ARIPERTO I, re dei Longobardi
Principe lithingo, ma di nazione bavarese e cattolico; figlio di Gundoaldo - il fratello di Teodelinda creato da Autari duca di Asti -, divenne re nel 653, alla morte di Radoaldo assassinato da un longobardo cui, si disse, aveva sedotto la moglie. L'avvento al trono di A., oltre a confermare quanta presa avesse fra i Longobardi il fatto di appartenere, per via femminile, alla discendenza dei Lithingi e quanto vasta fosse ormai tra loro l'adesione al cattolicesimo, rispose in pieno alle suggestioni del momento.
La lotta antimonotelitica in Italia era in quegli anni al suo acme: morto il papa Teodoro I (14 maggio 648), il suo successore, Martino I, era stato consacrato senza attendere la consueta conferma imperiale (5 luglio 648); era stato convocato il Concilio lateranense che, riunitosi, aveva definito la retta dottrina sulla controversia monotelitica ed aveva lanciato l'anatema contro gli autori ed i fautori delle teorie monotelitiche, contro ilΤύπος e "Εκϑεσις. Dall'estate del 652, dopo la morte dell'esarco Olimpio, l'Italia cattolica e ribelle a Bisanzio era rimasta senza reggitori.
Era l'anno della vacatio Imperii in Italia: tra la morte di Olimpio e l'arrivo a Ravenna (giugno del 653) del nuovo esarco, Teodoro Calliopa, A., principe cattolico, poté apparire come il solo sovrano capace di riunire sotto un unico governo tutta l'Italia senza combattere, ma appoggiando il papa nella sua lotta. Il suo avvento fu dovuto dunque al prevalere di un partito fortemente legato a Gundeperga (la sposa di Arioaldo e di Rotari) e al ricordo della regina Teodelinda; partito che era animato da sentimenti di intolleranza religiosa se risponde a verità il vanto, attribuito trentacinque anni più tardi ad A., di aver osato un provvedimento nei confronti dell'arianesimo che nessuno dei suoi predecessori ariani aveva osato prendere contro il cattolicesimo. Il ritmo bobbiese afferma infatti che A. "Arianorum abolevit heresim Et christianam fidem fecit crescere"; è possibile attribuire tale divieto di culto dell'arianesimo ad uno degli otto anni del regno di Ariberto. Ma è certo che, se un atto di tale gravità come il divieto dell'antica religione ufficiale poteva trovare solo nelle circostanze un'adeguata ragione di essere compiuto, questa, come osserva il Bognetti, si riscontra proprio nella temperie politico-religiosa creatasi nei primi mesi del regno di A., e cioè subito dopo la morte di Olimpio. Ma l'arrivo del nuovo esarco, l'arresto e la deportazione di Martino I (giugno del 653) fecero naufragare, e per sempre, un piano che era stato già vagheggiato da Agilulfa e da Teodelinda. Sfumata cosi l'occasione di sfruttare una situazione eccezionale, A. non dovette cercare di attuare presso le singole "fare" l'abolizione formale dell'arianesimo, anche se la sua azione dovette scompaginare le file degli ariani, privandoli dei loro capi: ancora nella prima metà dell'VIII secolo, infatti, il vescovo di Milano Natale scriveva un sermo contro gli ariani e ad ariani allude l'epigrafe di Filatteria, databile fra il 749 ed il 756.
Tuttavia i segni del progresso compiuto dal cattolicesimo sotto il regno di A. sono molti. Innanzitutto A. fu il primo re longobardo a far costruire e a dotare di beni una chiesa cattolica, la basilica extramuranea di S. Salvatore a Pavia; proprio sotto il suo regno, forse, si convertì l'ultiino vescovo ariano della capitale, Anastasio. Ed è significativo il fatto che A. poté regnare fino alla morte, tranquillamente, senza che la sua politica provocasse reazioni di parte ariana; e che, se quest'ultima, alla sua morte, poté risollevare la testa - e con gran vigore, anche -, ciò fu solo per la discordia scoppiata tra i due successori di A., Pérctarit e Godeperto, e non ad opera dei Longobardi più direttamente soggetti al potere regio, ma ad opera di quelli del ducato di Benevento, uno dei più grandi ducati periferici che, per aver conservata intatta la sua autonomia nella politica interna ed estera, meno aveva risentito degli effetti della politica filocattolica e filoromana del re e si era mantenuto più vicino alle antiche tradizioni germaniche. Ricordiamo infine come, morto Grimoaldo, I, sembrò naturale ai Longobardi ridare la corona a Pérctarit, che l'intraprendente duca di Benevento aveva sbalzato dal trono nove anni prirna. Una così rapida restaurazione del figlio del sovrano, che per primo aveva preso un deciso atteggiamento nella lotta contro l'arianesirno, costituisce l'indizio più eloquente che la preponderanza del cattolicesimo, divenuta fatto compiuto sotto il regno di A., rendeva impossibile il persistere di una monarchia appoggiata solo alle correnti tradizionalistiche.
Nulla sappiamo dei rapporti intercorsi fra A. e i ducati di Spoleto e di Benevento; come nulla sappiamo dei suoi rapporti con l'Impero e con gli altri stati romanobarbarici confinanti. A. morendo lasciò oltre ai due figli, Pérctarit e Godeperto, una figlia - di cui ci è ignoto il nome - più tardi sposata da Grimoaldo di Benevento per legittimare la corona usurpata.
Fonti e Bibl.: Pauli Diaconi Historia Langobardorum, a cura di L. Bethmann-G. Waitz, in Monumenta Germ. Hist., Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum, Hannoverae 1878, IV, cap. 48, p. 136; cap. 51, p. 138; V, Cap. 1, p. 142; cap. 33, p. 155; Origo gentis Langobardorum, a cura di G. Waitz, ibid., cap. 7, p. 6; Historia Langobardorum codicis Gothani, a cura di G. Waitz, ibid., cap. 7, p. 10; Carmen de Synodo Ticinensi, a cura di L. Bethmann, ibid., pp.189 ss.; L. M. Hartmnnn, Geschichte Italiens im Mittelalter, II, 2, Gotha 1903, pp. 244 ss.; G. P. Bognetti, Santa Maria foris Portas di Castelseprio e la storia religiosa dei Longobardi, in G. P. Bognetti-G. Chierici-A. De Capitani D'Arzago, Santa Maria di Castelseprio, Milano 1948, cfr. Indice dei nomi.