ARMAMENTI
v. armi, IV, p. 459; App. II, I, p. 253
Gli armamenti fino al 1945. − Per a. si deve intendere non solo il complesso delle armi di ogni tipo, degli equipaggiamenti, degli impianti industriali capaci di produrre le une e gli altri; il termine si riferisce infatti anche alle politiche di approvvigionamento da quando, negli ultimi anni del secolo passato, gli a. hanno preso a condizionare, per aumento dei costi di produzione e grado di letalità sempre maggiore, la scelta della guerra come metodo per la risoluzione dei conflitti internazionali. La preparazione materiale a una guerra voluta o temuta ha assunto, di conseguenza, valore politico. Inoltre, poiché gli arsenali militari non furono più capaci di sviluppare la produzione né sul piano tecnologico né su quello industriale, ad essi si sostituì l'impresa privata. Allo stato unico compratore, il mercato contrappose monopoli perfetti o ristrettissimi oligopoli, ma lo stesso stato continuava a definire, attraverso le richieste dei militari, le caratteristiche del prodotto che intendeva comprare, collocandosi così accanto ai fattori d'innovazione propri del sistema industriale.
Questo processo complesso, tanto bisognoso di guida politica quanto difficile da controllare per le continue spinte interne − dovute appunto al progresso tecnologico e alle caratteristiche del mercato − non avrebbe mai preso l'avvio se in precedenza non fossero maturati alcuni prerequisiti di natura politica, militare e tecnica. Primo fra tutti fu l'aumento delle forze terrestri (in seguito all'introduzione del servizio militare obbligatorio), causa di una maggior dotazione non solo di armi individuali, ma anche di artiglierie da campagna. Seguì l'applicazione delle nuove tecnologie dell'acciaio alla produzione di artiglierie e proietti (terrestri e navali), nonché di corazze per le navi da battaglia e di cupole per le maggiori opere fortificate. Quale terzo prerequisito, le navi da guerra a propulsione meccanica divennero il primo modello di arma complessa fondata sull'applicazione dei princìpi e dei prodotti del moderno progresso scientifico e tecnico.
Preso l'avvio, l'approvvigionamento degli a. non conobbe più soste, passando da periodi di grande accelerazione ad altri di relativo rallentamento, così come, nell'ambito del ciclico rinnovo delle dotazioni delle forze armate, i responsabili militari hanno alternato momenti di chiusura o disattenzione nei confronti delle armi nuove a momenti, più frequenti in verità, di piena partecipazione alle proposte delle imprese. I responsabili politici sono stati promotori consapevoli (garantendo commesse, accettando di pagare prezzi maggiorati, favorendo le esportazioni) della nascita e dello sviluppo di quelle imprese, ritenute d'importanza strategica perché garanti dell'autonomia dell'approvvigionamento, a sua volta fattore di libertà d'iniziativa in politica estera. Le maggiori imprese produttrici (inglesi, francesi e tedesche all'inizio del secolo, successivamente anche italiane e statunitensi) hanno alimentato un fiorente commercio internazionale con molteplici obiettivi: abbassare i costi di una produzione troppo ridotta e discontinua rispetto agli investimenti richiesti, se limitata al mercato interno; sostenere gli alti livelli di profitto attesi; fornire al proprio governo, in cambio delle commesse ricevute, uno strumento per sostenere o aumentare l'influenza politica sui paesi importatori.
I tipi di armi e mezzi terrestri e navali nei quali militari e politici riposero la speranza di conseguire una certa supremazia in caso di guerra sono sostanzialmente tre: le corazzate, i sommergibili, e le artiglierie campali a tiro rapido. Non vi è dubbio che si nutrisse maggiore fiducia nella corazzata, ultima nata nella vecchia famiglia delle navi da battaglia, di quanta non se ne ponesse nel sommergibile, rivoluzionario prima che come arma (lanciava siluri, dei quali le torpediniere erano armate da tempo) come battello (poiché sfidava la consuetudine millenaria di solcare la superficie del mare).
Questa fiducia era tanto maggiore da quando in Inghilterra era stata costruita la Dreadnought ("Intrepida") che all'arroganza del nome − consueta per le navi da battaglia − accompagnava la minaccia di nove cannoni di grosso calibro posti in torri girevoli al centro della nave e trasportati a buona velocità lungo rotte più lunghe del consueto, per l'aumentata autonomia degli apparati motori (i quali bruciavano nafta invece del doppiamente ingombrante carbone). Maggiore era anche la fiducia accordata al cannone, soprattutto ora che si mostrava capace di tirare un colpo dopo l'altro senza dover essere rimesso ogni volta in batteria (poiché l'affusto a deformazione manteneva costante il puntamento), rispetto a quella riposta nella mitragliatrice, capace sì di tirare senza soste, ma di poco minore ingombro rispetto al pezzo da campagna e di più corta gittata (essa disturbava inoltre, con la sua presenza, il tradizionale schieramento in combattimento dei battaglioni di fanteria). Non aveva ancora fatto breccia, se non a livello progettuale, l'impiego in combattimento di mezzi terrestri o aerei con propulsione a motore. Qualche dirigibile e pochissimi aerei per la ricognizione, insieme a pochi autocarri per il trasporto dei materiali, esaurivano la potenzialità del motore. A paragone, maggiore attenzione era riservata ai mezzi di comunicazione a grande distanza. L'uso della radio si diffuse prima presso le navi militari e soltanto in un secondo momento presso le forze di terra, le quali, sulle distanze brevi, potevano disporre anche di collegamenti telefonici.
Poiché l'approvvigionamento di armi dipendeva dalle possibilità economiche e finanziarie, nonché dal livello di sviluppo industriale e tecnologico, esso stava in stretto rapporto non solo con la politica, ma anche con la strategia, riuscendo a modificare quest'ultima, tuttavia, più nel settore navale che in quello terrestre. Nessun mutamento invece si determinava dal punto di vista globale, vale a dire dell'uso combinato, a fini bellici, dello strumento militare, finanziario, industriale e così via.
Il fatto che i concetti d'impiego delle forze armate fossero ancora fortemente orientati verso il passato, toglie alla corsa agli a. la natura di causa diretta e incontrollabile del primo conflitto mondiale. La quale va invece riconosciuta nell'incapacità di trovare una soluzione pacifica alla multipla rivalità fra potenze, che fu incentivo al continuo rafforzamento degli a. e non una sua conseguenza.
Ciò che di nuovo apportò l'esperienza della guerra fu un rafforzamento dell'a. del fante, sia individuale che di reparto. La novità principale riguardava le mitragliatrici, delle quali si utilizzò la grandissima capacità difensiva, integrandole in un sistema di fortificazione campale esteso e profondo (trincee). Può dirsi anzi che sui fronti terrestri la mitragliatrice abbia assunto un ruolo di arma strategica, producendo quella stabilità degli schieramenti che bloccò l'avanzata e la ritirata degli eserciti per un lungo periodo. Per infrangere questa stabilità furono impiegati, di volta in volta, artiglierie pesanti, aggressivi chimici, tattiche d'infiltrazione e carri armati, frutto tardivo, questi ultimi, ma ancora acerbo, dell'innesto armi/motore; più maturo appariva, a confronto, l'aeroplano armato di bombe o di sole mitragliatrici. Sul mare il sommergibile rivelò in mano tedesca le sue potenzialità di arma strategica se impiegato per tagliare i rifornimenti di materie prime e di derrate. Deludente, per non dire fallimentare, fu invece la prova delle navi da battaglia, le quali finirono per arrecare ciascuna al proprio paese un triplice danno: politico, in quanto non ebbero successo come deterrente; militare, dati gli scarsi risultati ottenuti; economico, dato il costo non indifferente della loro costruzione.
I costi umani ed economici della guerra non furono − né potevano esserlo, data la loro entità − bilanciati da apprezzabili conseguenze dello sviluppo della tecnologia bellica sulla vita civile del dopoguerra. Vanno comunque ricordati i motori aeronautici che progredirono in potenza e affidabilità e sostennero le prime imprese dell'aviazione commerciale; la radiofonia e la motorizzazione dei trasporti su strada (nonché in minore misura delle macchine per il lavoro agricolo) che cominciarono a diffondersi. Si deve aggiungere, infine, una razionalizzazione dei principali procedimenti produttivi. La sostituzione più rapida possibile del materiale in una guerra di usura poteva essere garantita soltanto da lavorazioni in serie su scala tanto vasta da richiedere una vera e propria ''mobilitazione industriale'', la quale dovette essere improvvisata e messa subito alla prova. Stato e privati collaborarono ovunque in Europa fornendo il primo le risorse economiche e il quadro amministrativo, i secondi gli uomini e le conoscenze tecniche e manageriali. E lo stato non fu presente soltanto come cliente, ma entrò nel processo produttivo con la gestione delle materie prime e dei combustibili e con il controllo della manodopera, dei prezzi e del credito. Questa doppia partecipazione, più che segnare una supremazia dello stato sull'impresa, diede vita, per la prima volta, a un'estesa e profonda compenetrazione di interessi, obiettivi e strategie. Fu anche per questa compenetrazione, oltre che per l'estensione geografica e per la tensione dello sforzo economico e militare, che la guerra apparve in seguito la prima guerra ''totale'' su scala mondiale.
Fino alla ripresa di una fase di dichiarato e rapido riarmo, collocabile all'incirca dopo il 1933, gli a. occuparono poco spazio nella politica militare degli stati vecchi e nuovi. Più che i tentativi di limitarne il rinnovo effettuati in sede internazionale, erano i surplus bellici che rendevano militarmente e politicamente inutile un'immediata politica di ricerca e sviluppo. Soltanto nella Germania di Weimar e nella Russia sovietica − con forme di collaborazione occulta tra i due paesi − furono avviate ricerche per carri armati e aviazione. Anche il Giappone − il primo in assoluto − si mosse sulla strada del rinnovo dei mezzi militari. Il settore aeronautico fu l'unico nel quale un po' ovunque la spinta innovativa originata dalla guerra non si esaurì. Anzi, furono poste le basi per una durevole collaborazione fra aereo e nave e la portaerei fece la sua comparsa presso le marine ''oceaniche'' (statunitense, giapponese e inglese soprattutto).
La svolta si ebbe nei secondi anni Trenta, per l'entità dei programmi, per l'aumentata complessità dei mezzi prodotti, per l'esperienza della guerra passata, che si poneva come modello negativo. Lo stallo delle operazioni e l'esaurimento fisico ed economico dei belligeranti non doveva ripetersi. La ricerca di una guerra rapida nel tempo e sul terreno, oppure la convinta e ferma rassegnazione a un impegno di lunga durata, orientarono le politiche degli a. le quali non potevano essere disgiunte da un programma di preparazione fondato su una rinnovata mobilitazione del sistema industriale e un'attenta strategia finanziaria.
Circa i mezzi, le speranze erano riposte nell'impiego tattico e strategico dell'aereo nonché nell'iperarmamento della fanteria (oltre che di mitragliatrici, questa fu dotata di fucili mitragliatori, lanciafiamme, mortai e poi cannoni). Non vi era però unanimità nel considerare strategicamente risoluti vo l'impiego del bombardiere plurimotore a grande autonomia. E tanto meno ve n'era a proposito del carro armato, evolutosi in funzione sia dell'appog gio alla fanteria o alla cavalleria che dell'azione autonoma. Sul mare l'unica arma nuova era la portaerei, anch'essa concepita sia come base navigante della difesa aerea della flotta, sia come vettore di mezzi aerei d'attacco. Non sorprende che fra tante possibilità e altrettante incertezze, le scelte delle potenze grandi e piccole non fossero più sostanzialmente identiche, come erano state ai primi del Novecento. Ai ritardi tecnologici si sommarono quelli dottrinali, alle diverse scelte politico-strategiche seguirono quelle programmatiche. Lo sviluppo della minaccia aerea aveva intanto consigliato di dirigere gli sforzi su sistemi attivi di difesa che condussero allo sviluppo in Inghilterra e Germania degli apparati di localizzazione di aerei e navi mediante l'emissione di onde elettromagnetiche (radar). Gran Bretagna e Stati Uniti svilupparono inoltre un emettitore di onde acustiche per la localizzazione dei sommergibili (sonar). Ma l'elemento che caratterizzò gli a. negli anni Trenta fu la diffusione del motore a combustione interna nei veicoli da combattimento e da trasporto. Altre innovazioni erano allo studio allo scoppio della guerra, ma entrarono in produzione soltanto dopo il 1943; si trattava dei missili (Germania), di aerei con motore a getto (Germania, Inghilterra, Stati Uniti) e infine della bomba nucleare (prodotta dagli Stati Uniti, ma studiata anche in Germania).
Le armi e i mezzi che ebbero successo nell'impiego a fini strategici in alcune fasi del conflitto furono il bombardiere a lungo raggio (Stati Uniti e Gran Bretagna), ancora una volta i sommergibili (Germania), le portaerei (Stati Uniti e Giappone), i carri armati (Germania e Stati Uniti) e la bomba nucleare (Stati Uniti). Nessuna di esse, tranne l'ultima, poté dirsi risolutiva. Fu sempre un immenso apparato di fanterie e artiglierie (fortemente motorizzato e appoggiato dall'aviazione) a rimanere protagonista dello scontro, soprattutto in Europa, dove nessuna forza armata e nessun'arma da sola fu determinante, neppure le salve di missili (V 2) lanciate su Gran Bretagna e Belgio dai Tedeschi e neppure i bombardamenti aerei angloamericani sulle città tedesche. Diversa la situazione in Asia. Le due bombe atomiche lasciate cadere nel 1945 sulle città giapponesi di Hiroshima (6 agosto) e Nagasaki (9 agosto) abbreviarono il conflitto più di quanto non avrebbero fatto il bombardamento strategico seguito da un'invasione del territorio, oppure l'esaurimento definitivo delle risorse dell'Impero.
La dimensione dell'organizzazione scientifica e tecnico-produttiva richiesta dalla realizzazione della bomba nucleare, il suo costo altissimo, i tempi rapidi nei quali l'opera fu completata, segnò il nuovo confine tra la potenzialità bellica di una superpotenza e quella del resto del mondo, che già l'entità della produzione statunitense di armi convenzionali aveva rivelato. L'''arsenale delle democrazie'' (e anche dell'Unione Sovietica) produsse dunque un'arma tutta per sé, insieme tradizionale nella forma e rivoluzionaria nell'effetto. Tradizionale perché si trattava pur sempre di una bomba d'aereo; rivoluzionaria perché la sua straordinaria potenza apriva un capitolo nuovo nell'evoluzione degli a. e su ben tre piani, tecnologico, militare e politico. Una capacità distruttiva mai immaginata e una dislocabilità, grazie al bombardiere B 29, senza limiti davano agli Stati Uniti una supremazia assoluta se decidevano d'impiegarla e una forza di pressione capace di piegare la più forte volontà se si limitavano a minacciarne, esplicitamente o implicitamente, l'uso.
Fra le conseguenze delle innovazioni diffuse nell'ultimo periodo del conflitto vi sono dunque le applicazioni pacifiche dell'energia nucleare, che si aggiungono a quelle della missilistica, ai radar, alla propulsione a getto degli aerei commerciali, ai servomeccanismi nonché al calcolatore elettronico. Infine vanno ricordati i metodi nuovi introdotti in tutte le fasi del ciclo di produzione industriale, i quali resero possibile uno sforzo economico e industriale di grande entità. Basti dire che di macchine complesse come gli aerei, i carri armati e i sommergibili i principali belligeranti ne produssero rispettivamente circa 725.000 (di cui 300.000 gli Stati Uniti), 297.000 (di cui 106.000 gli Stati Uniti e 102.000 l'Unione Sovietica) e 1638 (di cui 1111 la sola Germania).
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Gli armamenti dal 1945 a oggi. - La fine della seconda guerra mondiale segnò l'inizio di una nuova era nel campo degli a., quella atomica. L'utilizzo della bomba atomica, nel 1945, e la comparsa della sua erede, la bomba all'idrogeno, nel 1952, fecero passare in secondo piano, con la loro terribile potenza distruttiva, le differenze fra gli a. fino ad allora utilizzati. Da quel momento prese piede la distinzione fra armi nucleari, armi chimiche-batteriologiche e armi convenzionali.
Gli a. nucleari ebbero un rapido sviluppo quantitativo ad opera dei due paesi che, per primi, ne entrarono in possesso, Stati Uniti (1945) e Unione Sovietica (1949). Alle due superpotenze si aggiunsero poi la Gran Bretagna (1952), la Francia (1960), la Cina (1964) e, più recentemente, l'India (1974), mentre alcuni altri paesi potrebbero esservi vicini: si può stimare che, complessivamente, nell'arco di questi 45 anni, siano state costruite circa 100.000 bombe nucleari. Anche la potenza distruttiva delle armi nucleari crebbe enormemente e dai 20 kilotons (20.000 t di tritolo) della prima bomba si arrivò, negli anni Sessanta, al megaton (un milione di t di tritolo). A titolo di riferimento va ricordato che durante la seconda guerra mondiale si calcola siano state utilizzate munizioni per l'equivalente di circa tre milioni di t di tritolo. Unico limite all'aumento della potenza delle armi nucleari fu l'inutilità di concentrare tutta la forza dell'esplosione in un unico punto. Di qui la realizzazione, all'inizio degli anni Settanta, delle testate MIRV − Multiple Independently targetable Re-entry Vehicles - che consentono a un unico missile di portare fino a una decina di bombe destinate a diversi obiettivi, per una potenza complessiva che può arrivare ad alcuni megatons. Nello stesso tempo diminuirono dimensioni e peso: dalle 4 t della bomba di Hiroshima ai 100 kg delle attuali testate da 200 kilotons.
La disponibilità di un'arma potente e di limitate dimensioni come la bomba nucleare aprì lo sviluppo di un nuovo settore, la missilistica. Utilizzando le conoscenze acquisite dai tecnici tedeschi durante la seconda guerra mondiale con i V2, USA e URSS perseguirono inizialmente l'obiettivo di migliorare, in termini di portata e di precisione, le prestazioni dei nuovi vettori, arrivando nel 1959 ai 15.000 km dell'americano Atlas, mentre il margine di errore si ridusse, nello scorso decennio, ad alcune decine di metri. S'introdusse così una distinzione fra i missili strategici, di maggiore portata, quelli a medio raggio (fino a 5000 km) e quelli tattici (fino a un migliaio di km). Oltre a questi vettori balistici (che descrivono una traiettoria parabolica nell'atmosfera) vennero sviluppati, dopo il 1970, quelli da crociera, i cruise, discendenti dalle bombe volanti V1tedesche: grazie alla miniaturizzazione dei sistemi di guida e dei propulsori (un centinaio di kg insieme) questi ultimi riescono a volare per alcune migliaia di km a quote bassissime, confrontando i dati dei propri sensori con quelli immagazzinati nella memoria.
Con la fine degli anni Sessanta il missile si affermò definitivamente come il mezzo migliore per trasportare le armi nucleari, così come quelle chimiche, ed entrò via via negli arsenali di tutte le potenze nucleari. Data la progressiva maggiore facilità di accesso all'arma atomica, e tanto più a quella chimica, la capacità missilistica è considerata il fattore fondamentale sul piano della potenzialità offensiva di ogni paese.
Piattaforma di lancio privilegiata per i missili divennero i sottomarini a propulsione nucleare, la cui autonomia è determinata solo dalla resistenza dell'equipaggio. Grazie agli studi sull'energia atomica, nel 1955 navigò il primo sommergibile nucleare, lo statunitense Nautilus. Cinque anni dopo il G. Washington eseguì il primo lancio in immersione di un missile. Per svolgere questa missione le dimensioni dei nuovi sottomarini decuplicarono rispetto a quelle tradizionali. Al fine di contrastarli nacquero contemporaneamente nuovi sottomarini d'attacco, anch'essi a propulsione nucleare. L'energia nucleare venne utilizzata anche per muovere le grandi portaerei, a partire dalla statunitense Enterprise che entrò in servizio nel 1961.
Minore sviluppo ebbero le armi chimiche e biologiche, a causa del diffuso rifiuto al loro utilizzo e del più difficile controllo dei loro effetti. Tuttavia è continuata in tutto questo periodo la loro produzione da parte di USA e URSS. Si calcola, inoltre, che siano in grado di produrle una ventina di paesi in via di sviluppo. A differenza delle armi atomiche, quelle chimiche sono state utilizzate, no nostante il divieto imposto dalle convenzioni internazionali, in qualche conflitto periferico.
Nel campo delle armi convenzionali si è registrato un generale miglioramento degli equipaggiamenti realizzati fino alla seconda guerra mondiale e, insieme, la comparsa di nuovi importanti mezzi.
La spinta venne soprattutto dal passaggio, negli anni Cinquanta, dalla supremazia della meccanica a quella dell'elettronica. Alle valvole si sostituirono i transistor e, nel decennio seguente, i circuiti allo stato solido; altri dieci anni e fu la volta dei circuiti integrati. La conseguente miniaturizzazione degli apparati e la contemporanea vertiginosa crescita delle loro prestazioni esercitarono una profonda influenza su tutto il settore militare.
I missili hanno avuto applicazioni anche al di fuori del campo nucleare: dotati di testate convenzionali, possono essere utilizzati per colpire mezzi e installazioni nemiche, compresi gli stessi missili avversari. La riduzione delle loro dimensioni ne ha consentito l'installazione su ogni tipo di piattaforma (come vengono definiti i mezzi dotati di mobilità), dai veicoli terrestri alle unità navali di superficie (comprese quelle di piccole dimensioni), dai sottomarini ai veicoli ad ala fissa e rotante. Grazie a sistemi di guida sempre più perfezionati, i missili sono passati dalla traiettoria prestabilita, che aveva caratterizzato il loro esordio, a una guidata (tramite radar o laser) fino all'inseguimento automatico del bersaglio attraverso i propri sensori (radar, infrarosso).
Il vettore missilistico ha consentito, infine, la realizzazione di una nuova piattaforma, il satellite, che dal 1958 è stato utilizzato per telecomunicazioni e sorveglianza. Con gli anni Ottanta ne sono state studiate anche possibili applicazioni offensive in funzione antimissile e antisatellite.
I siluri, grazie al miglioramento dei sistemi di guida, hanno potuto essere utilizzati anche contro i sottomarini, oltre che contro navi di superficie, ed essere lanciati sia da sottomarini che da elicotteri e, più recentemente, da missili vettori che li paracadutano in mare.
Sulle piattaforme ha trovato posto una sempre maggior quantità di apparati elettronici grazie al ridotto peso e ingombro (di grande importanza soprattutto per i velivoli e i carri da battaglia). Ciò ha consentito d'incrementarne le capacità e di ridurre i tempi di reazione, sostituendo l'automatismo all'intervento dell'uomo e lasciando che quest'ultimo possa concentrarsi sul momento decisionale. Più in generale, si è ridotta la quantità di personale richiesto e, comunque, si è aumentata la velocità di esecuzione di ogni operazione.
Gli strumenti di sorveglianza (radar, all'infrarosso, a intensificazione di luce) sono stati progressivamente affinati per poter seguire tempestivamente ogni attività potenzialmente ostile. Dapprima basati a terra o sulle maggiori navi a causa delle loro dimensioni, sono stati poi installati su ogni mezzo, compresi i satelliti, portando alla creazione di un nuovo piccolo vettore, il velivolo teleguidato. Analogo miglioramento hanno subìto gli strumenti per la sorveglianza subacquea (sonar, sensori acustici).
Nuovi apparati di direzione del tiro hanno consentito di tenere costantemente inquadrati più bersagli contemporaneamente, assegnando la priorità a quello più pericoloso. La designazione avviene utilizzando anche raggi laser o dispositivi elettro-ottici. Nei carri da battaglia, la stabilizzazione del puntamento dell'arma ha consentito il fuoco anche in movimento, aumentando la mobilità sul campo di battaglia.
Dopo una prima fase d'intenso sviluppo tecnologico, nacque negli anni Sessanta il sistema d'arma, inteso come un complesso di apparati che, insieme, avvistano il potenziale nemico, reagiscono indirizzandogli automaticamente contro l'arma che viene prescelta e guidandola sul bersaglio. La nuova impostazione si affermò rapidamente soprattutto nella missilistica, dando vita a sistemi che operavano nell'ordine dei secondi con grande precisione. La presenza di un numero crescente di equipaggiamenti elettronici e la necessità di collegarli evitando incompatibilità, interferenze, sovrapposizioni diede l'avvio a una nuova branca della produzione militare, la sistematica. Non erano più gli equipaggiamenti a doversi piegare alle caratteristiche della piattaforma, ma, nella progettazione di quest'ultima, si doveva tener conto delle esigenze dei vari apparati destinati a essere installati a bordo e, in primo luogo, quelli elettronici.
Con l'elettronica si è garantito il collegamento in tempo reale e in modo riservato dei centri di comando con tutti i mezzi mobili e le postazioni. Ancor più, è stata resa possibile la raccolta di un grandissimo numero di informazioni che devono, però, essere gestite: la risposta è nello sviluppo dei sistemi C3I (Comando, Control lo, Comunicazioni e Informazioni) grazie ai quali si possono tenere sotto controllo le numerose variabili che intervengono sullo scacchiere esaminato.
Per interferire sul funzionamento degli apparati nemici, si sono messe a punto tecniche attive o passive per le contromisure elettroniche in grado di confonderne o di assorbirne i segnali. A loro volta queste realizzazioni hanno portato alla nascita delle contro-contromisure elettroniche. L'importanza di tutte le attività elettroniche ha reso fondamentale la rilevazione e l'analisi di tutte le emissioni elettromagnetiche in modo da poter conoscere sia quanto sta avvenendo, sia le caratteristiche degli equipaggiamenti nemici.
Oltre che nell'elettronica, altre novità si registrarono nei propulsori, nei materiali utilizzati e nel settore aeronautico. Il passaggio dal motore a pistone al turboreattore sui velivoli da combattimento e poi su quelli da bombardamento, ne ha raddoppiato e poi triplicato la velocità. Il miglioramento dei motori ne ha accresciuto contemporaneamente l'autonomia, ulteriormente estesa grazie alla tecnica del rifornimento in volo. L'adozione di turbine di derivazione aeronautica e di motori diesel veloci, consente forti accelerazioni anche alle grandi unità navali. Il miglioramento del tradizionale motore diesel o l'utilizzo di specifiche turbine ha fatto aumentare la velocità dei carri da battaglia nonostante il loro maggiore peso.
Nuovi materiali e nuove tecniche sono stati via via realizzati per offrire una migliore protezione balistica, per diminuire la segnatura (radar, termica, magnetica), per aumentare la resistenza all'attrito degli aerei e alla pressione dei sottomarini, per alleggerire soprattutto i mezzi aerei e terrestri, per migliorare la trasmissione dei segnali. Sono stati impiegati prima l'alluminio e gli acciai speciali, poi le leghe al titanio, i materiali compositi e quelli ceramici, le fibre ottiche; insieme si sono perfezionate le corazzature stratificate.
In campo aeronautico si è realizzata una nuova piattaforma destinata a una rapidissima diffusione, l'elicottero: diventato operativo sul finire della guerra, passò nel giro di un quinquennio da semplice mezzo di osservazione a mezzo di trasporto, per diventare poi macchina da combattimento nella seconda metà degli anni Sessanta. L'atterraggio/decollo verticale ne consente l'imbarco anche su piccole unità (come le corvette) e lo svincolo dalle strutture aeroportuali, offrendo una versatilità estremamente utile in campo militare.
Analoghe esigenze hanno spinto a sviluppare gli aerei a decollo verticale: il primo a diventare operativo è stato l'inglese Sea Harrier imbarcato dall'inizio degli anni Ottanta su nuove unità della classe incrociatori, rompendo così il monopolio delle portaerei di grandissime dimensioni.
Nel complesso, si può ritenere che i cambiamenti intervenuti nel campo degli a., nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, abbiano avuto una portata senza precedenti in rapporto ai fattori tempo, innovazione, estensione. Il maggiore contributo è venuto dagli Stati Uniti, che si sono affermati come la maggiore potenza militare e i cui sviluppi tecnologici hanno, con rarissime e temporanee eccezioni, sopravanzato quelli degli altri paesi. Come risultato di questa ''corsa agli a.'' si è fortemente allargato il ventaglio dei mezzi disponibili, è cresciuta la loro affidabilità, è progressivamente aumentato il livello della loro sofisticazione. Su quest'ultimo aspetto non manca chi, anche nell'ambiente militare, ritiene che gli eccessivi sforzi per giungere a un miglioramento continuo delle prestazioni abbiano portato a perdere di vista il rapporto costo/efficacia che, anche in questo settore, dovrebbe selezionare l'innovazione. La velocità e l'intensità dei cambiamenti è diventata così forte che, per individuare quelli significativi, sul piano tecnologico, è necessario, a partire da questo dopoguerra, operare una distinzione fra gli a. sulla base della loro generazione di appartenenza. Fra i più diffusi carri da battaglia della prima generazione ci sono stati gli americani M48 e M60, il tedesco Leopard 1, il francese AMX30, l'inglese Chieftain, il russo T62; fra quelli della seconda generazione vi sono l'M1 Abrams, il Leopard 2, il Leclerc, il Challenger, il T80.
La maggiore sofisticazione tecnologica ha fatto crescere il costo degli a. in modo spettacolare. Confrontando due generazioni successive degli anni Sessanta e Settanta, ne risulta che un aereo da combattimento, come l'F-14o l'F-15, costava 3 volte il predecessore F-4J e F-4E; un elicottero SH-34 2 volte e mezzo l'HHS-IN; un missile anticarro Tow quasi 2 volte l'SS-11; un siluro MK-48, più di 5 volte l'MK-37.
La competizione fra i potenziali nemici si è spostata sempre più dal piano della quantità a quello della qualità, e la supremazia tecnologica è diventata altrettanto importante di quella economica e industriale. Anzi, poiché la pace armata dell'ultimo cinquantennio ha fatto utilizzare solo una parte relativa delle capacità produttive militari, è proprio sul terreno tecnologico che si è scatenata la più accesa concorrenza.
Diversi elementi hanno contribuito a far crescere la domanda mondiale di a.: la politica di confronto fra i due blocchi occidentale e orientale, la decolonizzazione con la nascita di 50 paesi indipendenti in Africa, Asia e Medio Orientre fra il 1945 e il 1960, la lotta fra le nuove potenze regionali. Di qui il continuo aumento della spesa militare mondiale che è calcolata, per il 1987, in circa 1000 miliardi di dollari, arrivando ad assorbire il 5% di tutti i beni e servizi prodotti (il doppio rispetto agli anni precedenti la prima guerra mondiale e al periodo fra le due guerre). In termini reali si valuta che la crescita rispetto al 1950 sia stata di più di quattro volte.
In questo quadro, il commercio mondiale di a. ha conosciuto un'espansione senza precedenti. Le esportazioni del 1987 sono stimate in 47 miliardi di dollari, di cui l'80% ai paesi in via di sviluppo. Negli ultimi 20 anni le vendite di a. hanno rappresentato circa il 2% delle esportazioni totali. Solo negli ultimi anni si è registrata un'inversione di tendenza grazie al diminuito livello di tensione internazionale e all'interruzione di alcuni conflitti regionali. Fra i principali esportatori, oltre alle principali potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, si sono aggiunte, negli anni Settanta, Germania Occidentale e Italia. Negli anni Ottanta hanno fatto la loro comparsa paesi di recente industrializzazione e potenze regionali: Brasile, Cina, Egitto, Israele, Spagna. Ai nuovi equipaggiamenti si sono aggiunti quelli ceduti dai paesi industrializzati perché superati tecnologicamente, anche se ancora efficienti e adeguati alle prevedibili minacce delle aree periferiche. A loro volta e per analoghe ragioni, alcuni acquirenti hanno iniziato a cedere ad altre nazioni parte del loro a., spesso dopo averlo in qualche misura elaborato. Un'altra fonte di approvvigionamento è data dal diffondersi, nei paesi industrializzati, della pratica del refitting (la revisione/trasformazione con cui si moltiplica la vita operativa delle piattaforme, rinnovandone gli equipaggiamenti, compresi i propulsori e le armi). Tra il 1978 e il 1987 circa, ai paesi non industrializzati si può stimare siano stati consegnati circa 21.000 carri da battaglia, 10.000 pezzi d'artiglieria contraerea, 27.000 cannoni, 37.000 veicoli corazzati, 230 navi, 900 unità minori, 40 sottomarini, 130 motovedette missilistiche, 5600 velivoli da combattimento supersonici e 1000 subsonici, 3300 velivoli di altro tipo, 4100 elicotteri, 45.000 missili antiaerei.
Altre nazioni hanno raggiunto una significativa capacità produttiva per soddisfare le esigenze interne, grazie ad accordi di collaborazione (licenze di riproduzione, coproduzioni, progettazione, assistenza tecnica) con quelle più avanzate (soprattutto USA, URSS, Francia, Gran Bretagna, Germania Occidentale e Italia): Argentina, Egitto, India, Indonesia, Sud Africa, Taiwan. Nella seconda metà degli anni Ottanta i produttori non industrializzati ammontavano a una quarantina (anche se quasi sempre attivi solo in alcuni comparti), risultando quasi raddoppiati negli ultimi vent'anni. Un caso a parte è il Giappone che, anche tramite licenze statunitensi, ha raggiunto un notevole grado di autosufficienza ai livelli medio-alti della tecnologia militare.
La proliferazione degli a. convenzionali, sia come adozione che come produzione, ha radicalmente mutato il panorama militare mondiale. Al confronto fra i due blocchi e al diretto coinvolgimento dei principali paesi industrializzati nei teatri regionali, si è andata via via sostituendo l'apertura di punti di crisi in cui si alternano fasi di scontro militare a fasi di attesa, senza che però si arrivi a una definitiva soluzione dei problemi sul tappeto. La tendenza a una maggiore autonomia produttiva di questi paesi, svincolandoli dal controllo dei tradizionali fornitori, introduce un ulteriore elemento d'instabilità.
La costruzione di a. si calcola coinvolga complessivamente quasi 6 milioni di addetti, prevalentemente concentrati in USA, URSS, Francia e Gran Bretagna. In alcuni settori industriali l'attività militare svolge un ruolo importante sul piano sia tecnologico che produttivo, come nell'aeronautica, nell'elettronica, nella motoristica e nei nuovi materiali; negli altri, invece, contribuisce soprattutto in termini di domanda. I gruppi industriali coinvolti sono presenti, con poche eccezioni, sia sul mercato militare che su quello civile, a causa del legame civile-militare sempre più stretto sul piano tecnologico e della necessità di orientare l'attività in rapporto alle esigenze (v. tab.).
Nei paesi occidentali, la produzione è stata svolta prevalentemente dall'industria privata, mentre gli stabilimenti e gli arsenali militari si sono limitati a svolgere manutenzioni e trasformazioni. In alcuni casi (Francia, Italia) lo stato è intervenuto attraverso società controllate o gestite con criteri privatistici. In tutti i paesi le costruzioni militari sono, comunque, strettamente collegate alle rispettive forze armate che ne determinano le caratteristiche e ne finanziano lo studio. Di qui i timori suscitati dalla nascita, particolarmente ma non solo, negli Stati Uniti, di complessi militari-industriali in cui sfumano i confini fra gli interessi dello stato e quelli dell'industria.
La maggiore complessità dei sistemi d'arma ha portato ad allungare la fase della ricerca e sviluppo, i cui costi possono essere affrontati solo col sostegno governativo. Il settore militare assorbe, negli anni Ottanta, una quota dei finanziamenti pubblici che, nei principali paesi produttori, va da un terzo alla metà delle spese per la ricerca; per il 1985 si può stimare a livello mondiale in circa 80 miliardi di dollari. Un forte impulso è venuto a partire dal 1983 dal programma statunitense Strategic Defense Initiative, il cui costo è previsto nell'ordine di 30 miliardi di dollari, più del doppio in valore reale rispetto alle spese sostenute per la messa a punto della prima bomba atomica. Il suo obiettivo è la messa a punto di un sistema in grado di intercettare eventuali missili lanciati contro gli Stati Uniti, anche grazie a nuove armi a energia cinetica o diretta. Una parte degli equipaggiamenti dovrebbero essere basati nello spazio. Il programma è attualmente in corso di svolgimento, anche se i mutamenti intervenuti nello scenario strategico internazionale potrebbero limitarlo alla sola fase di ricerca e sviluppo. Il salto qualitativo permesso da questa e da altre ricerche avanzate sembra, comunque, destinato a modificare radicalmente il panorama degli armamenti.
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