Gabelli, Aristide
Pedagogista (Belluno 1830 - Padova 1891). Volontario nella Guardia nazionale durante l’assedio di Venezia del 1849, aveva cominciato, nello stesso anno, a frequentare la facoltà di Giurisprudenza dell’università di Padova. Nel 1854, non avendo concluso gli studi, si iscrisse all’università di Vienna a un corso di perfezionamento storico-filosofico, che si rivelò fondamentale per la sua formazione. Nel 1859, per non prestare servizio nell’esercito austriaco, fuggì a Firenze, poi a Torino, infine si stabilì a Milano, dove cominciò a scrivere sul «Monitore dei Tribunali». Nel 1861 fu nominato direttore di una scuola tecnica di Milano, nel 1865 direttore del Convitto nazionale Longone della stessa città. Nel 1869 fu chiamato al ministero della Pubblica istruzione come provveditore centrale, e presso il ministero rimase di fatto fino al 1874. Fu provveditore agli studi di Roma dal 1874 al 1881 e deputato di Venezia nel 1886 e nel 1890. Fu relatore della commissione ministeriale per il riordinamento della scuola elementare, dalla quale fu anche incaricato di redigere le Istruzioni per i programmi del 1888 durante il governo Crispi. Gabelli può essere considerato uno dei promotori del positivismo filosofico e pedagogico italiano e diede un contributo importante al rinnovamento della scuola postunitaria. Rappresentante della destra moderata, Gabelli fu un conservatore illuminato convinto della necessità di elevare il popolo attraverso una profonda azione pedagogica sotto la guida di una classe dirigente autorevole e cosciente. In questa prospettiva era fondamentale il ruolo assegnato alla scuola statale e pubblica, vista come l’asse portante di una nuova stagione connotata dallo sviluppo economico e dalla concordia tra le classi. Quanto al contenuto dell’istruzione, come emerge chiaramente nel Metodo di insegnamento nelle scuole elementari d’Italia, pubblicato nel 1880, egli polemizzava con l’impostazione didattica prevalente che riteneva viziata da un eccesso di verbalismo e di nozionismo e proponeva una scuola che avesse come fine ultimo quello di «formare teste e uomini», di sviluppare senso critico, capacità di giudizio e di adattamento a situazioni sempre nuove. Gabelli interpretava il positivismo in chiave eminentemente metodologica. Per lui il metodo positivo coincideva con il rifiuto di ogni dogmatismo, di ogni sistema e di ogni metafisica; qualsiasi progetto doveva al contrario scaturire da una stretta aderenza ai fatti e dunque anche un’efficace proposta pedagogica si deve basare sull’analisi concreta della realtà italiana e dei suoi reali bisogni.