ARGENTO (IV, p. 253)
Metallurgia. - La metallurgia dell'argento modernamente riguarda pochi metodi per la produzione su vasta scala. I processi principali sono quelli per via secca, basati sull'ottenimento di leghe col piombo, e quello di lisciviazione con cianuri alcalini, analogo al trattamento di cianurazione per l'oro. Questi processi possono confluire, poiché talvolta la melma argentifera ottenuta per cianurazione viene rifusa con piombo, e la lega ricca passata infine alla coppella.
La scelta dei metodi dipende dalla natura del minerale e dalle condizioni d'ambiente. Quando è possibile, si preferiscono quelli per via secca, e fra questi appunto predomina quello della "piombatura" (ted. Eintränkarbeit) unendo l'argento al piombo, anche attraverso la riduzione dell'agglomerato piombifero al forno a vento.
Il piombo grezzo argentifero si distingue in "piombo ricco", se tale da trattarsi direttamente alla coppella, e in "piombo d'opera", se debolmente argentifero, e da sottoporsi ad un processo di concentrazione del metallo nobile.
II piombo d'opera è generalmente trattato col processo Parkes (vedi piombo, XXVII, p. 335), basato sulla piccola solubilità dello zinco nel piombo, e sulla formazione di leghe ternarie zinco-piombo-argento anch'esse scarsamente solubili nel metallo da "disargentare". Il diagramma qui sotto illustra l'insieme del trattamento.
Tra i processi per via umida, è dominante quello della cianurazione, applicato particolarmente nell'America Centrale (Messico) e Settentrionale in grandiosi impianti, e di cui si è avuta qualche modesta installazione anche in Italia (Sardegna).
La cianurazione può essere preceduta da un arrostimento desolforante e anche clorurante, per solubilizzare l'argento, quando occorra. Gl'impianti contengono quegli organi caratteristici illustrati per l'oro. Il diagramma accanto riproduce l'insieme del trattamento descritto per la Mac Namara Hill di Tonopah (Nevada), in cui si trattavano circa 70 tonn. al giorno di minerali argentiferi ossidati e solforati, con un rendimento del 90% in metallo nobile, e un consumo di reagenti corrispondente a: cianuro di potassio: o,075-0,0875%; calce viva-0,15% ; acetato di piombo: 0,0275%, rispetto al minerale.
La mineralurgia dell'argento si avvantaggia oggi anch'essa notevolmente dei processi di fluttuazione.
È frequente l'ottenimento di argento contenente oro (il cosiddetto Güldisch dei Tedeschi) e, con lega relativamente povera di oro, si impiega generalmente la raffinazione elettrolitica, che consente, col ricupero completo dell'oro stesso, la preparazione di argento catodico ad alta purezza fino al 999,5 e 999,8 per mille.
Si impiega elettrolito contenente nitrato d'argento (10 ÷ 20 gr. di Ag litro), acido per acido nitrico, e anche recante nitrato di sodio. Il giuoco dei potenziali elettrolitici è tale che l'oro rimane come melma anodica, e nell'elettrolito si possono accumulare rame e piombo, particolarmente il primo, fino a percentuali anche elevate, senza alterare la purezza del deposito al catodo.
L'elettrolisi si compie in piccoli elettrolizzatori con densità di corrente catodica di circa 500 amp./mq., e una tensione di circa 2 volt, con un consumo di 0,5 ÷ 0,6 kWh. per 1 kg. di argento.
L'argento si depone in forma di cristalli staccati, e debbono anche perciò usarsi diaframmi che separano il comparto catodico da quello anodico, oltre a dispositivi varî per liberare il catodo dai cristalli di metallo, per es. con celle recanti raschiatori a moto pendolare ed elettrodi verticali, che permettono la raccolta periodica dell'argento catodico dal fondo dell'elettrolizzatore (celle derivate dall'apparecchio di Moebius); oppure si usano celle a elettrodi e diaframmi orizzontali, con il catodo costituente il fondo della cella (celle Balbach-Thum). Le celle del secondo tipo presentano generalmente densità di corrente minori. Le melme anodiche aurifere rifuse vanno a costituire gli anodi per la raffinazione a oro fino.
Bibl.: H. O. Hofman, Metallurgy of Lead, New York e Londra 1918; V. Tafel, Lehrbuch der Metallhüttenkunde, I, Lipsia 1927; V. Engelhardt, Die technische Elektrolyse Wäss Lösungen, I e II, ivi 1932; J. V. N. Dorr, Cyanidation and Concentration of Gold and Silver Ores, New York e Londra 1936.
L'argento nell'arte (p. 256).
La scoperta, avvenuta nel dicembre 1930 a Pompei nella cosiddetta Casa del Menandro (Regio I, Insula X, n. 4), di un ricco corredo di vasellame argenteo composto di 115 pezzi e costituenti nel loro insieme il servizio lussuoso della mensa della famiglia patrizia di Quinto Poppeo, della nobile gens dei Poppaei, è venuta ad arricchire il già cospicuo patrimonio di argenteria antica tornato finora in luce dalle città e dalle ville della regione vesuviana e a formare, insieme con il tesoro di Hildesheim e con quello di Boscoreale, il terzo grande servizio di vasellame argenteo che si possiede della toreutica greco-romana.
Come nel tesoro di Boscoreale, così in quello della Casa del Menandro, il servizio di mensa si può raggruppare nelle due categorie principali di argentum potorium (vasellame da bere) e di argentum escarium (vasellame per mangiare) profondamente diverse per stile, per tecnica e per valore artistico. Nella prima, che forma la vera e propria argenteria d'arte, si ha la tecnica della caelatura, del lavoro a sbalzo, rifinito dal bulino e dalla doratura dei particolari nei soggetti figurati e nei motivi ornamentali; nella seconda, l'opera dell'argentiere si limita alla laminatura o allo sbalzo, servendosi per i pezzi a serie di modelli e di matrici a stampo, talvolta anche, per pezzi ed elementi di maggior peso e robustezza, della fusione a forma piena; né mancano anche qui il lavoro del bulino per il rifinimento delle parti ornamentali, la doratura e spesso l'ageminatura.
Mentre nel vasellame da mensa si hanno veri e proprî servizî per quattro o per otto, con serie rigorosamente identiche di forma e di decorazione, la più grande varietà di stile e di soggetto regna nel vasellame potorio che è appaiato, due a due. Lo stato di conservazione e i guasti non tutti imputabili al periodo del seppellimento, fanno scorgere chiaramente che non ci troviamo, per quanto almeno riguarda le tazze e le coppe, innanzi ad argenterie di fresca lavorazione, ma già usate e in parte logore; in altre parole, il vasellame più prezioso di questo servizio da mensa formava l'argenteria vecchia (argentum vetus) della famiglia; e la presenza di due scyphi molto logori e consunti, d'indubbia arte ellenistica, rivela la passione che i Romani, fin dall'ultimo tempo della repubblica, ebbero per i prodotti della toreutica greca. Il tesoro della Casa del Menandro, costituitosi nel suo nucleo principale fin dall'età augustea o giulio-claudia, rispecchia così officine, correnti e centri di produzione diversi e cioè: prodotti genuini della toreutica ellenistica di scuola asiatica o insulare, prodotti della toreutica romana di età augustea, e, nel vasellame da mensa, prodotti d'arte industriale fine ma di tipo corrente, in uso presso argentieri locali o di qualche altra città campana.
Il gruppo delle argenterie d'arte comprende: due scyphi con scene paesistiche di carattere idilliaco; due scyphi con le imprese di Ercole e due altri minori con scene della nascita e della vita di Dioniso; due canthari con gli amori di Venere e Marte e due con decorazione vegetale a tralci di ulivo; due bicchieri con corse di Amorini nel circo e 1 bicchiere più piccolo con lotta di cicogne e serpenti; una phiale con emblema aureo; una grande casseruola con manico figurato e, al di fuori della suppellettile strettamente conviviale, un grande specchio con emblema figurato.
Il vasellame da mensa comprende una grande lanx o piatto circolare, cui fanno corona quattro servizî di piatti e vasellame minore di tipo pesante e leggiero: brocchette, tazzine, coppette, mense, saliere, pepiere, forme di pasticceria e cucchiai di vario uso. Né mancava il ferculum, la mensa portatile sulla quale dovevano i servi portare le vivande dalla cucina al triclinio.
Dopo le argenterie della Casa del Menandro, un altro insigne pezzo di argenteria antica è venuto ad aggiungersi ai prodotti d'arte della toreutica romano-imperiale, con la grande patera di Parabiago (Milano), scoperta clandestinamente nel 1907 quale coperchio di un vaso cinerario, resa nota e pubblicata nel 1933-34. La patera, del considerevole peso di kg. 3,50, del diametro di 39 cm., rappresenta la pompa trionfale di Cibele e di Attis su quadriga tirata da quattro leoni.
Per lo stile e per i motivi della composizione la patera è da assegnare alla seconda metà del sec. II d. C.
Alla più rara classe della toreutica celtica scoperta su territorio italiano, appartiene un piccolo gruppo di argenterie del Museo di Brescia, rinvenute nel 1927-28 a Manerbio sul Mella, nel basso Bresciano, regione dei Cenomani Cisalpini. Sono per la maggior parte dei dischi (phalerae), decorati, lungo la zona esterna dell'orlo da una serie continua di mascherette di tipo barbarico, con occhi cerchiati, sporgenti, bulbari, ciglia suddivise a globuli, labbra contornate da mustacchi; in 2 esemplari l'umbone centrale è ornato da una triskele. Altri oggetti d'ornamento, arcuati, appaiono decorati da una testa d'ariete e da una protome umana, sotto il cui mento appare il tipico torques a bottoni del costume gallico. Per lo stile queste argenterie celtiche sono da attribuire al II periodo di La Tène (300-250 a. C.).
Bibl.: A. Maiuri, La Casa del Menandro e il suo Tesoro di argenteria, Roma 1933, voll. 2; A. Levi, La patera d'argento di Parabiago, in Opere d'arte dell'Ist. di arch. e st. d. arte, Roma 1934; C. Albizzati, Lavori di toreutica celtica nella regione dei Cenomani cisalpini, in Historia, VII (1933), p. 570 seg.