GIUFFREDI (Giuffrè), Argisto
Nacque a Palermo, da Giovanni, banchiere, di famiglia originaria di Pisa; il nome della madre è ignoto. La data di nascita non è documentata, ma non dovrebbe essere posteriore al 1535.
Negli Avvertimenti cristiani, il più importante tra gli scritti del G. pervenutici, egli afferma infatti di avere composto l'opera all'età di cinquant'anni. Ora, sebbene la data di composizione degli Avvertimenti non sia sicura, la menzione nel testo di personaggi storici (il viceré Marcantonio Colonna, che lasciò l'isola nel 1584) e di eventi personali (un processo subito nel 1580) permette di collocare lo scritto intorno alla metà degli anni Ottanta.
Sulla vita del G., negli anni precedenti al 1559, non si hanno dati certi. Probabilmente, secondo il costume allora in voga, trascorse un periodo in Toscana. Ciò aiuterebbe a spiegare la sua amicizia con B. Varchi oltre che il tenace attaccamento alla tradizione linguistica del Petrarca e del Boccaccio. Durante un soggiorno spagnolo, a Valenza, il G. ebbe modo di apprendere il castigliano. Non si hanno notizie di ulteriori viaggi effettuati dopo l'inizio del cursus honorum, avvenuto con la nomina (1° nov. 1559) a collettore della cassa dei panni, credenziale dei cantari e messo della Segrezia. Nel medesimo periodo, il G. divenne segretario di B. Sebastiano, vescovo di Patti, che risiedeva a Palermo. Non si sa invece quando sia stato nominato maestro notaro della Corte pretoriana, carica di cui risulta titolare nel 1561. Di lì a poco assunse anche il notariato del Regio Portulano di Palermo, con approvazione regia del 24 marzo 1562.
Il nome del G. risulta in una numerosa serie di liti e atti giudiziari. Nel 1575 iniziò un lungo contenzioso con i governatori della Tavola, che gli avevano addebitato 150 onze, residuo, stando alla pretesa dei governatori, di un debito paterno. Il Senato accolse le ragioni del G., ma seguirono nuove traversie, sino al 1580, allorché fu arrestato e posto alla tortura. Quale accusa pesasse sul suo conto resta un mistero: il G. si proclamò sempre innocente. Seguirono ulteriori calamità, tra cui pure una scomunica, anch'essa per cause a noi ignote. Se ne ha notizia da una supplica del Senato di Palermo, in data 12 giugno 1589, con la quale si prega il pontefice di reintegrare il G. in seno alla Chiesa. Non si può escludere, in questo caso, che il G. sia stato realmente vittima - come egli afferma nei suoi scritti - delle manovre della grande nobiltà siciliana, in quanto funzionario regio, che, in nome e per conto di un sovrano straniero, poteva essersi opposto alle pretese di autonomia dei baroni. In effetti, l'accusa di concorso nel tentato omicidio di due membri del potente casato dei Valguarnera condusse il G. alla detenzione nel carcere di Castellammare e a una tragica fine.
Tra il 16 e il 18 ag. 1593 il G. fu tradotto nelle segrete della fortezza palermitana. Qui, il 19 agosto, rimase ucciso, insieme con il figlio Argisto, il poeta A. Veneziano e centinaia di altri detenuti, durante l'esplosione della rocca avvenuta per un misterioso scoppio delle polveri. I suoi resti non poterono essere ricomposti.
Maggiore fortuna il G. ebbe nella vita familiare. Negli Avvertimenti reitera lodi alla moglie, dalla quale ebbe tre figli: Fabio, Giovanni e Argisto. La prima notizia sulla sua attività letteraria risale al 1568: con il nome di Contemplativo egli risulta tra i fondatori dell'Accademia degli Accesi (1568-73). Partecipò anche, fino a esserne più volte principe, ai lavori dell'Accademia dei Risoluti, fondata nel 1570 da F. Valguarnera. Nei suoi scritti il G. mostra venerazione, oltre che per Dante, Petrarca e Boccaccio, anche per P. Bembo; consiglia la lettura dell'Ariosto, fra i poeti, e del Castiglione e del Della Casa, fra i prosatori. Avversa, invece, il Tasso, distanziandosi dal gusto allora predominante negli ambienti letterari siciliani. Intervenendo, inoltre, attivamente nella questione della lingua, il G. prese le difese del toscano e ritenne il latino e il siciliano inadatti alle scritture letterarie. Caldeggiò anche, come era ovvio per quei tempi, la conoscenza del castigliano, mai però con intento sostitutivo della lingua toscana.
L'opera più significativa del G. resta gli Avvertimenti cristiani (l'unica edizione è a cura di L. Natoli, Palermo 1896), un poderoso trattato destinato ai figli in cui si intrecciano il genere memorialistico e la saggistica morale, nell'intento di fornire una serie di regole di comportamento utili nella società civile. Gli Avvertimenti si presentano come un vademecum della prudenza, in prosa familiare per niente sciatta; ma, non senza una ingenuità che colpisce, l'autore sembra assumere posizioni di forte indipendenza. Le reiterate esortazioni al rispetto dei potenti, e delle regole da essi promanate, non celano la stizza per lo status quo e, nel corso dell'opera, si disvela un mondo fondato su reciproci rapporti di forza, sul formalismo ritualistico in religione, sulla soperchieria dell'autorità e la corruzione dei birri, sul culto dell'onore spinto fino alla giustificazione del delitto. In maniera del tutto anacronistica, il G. giunge addirittura a levare la sua protesta contro la pena di morte. Al contempo, però, viene affrescata una civiltà che sa essere, fra tanta ferocia, anche splendida nelle maniere e nei comportamenti. Vastissima è la gamma delle situazioni toccate negli Avvertimenti. Tra esse: come comportarsi da gentiluomini in società; come rivolgersi a Dio e ai suoi ministri; come praticare l'adulterio senza pericolo dell'onore e della vita; come assicurarsi protezioni; come, infine, amministrare decorosamente il patrimonio.
Dell'abbondante attività poetica del G. sono pervenuti 76 sonetti e una sestina, tra le Rime de gli accademici degli Accesi (Palermo, G.M. Mayda, 1571, cc. 29-52), insieme con alcune canzoni inedite (Palermo, Bibl. comunale, mss. 2Qq.D.74, cc. 129-194; 2Qq.C.34, c. 84v). Un sonetto dedicato alla Vergine, Correte a gran beltà di varia rosa, è pubblicato in A. Brandi (Ilrosario di Maria Vergine, Roma 1601, p. 16). Nel complesso, la musa del G. canta l'amore nella tradizione petrarchista e ostenta le ingegnosità poetiche dell'epoca, sia pure in maniera stilisticamente assai più contenuta di alcuni suoi contemporanei. La preferenza per la lingua toscana non impedì al G. di verseggiare anche in siciliano (un intero canzoniere si conserva nel ms. 2Qq.b.23, cc. 43-45 della Bibl. comunale di Palermo) e in castigliano (Soneto de Argisto Jofré, A los illustrisimos señores inquisidores deste Reyno, in M. Capra, De immortalitate rationalis animae, Panormi, G.F. Carrara, 1589, p. 2).
Degli studi linguistici sono pervenute le Osservationi sopra alcune parole del Decamerone, condotte sull'edizione fiorentina del 1573, trascritte da Vincenzo Auria (Palermo, Bibl. comunale, ms. 2Qq.A.24, n. 2, cc. 145-242), e le Annotazioni al Compendio del signor Massimo Troiano (Firenze 1601).
La maggior parte delle opere del G., tuttavia, non ebbe migliore fortuna dell'autore. Sono andati perduti, se mai sono realmente esistiti, una serie di scritti, dei quali sono incerti persino i titoli. L'Auria (c. 149), fra altre opere, dichiara di avere visto, manoscritta, in casa di G. Galeano, una Censura alla Gerusalemme di Torquato Tasso del G., e menziona una raccolta di poeti antichi, che egli avrebbe curato (c. 143). Non si ha traccia nemmeno di due opere citate direttamente dal G. nelle Annotazioni al Compendio del Troiano: la Raccolta di lettere italiane, o Segretario (p. 225) e il Trattato per insegnare a gli Spagnuoli la pronuntia toscana (p. 362).
Fonti e Bibl.: Palermo, Bibl. comunale, ms. Qq.D.19: V. Auria, Teatro de gli uomini letterati di Palermo, cc. 143-149; G. Opezinghi, Discorso su la poetica diligentemente osservata, in A. Brandi, Il rosario di Maria Vergine, Roma 1601, p. 502; F. Mugnos, Teatro genologico, Palermo 1647, t. I, l. 3, p. 397; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, I, Panormi 1714, p. 84, col. a; F.M. Mirabella, Dell'ultima prigionia di A. Giuffrè, in Arch. stor. siciliano, n.s., XXIII (1898), p. 254; S. Salomone Marino, A. G., ibid., pp. 294-302, 516 s.; L. Sorrento, La diffusione della lingua italiana in Sicilia, Firenze 1921, pp. 91-107; N. Tedesco, Per lo studio della dimora siciliana dal Cinquecento al Novecento, Caltanissetta-Roma 1970, pp. 3-23; M. Beretta Spampinato, La prosa del Cinquecento, in Storia della Sicilia, IV, Napoli 1980, pp. 376-380; V. Di Giovanni, Palermo restaurato, a cura di M. Giorgianni - A. Santamaura, Palermo 1989, pp. 37, 231, 337.