CARLINI, Armando
Nacque a Napoli il 9 agosto del 1878 da Clemente e da Teresa Guglielmini, ma rimase completamente estraneo all'ambiente culturale napoletano dal momento che la sua famiglia emigrò ben piesto verso il nord. Perduto il padre, nell'anno 1888 ottenne un posto gratuito nel seminario arcivescovile di Bologna dove frequentò i corsi ginnasiali e liceali. L'educazione in seminario lasciò "segni esteriori nel suo comportamento e dentro una presenza viva e, costante del problema religioso". Ne usò nel 1896 per recarsi a Roma, dove viveva la madre, a frequentare la facoltà di lettere e filosofia, presso la quale, tra le altre, ascoltò le lezioni del neokantiano realista Giacomo Barzellotti. Qui restò soltanto due anni avendo vinto per concorso una borsa di studio presso l'università di Bologna.
Entrò così in contatto con mentalità e metodi assai distanti tra loro: con il Carducci, con il quale si laureò in lettere con una tesi sull'Africa del Petrarca (che Carducci stesso nel 1902 fece pubblicare nella sua collana di studi petrarcheschi a Firenze, presso Le Monnier), e con Francesco Acri, con il quale si addottorò in filosofia (nel 1902) con una tesi sul pensiero di Dante (Del sistema filosofico dantesco nella Divina Commedia, Bologna 1902).
Del Petrarca tornò ad interessarsi ancora nel 1904con Il pensiero filosofico religioso di Francesco Petrarca (pubblicato a Iesi), e nel 1946con una Nota sul pensiero religioso del Petrarca, in Humanitas, IX(1946), pp. 875 ss. "Questo periodico interessamento per il Petrarca ci mostra il carattere simbolico ed esemplare che aveva assunto ai suoi occhi la religiosità dolente del poeta ormai insofferente della garrulitas dialecticorum e tendente a risolvere l'intellettualismo dottrinario scolastico in un sentimento rinnovato e più autentico della interiorità spirituale". Lo studio del Petrarca e di Dante aveva svelato al C. il conflitto "tra il medioevo e l'età moderna cioè tra il teologismo della cultura scolastica e l'umanesimo predicato dal Rinascimento", contrasto che egli ben presto rileverà nel presente. Questa antitesi cioè farà scoprire al C. più che un conflitto tra epoche storiche una opposizione ideale di mentalità e attitudini culturali, opposizione che sorge ogni qualvolta l'ispirazione metafisica ad un sapere integralmente riducibile a categorie impersonali entra in opposizione con la coscienza vissuta dalla problematicità inesauribile dell'esistenza umana. Gli esordi letterari del giovane C. vanno quindi visti come l'occasione per esprimere una vocazione speculativa ancora latente che non attendeva che un'occasione per diventare manifesta e cosciente.
Inizia ben presto la carriera d'insegnante prima nel liceo pareggiato di Iesi poi, dal 1905 al 1922, nei licei governativi di Foggia, Cesena, Trani, Parma, Pisa. L'insegnamento nella scuola secondaria non gli fece però perdere i contatti con la cultura, accademica e non: proprio a Foggia infatti G. Lombardo Radice gli faceva leggere l'Estetica di Croce rendendolo così avvertito dell'incipiente movimento idealistico che ben presto informerà di sé la filosofia italiana; a Cesena, Renato Serra lo metterà in più diretta relazione con Croce e con la casa editrice Laterza la quale gli affidava la conduzione della "Piccola biblioteca filosofica", a Pisa, infine, era assiduo alle lezioni di G. Gentile con il quale strinse solidi rapporti di stima e collaborazione, tanto che verrà chiamato a sostituirlo, nel 1917, per incarico, nella cattedra di filosofia teoretica, e dal 16 ott. 1922 come ordinario nominato per chiara fama nonché per esplicito intervento di colui che pochi giorni dopo diverrà ministro della Pubblica Istruzione.
In questi anni d'insegnamento nei licei infatti era andato maturando i temi della sua problematica filosofica e parimenti gli strumenti della sua analisi: l'elenco delle opere pubblicate in questo periodo testimonia senza dubbio, insieme all'ampio orizzonte dei suoi interessi, il progressivo consolidarsi della sua vocazione filosofica.
Per quanto riguarda l'ideologia direttamente politica egli, anche per l'influenza dell'ambiente bolognese, aderiva al partito repubblicano, ma ben presto se ne staccherà. Nel saggio autobiografico Alla ricerca di me stesso, che ha per sottotitolo Esame critico del mio pensiero, pubbl. a Firenze nel 1951, il C. scriverà: "quando, fatto più maturo, mi accorsi che nel partito repubblicano, a cui ero iscritto, si faceva troppa retorica, pian piano me ne ritrassi: come pietra tombale alla precedente attività politica posi il volume La mente di G. Bovio [Bari 1914] d'evidente ispirazione crociana"; tale impresa del C. consisteva nel riordinamento di tutti gli scritti del Bovio dal Verbo Novello ("Sistema di filosofia universale") del 1864 fino ai Frammenti postumi:a questa edizione egli premetteva un'introduzione in cui faceva i conti, prendendone le distanze, con la sua giovanile esperienza repubblicana, che lo aveva impegnato anche culturalmente con la stesura di alcuni scritti sul pensiero di Mazzini.
Nel 1917 pubblica L'avviamento allo studio della filosofia (Catania) che è stato da V. Sainati, il maggior studioso del pensiero del C., considerato una vera e propria professione di fede crociana: occorre tuttavia subito precisare che questa adesione allo posizioni. crociane viene temperata e poi messa in discussione dalla frequentazione del Gentile e delle sue opere, soprattutto del Sommario di pedagogia e della Teoria generale dello spirito come atto puro:è fra questi due poli, tra l'attualismo gentiliano e l'"empirismo idealistico" del Croce, che il C. cercherà una sua autonoma filosofia, la quale troverà una prima espressione in La vita dello spirito, pubblicata a Firenze nel 1921. Intanto la sua attività si volge verso la ricerca storica: se già nell'anno 1912 egli aveva pubblicato nella "Piccola biblioteca filosofica" un volumetto di estratti dalla Metafisica e dall'Organon di Aristotele intitolato Principi di logica, e l'anno seguente nella stessa collana L'etica nicomachea, ora l'interesse per Aristotele si fa sempre più serrato: nel 1920 pubblica, sempre a Bari, Introduzione alla filosofia, un'antologia dalla Metafisica, nel 1924 pubblica a Bari un'altra antologia dalla Metafisica col titolo Principi primi: della stessa opera aristotelica traduce il libro XII pubblicandolo col titolo Il problema religioso (Bari 1925). Finalmente tre anni più tardi, nell'aprile del 1928, appare nella collana laterziana "Filosofi antichi e medievali" l'intera traduzione della Metofisica con una lunga nota introduttiva, un sommario ragionato e un ampio commento critico, un'opera di cui il C. curerà altre due edizioni (nel '49 e nel '59): di Aristotele inoltre si occuperà dal 1937 al '39, anno in cui pubblicherà Studi aristotelici (in Logos, XXII [1939] pp. 1-40). Oltreché di Aristotele in questo periodo di formazione egli s'interessò diffusamente di John Locke al cui pensiero dedicò un'opera in due volumi, La filosofiadi J. Locke (Firenze 1920-21); a Locke ritornerà nel 1948 traducendone l'abbozzo B del Saggio sull'intelligenza umana.
Molto importante è la frequentazione lockiana ai fini di una ricostruzione del pensiero del C.: ai critici più attenti non è sfuggito come Locke venga usato come correttivo dell'astrattezza logico-metafisica dell'attualismo gentiliano da cui il C. aveva preso le mosse. Di Locke infatti egli valorizza soprattutto il momento della "soggettività del reale" ampliandolo nel successivo studio di Berkeley e di Hume da una parte e di Condillac dall'altra: frutto di questo studio saranno le traduzioni del Trattato dellesensazioni (Bari 1923) di Condillac e del Trattato sulla intelligenza umana (Ibid. 1926) di Hume.
Lo studio di Aristotele nel contempo, lo sensibilizzava ai problemi gnoseologici della percezione contribuendo alla genesi e allo svolgimento delle implicazioni epistemologiche carliniane. A partire da questo periodo inoltre inizia la collaborazione del C. all'Istituto dell'Enciclopedia italiana; per l'Enciclopedia infatti egli scrive un nutrito numero di voci, tra le quali Ardigò, Berkeley, Bovio, Comte, Condillac, Croce, Empirismo, Locke.
Questo interesse storiografico quindi, lungi dall'essere una esercitazione filologica fine a se stessa, rappresenta la necessaria consapevole appropriazione di strumenti di sostegno, che gli permisero il salto verso la sua autentica filosofia: il passaggio cioè a quel nucleo di problemi squisitamente gnoseologici che riceveranno una loro autonoma collocazione in Il mito del realismo (Firenze 1936).
Contemporaneamente al suo interesse storiografico infatti vi fu il ripensamento, nel tentativo di sistemarla ed approfondirla, della sua prima concezione filosofica espressa nella Vita dello spirito, il cui pregio maggiore, come egli stesso scrive "era stato quello di aver staccato l'atto gentiliano, dalla dialettica che lo istrada a rendersi ragione del mondo, prima che di se stesso: di averlo costretto a ripiegarsi su se stesso, di farsi di sé e a se il suo primo problema. E in questo problema vedere la genesi e il significato di tutti i problemi che poi si dispiegano, per l'uomo nel mondo dell'esperienza… [cercando] una conciliazione tra l'attualismo del Gentile e l'empirismo idealistico del Croce" (Alla ricerca di me stesso, Firenze 1951, p. 5).
Primo momento del ripensamento fu lo scritto Genesi dei problemi della filosofia (apparso in Giorn. crit. della filos., III [1922], pp. 368-378), che lesse per la prolusione al corso universitario tenuto subito dopo la nomina, nel quale, sebbene "già lontano dalla dialettica gentiliana e crociana, pure cercavo di trovare in esse i punti d'appoggio, tenendo fermi i due momenti opposti della soggettività e dell'oggettività della dialettica gentiliana e il concetto della filosofia come metodologia storiografica di quella crociana" (Alla ricerca di me stesso, p. 19). Ma due anni dopo il C. pubblicava nel Giornale critico della filosofia italiana (I [1924], pp. 49-66) alcune considerazioni critiche sull'attualismo (Considerazioni su la logica del concreto). La occasione era stata la recente pubblicazione dei Sistema di logica del Gentile che lo aveva sfavorevolmente sorpreso per la formulazione logica della dialettica dell'atto che egli invece voleva intendere come dialettica esistenziale. Il C. era insomma già troppo attivamente teso a dare una interpretazione "psicologica" dell'attualismo per accettare la deviazione logico-dialettica del Sistema di logica.
Il suo pensiero tende ormai verso uno spiritualismo che è insieme esistenziale e problematico. Tappa importante in questo sviluppo, il 1934, anno di pubblicazione del volume Lareligiosità dell'arte e della filosofia (Firenze).
Nel 1932 aveva avuto una grave sciagura familiare, la morte della figlia, e il dolore lo spinse a ripiegarsi su se stesso, a mettere da parte i libri e a filosofare "con maggiore libertà". Affrontò allora il problema dell'arte, non già con l'intenzione di scrivere una estetica da mettere vicino a quelle crociana e gentiliana, ma perché nel problema della arte pensava di trovare argomento per convalidare e svolgere ulteriormente la concezione della dialettica spirituale; "sono partito infatti dal significato che ha l'arte in rapporto alla vita spirituale dell'uomo nel mondo e in sé stesso… mio è il carattere esistenziale che le ho dato, collegandolo al problema della personalità e dei suoi presupposti religiosi" (Alla ricerca di me stesso, p. 40).In tale prospettiva vanno lette anche le successive pubblicazioni Le contraddizioni dell'arte (in appendice alla 2 edizione de La vita dello spirito, Firenze 1940) e Forma e contenuto dell'opera d'arte (in Archivio di filosofia, XI [1941], 2, pp. 183-190).
Il problema estetico non è per il C. che il problema della nostra esistenza nel mondo in quanto contrasto tra il senso della nostra esistenza e noi stessi, l'interiorità, e il senso di esteriorità del mondo in cui si svolge la nostra stessa interiorità.
è nella seconda parte del volume che il problema esistenziale viene trattato specificamente; si esprime qui l'idea della mondanità, vista come la situazione di fatto nella quale l'atto è chiamato a vivere e a rafforzare il sentimento della problematicità interiore. Ancora un periodo di oscurità e titubanze per arrivare alfine alla teoria del "mito del realismo", punto di arrivo ormai irrevocabile della filosofia carliniana. Le meditazioni di questo periodo sono documentate dagli scritti raccolti nel volume, appunto, Il mito del realismo, pubblicato nel 1936.
Gli Orientamenti della filosofia contemporanea, che costituiscono la prima parte del volume, testimoniano la suggestione che esercitò sul suo animo la lettura di Kierkegaard e Heidegger (dei quali nel volume commentò e tradusse molte pagine significative) con il senso drammatico che essi davano al problema dell'esistenza umana. La polemica con mons. Olgiati, seconda parte del libro (che con il titolo Neoscolastica, idealismo e spiritualismo, era già stata pubbl. a Milano nel 1933 in coll. con lo stesso Olgiati), risulta importante ai fini della comprensione del pensiero del C. in quanto, attraverso essa, egli poté chiarire la sua posizione filosofico-religiosa riguardo alla filosofia scolastica, ma soprattutto, come lo stesso C. riconobbe, riflettere ancora sul problema della metafisica. Nella terza e quarta parte, infine, giungeva ad una chiara formulazione del suo pensiero filosofico riassunto nel concetto della "mitologicità del reale". Il reale come mito è in effetti un processo che si svolge in tre fasi: la prima è rappresentata dall'immediatezza dell'esperienza comune, per cui, contro tutte le forme di idealismo, si dovrà affermare la priorità dell'essere sul pensiero; la seconda è rappresentata dall'arte e dalla poesia, dall'estetica, che introduce al mondo dei valori, unificati, nella terza fase, dal principio teologico-metafisico, valore assoluto, spirito assoluto. Tale assolutezza non va però vista come estranea e trascendente, bensì posta nell'interiorità dell'atto: per questa ragione egli potrà parlare della dogmaticità congiunta dell'esistenza di Dio e dell'esistenza dell'Io; congiunta e circolare risultando la prima principium essendi e la seconda principium cognoscendi ove si voglia adeguare Dio come persona, ma principium cognoscendi la prima e principium essendi la seconda ove si voglia fondare l'affermazione della personalità umana.
Il C. più volte tiene a sottolineare come la sua posizione filosofica sia perfettamente in linea col "pensiero moderno umanistico" facente evidentemente capo a Cartesio; ma ugualmente non gli sfugge come la vera difficoltà si annidi nel salto logico tra personalità e persona; oltre che in quello, risolto con la circolarità dialettica, tra Dio e Io: ecco la ragione per cui centrale è il momento del dogma e della fede.
Accanto all'attività speculativa si dispiega una ugualmente intensa attività pubblica e di relazioni. Dal 1927 e fino al 1935 fu rettore all'università di Pisa; in questi otto anni lavorò anche In favore di un generale rinnovamento degli studi superiori. Nel problema della scuola vedeva il problema dell'adeguazione delle istituzioni scolastiche agli ideali di vita etico-sociale in cui si determina la civiltà di una nazione. Documenti di questo interesse pedagogico sono gli scritti: La nostra scuola. Lineamenti di una filosofia della educazione (Venezia 1927) e Verso la nuova scuola (Firenze 1941), oltre ad altri, più specifici sulla, riforma degli istituti magistrali e dell'insegnamento della filosofia. Dal 1934 il C., che con la traduzione della Metafisica di Aristotele aveva conquistato una solida fama, veniva incluso da Mussolini nella lista unica e quindi eletto deputato al Parlamento; vi rimase per cinque anni, fino al 1939, quando, non avendo titoli per appartenere alla Camera dei fasci e delle corporazioni, venne nominato accademico d'Italia.
Al fascismo e a Mussolini il C. dedicò un volume intitolato Filosofia e religione nel pensiero di Mussolini, pubblicato a Roma nello stesso 1934, a cura dell'Istituto nazionale fascista di cultura; un saggio tendente ad appurare se in Mussolini ci fosse un "germe di pensiero" che dal punto di vista filosofico avesse importanza per originalità e capacità di ulteriori sviluppi, e, dal punto di vista religioso, accenni ad una possibilità di rinnovamento di idee e di sentimenti. Il C. sembra quasi proiettare la sua personale posizione filosofica sul duce; con ricchezza di citazioni dai discorsi di Mussolini il C. nega che questi possa essere considerato un idealista, come pure un "mero empirista"; è la presenza nel suo pensiero della fede a smentire assimilazioni di questo genere, fede politica e religiosa insieme che escluderebbe interpretazioni razionalistiche o storicistiche dello spiritualismo fascista. Anticipando il mito del realismo egli vede lo "spiritualismo mussoliniano… [come] orientato verso un principio di pura interiorità, in cui trovano la loro coincidenza i problemi insieme della filosofia e della religione, dell'arte e della vita sociale-politica, della scienza e della storia umana" (Filosofia e religione…, p. 28).
Nel 1942 pubblicava a Roma un analogo Saggio sul pensiero filosofico e religioso del fascismo;nell'Esame criticodel suo pensiero, ricordando soprattutto questo saggio, ammette essere stato il fascismo una "retorica", alla stessa stregua del partito repubblicano; non peritandosi di nascondere l'amarezza tipica dell'intellettuale deluso dalla politica, a cui molto ha tentato di dare (per esempio un "fondamento filosoficamente saldo"), al C. non rimane che rivendicare la propria onestà.
Capitolo ugualmente importante della vita del C. sono le amicizie intellettuali con A. Guzzo e con M. F. Sciacca. Il primo lo aveva conosciuto nell'apr. 1922 quando era commissario con Aliotta e Gentile al concorso per l'insegnamento nei licei; dal novembre 1932 all'aprile del 1935 lo chiamò presso di sé con un incarico all'università di Pisa; Sciacca interpretò l'amicizia personale tra il C. e Guzzo per un rapporto filosofico, che però lo stesso Guzzo ha negato esistesse "nonostante la fede religiosa comune e la comune preparazione idealistica" (cfr. A. Guzzo). Nel 1935 a Palermo (in occasione del XIV congresso della Società italiana per il progresso delle scienze, di cui il C. fu presidente) conobbe lo Sciacca, dando inizio ad una collaborazione che durerà venticinque anni.
Nel 1936 Gentile con la nota Orientarsisempre per non orientarsi mai, apparsa sul Giornale critico della filosofia italiana (XXVII [1936], 6, pp. 379-380), riapriva la polemica col C. spingendolo a pubblicare su Logos (che dal 1937 era diretto da Sciacca), a puntate, come risposta i Lineamenti di una concezione realistica dello spirito umano, riuniti poi in volume nel 1942 e pubblicati a Roma.
In esso il C. tenta una indicazione epistemologica, con un orientamento di tipo materialista, in opposizione all'idealismo e al neoidealismo, i quali, in special modo questo ultimo, avevano sempre mostrato una grande indifferenza nei confronti dei problemi scientifici. Tale indicazione carliniana ha tuttavia un carattere eminentemente filosofico-metodologico, forte della ripresa dei temi kantiani.
Dal 1939 al 1945 il C. condusse vita molto solitaria e privata; lasciata la casa pisana, si ritirò a Pieve Fosciana in provincia di Lucca; in questo periodo mantenne sporadici contatti quasi esclusivamente con lo Sciacca: dal '44 al '45 se ne perdono addirittura le tracce essendo egli fuggito sui monti per sfuggire alla guerra. Il 29 genn. 1945 viene collocato a riposo: ma non per questo egli affievolì il suo impegno culturale: tornato a Pisa nel dicembre di quello stesso anno, coagulò intorno al suo più vero interesse, quello religioso, i motivi più specifici e validi della sua speculazione: si trattava di mostrare più articolatamente quel suo tema di fondo, la rivendicazione della trascendenza entro l'inunanenza dell'idealismo assoluto: si trattava cioè di mostrare come si doveva combinare la rivalutazione delle esigenze dell'empirismo (espressa in La vita dello spirito) con l'autonomia del problema religioso, considerato irriducibile a quello filosofico.
In Perché credo (Brescia 1950), riaffiora il problema della fede in rapporto alla libertà e, parimenti, il cristianesimo cattolico viene visto come l'aspetto positivo, quello che dà un concreto contenuto alla forma puramente interiore della religiosità. Il tono polemico dal C. talvolta usato nei confronti della tradizione scolastica sollevò dei problemi con l'ufficialità cattolica: in una lettera a M. F. Sciacca del 25marzo 1952 (riportata da Diogene, ovvero M. F. Sciacca a p. 700 del saggio A. C., in Giornale di metafisica, XV [1960], pp. 685-702), il C. scriveva: "Sono stato a Roma: ho parlato con quelli del Santo Uffizio… ho capito che la mia impresa
non poteva andare, Pensieri di un laico sul dogma, era il titolo, e questo già pregiudicava tutto. Insomma, è l'enciclica Humani generis che fa l'ostacolo maggiore: ché sembra a loro mancare all'osservanza di essa, se si permette parlare dei dogmi fuori della usanza scolastica".
L'anno seguente pubblicava Cattolicesimo e pensiero moderno (Brescia 1953), un libro dedicato ai filosofi, non specificamente cattolici, onde dimostrare che, "mentre accettano dal Cristianesimo i presupposti della loro speculazione", cioè la origine teologica del concetto di personalità, "vogliono poi conchiudere all'opposto, ad affermazioni che distruggono i fondamenti del Cristianesimo, anzi di ogni fede autenticamente religiosa" (p. 7). Le ragioni della fede (Brescia 1959), licenziato nell'80º della sua vita, riprende, fin nel titolo, il tema pascaliano del "cuore" (fede) e delle sue "ragioni", nel tentativo di mostrare quanto la distinzione tomista abbia travisato e nuociuto con la conseguenza della "separazione deleteria, non solo per la fede, ma anche per la ragione" (p. 7). è la sua ultima opera, ormai le sue forze declinano; minato da un male inesorabile si spegne a Pisa il 30 sett. del 1959.
Fonti e Bibl.: U. Spirito, L'ideal. ital. e i suoi critici, Firenze 1930, pp. 99-104; M. F. Sciacca, Problemi dello spiritual. di A. C., in Logos, XX(1937), I, pp. 104-120; Id., Ilpensiero filosofico di A. C., in Arch. di storia della filosofia italiana, VI(1937), 2, p. 158-186; L. Pareyson, Studi sull'esistenzialismo, Firenze 1943, pp. 293-432; M. F. Sciacca, Il secolo XX, II, Milano 1947, pp. 612-630, 873-876; E. Garin, Cronache di filosofia ital., Bari 1955, pp. 447-455; G. Bortolaso, Fede e ragione nel pensiero di A. C., in Civiltà cattolica, 20 ag. 1960, pp. 373-383; A. Guzzo, A. C., in Filosofia (1960), I, pp. 126-137; V. Sainati, Aspetti e problemi dello spiritualismo di A. C., in Giornale critico della filos. ital., s. 3, XVI (1960), pp. 59-72; Giornale di metafisica, XV(1960), n. 6 (interamente dedicato al C.); V. Sainati, A. C., Torino 1961 (alle pp. 4-35, bibl. completa delle opere del C.); Id., Les grands courants de la pensée mondiale contemp., I, Milano 1964, pp. 247-265; E. Codignola, Cinquanta anni di battaglie educative, Firenze 1967, pp. 38-42 e passim.