ARISTEAS (᾿Aριστέας; nella firma ᾿Αριστίας)
2°. - Scultore di Afrodisiade (in Caria); con Papias scrisse il proprio nome sul plinto di due Centauri in marmo bigio-morato, provenienti da Villa Adriana a Tivoli e conservati nei Musei Capitolini. Dalla grafia dell'iscrizione appare chiaro che l'artista è dell'età di Adriano.
I due Centauri sono evidentemente copie di un originale ellenistico; l'affinità di stile fra la testa barbata e quella del Laocoonte fa ascrivere gli originali alla scuola rodia. Più che di copie si tratta forse di rielaborazioni poiché, se il soggetto è identico, del tutto nuova è la veste formale in cui esso ci appare. L'originale dovette essere certamente in bronzo, come indicano l'aggiunta del sostegno e la trattazione dei capelli e del vello del petto mediante incisioni. Sul dorso del Centauro vecchio è aperto un foro, intorno al quale restano tracce di una figura che ivi stava seduta e che doveva essere quella di un Amorino, come può vedersi in una replica della nostra scultura, conservata nel Museo Vaticano.
Gli esemplari esistenti sono numerosi: del Centauro giovane sono conservate: a) una copia al Museo Vaticano, Sala degli animali; b) una copia a Palazzo Doria, proveniente da Albano.
Del Centauro vecchio: a) al Museo del Louvre il Centauro Borghese; b) a Palazzo Doria varî frammenti di una replica proveniente da Albano.
Da Villa Adriana proviene pure la statua del Satiro di rosso antico conservata a Roma nel Museo Capitolino, le cui analogie con il Centauro giovane rendono attendibile l'ipotesi che anch'essa, sebbene non firmata, sia riferibile agli stessi artisti A. e Papias. Non solo la tecnica, ma il luogo stesso del rinvenimento nel Palazzo Piccolo di Villa Adriana, crea stretti legami fra le due opere.
Bibl.: W. Amelung, in Thieme-Becker, II, 1908, p. 102 e XV, 1922, p. 471; W. Klein, Vom antiken Rokokò, Lipsia 1921, p. 109; per la descrizione delle statue: St. Jones, Cat. of Ancient Sculptures in the Municipal Collection of Rome, Oxford 1912, pp. 274 e 277; E. Buschor, Kentauren, in American Journal of Arch., XXXVIII, 1934, pp. 128-132; M. Squarciapino, La Scuola di Afrodisia, Roma 1943, pp. 16, 21, 32 ss., 34.