FALCONI, Armando
Nacque a Roma il 10 luglio 1871 dall'attore capocomico Pietro e dalla primattrice "madre nobile" Adelaide Negri. Dopo aver frequentato il collegio "Ungarelli" di Bologna, entrò come piazzista nella casa milanese di pubblicità Manzoni. L'attività commerciale, intercalata da recite di beneficenza, durò sino al servizio militare terminato col grado di sottotenente di complemento; decise allora di dedicarsi al teatro, accontentandosi di prestare la sua collaborazione nella compagnia cooperativa Drago-Montrezza, che visse poche settimane, prima di iniziare, a partire dalla quaresima del 1894, la carriera regolare di attore nella Andò-Laigheb-Reiter come secondo amoroso, già attento alle caratterizzazioni precise ed essenziali dei personaggi affidatigli.
F. Andò, che prese a stimarlo, lo condusse con sé nella compagnia che formò nel 1897 con Tina Di Lorenzo, cugina per via paterna del F., il quale vi sostenne il ruolo di amoroso, poi di secondo brillante dal 1898 alla quaresima del 1900, allorché si scritturò con la compagnia Reiter-Pasta. Appartengono a questo periodo un'avventura cavalleresca occorsagli a Budapest (1898) per difendere l'onore della Di Lorenzo offesa da un giornalista (il quale, dopo un incruento duello alla pistola, fece pervenire le sue scuse), e la sua prima serata d'onore (1900) con Divorziamo di V. Sardou, per la quale la madre testimoniò che era stato sì precipitoso, ma esilarante. Ritornò poi con l'Andò come brillante assoluto, ormai così padrone dei suoi mezzi espressivi da trasformarsi fino a non essere riconosciuto a prima vista.
Il 10 ag. 1901, a Livorno, sposò la bella cugina. Il 15 novembre successivo nella Di Lorenzo-Andò partecipò alla prima del bozzetto scenico Caccia alla volpe di G. Verga (teatro Alfieri di Torino in contemporanea col teatro Manzoni di Milano), "atticino" disapprovato dal pubblico; ma si rifece abbondantemente con la prima di Romanticismo di G. Rovetta (stesso teatro, 10 dicembre successivo), l'avvenimento teatrale dell'anno, che provocò "un vero delirio d'entusiasmo" (il F. fece del personaggio di Giacomino d'Arfo "una gustosissima macchietta" e per esso fu ricordato a lungo).
Era il periodo, come egli ironicamente diceva, riecheggiando gli invidiosi, del "marito della prima donna", durante il quale rimase effettivamente in ombra, pago di affinare quelle doti ereditarie di attore comico dal volto mobilissimo e dalla voce pastosa che si perfezioneranno in un secondo momento: meritano di essere citati Maternità di R. Bracco (teatro Manzoni di Milano, 17 febbr. 1903) e L'ondina di M. Praga (teatro Alfieri di Torino, 24 aprile successivo), definita, al suo apparire, una commedia "femminista".
Dell'attività nella Di Lorenzo-Falconi, in cui ottenne il nome in ditta, meritano particolare ricordo le prime italiane di Anima allegra e de L'amore che passa di S. e J. Álvarez Quintero (teatro Valle di Roma, 12 nov. e 3 dic. 1909), per le quali ebbe i primi riconoscimenti pieni della critica: D. Oliva scrisse che il F. "creò con una vera intuizione artistica il personaggio di Lucio, fu di un comico vivace e straordinario" nell'una e che "fu letteralmente meraviglioso nella impagabile macchietta del Tonto Medina" nella seconda. Riscosse ancora buona accoglienza come Alfonso Lombardi nella prima de Il successo di A. Testoni (politeama Nazionale di Firenze, 26 sett. 1911).
Una serie di successi al di sopra delle aspettative aveva colto nell'America Latina, dove spontaneità e capacità di irradiare simpatia furono apprezzate, talora esaltate, non in sottordine al talento della moglie, ma accanto ad esso (1906). "Completamente riabilitato", come egli stesso scherzosamente affermava, il F. vide riconosciuti in patria i suoi meriti anche per l'eco dei trionfi d'Oltreoceano, come appunto testimoniano gli elogi dell'Oliva.
Nella quaresima del 1912, lusingati da M. Praga, il F. e la Di Lorenzo accettarono di costituire la compagnia stabile del teatro Manzoni. Seguì un triennio memorabile non solo per il lusso inusitato (non esente da critiche pungenti) degli allestimenti scenici, all'insegna del realismo, ma pure per le scelte culturali che non disdegnavano il gusto boulevardier del pubblico anche colto dell'epoca. Tra i maggiori successi si susseguirono le prime de L'aigrette di D. Niccodemi (29 marzo 1912); de Il terzo marito di S. Lopez (14 genn. 1913, parte di Fausto); de La porta chiusa del Praga (24 gennaio successivo, parte di Ippolito Querceta); la ripresa di Addio giovinezza! di S. Camasio e N. Oxilia (maggio successivo), in cui gli fu riservata la serata d'onore per la parte di Leone (fatto segno ad applausi scroscianti, il personaggio rimase a lungo nel ricordo degli spettatori, superando quello del primo interprete); la contrastata prima italiana de I pescicani del Niccodemi (28 novembre successivo, parte di Claudio Larriège); la ripresa de La moglie ideale del Praga (21 dic. 1914), vividamente eseguita; né vanno dimenticati il torvo Frépau ne L'assalto di H. Bernstein e il protagonista de La crisi di P. Bourget, in cui toccò anche le corde della commozione. Nel 1915 per l'Ambrosio di Torino il F. interpretò, accanto alla moglie, anche due film, La mamma bella e La scintilla, che ai puristi fecero rimpiangere la voce e la tecnica dal vivo del palcoscenico.
Terminata l'esperienza della Stabile milanese, assunse la direzione della compagnia Di Lorenzo-Falconi, che continuò fino al carnevale del 1920, cioè fino a quando la moglie abbandonò il teatro. In questo periodo furono rappresentati con successo di stima una commedia da lui scritta con S. Zambaldi, interpretata al teatro Carignano di Torino il 5 febbr. 1918, e l'atto unico Si chiude del Lopez (teatro Olimpia di Milano, 16 febbr. 1920), in cui, secondo il Rocca, risultò memorabile la pausa magistrale nel corso di una battuta dell'armatore Giobatta Parodi.
Nella quaresima del 1921 divise con L. Chiarelli la direzione della compagnia Comoedia con primattrice Olga Vittoria Gentilli, e si fece carico dell'interpretazione di un repertorio aperto agli autori inglesi di più fiabesco divertimento, come dimostrano il debutto romano de Le gaie spose di Windsor di W. Shakespeare (teatro Argentina, 26 febbraio), che ebbe tiepido successo (ma R. Simoni, che le vide il 19 agosto a Milano, sostenne che il F. portava "con piacevolissimo ed affaccendato sussiego il vasto ventre di Falstaff"), e la prima italiana de L'incomparabile Crichton di J. M. Barrie (teatro Olimpia, 8 aprile successivo), pure accolto senza calore. Nel dicembre di quell'anno dette vita a una compagnia sua, che ebbe per nove anni come primattrice Paola Borboni, prima, sulle scene italiane moderne, ad esibire il seno nudo in Alga marina di C. Veneziani (1925), e, dopo una parentesi, Evi Maltagliati che, accanto a lui, riesumò la Pamela nubile di C. Goldoni (1934). La compagnia ripiegò, dopo l'esperienza precedente, su un repertorio di sicura presa sul pubblico, atto però ad evidenziare nel F., dopo l'elegante brillante, il promiscuo proteiforme che crea personaggi di carattere affrontando, sia nell'aspetto fisico sia nelle vibrazioni intime, il massimo grado di taluni sentimenti umani; egli assicurò pertanto uno strepitoso successo a personaggi rimasti nella storia dello spettacolo, ad esempio al protagonista di Papà Lebonnard di J. Aicard, fino ad allora legato al nome di E. Novelli, o al Ferdinando II di Borbone de Il re burlone di G. Rovetta, già cavallo di battaglia di O. Calabresi.
Se non ebbe un convinto riconoscimento nella prima de I peccati di gioventù di P. M. Rosso di San Secondo (teatro Manzoni, 12 giugno 1923) e nella ripresa de La morte degli amanti del Chiarelli (teatro Diana di Milano, 7 genn. 1924), nonostante la sua efficace recitazione, riscosse però "la calda ammirazione del pubblico", accanto a qualche lavoro di impegno culturale, tutta una serie di commedie d'impianto leggero, accattivante, incentrate sulle avventure, disinibite al giusto livello, di coppie amorose che, ad onta di un insinuante amico di famiglia, dopo innocui litigi e maliziosi equivoci, facilmente si ricompongono nel consenso del pubblico sornione ed accomodante di quegli anni di grigio conformismo: ne furono esempio il Don Giovanni e la cocottina di S. Guitry (teatro Manzoni, 19 febbraio dello stesso anno), in cui, inaugurando la sua impareggiabile galleria di vecchi gaudenti, egli diede al protagonista "una ricchezza piacevolissima di particolari", e, sul versante "colto", la ripresa de Il dramma-La commedia-La farsa di L. Antonelli (teatro Olimpia, 7 marzo 1927), in cui, accanto all'autore interprete di se stesso, recitò "con brio" ma senza trascinare gli spettatori.
Dopo qualche puntata nel teatro leggero ed elegante di G. Capo (Delitto e castigo, 1927, e Il mistero delle cinque vie, 1930) e in quello evanescente e vagamente decadente di L. Fodor (Ninna nanna, 1929, e La penna stilografica, 1930), sono da ricordare l'interpretazione dei protagonista nella ripresa de Il centenario degli Álvarez Quintero, che non sfigurò di fronte ad un'altra creazione dei Novelli, e l'abile coloritura del duca Gualtiero di Fogliaverde nella prima di È tornato carnevale di G. Cantini (teatro dei Filodrammatici di Milano, gennaio 1930). Col 1931 ebbe inizio un secondo, trionfale periodo cinematografico del F. che, con l'avvento del sonoro e all'apice della carriera teatrale, si lasciò attrarre, al pari di altri grandi del palcoscenico, dal nuovo mezzo espressivo: da Rubacuori di G. Brignone, in cui si definì il tipo del maturo dongiovanni, del resto già apparso sulle scene, spregiudicato ma simpatico in virtù soprattutto della resa finale di fronte ai diritti della giovinezza, prese l'avvio una serie di film su soggetto soprattutto del figlio Dino che lo videro interprete magnifico, tra l'altro, di due impenitenti aristocratici in Patatrac di G. Righelli nello stesso anno e ne L'ultima avventura di M. Camerini (1932).
eccezion fatta per Milizia territoriale di A. De Benedetti (teatro Excelsior di Milano, 23 dic. 1933), il cui successo si dové al F. che dette a Francesco Orlandi, prima impiegato, poi maggiore, "una bonarietà cara e candida, un misto di comico e di dolente, umanamente misurati e artisticamente fusi", e per Joe il rosso, del figlio Corrado (Dino) Falconi (ibid., 3 genn. 1934), in cui Joe Mark riusci "sprizzante di vita e di scanzonata energia ... ma ci furono episodi e momenti della composizione di questo bel tipo, in cui la comicità di Armando Falconi fu di una qualità eccezionale, di un sapore e di una semplicità classica" (le altre commedie scritte dal figlio dopo di questa, di cui fu interprete insostituibile, vissero la loro breve stagione con lui e per lui).
Tre film ricavati dalle commedie omonime, Re burlone di E. Guazzoni (1935), che ci conserva nel modo migliore voce e mimica dell'attore poiché la regia, assai curata, pose le premesse per una interpretazione degna di ogni elogio, Joe il rosso (1936) e È tornato carnevale (1937) di R. Matarazzo, quest'ultimo meno accattivante rispetto all'originale, segnarono i vertici delle sue prestazioni cinematografiche (in Felicita Colombo, 1937, e in Nonna Felicita, 1938, di M. Mattoli, si limitò a dare la replica a D. Galli) prima di abbandonare il teatro.
Nella Falconi-Besozzi-Ferrati, con la quale trascorse la sua ultima stagione nel 1937-38, ebbe un'impennata quando interpretò Maurizio Marchi, una "pastosa espressiva figura di povero uomo dabbene", ne I tre Maurizi di D. Falconi da una novella di M. Praga (teatro Olimpia, 15 febbr. 1937). Poi lasciò che i suoi estimatori lamentassero la sua dedizione esclusiva al cinema che li privava del brivido della sua presenza fisica. Dal 1939 al 1943 affrontò una serie di ben quattordici film, diretti spesso in modo disinvolto, tipici prodotti consolatori del tempo di guerra, dove egli, però, esercitò il mestiere da maestro: ne Il documento di M. Camerini (1939), da una commedia non rappresentata di G. Zorzi, fu un perfetto comm. Larussi accanto a R. Ruggeri; ne La nascita di Salomè di J. Choux (1940), dalla commedia di C. Meano, fu un lodato Aristobulo; nel Don Pasquale di C. Mastrocinque (1940), ricavato con qualche variante dal libretto dell'opera donizettiana, il protagonista caro alle platee anche del teatro lirico; in Sancta Maria di E. Neville e (per la versione italiana) P. L. Faraldo (1941), il primo film di propaganda antibolscevica, un inconsueto padre Lorenzo; ne L'elisir d'amore di A. Palermi (1941), dal libretto dell'opera omonima, un arguto Dulcamara; ne I promessi sposi di M. Camerini (1941) un don Abbondio da manuale quale si immaginava sui banchi di scuola; ma il film-testamento della carriera rimase senza dubbio Se non son matti non li vogliamo di E. Pratelli (1941), dalla commedia omonima in dialetto veneto di G. Rocca: interpretandovi il patetico e crepuscolare Piero Scavezza, si trovò insieme per l'unica volta col Ruggeri e con A. Gandusio, costituendo un trio di memorabile bravura.
Rimasto vedovo dal 1930 della Di Lorenzo, sposò, nell'agosto 1942, Elisabetta Svoboda della compagnia di varietà "Al cavallino bianco", e si concesse qualche periodo di riposo. Il bombardamento aereo su Roma del 19 luglio 1943 lo colse mentre recitava la parte del marchese di Forlimpopoli ne La locandiera di L. Chiarini presso i teatri di posa del Centro sperimentale di cinematografia; costretto a fuggire all'aperto in preda a shock da paura, non fu più in grado di continuare la sua attività e si ritirò a Godiasco (Pavia) insieme con la moglie.
Affetto dal morbo di Parkinson e costretto alla quasi immobilità, spirò il 10 sett. 1954 nella sua abitazione di Milano.
Fonti e Bibl.: La Stampa, 16 nov. 1901; Comoedia (Milano), 20 genn. 1927; necrol. in Il Messaggero, iI sett. 1954; IlDramma (Torino), 15 sett. 1954; Sipario, ottobre 1954; Teatro Scenario, ottobre 1954. D. Oliva, Ilteatro in Italia nel 1909, Milano 1911, pp. 353, 384; A. Cervi, Senza maschera, Bologna 1919, pp. 31-38; Annali del teatro ital., I, Milano 1921, p. 117; II, ibid. 1923, p. 319; A. Lanocita, Attrici e attori in pigiama, Milano 1926, pp. 113-118; G. Rocca, Teatro del mio tempo, Osimo 1935, pp. 85-90; R. Simoni, Trent'anni di critica dramm., I, Torino 1951, pp. 122, 493; II, ibid. 1954, pp. 11, 38; III, ibid. 1955, p. 31; IV, ibid. 1958, pp. 87, 97, 381; F. Savio, Ma l'amore no, Milano 1975, p. 106 e passim; Id., Cinecittà anni Trenta, I, Roma 1979, p. 330; N. Leonelli, Attori tragici, attori comici, pp. 352 ss.; Enc. dello spettacolo, IV, coll. 1805-1808; Filmlexicon degli autori e delle opere, II, coll. 602 s.