ARISTEA
Due sono gli scultori greci di questo nome: il primo fu figlia di Nicandro da Megalopoli, e operò verso il 150 a. C.; di lui rimane soltanto una base con la firma, ad Olimpia (Löwy, Inschr. griech. Bildhauer, Lipsia 1885, 271); il secondo insiene con Papia, da Afrodisia (in Caria), scrisse il suo nome sulle basi di due Centauri in marmo bigio-nero (v. fig.; una sola epigrafe è antica), trovati a Tivoli, nclla Villa Adriana, e ora al Museo capitolino. La grafia dell'iscrizione (Löwy, op. cit., 369) conviene al tempo dell'imperatore Adriano, che poté esserne il committente. Sono riproduzioni di opere più antiche, certamente bronzi, stilizzate con virtuosità di tecnica, forse troppo minuziosa, che segna nel marmo gli effetti d'un raffinato lavoro di cesello. Gli esemplari capitolini, non molto restaurati, non sono completi: manca ad ognuno il piccolo Cupido che stava in groppa e che dava nelle rispettive figure, un contrasto poetico degno delle "anacreontiche" ellenistiche: il vecchio Centauro tormentato da Amore, che il giovane reca invece lietamente. Meglio conservata, sotto questo rispetto, è una copia in marmo bianco del centauro seniore, al Louvre. L'affinità di stile fra la testa barbata e quella del Laocoonte fa ascrivere gli originali alla scuola di Rodi: la questione cronologica è una sola.
Bibl.: W. Amelung, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, II, Lipsia 1908, p. 102 e XV, 1922, p. 471; W. Klein, Vom antiken Rococo, Lipsia 1921, p. 109. Per la descriz. delle statue, Stuart Jones, Cat. of ancient sculptures in the Municipal collect. Rome, Oxford 1912, pp. 274 e 277.