ARICCIA (A. T., 24-25-26; propriamente L'Ariccia o, nella forma dialettale, La Riccia, onde il derivato Ricciarolo, usato nella lingua parlata in luogo della forma dotta Aricino)
Comune della provincia di Roma, sui Colli Albani, tra il 15° e il 16° miglio della Via Appia. Occupa una posizione del tutto singolare, su uno sprone formato da una colata di lava del Vulcano Laziale ricoperta da peperino, sprone che sporge a guisa di penisoletta sull'antico cratere della Valle Ariccia, fra due valloncelli che in essa sboccano. A questa posizione (che corrisponde forse a quella dell'arx dell'Aricia romana) si è adattato il caseggiato attuale, che consta in sostanza di una sola strada allungantesi lungo l'asse dello sprone, con una piazza all'innesto della Via Appia, dove sorge l'imponente palazzo dei Chigi. Visto da lontano, l'abitato pare perciò come sospeso su questo sprone (pendula Aricia). Il vallone a nord-ovest dell'abitato, occupato dal magnifico parco del palazzo Chigi, è sormontato oggi da un grandioso viadotto, a tre ordini di archi, alto circa 60 m., lungo 600, costruito dall'architetto Bertolini. Iniziato nel 1846, compiuto nel 1853, esso fu inaugurato con grande solennità da Pio IX il 12 ottobre 1854. Prima della costruzione di questo ponte, la Via Appia da Albano scendeva fino all'orlo della Valle Ariccia, poi risaliva al paese; ma tale percorso, giustificato nell'antichità, allorché il paese si estendeva in basso sul margine del cratere già occupato da un lago, era divenuto faticoso e anche mal sicuro, perché costeggiava il fitto bosco adiacente al parco Chigi, ricetto di malfattori.
L'antico palazzo baronale di Ariccia era già stato ricostruito dai Savelli, sul lato sinistro per chi guardi la facciata, secondo il disegno continuato poi dai Chigi, appena ebbero acquistato il feudo, per tutto il lato destro e per il torrione nuovo (verso il parco), costruito nel 1740.
Di fronte al palazzo, papa Alessandro VII fece erigere dal Bernini la chiesa collegiata parrocchiale di Maria Santissima Assunta (inizio della fabbrica 1662, cònsacrazione 1665), in forma di rotonda a cupola, fiancheggiata da due campanili, preceduta da pronao e collegata alle due piccole case laterali per mezzo di un muro, che decresce di altezza ad aumentare l'effetto prospettico del complesso. La cupola è ornata all'interno di stucchi del berniniano Paolo Naldini. La cappella maggiore ha un grande affresco di Guglielmo Courtois borgognone, i sei altari hanno quadri rispettivamente di Giacinto e di Ludovico Gimignani, di Emilio Taruffi, di Bernardino Mei, di Raffaele Vanni e di Alessandro Mattia da Farnese (del quale è pure un quadro votivo, già nella demolita chiesa di S. Rocco, ora in quella di S. Nicola). La piazza, adorna di due graziose fontane secentesche, fra il palazzo Chigi e la chiesa, era stata disegnata dal Bernini in modo tale, che il viaggiatore, entrato per la Porta Napoletana di fianco al palazzo e diretto alla Porta Romana, all'estremità del paese verso Valle Ariccia, la costeggiasse e potesse abbracciarla fin dal primo sguardo, quasi un complesso chiuso; ma fu irrimediabilmente guastata dal grande viadotto, che vi fece passare attraverso la via Appia Nuova. Questa, per un secondo e minore viadotto, detto di S. Rocco, attraversa il vallone a nord-est dell'abitato e poi, per un terzo viadotto, conduce al Santuario della Madonna di Galloro, presso il quale sorge ora un sobborgo moderno, Ariccia Nuova. Il Santuario di Galloro, fondato nel 1624, fu compiuto nel 1662 da papa Alessandro VII, con la decorazione delle due prime cappelle (quadri di Guglielmo Courtois e di Giacinto Gimignani) e della facciata.
L'Ariccia, cui il censimento del 1656 attribuisce appena 921 abitanti, ebbe, fino alla metà del secolo passato, una popolazione oscillante intorno a 1300-1400 ab. (1335 nel 1701, 1264 nel 1827, 1390 nel 1853). Dopo l'aggregazione all'italia della provincia di Roma la popolazione crebbe notevolmente (2401 ab. nel 1871, 2723 nel 1881), più rapidamente poi nel secolo attuale, fino a raggiungere i 5000 ab. nel 1921.
Il territorio comunale (18 kmq.) è quasi interamente coltivato (circa 3,5 kmq. sono a bosco), principalmente a vigneto (circa ⅓ dell'intero territorio). La coltura della vite è la maggiore occupazione degli abitanti; il vino viene in gran parte consumato a Roma, a cui Ariccia è unita dalla linea tramviaria Roma-Velletri.
La città antica. - La città antica (Aricia) si estendeva, come già si è detto, più in basso, cioè lungo la via Appia, dove rimangono la cella di un tempio rettangolare dell'età sillana e avanzi delle mura repubblicane e delle terme imperiali. Il famoso santuario di Diana era alquanto distaccato dalla città, poiché si trovava sull'altra sponda del lago detto di Nemi, da nemus Dianae, e di esso si vedono i resti nella località detta il Giardino.
La città ebbe una parte notevole nella primitiva storia di Roma e del Lazio. Presso Aricia la tradizione colloca una famosa battaglia fra Latini ed Etruschi in cui fu sconfitto Arunte figlio di Porsenna (v. sotto). La città fu centro di un'anfizionia di popolazioni latine che dette molto da fare a Roma, finché ne rimase assoggettata verso la metà del sec. IV, ottenendo la cittadinanza di pieno diritto (338). Magistratura suprema di Aricia fu la dittatura, che si conservò fin nell'età imperiale. Durante l'impero Aricia mantenne sempre una certa importanza per la sua posizione sull'Appia, quantunque Orazio la chiami hospitium modicum. Nel Medioevo appartenne prima ai conti di Tusculo, poi ai Malabranca, alla corte pontificia, e infine ai Savelli, dai quali la comprarono nel 1661 i Chigi per 358.000 scudi.
La battaglia di Aricia. - Secondo la tradizione latina e greca, nei primi anni della repubblica (508 o 504 a. C.; per i Greci forse qualche anno prima) un esercito etrusco capitanato da Arunte figlio di Porsenna, subito dopo l'assedio di Roma, si avanzò contro Aricia, ma fu sconfitto per opera specialmente di un contingente di Greci di Cuma, venuto in aiuto degli Aricini e condotto da Aristodemo Malaco. Gli Etruschi superstiti avrebbero trovato ospitalità in Roma, ove rimasero ad abitare il Vicus Tuscus. Sotto il velo della tradizione, qua e là reticente e confusa, si intravvede che negli ultimi anni del sec. VI a. C. si combatté ad Aricia una battaglia fra Etruschi da una parte e Greci di Cuma, venuti in aiuto ai Latini, dall'altra; ad essa non parteciparono i Romani. Con ogni probabilità, i Greci di Campania, minacciati dagli Etruschi, colsero l'occasione di una ribellione di Latini per colpire il dominio etrusco nel Lazio, e una delle conseguenze della battaglia fu forse il crollo del dominio dei dinasti etruschi Tarquinî a Roma.
Bibl.: E. Lucidi, Memorie storiche dell'antichissimo municipio, ora terra dell'Ariccia, ecc., Roma 1796; E. Cordeschi, Cenni medico-topografici di Ariccia, Roma 1865; N. Perotti, Il clima di Ariccia, Roma 1882. - Per la parte artistica: G. Incisa della Rocchetta, in Rivista del R. Istituto d'Archeologia e Storia dell'Arte, I (1929). - Per la città antica: G. R. Volpi, Vetus Latium Profanum, VII (1736), p. 179 segg.; W. Gell, Topography of Rome and its Vicinity, I, Londra 1834, p. 182 segg.; A. Nibby, Analisi dei dintorni di Roma, I, Roma 1910, p. 230 segg.; G. Florescu, in Ephemeris Daco-romana, III, Roma 1925, p. i segg.; J. Beloch, Römische Geschichte, Berlino 1926, p. 377.
Per la battaglia di Aricia: Livio, II, 14, 5 seg.; Dionigi d'Alic., V, 36; Festo, pp. 486-7; Lindsay, School. Cruq. Horat. Sat., II, 3, 228; G. De Sanctis, Storia dei Romani, I, Torino 1907, p. 450; Fell, Etruria and Roma, Cambridge 1924, p. 84; L. Homo, L'Italie primitive, Parigi 1925, p. 150; H. Last, in The Cambridge Ancient History, VII (1928), p. 396.