ARIONE ('Αρίων, Arion e raramente Ario)
Narra Erodoto (Hist., I, 23-24) che Arione di Metimna, citaredo non inferiore ad alcuno del suo tempo e primo a comporre e rappresentare ditirambi, dopo aver dimorato a lungo presso Periandro di Corinto, volle vedere anche l'Italia e la Sicilia, donde, raccolte che ebbe molte ricchezze, desiderò poi tornare a Corinto. E non fidandosi di altri marinai come dei Corinzî, noleggiò a Taranto appunto una nave corinzia; ma quando si fu lontano da terra, i marinai vollero disfarsi di Arione per impossessarsi delle sue ricchezze: Arione pregò allora che lo lasciassero cantare ancora una volta nel suo abbigliamento consueto, dopo di che si sarebbe gettato nelle onde. Assentirono i marinai, ed Arione fece appunto quanto aveva promesso. Ma un delfino si caricò sul dorso il poeta e lo portò al Tenaro. Corre di qui Arione a Corinto e narra il tutto a Periandro, che, stentando a credere, trattiene Arione sino al ritorno dei marinai. E allora chiede a costoro notizie di Arione, e quelli gli rispondono di averlo trovato in buone condizioni a Taranto. Alle quali parole d'improvviso Arione appare loro davanti in quello stesso abbigliamento in cui l'avevano visto per l'ultima volta. E i marinai, nella confusione di quella veramente inaspettata sorpresa, dovettero confessare la loro colpa. Arione, così miracolosamente salvato e tornato in possesso del suo, dedicò sul Tenaro un dono votivo, cioè un monumento raffigurante un uomo a cavallo di un delfino. Il racconto appare con varianti non essenzialissime anche in altre fonti, come Luciano e Plutarco. Un poeta alessandrino, della cui opera abbiamo un riflesso nel commento serviano a Virgilio e nella fav. 194 d'Igino, introdusse la vicenda fra i catasterismi, immaginando che Apollo assumesse il delfino e la cetra o il delfino e Arione stesso tra le costellazioni.
Il nocciolo della leggenda è costituito, come si è visto, dal miracoloso salvamento del pio cantore ad opera del dio del mare e del suo inviato, il delfino. Significativo è il fatto che tali leggende circa il delfino sono comuni in tutti i luoghi cui la leggenda di Arione si riferisce: Lesbo, Corinto, Tenaro, Taranto (e così pure Tera, anch'essa in certo modo unita a quella leggenda). Prototipo di tali leggende sembra essere stata quella di Taras (l'eponimo di Taranto) venuto a cavallo di un delfino da Tenaro a Taranto: simbolo del viaggio dei coloni ellenici. Un simbolo è anche il mito d'Arione. E probabilmente gli diede origine la falsa interpretazione del monumento che veramente esistette sul Tenaro, monumento che dovette secondo alcuni raffigurare Melicerte-Palemone, secondo altri Posidone, secondo altri Apollo, e così via.
Creato un poeta Arione, gli si dettero poi un'età, una patria, una genealogia, un'ampia produzione, ecc. Ma si tratta d'invenzioni così trasparenti (conservateci in massima in un articoletto di Suida) che poco acume occorre a spiegarle. Così il nome del padre Cicleo è evidentemente da porre in relazione col coro ciclico del ditirambo che si dice inventato da A.; la data (38ª olimpiade) è in chiaro rapporto con l'acme di Periandro, i canti e i proemî di cui A. venne fatto autore sono in rapporto con ciò che l'A. della leggenda avrebbe fatto prima di balzare in mare (il nome stesso di A. sembra alludere ad una proprietà del cantore ed esecutore musicale), e finalmente le notizie circa l'attività di A. quale tragedo sembrano doversi riferire unicamente alle rappresentazioni di ditirambi (la forma originaria del dramma) che avrebbero davvero avuto luogo in epoca antica in Corinto.
L'unico frammento conservatoci sotto il nome di Arione (lo si legge in Eliano, De nat. an., XII, 45) si rivela a un'accurata analisi stilistica e metrica una falsificazione non anteriore all'ultimo periodo attico (cfr. Bergk, Poetae Lyrici Graeci, III, 4ª ed., p. 78 segg.; Diehl, Anth. Lyr., Lipsia 1925, II, p. 5 segg.).
Bibl.: Cfr. Crusius, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, coll. 836-41; Christ-Schmid, Geschichte der griechischen Litteratur, I, 6ª ed., Monaco di Bav., 1912, p. 216; Geficken, Griechische Literaturgeschichte, I, Heidelberg 1926, p. 84 e Ammerkungen, p. 90; G. Fraccaroli, I lirici greci, Torino 1913, p. 14 segg.; A. Taccone, Melica Greca, Torino 1904, p. 82 segg.