ARISTOPHANES (᾿Αριστοϕάνης)
Ceramografo attico della tecnica a figure rosse, attivo nell'ultimo ventennio del V sec. a. C. Firmò con ègraphe tre vasi. Una kölix proveniente forse da Vulci (Berlino, n. 2531), raffigura nel tondo interno Posidone che combatte contro il gigante Polybotes e Ghe implorante, il cui busto emerge dal terreno; nell'esergo, è la firma del ceramografo accanto a quella del vasaio Erginos (epòiesen), nei due lati esterni sono altre sei coppie di dèi e di giganti in lotta: da una parte, Zeus, al centro, contro Porphyrion, fra Atena contro Ekelados (sic) a destra e Artemide contro Gaion a sinistra; dall'altra Apollo, al centro, contro Ephialtes, fra Hera contro Phoitos, a destra, ed Ares contro Mimon, a sinistra. Tutte la figure sono contraddistinte dai nomi iscritti. La stessa firma associata a quella del vasaio Erginos compare nell'esergo del tondo interno in una kölix da Tarquinia, oggi a Boston (n. 00.344) con Eracle in lotta contro Nesso che rapisce Deianira, mentre all'esterno, da ambedue i lati, sono tre coppie di Lapiti in lotta contro Centauri (i nomi iscritti). Gemella di questa è una kölix trovata nella stessa tomba tarquinese e conservata ugualmente a Boston (n. 00.345) con identica decorazione ma con differenze nei nomi di alcuni Lapiti e Centauri. Sebbene quest'opera non sia firmata, essa è indubbiamente degli stessi autori della precedente kölix gemella; però non ne è una ripetizione meccanica, bensì una libera formulazione dello stesso tema con tutte quelle varianti nell'interpretazione dei modelli nate dal lavoro a mano libera; anzi alcuni tocchi e alcuni particolari appaiono più felici nella kölix non firmata.
La sola firma di A. (ègrapsen) rimane in un frammento di cratere a campana, trovato ad Agrigento e conservato in quel museo; non possiamo sapere se fosse seguita, a sinistra, anche da quella di Erginos. Sopra una fascia basamentale a meandro rimangono il piede sinistro di una figura maschile con asta mentre il piede destro appare appoggiato più in alto, su un rialzo del terreno segnato da linee sottili, dinanzi al quale è un cespuglio di alloro.
È stata attribuita ad A. anche una lékythos da Atene (Berlino, n. 2706) con Adone dal torso nudo, raffigurato di tre quarti, su una seggiola; ha sulle ginocchia di fronte a sé Eros stante, che gli tende le braccia, ed è fra due figure femminili drappeggiate, una delle quali (quella a sinistra) tiene la patera e l'oinochòe per una libagione. La testa ricciuta di Adone richiama quelle dei due Lapiti Eurypylos e Polyainos delle due coppe di Boston, ma la scena e lo stile sono di imitazione midiaca. Un'altra probabile opera di questo ceramografo è la loutrophòros dal Sunio a Berlino (n. 2373), su cui è dipinta la scena dell'abbigliamento della sposa, con un piccolo Eros che le vola incontro, dinanzi allo sposo e a una dadofora. Le figure sono calme e solenni, di classica impostazione, di tono diverso dalle composizioni precedenti. Lo Hauser e lo Hoppin attribuiscono ad A. anche una kölix frammentaria da Kerč, ora all'Ermitage di Leningrado, con Deianira e Nesso, ma senza Eracle. Lo stile di questo dipinto lo riporta con certezza a Meidias.
In questo gruppo di opere A. si rivela una ben distinta personalità di quel gruppo post-fidiaco in cui primeggia Meidias, del quale egli non raggiunge la finezza calligrafica, mantenendosi in un tono più modesto, disinvolto e rapido. I suoi panneggi sono generalmente triti, di una grafia convenzionale e talvolta incongruente, resi sia in fitte linee parallele, sia con ghirigori, con caratteristiche gocciole, sovraccarichi di lembi. L'anatomia è vivamente sottolineata e una certa varietà di effetti egli ricerca nelle chiome, da quelle ricciute di una florida esuberanza, in alcune teste giovanili maschili, fino a quelle irsute e selvagge dei centauri, rese con grosse e rade linee serpentinate nere su un fondo diluito che creano una dinamica massa fortemente coloristica. Nelle composizioni A. ama particolarmente gli scorci pittorici, le posizioni più audaci, che affronta ora con forza dinamica, ora addolcisce con grazia leziosa; il suo stile rimane limitato a una facile vena, con poca fantasia e con tono essenzialmente manieristico.
Bibl.: F. Hauser, in Furtwängler-Reichhold, III, pp. 38-50, tavv. 127, 128, 129; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung, Monaco 1923, II, p. 587; J. C. Hoppin, Red-fig., pp. 49-55; J. D. Beazley, Red-fig., pp. 841-842. Per il cratere di Agrigento: P. Marconi, in Atti e Mem. Soc. Magna Grecia, 1931, p. 73. Vedi inoltre: P. E. Arias, in Rivista Ist. Arch. e St. dell'Arte, N. S., IV, 1955, p. 124 ss.