aristotelismo
Influsso esercitato direttamente o anche soltanto indirettamente da Aristotele nella storia del pensiero.
L’antichità conobbe di Aristotele soprattutto gli scritti essoterici e giovanili, in opposizione ai quali si orientò, per es., il pensiero di Epicuro. Grande influenza ebbe, inaugurando una tradizione letteraria e filosofica, soprattutto il Protreptico, tenuto presente anche da scrittori cristiani, mentre attraverso l’Hortensius ciceroniano suscitava la vocazione filosofica di s. Agostino. Uno sforzo per eliminare il contrasto tra Platone e Aristotele fu fatto dal neoplatonismo; Porfirio scrisse la celebre Introduzione, o Isagoge, alla logica aristotelica, resa poi nota in Occidente attraverso la traduzione di Boezio. Fu soprattutto attraverso l’opera di quest’ultimo che la conoscenza di Aristotele iniziò a diffondersi nell’Occidente cristiano. In Oriente, e poi attraverso le traduzioni in latino in Occidente, fu invece determinante l’opera dei traduttori siri e arabi (dal greco e dal siriaco).
Nel mondo arabo-islamico alle dottrine filosofiche variamente ispirate ad Aristotele si si accompagnò spesso un’elaborazione in senso neoplatonico. Gli scritti aristotelici – l’Organon, ma anche gli scritti di filosofia naturale, la Metafisica (➔), il trattato Sull’anima (➔) – vennero infatti tradotti (secc. 8°-10°) assieme ad alcuni commenti e ad alcune opere platoniche e neoplatoniche. I più importanti scritti rimastici sono riconducibili a Plotino e Proclo: la cosiddetta pseudo-Teologia di Aristotele o Libro sulla Signoria divina, e il Libro o Discorso sul bene puro. L’ingresso nel mondo arabo-islamico dell’Aristotele neoplatonizzato fu determinante, oltre che per la logica, per la metafisica, la gnoseologia e l’etica degli autori arabi cristiani e musulmani (tra i principali, al-Kindī, al-Amirī, Alfarabi, Yaḥyā ibn ‛Adī, Miskawayh, Avicenna, che intese rinnovare la tradizione aristotelica, Ibn Bāgga, Averroè, Abū l-Barakāt al-Baghdādī). Soprattutto attraverso Avicenna e Averroè – che si impegnò nella restaurazione della più autentica lettura di Aristotele – l’a. arabo influenzò la filosofia occidentale.
Nel secondo quarto del sec. 12°, nell’Occidente latino, si cominciò a conoscere tutta l’opera logica di A. grazie alla versione di Giacomo Veneto (prima si conoscevano solo le Categorie e il De interpretatione nella versione di Boezio, con l’Isagoge di Porfirio); quindi, dalla seconda metà del 12° sec., il mondo latino viene a poco a poco a conoscenza delle opere aristoteliche di fisica, psicologia, metafisica ed etica, attraverso le traduzioni, dal greco o dall’arabo, in latino (i centri principali furono Toledo in Spagna e la corte di Federico II in Sicilia). Insieme alle opere di Aristotele erano tradotti anche commenti o parafrasi di autori greci e arabi (ricordiamo, nel sec. 12°, le traduzioni di Avicenna; nella prima metà del 13° i commenti di Averroè, nella seconda metà, a opera di Guglielmo di Moerbeke, alcuni commenti di Temistio, Simplicio, Filopono). Le traduzioni dei commentatori arabi anteriori ad Averroè portavano nell’ a. l’influsso di elementi eterogenei, soprattutto platonici. In questo senso grande importanza ebbero le opere di Avicenna e il Liber de causis (➔) attribuito ad Aristotele che, tradotto nella seconda metà del 12° sec. (sarà Tommaso d’Aquino a indicare la sua derivazione da Proclo), e considerato il coronamento della sua Metafisica, impose a questa una prospettiva schiettamente platonica. La fortuna degli scritti aristotelici fu da subito ampia negli ambienti universitari: ne sono testimonianza le condanne parigine del 1210 e del 1215 che proibivano la lettura delle opere aristoteliche di filosofia naturale e di metafisica e i commenti relativi. Era questo un segno della reazione degli ambienti teologici che – ispirati alla tradizione agostiniana – vedevano nella filosofia di Aristotele un naturalismo del tutto estraneo e inconciliabile con il cristianesimo; in particolare, si denunciava nel sistema aristotelico la negazione della provvidenza, l’assenza di una dottrina dell’immortalità dell’anima, la negazione della creazione e della prospettiva escatologica per l’asserita eternità del mondo. Tuttavia, già nella prima metà del 13° sec., e non soltanto a Parigi (a Toledo e a Oxford, dove quelle proibizioni non valevano, Aristotele veniva infatti letto), si rileva una progressiva utilizzazione delle opere di Aristotele, che infine, nel 1255, entravano ufficialmente negli statuti della facoltà delle arti. Ciò comportò una lenta ma radicale trasformazione di tutta la filosofia e teologia medievali che – incardinate fino ad allora sulla tradizione platonico-agostiniana – venivano a far proprie le fondamentali strutture della filosofia aristotelica. Il trionfo dell’a. non fu però incontrastato: una vivace reazione degli ambienti teologici è infatti documentata sia negli scritti teologici della seconda metà del 13° sec. (esemplari sono in questo senso le Collationes in Hexaëmeron e De donis Spiritus Sancti di s. Bonaventura), sia dalle condanne parigine del 1270 e del 1277 che colpivano numerose tesi aristoteliche, caratteristiche non soltanto delle interpretazioni arabe (soprattutto averroistiche), ma in parte anche della filosofia di Tommaso d’Aquino, il quale pure aveva ritenuto di poter conciliare l’a. con gli insegnamenti cristiani. D’altra parte, anche nel campo più schiettamente filosofico si cominciarono presto a indicare i punti dubbi del pensiero aristotelico e, soprattutto con l’occamismo, che pure in gran parte dipende da Aristotele, si giunse, lungo il sec. 14°, a una critica acuta di fondamentali tesi aristoteliche e del ‘concordismo’ di tipo tomista. L’a. restò comunque il costante punto di riferimento della speculazione filosofica della metà del 13° sec.; anche le caratterizzazioni delle varie scuole finirono per essere piuttosto relative a particolari interpretazioni del pensiero di Aristotele, senza rifiutare, anzi accettando, la sua generale concezione fisica e metafisica.
Legato com’era all’insegnamento universitario, l’a. sopravvisse per tutto il Rinascimento, fino al Seicento inoltrato. Alle interpretazioni del pensiero dello Stagirita che in buona parte ripetevano le prospettive dell’a. medievale (averroismo, tomismo, scotismo, occamismo), se ne affiancarono altre e diverse, come l’alessandrista, legata alla riscoperta del I libro del trattatello De anima di Alessandro di Afrodisiade (che ebbe il suo maggiore rappresentante in Pomponazzi), e la simpliciana, legata alla riscoperta del commento di Simplicio e al tentativo di risolvere certi problemi di esegesi aristotelica attraverso i motivi platoneggianti. Ma intanto la cultura rinascimentale andava verso nuovi problemi e interessi, soprattutto fuori degli ambienti universitari; la tematica filosofica si allargava attraverso la conoscenza di altri maestri del pensiero antico e il dischiudersi di nuovi orizzonti. Lo stesso a. si veniva a inserire in una nuova dimensione storica che gli toglieva il carattere di filosofia unica e vera. La filologia umanistica aveva al contempo allargato notevolmente il dibattito sull’a. con un diretto ricorso agli originali greci o a commenti prima sconosciuti, e spostando anche l’interesse dagli scritti aristotelici di fisica e di metafisica a quelli di etica, politica e retorica.
o. Estenuato da dispute che interessavano ormai solo i più arretrati ambienti accademici, colpito dal diffondersi di nuovi orientamenti filosofici (Telesio, Bruno, Campanella) e dalle critiche che venivano mosse alla fisica peripatetica, soprattutto dagli esponenti del copernicanesimo (in particolare da Galilei), l’a. andò gradatamente estinguendosi tra la seconda metà del Cinquecento e il secolo successivo. Sopravvisse più a lungo negli ambienti teologici, che tuttavia, malgrado le ancora frequenti condanne di posizioni antiaristoteliche, non riuscirono a salvarlo dal suo definitivo tramonto. Fatta eccezione per Leibniz, che integrò nella propria filosofia elementi fondamentali della speculazione aristotelica, l’a. ritornò, più che altro come tomismo rinnovato, nelle scuole della Chiesa cattolica, verso la seconda metà del sec. 19° (➔ neoscolastica).