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ARIDITÀ

di Pierpaolo Faggi - Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)
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ARIDITÀ

Pierpaolo Faggi

Caratteristica climatica legata, secondo modalità diverse, alla mancanza d'acqua. L'apparente semplicità dell'enunciato dà luogo in realtà, al momento della specificazione e della valutazione, a una serie di problemi quali: il rapporto tra precipitazioni (P) ed evaporazione (E), l'analisi di quest'ultima (quantificazione e ruolo che vi hanno fattori fisici diversi, quali temperatura [T], ventosità, radiazione solare), la scansione stagionale del fenomeno. La diversa attenzione per ciascuno di questi aspetti, l'aumento dei dati empirici a disposizione e la mutevole finalità generale delle conoscenze meteorologiche segnano l'evoluzione dell'approccio scientifico all'aridità.

Inizialmente, proprio per la complessità del problema e per la scarsità di informazioni affidabili, le ricerche si basarono, più che sull'analisi del fenomeno, sulla considerazione dei suoi effetti morfologici: l'endoreismo, cioè la mancanza di sistemi idrografici di drenaggio collegati all'oceano, e l'areismo, cioè l'almeno apparente mancanza di deflusso superficiale. Già proposto da A. Penck alla fine del 19° secolo, questo approccio morfologico all'a. venne perfezionato da E. de Martonne e L. Aufrère nel 1927: scopo delle indagini era una rappresentazione cartografica del problema a livello planetario, nel quadro della progressiva sistematizzazione della conoscenza della Terra.

Nel frattempo, per rendere conto di questa fenomenologia, lo stesso de Martonne passava a una concezione genetica e quantitati va dell'a., proponendo, tra 1923 e 1927, un indice atto a misurar ne il valore, basato sul rapporto tra precipitazioni (P) e temperatura (T): I=P/ (T+10) (precipitazioni annue in mm e temperatura media annua in °C; i valori ≤ 20 caratterizzano le terre asciutte). L'utilizzazione della temperatura, la più facilmente misurabile tra le grandezze che determinano l'evaporazione, ha fatto sì che l'indice sia stato largamente usato per raffronti a livello planetario e abbia costituito il punto di partenza per la riflessione successiva. Tuttavia, l'accumularsi delle conoscenze e l'esigenza di disporre di valutazioni sempre più precise a fini applicativi evidenziarono ben presto l'insufficienza del dato termico annuale per rendere conto dell'evaporazione, che risulta dall'azione concomitante e interagente di più fattori, ognuno caratterizzato da specifico regime stagionale.

Si sono dunque sviluppate procedure per la misurazione diretta del l'evaporazione, sia potenziale, cioè legata alle condizioni dell'atmosfera (po tere evaporante dell'atmosfera, secondo A. Coutagne; evapotraspirazione potenziale [ETP], secondo C. Thornthwaite), sia effettiva o reale (ETR), cioè quella che si verifica in realtà a partire dallo stato della superficie evaporante. In questa prospettiva ricordiamo le misure attraverso evaporimetro Piche (valore di E attraverso una membrana di carta mantenuta umida; protetta dal vento, risente della temperatura e dell'umidità relativa dell'aria), vasca Colorado (bacino rettangolare di circa 1 m2 per 1/2 m di profondità, misura l'evaporazione a partire da una superficie d'acqua libera; esposta al vento, risente anche della temperatura dell'acqua e quindi della radiazione complessiva); lisimetro (vasca riempita di terreno variamente vegetato, può misurare l'ETP o l'ETR in condizioni diverse). Tuttavia questi procedimenti, di difficile attuazione e non a portata di tutte le stazioni meteorologiche, forniscono risultati assai variabili, dunque scarsamente generalizzabili.

Proprio per ovviare alla difficoltà della quantificazione sperimentale, si è cercato anche di valutare analiticamente l'evaporazione, a partire dai diversi parametri meteorologici che la determinano. Si sono innanzitutto sviluppate le considerazioni di de Martonne, specificando l'evoluzione nel corso dell'anno di precipitazioni e temperatura: risulta evidente, infatti, che in zone climatiche caratterizzate da rilevanti variazioni stagionali delle temperature lo stesso valore di P ha un significato diverso a seconda che si verifichi nella stagione fredda o in quella calda. Di ciò tengono conto il metodo di W. Köppen (1936), che considera proprio il regime stagionale delle precipitazioni, attribuendo 'punteggi' diversi alle piogge estive e a quelle invernali, e quello di F. Bagnouls e H. Gaussen (indice xerotermico, 1952), basato sul numero di ''giorni asciutti'' (senza precipitazioni e con umidità relativa inferiore a una certa soglia) nel corso dei ''mesi asciutti'' (nei quali, cioè: P/T 〈2, P in mm e T in °C): è un indice semplice e di alto significato biologico, in quanto evidenzia l'evoluzione nel corso dell'anno del rapporto tra disponibilità e fabbisogni idrici. Sempre nell'ambito della valutazione analitica, sono stati elaborati anche dei metodi più sofisticati, che utilizzano altri parametri meteorologici oltre alla temperatura. Ricordiamo il metodo di H. Penman (1949) che considera, con scansione giornaliera, radiazione solare, umidità atmosferica e velocità del vento, corretti da un coefficiente empirico legato alla fase vegetativa e alla zona climatica (questo metodo, ad alta significatività auxologica e fitogeografica, risulta però di assai complessa applicazione); il metodo di M. Budyko (1958) basato sull'indice radiativo di siccità, cioè sul rapporto tra radiazione netta e precipitazioni annue, moltiplicato per il calore latente di evaporazione dell'acqua (misura quante volte la radiazione potrebbe far evaporare le piogge cadute, quindi l'intensità dell'a., sulla base di dati semplici e ad alta aggregazione temporale, che rendono agevole la compilazione di quadri sinottici); infine, il metodo di C. Thornthwaite (1948, integrato nel 1957), basato sul confronto tra ETP − calcolata mensilmente attraverso T media e durata astronomica del dì − e P, secondo successivi passaggi che sfociano in un indice di umidità annuale (le terre asciutte sono caratterizzate da un valore negativo, con tre specificazioni successive riguardo alle differenziazioni stagionali): si tratta sicuramente del metodo più conosciuto e utilizzato, il cui valore sta nell'evidenziare, per ogni mese e con parametri di semplice acquisizione, il bilancio tra reintegrazione e consumo delle riserve idriche del suolo, bilancio di grande interesse ai fini delle pratiche agricole, tanto che è stato adottato dal Soil Conservation Service statunitense.

A partire dai lavori di Thornthwaite, cioè dagli anni Cinquanta, le ricerche si sono dunque concentrate sull'a. come ''fattore limitante'' delle possibilità produttive, soprattutto in relazione alla crescente attenzione internazionale per le terre asciutte tropicali, nell'ambito dell'emergente problematica del sottosviluppo. Diverse agenzie del l'ONU, in primo luogo l'UNESCO con il suo Major Project on Arid Zone Research (1957-62), in collegamento con istituzioni scientifiche, tra le quali va ricordata la Commissione sulle zone aride dell'Unione Geografica Internazionale (1952-68), si impegnarono in questa direzione. La Carta delle regioni aride del mondo, realizzata per conto dell'ONU nel 1953 da P. Meigs, presidente della citata Commissione UGI, costituisce un prodotto esemplare di questa fase. Basata sul l'indice di Thornthwaite, integrato dalle temperature medie del mese più caldo e di quello più freddo, la carta evidenzia i caratteri botanici, idrologici e agronomici dell'a. a livello planetario, individuandone tre gradi: estremamente arido, arido e semiarido. Essa rappresenta una prima inventariazione delle risorse delle terre asciutte del mondo, al fine della valutazione della loro produttività primaria.

La marginalizzazione crescente verificatasi nel Terzo Mondo in seguito alla crescita polarizzata e settoriale degli anni Sessanta e l'esplodere della dimensione ambientale della problematica del sottosviluppo (siccità e carestia nel Sahel, nel subcontinente indiano, nel Nordeste brasiliano, ecc.) accentuarono nella ricerca la specificità ecologica dell'a., cioè l'analisi dei fenomeni di degradazione propri delle terre asciutte: ne derivò, nel 1977 a Nairobi, il Convegno Internazionale sulla Desertificazione, indetto dalle Nazioni Unite. In quell'occasione, l'UNESCO, nell'ambito del progetto Man and Biosphere, rifece il punto sulle conoscenze a proposito dell'a. a livello planetario, presentando una nuova Carta della distribuzione mondiale delle terre asciutte (v. fig.). Come ''indice di aridità bioclimatica'' viene adottato il rapporto P/ETP, semplice ma di alta significatività biologica, in quanto esso rappresenta sinteticamente il rapporto tra l'ETR e l'ETP, che si avrebbe in assenza di limitazioni idriche, rapporto che presiede alla produzione primaria. Inoltre, per il calcolo di ETP è adottata la formula di Penman (v. sopra), che abbiamo visto di elevato significato biologico, e il cui utilizzo è permesso dallo sviluppo delle informazioni meteorologiche verificatosi nei decenni precedenti. Infine, in carenza di dettagli, per il tracciato dei limiti delle zone bioclimatiche viene consultata la Carta mondiale dei suoli della FAO e ciò indica l'approccio ecosistemico adottato. In questa carta, dunque, l'a. è vista in funzione della produzione primaria (e ciò era già presente, come detto sopra, in quella di P. Meigs), ma anche in prospettiva ecologica e come precondizione della ''desertificazione'', lo specifico problema affrontato dal Convegno: in essa figura infatti anche la ''zona subumida'' (assente nell'opera del 1953) in quanto, benché non asciutta secondo parametri propriamente climatici, vi si manifestano intense le problematiche ambientali dell'a. (la tabella riporta, in migliaia di km2, l'estensione delle terre asciutte desunta da questa carta). Comunque è da notare che, proprio in funzione della produttività delle terre asciutte, e quindi della loro utilizzabilità da parte dell'uomo, le connotazioni dell'a. fin qui considerate vanno interpretate alla luce di un'elevata variabilità, sia in termini climatici, quindi temporali (la variabilità delle precipitazioni aumenta con il crescere dell'a.), che in termini spaziali, in quanto la stessa a. climatica può avere significato differente per le diverse microunità territoriali individuate dalla geologia, dalla pedologia, dal rilievo.

Bibl.: E. de Martonne, Nouvelle carte mondiale de l'indice d'aridité, in Annales de Géographie, 1942, pp. 241-50; C. Thornthwaite, An approach toward a rational classification of climate, in Geographical Review, 1948, pp. 55-94; H. Gaussen, L'indice xérothermique, in Bull. Assoc. Géogr. Franç., 1952, pp. 10-16; C. P. Péguy, Précis de climatologie, Parigi 1970; X. de Planhol, P. Rognon, Les zones tropicales arides et subtropicales, ivi 1970; UNESCO, Carte de la répartition mondiale des régions arides, ivi, Notes Techniques du MAB, 7, 1977; J. Dresch, Géographie des régions arides, ivi, 1982.

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    aridità Stato di siccità, che fa riferimento al clima di una regione in via generale o in una particolare stagione. L'a. del suolo indica la condizione del suolo che si ha quando esso è privo di regolare flusso idrico (fluviale e da precipitazione).
Vocabolario
aridità
aridita aridità s. f. [dal lat. aridĭtas -atis, der. di arĭdus «arido»]. – 1. L’essere arido, siccità: a. del clima, della stagione. In agraria, a. del suolo, la particolare condizione del suolo che si ha quando esso è privo di regolare...
àrido
arido àrido agg. [dal lat. arĭdus, der. di arere «esser secco»]. – 1. Asciutto, secco, privo di umidità: campagna a.; suolo, terreno a.; quindi anche sterile, infecondo. Clima a., quello in cui non sono possibili coltivazioni senza l’ausilio...
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