnati da un marchio ufficiale di origine controllata (l'immagine di una Tyche), sono detti di puro argento «pusulatum»; sugli oggetti i marchi invece continuavano a essere, nel IV e nel V sec., eccezionali e spesso enigmatici (si veda p.es. il grande missorium di Cesena). Alcuni di essi, più chiari, precisano l'origine del piatto (tesori di Niš e di Monaco). Bisognerà attendere l'età bizantina, nel VI e nel VII sec., perché si sviluppi un sistema coerente di punzonatura ufficiale, di cui peraltro è discussa l'esatta funzione (v. tesori): non è chiaro se si tratti di marchi di qualità del metallo, apposti prima della finitura, o al contrario del contrassegno attestante che l'oggetto è stato eseguito in una fabbrica ufficiale.
Questo valore del metallo, associato al prestigio che si attribuisce all'oreficeria in quanto prodotto di lusso e veicolo privilegiato delle immagini della cultura classica, spiega il successo del vasellame d'a. soprattutto in età tardoantica tanto all'interno (tesoro di Kaiseraugst e di Mildenhall, lanx di Corbridge) quanto all'esterno dell'impero: la sepoltura principesca di Concesti in Romania, di recente sottoposta a un nuovo studio, costituisce, soprattutto per una grande anfora e una situla, uno straordinario esempio di produzione più raffinata romana all'interno del mondo barbaro. Nello stesso modo si spiega anche la formazione di depositi di argenteria di ogni tipo: pezzi di vasellame prezioso vengono occasionalmente deposti entro le tombe, una pratica che è piuttosto diffusa nel mondo romano, ma che conosce numerose attestazioni in Gallia (tomba di Lillebonne, tumulo di Cortil-Noirmont del II sec., mausoleo di Colonia-Weiden del IV sec.), mentre la tomba di Taraneš, nell'ex Iugoslavia, ne costituisce un bell'esempio per quanto riguarda l'età tardoantica. Spesso il fatto di nascondere un tesoro è determinato dalla necessità, per i suoi possessori, di proteggere un capitale prezioso, ma ingombrante, nell'imminenza di un pericolo. È dunque il suo stesso valore che ha contribuito a conservare l'argenteria antica, oggi meglio conosciuta grazie a numerosi ritrovamenti.
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