GABELLI, Aristide
Nacque a Belluno il 22 marzo 1830 da Pasquale, professore di matematica, e da Elena Varola. Compì gli studi classici a Venezia, dove nel 1848-49 prese parte, come volontario della guardia nazionale, alla difesa della città, ma per motivi di salute fu presto costretto ad abbandonare l'uniforme. "Gracile d'aspetto e malaticcio" (Masi, p. 357), fu sempre tormentato da una salute precaria.
Nel 1849 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Padova, che abbandonò nel 1854 senza aver conseguito la laurea, bensì l'"assolutorio", vale a dire un semplice attestato di frequenza ai corsi. Nel medesimo anno, per evitare il servizio militare nell'esercito austriaco, partecipò al concorso per accedere ai corsi di perfezionamento dell'università di Vienna, lo vinse e s'iscrisse al seminario storico-filosofico.
Qui il G. trascorse tre anni (nel 1856 una malattia agli occhi lo costrinse a rientrare in famiglia), che si rivelarono decisivi per la sua formazione: "Era come se avessi respirato un'aria nuova" - scrisse il G. nelle sue memorie: - "[…] Io, senza essere mai stato molto religioso, ero andato a Vienna cattolico, con tutte le conseguenze, dirò così, scientifiche e letterarie del cattolicesimo. Ero stato educato nella scuola romantica e non credevo che in quella. A Vienna, studiando storia sui grandi scrittori protestanti cominciai a vedere le cose in tutt'altro modo, mi persuasi che il cattolicesimo era stata la causa principale della rovina nostra e di tutte le nazioni cattoliche, […] senza cambiare formalmente religione, mi trovai d'accordo in ogni cosa sul modo di pensare dei protestanti" (cit. in Codignola, p. 66).
Nel 1857 il G. fece ritorno a Venezia, dove lavorò come praticante presso il tribunale provinciale e poi presso lo studio di un avvocato e iniziò a collaborare al periodico l'Eco dei tribunali. Nel 1859 ricevette una nuova chiamata alle armi e, non avendo questa volta altra possibilità di sottrarsi al servizio militare, scelse la via dell'esilio. Soggiornò per breve tempo a Firenze e a Torino prima di stabilirsi a Milano, dove si dedicò al giornalismo. Lavorò alla Gazzetta dei tribunali, cessata la quale, nel 1862 fondò, insieme con l'avvocato Giovanni Porro, Il Monitore dei tribunali, che diresse fino al 1869. Nel 1861 diede alle stampe a Milano il volumetto I giurati nel Regno d'Italia, che si occupava dell'amministrazione della giustizia nelle nuove province del Regno.
Da allora i suoi interessi si diressero verso i problemi della scuola e dell'educazione. Già nel 1861 il G. maturò le sue prime esperienze di educatore e pedagogista, essendo nominato direttore della scuola tecnica Elia Lombardini di Lentasio. Nel 1865 divenne rettore del convitto nazionale Longone di Milano, carica che ricoprì fino al 1869. Nel febbraio 1866 pubblicò sulla rivista di Carlo Cattaneo Il Politecnico il suo primo saggio di natura pedagogica, Sulla corrispondenza della educazione colla civiltà moderna, nel quale sosteneva che l'educazione, per "riuscire di uso pratico, vale a dire individualmente e socialmente utile", avrebbe dovuto adeguarsi ai tempi, comprenderne lo spirito, secondarne le tendenze e appagarne i bisogni (cit. in G. Genovesi, Introduzione ad A. Gabelli, Il metodo d'insegnamento nelle scuole elementari d'Italia, Firenze 1992, p. 8). Il G. avviava così la sua riflessione intorno al ruolo dell'educazione, tutta incentrata sullo stretto rapporto tra ragione, libertà e morale, che avrebbe sviluppato a partire da L'uomo e le scienze morali (Milano 1869), scritto che, ancorché divulgativo, viene considerato la prima opera organica del positivismo italiano.
In esso il G. affermava che la coscienza, i sentimenti e i criteri morali non sono innati, ma si conquistano con l'esperienza come le nozioni scientifiche. La molla di tutto è l'egoismo. Tuttavia l'utile che l'individuo persegue non è solo per se stesso, ma è l'utile per la specie e anche la ricerca della felicità si colloca nell'orizzonte dell'utile sociale. Per il G. non si trattava perciò di negare istinti e passioni, bensì di affidare all'educazione il compito di sottometterli alla ragione attraverso il metodo scientifico. Così si sarebbe formata la coscienza morale del popolo.
Sempre nel 1869 il G. venne chiamato a Firenze per ricoprire le cariche di provveditore centrale dell'Istruzione primaria e di segretario della commissione per l'istruzione obbligatoria. Nel 1870, all'indomani della presa di Roma, fu inviato nella nuova capitale insieme con il matematico F. Brioschi con il compito di studiare la situazione scolastica della città e di predisporre i primi provvedimenti per estendervi la legislazione del Regno. Nel 1871 il G. venne nominato provveditore provinciale di Milano e mantenne questa carica fino al 1874, benché fosse stato subito comandato a Roma presso l'amministrazione centrale. Il 5 genn. 1874 divenne provveditore agli studi a Roma, incarico che ricoprì fino al 5 apr. 1882, allorché, su sua richiesta, fu collocato a riposo.
Nei dodici anni di quasi ininterrotto soggiorno romano il G. fu chiamato a ricoprire numerosi altri incarichi: nel 1872 fu nominato membro del comitato permanente della Giunta centrale di statistica presso il ministero di Agricoltura, Industria e Commercio; nel 1873 consultore legale per il ministero della Pubblica Istruzione e membro della commissione per la Statistica giudiziaria del ministero di Grazia e Giustizia; nel 1875 commissario per il riordinamento delle scuole elementari; nel 1878 relatore sulle condizioni dell'istruzione pubblica in Italia; nel 1881, dopo aver rifiutato la nomina a capo divisione dell'Istruzione primaria, entrò a far parte del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Il G. fu inoltre membro di numerose commissioni per concorsi a cattedra e, nel dicembre 1886, divenne egli stesso professore incaricato di pedagogia all'Istituto superiore di magistero di Roma.
Il G. svolse altresì un'intensa attività pubblicistica, soprattutto sulla Nuova Antologia - periodico per il quale dal 1° dic. 1874 al 16 ag. 1883 redasse anche le "Rassegne politiche" - e sul Risveglio educativo.
Nel 1880 il G. tenne, all'XI congresso pedagogico di Roma, la relazione Delle abitudini intellettuali che derivano dal metodo intuitivo e dell'opportunità di adoperarlo nelle scuole italiane più largamente di quanto non siasi fatto fino ad ora (pubblicata in Il metodo d'insegnamento nelle scuole elementari d'Italia, Roma 1880, che ebbe numerose edizioni). Oltre ad essere l'opera più conosciuta del G. essa è anche quella in cui l'autore riuscì ad esprimere in modo più compiuto il suo pensiero sulla funzione della scuola.
Più che come il luogo dove si insegna a leggere, a scrivere e a far di conto, la scuola era intesa dal G. come luogo di educazione informata al metodo scientifico. La didattica avrebbe dovuto abituare gli alunni ad osservare la realtà, a verificare la rispondenza delle parole e dei concetti alle cose e ai fatti, traducendo quindi il sapere nel saper fare. Al centro del pensiero pedagogico del G. era appunto "l'insistenza sul valore insostituibile dell'esperienza dell'educando, punto di partenza di qualsiasi azione costruttiva" (Codignola, p. 73).
Il fatto che il G. assegnasse una così grande preminenza al metodo, considerando poco o nulla i contenuti dell'istruzione, può essere interpretato anche alla luce delle sue convinzioni politiche. Al pari di altri esponenti della destra moderata, anche il G. si riconosceva infatti nella cosiddetta "istruzione educativa" espressione dietro la quale si celava il convincimento che la scuola dovesse formare coscienze rispettose dell'ordine politico e sociale e impedire che "un'istruzione scarna, stecchita e priva di virtù educatrice" (Educazione positiva, p. 16) facilitasse la diffusione delle idee sovversive tra il popolo. Il suo conservatorismo non si caratterizzava perciò come rimpianto del passato o difesa dello stato delle cose quanto piuttosto all'insegna del motto "trasformare conservando". Egli credeva fermamente che il progresso fosse "il frutto lento e graduale della rivoluzione dei comportamenti individuali e non certo di una rivoluzione sociale e politica" che avrebbe potuto "solo scatenare le più insane passioni" (Genovesi, Introduzione, a Il metodo d'insegnamento, cit., p. 18).
Un aspetto importante del pensiero del G. riguarda il suo rapporto con la religione. Per quanto, fin dai suoi primi scritti, egli lamentasse le conseguenze negative dell'ingerenza clericale in campo educativo, fu tuttavia favorevole all'insegnamento della religione nelle scuole elementari; sia per non favorire l'affluenza negli istituti retti da religiosi sia perché riteneva che in ogni individuo fosse insito un insopprimibile bisogno di fede. Egli stesso, di fronte ai grandi problemi dello spirito e della vita, avvertiva il bisogno di guardare al di là dei confini della pura ragione e riteneva che la religione, insegnata in modo non catechistico e non dogmatico, avrebbe potuto essere un efficace strumento educativo. L'atteggiamento del G. di fronte al problema religioso contribuì a fare di lui un positivista sui generis, al punto da essere considerato da G. Gentile e dai suoi seguaci un non positivista, quasi un precursore dell'idealismo.
Anche dopo il collocamento a riposo il G. continuò ad occuparsi dei problemi della scuola: nel 1883 revisionò il progetto di legge sulla riforma degli asili; nel 1885 prese parte a Le Havre al congresso internazionale degli istitutori; nel 1886 assunse la presidenza della commissione per i libri di testo nelle scuole elementari; nel 1888 fu relatore nella commissione incaricata del riordinamento dell'istruzione elementare , presieduta da P. Villari, che compilò i nuovi programmi.
Negli ultimi anni della sua esistenza il G. visse una breve esperienza politica come deputato della corrente liberale democratica, eletto nel 1886 e nel 1890 nel secondo collegio di Venezia. Sempre nel 1890 venne nominato membro dell'Accademia dei Lincei.
Nel febbraio 1891 apparve sulla Nuova Antologia il suo saggio Il positivismo naturalistico in filosofia, una sorta di bilancio filosofico alla luce dei rivolgimenti intervenuti negli ultimi anni nella cultura europea. In esso il G. prendeva le distanze dal nuovo positivismo, naturalistico e metafisico, influenzato dalle teorie darwiniste e sfociato nel materialismo e nell'ateismo. Egli definiva invece il proprio pensiero "positivismo critico"; inteso soltanto come metodo di osservazione fondato sulla certezza dei fatti.
Ammalatosi di cancro al palato, il G. morì a Padova il 7 ott. 1891.
Opere: Sono circa trecento gli scritti del G., apparsi tra il 1856 e il 1891 su varie riviste, che riguardano la pedagogia e i problemi della scuola in genere, la filosofia, la morale, le scienze sociali, le questioni giuridiche ed altri argomenti. Il primo saggio, Studi storici sul culto della donna apparve a puntate sulla Rivista veneta (14 e 20 luglio, 3 e 26 agosto, 14 settembre, 19 ott. 1856). Articoli di carattere giuridico furono pubblicati su L'Eco dei tribunali, sulla Gazzetta dei tribunali e sul Monitore dei tribunali. Scritti dedicati dal G. ai problemi della scuola e dell'educazione vennero pubblicati sulla Nuova Antologia e su Il Risveglio educativo (molti di questi furono raccolti da P. Villari nei due volumi L'istruzione in Italia, Bologna 1891-92). Tra le altre raccolte di scritti del G. segnaliamo: L'istruzione classica in Italia, a cura di E. Codignola, Firenze 1950; Educazione e vita sociale, a cura di D. Bertoni Jovine, Torino 1961; Scritti pedagogici, a cura di N. Sammartano, Urbino 1965; Educazione positiva e riforma della società, a cura di R. Tisato, Firenze 1972. Altri scritti del G. da ricordare sono: La questione religiosa in Italia, Milano 1864; La questione di Roma, la libertà della Chiesa e la divisione dell'asse ecclesiastico, ibid. 1867; Gli scettici della statistica, ibid. 1877; Roma e i Romani, ibid. 1881; Il mio e il tuo, Milano 1886; I pensieri, ibid. 1886; Sul riordinamento della scuola elementare, Padova 1888; I nostri debiti, Padova 1889; Pensieri. Raccolta postuma con frammenti di un'autobiografia, a cura di E. Teza, ibid. 1892.
Fonti e Bibl.: A. Amati, A. G. Studio biografico, Padova 1893; F. Gnesotto, A. G. Commemorazione, Padova 1893; L. Calvanna, Le idee pedagogiche di A. G., Napoli 1911; E. Guerra, L'opera pedagogica di A. G., Torino 1915; M. Jori, I pedagogisti moderni. A. G., Firenze 1915; F. Bianchi, A. G. nella filosofia positiva e nella pedagogia applicata, Milano 1920; G. Calò, Un maestro: A. G., in Dottrine ed opere nella storia dell'educazione, Lanciano 1932; E. Codignola, A. G., in Scuola e città, I (1950), 2, pp. 65-73; D. Bertoni Jovine, Storia della scuola popolare in Italia, Torino 1954, ad indicem; G. Calò, Momenti di storia dell'educazione, Firenze 1955, pp. 207 s., 211-214; F.V. Lombardi, G., Brescia 1963; A. Saloni, A. G. Scuola ed educazione, Roma 1963; T. Tomasi, Società e scuola in A. G., Firenze 1965; G. Cives, A. G. e lo spirito scientifico, in Didattica integrata, Roma 1967, pp. 68-102; G. Calogero, Pedagogia e didattica di A. G., Firenze 1968; G. Gentile, Storia della filosofia italiana, a cura di E. Garin, Firenze 1969, II, ad indicem; G. Cives, L'educazione in Italia. Figure e problemi, Napoli 1984, ad indicem; F. Bartoccini, Roma nell'Ottocento, Bologna 1985, ad indicem.