aria
Il termine ricorre una volta nella Vita Nuova (XXIII 5) e due nel Detto (242 e 245). Normale è la forma ‛ aere '; nella sola Commedia appare anche la forma ‛ aura '. Da segnalare ancora la forma ‛ are ' e aire Per la necessaria organicità della trattazione dottrinale, si prescinde qui da queste varie forme con cui l'elemento è designato. Naturalmente le voci ‛ aere ' e ‛ aura ' hanno anche una trattazione autonoma (v.).
L'a., insieme alla terra, all'acqua e al fuoco, è uno dei quattro elementi aristotelici (cfr. Gener. et corrupt. III III, 330a 30-36, 330b 1-9, e quanto dice D.: Io veggio l'acqua, io veggio il foco, / l'aere e la terra e tutte lor misture, Pd VII 124-125) o corpora simplici (Cv III III 2), ed è caratterizzata dalla coppia di qualità elementari caldo-umido; secondo Aristotele infatti (ibid. II III, 330b 5), essa è " velut vapor ". Inoltre essa, al pari del fuoco (cioè i corpi levi di Pd I 99), per la sua leggerezza tende sempre in alto verso la periferia (sfera del fuoco) mentre, insieme con l'acqua, è detta " media et mista magis " dei due elementi estremi, cioè il fuoco e la terra (Gener. et corrupt. II III, 330b 30-36). Come tutti gli elementi, l'a. è soggetta a corruzione e alterazioni (Io veggio... / l'aere... / venire a corruzione, e durar poco, Pd VII 125; e nel Convivio [III IX 12-13] D. parla del mezzo [cioè l'a.] che continuamente si transmuta; v. anche Cecco d'Ascoli: " Ogni elemento si muove e corrompe ", L'Acerba I 607), e partecipa al movimento circolare del primo mobile (in circuito tutto quanto / l'aere si volge con la prima volta, Pg XXVIII 104). La tesi del movimento circolare dell'a. e del fuoco risaliva ad Aristotele: " Fluit... aer circulariter, quia simul trahitur cum totius circulatione; ignis... cum eo, quod sursum est, elemento [cioè col cielo]; cum igne autem aer continuus est " (Meteor. I III, 341a 1-3), ma per l'estensione in D. del movimento circolare anche all'acqua, riscontrabile nel flusso e riflusso del mare, originato dal volger del ciel de la luna (Pd XVI 82), v. B. Nardi, D. e Alpetragio, in Saggi di filosofia dantesca, Firenze 19672, 161-166.
D. fa sua la corrente tripartizione, di origine aristotelica, dell'a. (compresa tra la sfera del fuoco e la terra) in regioni o interstitia. " Secundum Philosophos - scrive Alberto Magno - tres sunt aeris regiones, quas quidam zonas vocant, quidam autem interstitia: superior, inferior et media: et superior quidem luminosa est, et tranquilla, et subtilis aeris, et calida vehementer, propter quod et aestus a Philosophis nominatur... Ista autem pars quae est circa nos, tangit elementum solidum, quod est terra, et elementum politum et planae superficiei, quod est aqua... Media autem inter has frigida est vehementer, et obscura... et ideo tempestuosa, et generantur ibi tempestates, et nives, et grandines " (Sent. II VI 5 ad 3; cfr. pure Meteor. I I 8). Una simile tripartizione la si incontra anche in Ristoro d'Arezzo che parla di " tre toniche d'aire " (Della composizione del mondo, ediz. E. Narducci, Roma 1859, 118-120; e cfr. Pietro d'Abano, Conciliator, Dif. XIV 1).
La regione superiore, detta aestus, è calda e secca in quanto contigua alla sfera del fuoco e perciò priva di vapores; e ciò non solo perché essi " disgregantur et vaporantur " dall'intenso calore ivi contenuto, ma anche perché il sole " consumit omnem vaporem illum elevatum " (Alb. Magno Meteor. I I 8). Infine perché, mancando il freddo " cuius est inspissare et convertere in aquam, vel continere vaporem " (ibid.), è tolta la causa stessa di ogni alterazione o perturbazione atmosferica. L'a. è pertanto eternamente serena e quieta, cioè " non sunt venti nec pluviae nec huiusmodi vapores " (Pietro da Tarantasia Sent. II XVII 3 2), e resa luminosa " a vicinitate stellarum " e dai raggi del sole (Alb. Magno Sent. II VI 5 3).
Proprio in questa regione superiore dell'a. D., d'accordo con Pietro da Tarantasia - il futuro Innocenzo V -, Alessandro di Hales, Bonaventura ed Egidio Romano, colloca il sito del Paradiso terrestre, discostandosi così da quanti, tra cui Alberto Magno e s. Tommaso, volevano porlo nella regione inferiore contigua alla terra. (Per quanto riguarda le discussioni intorno al luogo da assegnarsi al Paradiso terrestre, v. B. Nardi, Il mito dell'Eden, in Saggi di fil. dant., cit., pp. 311-340). Di qui le due caratteristiche fondamentali dell'a. nel Paradiso terrestre secondo D.: la purezza (in questa altezza ch'è tutta disciolta / ne l'aere vivo [Pg XXVIII 107], cioè " puro, sine nubibus ullis " commenta Benvenuto) e la luminosità (l'aere luminoso, Pg XXIX 23, e ne l'aere aperto [XXXI 145], cioè " puro, luminoso ", commenta sempre Benvenuto; v. pure Pg XXIX 35, 74). E non a caso D. ricorre, proprio in apertura del Purgatorio, a quel Dolce color del mezzo [cioè dell'a.] puro infino al primo giro (I 13-15), per ben raffigurare l'abisso che separa la presente condizione dalla profonda notte (I 44) infernale. L'a. è qui priva di ogne alterazione / ... Per che non pioggia, non grando, non neve, / non rugiada, non brina... / nuvole spesse non paion né rade, / né coruscar, né figlia di Taumante / ... secco vapor non surge (Pg XXI 43-52), cioè in questa zona non avvengono le precipitazioni atmosferiche causate dai vapori umidi, fenomeni come il fulmine e l'arcobaleno, e infine i venti e i terremoti originati rispettivamente dal vapore secco e sottile e da quello secco e denso. Pertanto l'aura dolce, sanza mutamento (Pg XXVIII 7), cioè costante per intensità e direzione, che spira nel Paradiso terrestre, non rimanda a vapori terrestri ma si identifica con la circolazione dell'atmosfera originata dal primo mobile. E detta aura (v. 110), impregnatdi semi vegetali, li diffonde tutto intorno, muovendo circolarmente, mentre l'acqua del ruscello, sempre costante, non è alia mentata da vapor che gel converta (v. 122) in pioggia o neve o grandine che sia, ma dalla sola volontà divina. Altrettanto si dica del terremoto che scandisce l'ascesa dell'anima, finalmente purificata, al Paradiso, la cui cagione non risiede nel vento che 'n terra si nasconda (Pg XXI 56). D. dunque, pur rifacendosi alla tripartizione dell'a., se da un lato colloca la montagna del Purgatorio al di sopra del turbar che sotto da sé fanno / l'essalazion de l'acqua e de la terra (Pg XXVIII 97-98), cioè della regione mediana, onde preservare il Paradiso terrestre da qualsiasi perturbazione atmosferica (vv. 97-102), dall'altro si trova costretto, per giustificare l'esistenza di fenomeni naturali come l'aura dolce, il ruscello e la selva rigogliosa, a ricorrere a spiegazioni soprannaturali. Riferimenti alla flora verdeggiante, all'a. temperata e fresca, al profumo diffuso ecc. ricorrono infatti come luoghi comuni in tutta la tradizione cristiana, e non solo cristiana, sul Paradiso terrestre (cfr. A. Graf, Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, I, Torino 1892, 197 ss.).
Per contro, la regione mediana dell'a, non solo è " locus frigoris " ma anche " tenebrosa et obscura ", in quanto non è contigua alla sfera del fuoco e per di più, essendo un corpo diafano e non solido come la terra, non costringe i raggi solari a riflettersi e manca quindi di luce e di calore (v. Alb. Magno Phil. paup. IV II). Ne consegue, pertanto, che in essa soltanto si verificano le precipitazioni atmosferiche, la cui causa comune risiede nei vapori esalati dall'acqua sotto l'azione del calore del sole (l'a. infatti non è evaporabile, perché il vapore si genera " per subtiliationem et rarefactionem ", operazioni che se rivolte all'a. la convertirebbero in fuoco: v. Alb. Magno Philos. paup. IV II). Ora, il vapore umido, innalzandosi fino alla regione dell'aere... / dove 'l freddo il coglie, ivi si raccoglie e in acqua riede (Pg V 109-110; cfr. v. 118 sì che 'l pregno aere in acqua si converse), ovvero, per dirla con Alberto Magno, i vapori " inspissantur et convertuntur et gravantur ad descendendum " (Meteor. II I 1). Queste tre operazioni (condensazione, conversione in acqua e precipitazione), che sono alla base di tutte le perturbazioni atmosferiche, sono poi in rapporto diretto con l'intensità del freddo (cioè i " tria corpora ", pioggia, neve e grandine), rimandano tutti a una causa unica ma diversa per grado, " scilicet frigus simplex, et frigus excellens " (II 115). In questo senso afferma D. che di vapor gelati fiocca / in giuso l'aere nostro (Pd XXVII 68).
Bisogna tuttavia ricordare che, per la scienza scolastica, esistevano due specie di vapori: l'uno umido, scaturito dall'acqua, che dà luogo alle precipitazioni atmosferiche sopra esaminate, e l'altro secco, esalato dalla terra arsa dal calore solare (l'essalazion de l'acqua e de la terra / ... quanto posson dietro al calor vanno, Pg XXVIII 98-99). Quest'ultimo è infine o " absolutus, vel involutus in vapore humido ". Il vapore secco " absolutus " è a sua volta duplice: " subtilis " se si innalza nell'aria e origina i venti, " grossus " se rimane prigioniero nelle viscere della terra e provoca i terremoti. Il vapore secco " involutus " causa invece il lampo e il tuono (Alb. Magno Meteor. III I 1). " Radix ergo venti est ex vapore qui ascendit ex terra " (III I 8). D. ricorda come il vento del nord (Borea), o più precisamente il maestrale che spira da nord-ovest (da quella guancia ond'è più leno (Pd XXVIII 81), renda splendido e sereno / l'emisperio de l'aere (v. 81) e, più genericamente, come il vento fughi ogni fummo in aere (If XXIV 51). Il lampo invece, che è un vapore secco o igneo " involutus " nel vapore umido o acqueo, " rompe lo vapore acqueo dal lato più debole, e corre entro per esso; e infiammandosi e facendo fuoco e fuggendo, va facendo romore entro per lo vapore acqueo " (Ristoro d'Arezzo Della composizione del mondo cit., 122). Sicché D. parla del fulmine quando l'aere fende (Pg XIV 131) e della nube che squarciata tona (Pd XXIII 99; cfr. XXIV 145-150).
Rimangono infine da illustrare altri due fenomeni, la cui natura però non deriva " ex vapore tantum sed ex reflexione luminis supercoelestis corporis super vapore " (Alb. Magno Meteor. III I 1): vale a dire l'arcobaleno e la corona o alone lunare. La causa dei colori dell'iride risiede nel fatto che " radius solis rediens " viene " repercussus et reflexus ad vaporem in multiplici refractione " (III IV 10) o, come dice D., l'aere, quand'è ben pïorno, / per l'altrui raggio che 'n sé si reflette, / di diversi color diventa addorno (Pg XXV 91). In altri termini, l'arcobaleno consiste in un fenomeno di rifrazione dei raggi solari causato dalle gocce di pioggia contenute nel vapore acqueo. Mentre l'alone lunare (" idest circulum continentem solem et lunam et stellas ", Tomm. Comm. Meteor. LII III 4) rimanda anch'esso alla rifrazione causata " a vapore vel aere, idest ab aere vaporoso, ingrossato a frigido in nubem tenuem parvarum et regularium partium " (III III 4). Dice D.: così cinger la figlia di Latona / vedem talvolta, quando l'aere è pregno, / sì che ritenga il fil che fa la zona (Pd X 67-69; cfr. Pg XXIX 78, Pd XXVIII 23-24).
La regione inferiore dell'a. è invece fredda, perché contigua alla terra (fredda-secca) e all'acqua (fredda-umida), e insieme calda, perché i raggi del sole vi si riflettono respinti dal corpo solido e opaco della terra e vi si rifrangono ostacolati da quello fluido e diafano dell'acqua (v. Alb. Magno Phil. paup. IV II). Essa è inoltre temperata e chiara (!'aere dolce che dal sol s'allegra, If VII 122; afferma chi ha li occhi chiusi l'aere essere luminoso, Cv II IV 17; !'aere da li raggi meridiani purgato e illustrato, XV 5), e costituisce l'elemento entro cui vivono gli uomini e gli animali " ché vi spirano dentro e fanno come ' pesci nell'acqua " (B. Latini Il Tesoro, volgarizzam. attribuito a Bono Giamboni, ediz. L. Gaiter, Bologna 1878, I 321).
Accade tuttavia che per pestilenza di corrompimento d'aere (Cv IV XXVII 17; cfr. If XXIX 60 fu l'aere sì pien di malizia) esso perda la sua consueta salubrità e divenga veicolo di epidemie mortali (Pierre d'Ailly parla della " pestilentiam quae ex corrupto aere nascitur ", Imago mundi, ediz. E. Buron, Parigi 1930, II 492). Il " morbus pestilentialis " proviene infatti, secondo Alberto Magno (Caus. element. II II 1), " ex infectione aeris ", corruzione che è poi duplice: " aliquando videlicet ex inferiori... aliquando autem ex superiori corpore aliquo coelesti ". La corruzione d'origine terrestre rimanda alle esalazioni di cadaveri putrescenti di animali, a quelle di acque stagnanti, allo spiritus di animali velenosi, ecc.; quella originata invece da cause celesti proviene soprattutto dalla " conjunctio... duarum... stellarum, quae sunt Iupiter et Mars cum aliis coadiuvantibus in signo Geminorum ". Si hanno così " ventos pestilentes, et aeres corruptos, qui subito necant multitudinem hominum et animalium ". Marte poi, " cum sit intemperate calidus et siccus, ignit vapores elevatos: et incipiunt per aerem multiplicari fulgura et scintillationes et pestiferi vapores et ignes, et veneno peracuto inficiunt aerem: et ideo inducunt frequenter pestilentias " (ibid.). D. parla nel Convivio di questi vapori che 'l [cioè Marte] seguono: li quali per lor medesimi molte volte s'accendono e lo accendimento di questi vapori significa morte di regi e transmutamento di regni, così come avvenne in Fiorenza, nel principio de la sua destruzione, quando veduta fu ne l'aere... grande quantità di questi vapori seguaci de la stella di Marte (II XIII 21-23).
Bisogna inoltre aggiungere che l'a. è lo mezzo diafano (Cv III IX 7; cfr. § 12) attraverso il quale si rendono a noi visibili le cose circostanti (cfr. Pg xiir 43), e costituisce il tramite per il quale i raggi pervengono a illuminare (li raggi non sono altro che uno lume che viene dal principio de la luce per l'aere infino a la cosa illuminata, Cv II VI 9). E diafana ha da essere l'a., cioè sanza ogni colore (Cv III IX 9), perché " quod autem est susceptivum coloris, oportet esse sine colore, sicut quod est susceptivum soni, oportet esse sine sono: nihil enim recipit quod iam habet: et sic patet quod diaphanum, oportet esse sine colore " (Tomm. Comm. de anima II lect. 15). Tuttavia la visione è facilitata o ostacolata dal mezzo che... si transmuta (come nel caso di variazioni di molta luce in poca luce, sì come a la presenza del sole e a la sua assenza, oppure di sottile in grosso, di secco in umido, per li vapori de la terra che continuamente salgono, Cv III IX 12). Il trapasso di sottile in grosso, cioè la condensazione del vapore, comporta sempre oscurità (per la grossezza in oscuritade) perché i raggi del sole vengono riflessi dalla densità del corpo incontrato, mentre il vapore sottile, terrestre o acqueo che sia, si viene variamente colorando (e per l'umido e per lo secco in colore) in ragione della sua maggiore o minore diafaneità al contatto dei raggi solari. Il colore bianco di una nube è infatti originato " ex adiunctione luminis clari cum ea, si fuerit ipsa nubes multae diaphaneitatis ", e quello nero " ex adiunctione luminis cum ea, si fuerit minimae diaphaneitatis " (Alb. Magno Liber de passionibus aeris). D. si lamenterà spesso, durante il suo viaggio in Inferno, della scarsa visibilità causata non solo dall'aere nero (If IX 6), " cioè tenebroso - commenta il Boccaccio - per lo non esservi alcuna luce per ciò che l'aere di sua natura non è d'alcun colore comprensibile dagli occhi nostri ", ma anche dalla nebbia o vapor che l'aere stipa (If XXXI 36; cfr. pure XVII 113). E ancora in Purgatorio (XV 145) un fummo ... / tolse li occhi e l'aere puro. L'a. costituisce anche l'intermediario, oltre che della luce e della vista, del suono e dell'udito: Quivi sospiri, pianti e alti guai / risonavan per l'aere, If III 23; una melodia dolce correva / per l'aere, Pg XXIX 23; Sentendo fender l'aere a le verdi ali, Pg VIII 106).
Infine l'a. " sostiene gli uccelli, quando elli volano, ché se l'aere non fosse spesso non potrebbero volare, e l'ale gli varrebbono molto poco " (B. Latini Tesoro I 321). In D. ricorrono numerose le similitudini dove si parla di augei (Pg XXIV 64-65), colombe (If V 82-84), allodetta (Pd XX 73-75), gru (If V 47) in volo nell'a. (cfr. pure Pg VIII 106 trattando l'aere con l'etterne penne; it 35, e Vn XXIII 5; ancora, su esperienze di volo, If XXIX 113, xu 96, Pd VIII 126), oppure della saetta che viaggia per l'aere snella (If VIII 14). Più genericamente l'a. sta a indicare il medium entro cui ci si muove (V 86 e 89, XXIII 78).
Passiamo ora a parlare dell'a. infernale, caratterizzata da due proprietà antitetiche rispetto a quelle del Paradiso terrestre: cioè l'oscurità e l'impurità. Varie sono le espressioni usate da D. per indicare l'oscurità dell'a. infernale: l'aura nera (If V 51; cfr. Virg. Georg. I 428 " aer niger "), l'aere perso (V 89; perso è uno colore misto di purpureo e di nero, ma vince lo nero, e da lui si dinomina, Cv IV XX 2), aere tenebroso (If VI 11; cfr. Cael. Aur. Acut. II IX 44 " aer tenebrosus "), aura fosca (If XXIII 78, e ancora XXVIII 104; cfr. Mart. Cap. II 124 " aura fusca ", e Cecco d'Ascoli L'Acerba I 455 " l'aere fosco "), aere scuro (If XVI 130, e aura... scura, XXXI 37). Per quanto riguarda invece l'impurità dell'a., D. parla di aere grosso (XVI 130; aura grossa, XXXI 37) oppure di aere grasso (IX 82; cfr. Cic. Acad. II 81 " aer crassus "). La causa dell'oscurità, per altro comune a tutta la letteratura infernale, rimanda ovviamente al sito stesso dell'Inferno, cioè al fatto che esso " è nel centro della terra, sì che undique è chiuso, et non può vedere il cielo, et per conseguente le stelle " (Anonimo; cfr. l'aere sanza stelle di If III 23) né, precisa il Lana, " altro corpo lucido che lo alluminasse ". Pertanto, " laggiù in inferno, perché non v'è né sole né luna, sempre v'è tenebroso d'uno medesimo modo et qualità, et non si parte o divide per veruno tempo " (Anonimo), cioè non vi è vicenda di giorno e di notte (quell'aura sanza tempo tinta, If III 29; l'aura etterna, IV 27). L'impurità dell'a. è invece causata', secondo Boccaccio, da " vapor fetidi, li quali non aveano onde svaporare ", ma sarà bene precisare ulteriormente i passi dove D. parla di nebbia e di fumo che rendono l'aere grosso e grasso. Secondo la scienza scolastica, il fumo è un'esalazione calda e secca (" siccus quidem propter terram, calidus autem propter ignem "), cioè esso proviene " per desiccationem terrae " e " a lignis calefactis " (Tomm. Meteor. II lect. VII). La nebbia invece viene così definita da s. Tommaso: " exhalatio resoluta ab aqua vocatur vapor, qui est medius inter aerem et aquam. In illa autem transmutatione secundum quam aer condensatur in aquam, medium est nubes, quae est via generationis aquae. Sed cum nubes condensatur in aquam, id quod est residuum de nube, quod scilicet in aquam condensari non potuit, est caligo nebulae... nebula est quasi quaedam nubes sterilis, idest sine pluvia, quae est naturalis effectus nubis " (Meteor. I lect. XIV). Ora D. parla del fummo del pantan (If VIII 12), cioè della palude Stige, e ancora della nebbia folta (IX 6). In realtà il pantano non può esalare fumo perché questo è un vapore igneo scaturito dalla terra o dal legno bruciato. Il termine pertanto è usato impropriamente per significare la nebbia. Infatti, proprio di nebbia qui si tratta perché, come spiega l'Anonimo, " ogni acqua di pantano e di palude getta esalazioni nell'aerea e però che queste esalazioni e questi vapori si muovono dall'acqua, che per la mota che fanno di non correre, diventono morbide e grasse, similmente diviene l'aere vicino " (cfr. quell'aere grasso di If IX 82). Inoltre l'a. è grossa per via della nebbia che s'addensa non potendo evaporare, e impura perché le acque stagnanti, come si è visto, mandano sempre esalazioni pestilenziali. Bisogna tuttavia aggiungere che le precipitazioni come pioggia o neve o grandine presenti in Inferno non sono " causate da vapori caldi e umidi e da aere freddo ", bensì dalla " divina giustizia " (Boccaccio).
Veniamo ora alla distinzione tra ‛ aere ' e ‛ aura '. Boccaccio muove a D. l'appunto di aver usato impropriamente il termine ‛ aura ' nel verso dov'è detto: aura etterna (If IV 27). Perché " è ‛ aura ' un soave movimento d'aere: per questa cagione non credo voglia dire il testo ‛ aura ', per ciò che alcuna soavità non ha in inferno, anzi v'è ogni moto impetuoso e noioso: e quinci credo voglia dire ‛ aere eterno ' ". L'appunto non è privo di fondamento se già Isidoro sottolineava (Etym. XIII XI 7): " Aura ab aere dicta, quasi aeria, quod lenis sit motus aeris. Agitatus enim aer auram facit; unde et Lucretius [V 503]: Aerias auras "; e ancora Pierre d'Ailly (Imago mundi II 494): " Aura enim est levis motus aeris dicta quasi aerea. Agitatus enim aer auram facit ". D'altra parte D. non mostra di preoccuparsi troppo della distinzione dottrinale tra ‛ aere ' e aura ' se parla ancora di aura sanza tempo tinta (If III 29), di aura nera (V 51), di aura fosca (XXIII 78, e ancora XXVIII 104), di aura grossa e scura (XXXI 37), e di aura morta (Pg I 17). In Purgatorio incontriamo però l'aura di maggio movesi ed olezza, / tutta impregnata da l'erba e da' fiori (Pg XXIV 146). Non a torto dunque l'Anonimo parla in questo caso di " licenzia ch'è data a' poeti nel parlare ".
Il termine a. ricorre inoltre in If I 48, II 1, IV 150, XVII 105, Pg VIII 49, XIII 43, XIV 142, XVI 13, XXV 94, Pd XIII 6, XXII 117, Rime C 15 e 22, CII 28, Detto 242 e 245.