Vedi ARGENTO dell'anno: 1958 - 1994
ARGENTO (argentum, ἄργυρος)
Furono i Fenici che diffusero l'uso dell'a. nel bacino del Mediterraneo. Essi lo ricavavano forse dalle miniere spagnole. In Egitto l'a. fu in uso fin dalla XVIII dinastia. Nell'epos omerico l'a. appare per armi e suppellettili varie; Ulisse, ad esempio (Il., xxiii, 743), vince un cratere argenteo; un vaso simile dona Menelao a Telamone (Od., iv, 615); d'a. è il trono di Penelope (Od., xix, 57). Nella civiltà cretese-micenea l'a. serve per vasi e per decorazione di armi. Vasi d'a. sono stati trovati a Cnosso e nei varî centri micenei con decorazione a sbalzo e ad agemina, ed ageminati con a. ed elettro sono spade e pugnali micenei. Nella Grecia l'a. appare tardi: fu infatti solo col V sec. a. C. che incominciò lo sfruttamento delle miniere del Laurion; purtuttavia lo si usava a Corinto anche nel VI sec. per le famose leghe bronzee di cui gli artigiani locali custodivano gelosamente il segreto. In età classica invece fu largamente conosciuto ed adoperato, tanto che non vi era persona appena benestante che non possedesse vasellame d'argento. Un tale lusso si protrasse anche in età ellenistica, tanto che Atenagora (vi, pp. 230-31) ricorda come anche chi non avrebbe potuto permettersi un tal lusso cercasse di possedere suppellettili argentee. L'a. serviva anche per altri oggetti, come, ad esempio, per le piccole riproduzioni del tempio di Diana ad Efeso che l'argentiere Demetrios fabbricava e vendeva con lauti guadagni (Atti degli Apostoli, xix, 24). In Egitto l'a. veniva colorato (Plin., Nat. hist., xxxiii, 46), mentre a Smirne, in Asia Minore, uno specchio concavo d'a. si trovava in un tempio (Plin., Nat. hist., xxxiii, 45). L'a. serviva anche per argentare gli specchi e renderli adatti a riflettere l'immagine: notissimi a questo proposito gli specchi greci e quelli etruschi, di cui restano cospicui esempî.
Anche in Etruria incontriamo frequentemente usato l'a. e per specchi ed altri oggetti, come, ad esempio la cassetta rinvenuta a Vetulonia. Ma in Etruria sono stati rinvenuti anche i vasa argentata, ossia dei vasi fittili sui quali, mediante l'applicazione di una foglia di a. su di una sottile imprimitura bianca, si otteneva una ricca decorazione. Essi appartengono al periodo che va dalla fine del IV sec. al principio del III a. C., e la loro fabbrica sembra doversi localizzare fra Orvieto e Bolsena.
Suppellettili argentee sono frequentissime anche nei rinvenimenti della Magna Grecia: è particolarmente Taranto che ce ne conserva il ricordo. Dalla Magna Grecia provenne la ricca serie di oggetti d'a. che arricchì i trionfi dei conquistatori Romani. A Roma, infatti, l'a. era stato considerato per lungo tempo oggetto di lusso e raro. Così Fabrizio non aveva altri oggetti d'a. in casa che quelli necessarî ai sacrifici (Plin., Nat. hist., xxxiii, 54). Con la conquista della Grecia e dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, la suppellettile d'a. divenne frequente, anzi comune fra i cittadini romani, che ne ebbero anche di finemente decorata. È da ricordare a questo proposito l'argenteria trovata a Pompei nella Casa di Menandro o quella della villa di Boscoreale, o quella di Hildesheim, di Traprain ovvero di Hoby. Non sono infrequenti nemmeno i tavolini d'a. detti abaci. È di questo periodo anche la nomenclatura tecnica dell'argenteria di uso comune: argentum escarium, destinato ai cibi; argentum potorium, destinato invece alle bevande. Della prima età imperiale sono anche alcune statuine d'a., come quelle, ad esempio, delle personificazioni di Alessandria, oppure di Antiochia sull'Oronte, oggi nel British Museum. Di patina d'a. era ricoperta la statua dell'efebo di Pompei, così come dello stesso metallo erano gli oggetti del tesoro di Boscomarengo, fra i quali un busto imperiale. Ancor più diffuso l'uso dell'a. nella tarda antichità, sia per statue come quella di Stilicone nel Foro Romano e di molte altre ricordate nelle fonti a Roma, a Costantinopoli, sia per suppellettili come quelle del tesoro dell'Esquilino, la cassetta di Milano, ecc., sia per oggetti di culto, come la pisside di Grado o il calice di Antiochia, sia per oggetti vari, come i molti missoria (v.), di cui i più celebri sono quelli di Teodosio e quello, recentemente rinvenuto, di Cesena, ornati con raffinate rappresentazioni in rilievo e in incisione (v. tesori).
Nello stesso metallo erano anche oggetti da arredamento come lampadari - vedi ad esempio, quello di St. Germain-en-Laye -, tripodi - come quelli di Hildesheim e di Polgard -, cassette - come quella di Proiecta. Per l'a. nella monetazione v. la voce moneta. Si veda anche argentarius.
Bibl.: Per gli a. in generale: Pauly-Wissowa, III A, i, c. 13 ss., s. v. Silber; per le argenterie omeriche: E. Buchholtz, Homer. Realien, Lipsia 1871-85, I, 2, p. 316; per i vasi d'a. etruschi: J. D. Beazley, Etruscan Vase-Painting, Oxford 1947, p. 284; per le argenterie ellenistico-romane, cfr. Catalogo della Mostra Augustea della Romanità, II, p. 428 ss.; per i piatti tardo antichi, cfr. P. E. Arias, Il piatto argenteo di Cesena, in Annuario Atene, XXIV-XXVI, 1946-48, p. 309 ss.