SPADINI, Armando
‒ Armando Ugo Luigi Spadini nacque a Firenze il 29 luglio 1883 da Luigi, ottico, e da Maria Rigacci, sarta originaria di Poggio a Caiano (Firenze), quarto figlio di sei (i primi tre deceduti prima della sua nascita).
Il piccolo Armando aveva un carattere estremamente vivace, che trovava requie solo intrattenendosi con carta e matita: il padre ne assecondò l’attitudine al disegno e lo inserì nel 1893 nella fabbrica di terrecotte e maioliche artistiche di Jafet Torelli, come apprendista decoratore (Armando Spadini..., 1995, p. 77). Nel 1895 Spadini frequentò per alcuni mesi lo studio del pittore Arturo Faldi; fu poi ammesso alla scuola professionale delle arti decorative industriali di Firenze in S. Croce, dove seguì il corso per incisore litografo e poi quello di pittura con il bolognese Giacomo Lolli, e ne uscì con la qualifica di pittore nel 1900.
Con i primi lavori a china ottenne ottimi voti, e uno di questi, con altri saggi della scuola, fu all’Esposizione universale di Parigi del 1900. Tra il 1900 e il 1902, e poi intorno al 1910, frequentò la scuola libera del nudo dell’Accademia di belle arti, dove fece la conoscenza di Ardengo Soffici, che divenne l’amico di una vita, e frequentò Giovanni Fattori e Adolfo De Carolis, che insegnava ornato. Frequentavano l’Accademia in quegli anni Giovanni Costetti, Umberto Brunelleschi, Oscar Ghiglia, Llewelyn Lloyd, Emilio Notte, Ercole Drei: la generazione che a Firenze stava reinterpretando l’eredità macchiaiola alla luce della cultura simbolista e in direzione di fermenti novecenteschi, tra rottura avanguardista e recupero della figurazione. Fin dagli esordi Spadini affondò le radici del suo operare nella tradizione formale fiorentina, da lui conservata anche in mezzo a quegli spunti impressionisti acquisiti più tardi e che gli regalarono l’etichetta di epigono italiano di Pierre-Auguste Renoir. De Carolis gli affidò alcune decorazioni per una facciata, con il giovane Giuseppe Lunardi.
Nel 1901 vinse il secondo premio per l’illustrazione dell’edizione Alinari della Divina Commedia e realizzò tavole illustrative dallo stile simbolista e preraffaellita (Spadini, 1983, p. 80).
Uno dei suoi primi dipinti a olio, Autoritratto con la corazza (1902, Firenze, coll. priv.), denuncia una chiara derivazione veneta cinquecentesca, dovuta alle visite nelle gallerie fiorentine.
A Firenze fu parte del gruppo della rivista Leonardo, animato da Giovanni Papini (di cui eseguì un ritratto nel 1903): «un bellissimo giovinetto, un po’ schivo e peritoso, e chiuso in un vestitino nero attillato che sapeva d’elegante povertà», egli era «il favorito di tutti», e «mentre noi si duelleva a gran voce scaricando a bruciapelo teorie vecchie e nuove, il nostro Spadini, sopra un canto dell’unica tavola, disegnava sul rovescio delle bozze mostri d’epopee favolose» (Papini, 1947, pp. 167 s.). Il pittore eseguì «tre incisioni per la rivista e due tavolette botticelliane trattate finemente adoprando un ago quasi alla maniera del metallo» (Spadini, 1983, p. 110). La rivista uscì nel gennaio del 1903 e Spadini, anche quando il servizio militare lo portò a Napoli (1903), lavorò per il Leonardo, così come poi per Hermes e La Voce.
Nel 1905 aprì uno studio nella Biblioteca filosofica di piazza Donatello a Firenze, dove si leggevano riviste internazionali: Spadini, ricorda Soffici, dipingeva allora come i giovani artisti fiorentini, «in una maniera tra moderna e antica ispirataci dal preraffaelismo inglese e un poco da certe esperienze tedesche fatteci conoscere da quelle riviste d’arte ed in modo speciale dalla Jugend». Uno degli esiti interessanti di questo periodo è Dormiente (1909, Varese, coll. priv.), in cui la fattura estremamente sintetica e costruttiva denuncia le influenze tedesche (ibid., p. 29) e la vicinanza con analoghe sperimentazioni condotte da Oscar Ghiglia.
Nel 1906 si legò a un’allieva di Giovanni Fattori, Pasqualina Cervone, sua moglie dal 1908, sua modella prediletta e, con i figli, protagonista di un’epopea affettiva e quotidiana che sarebbe stata per il pittore perfetta occasione d’indagine formale (M. Fagiolo dell’Arco, in Armando Spadini..., 1995, p. 19). Guardava in questi anni alla pittura spagnola, Francisco Goya in particolare, come si vede nei primi ritratti della fidanzata (1906, Montecatini, coll. priv.; 1907, Genova, coll. priv.), La moglie in abito da sposa (Torino, Galleria d’arte moderna; Poggio a Caiano, Cassa di Risparmio e Depositi di Prato) o Il pittore e la moglie (1910, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna).
Nel 1909 fu premiato dalla Società di belle arti di Firenze, e nacque il primo figlio, Mario, che sopravvisse però solo pochi mesi. In una situazione economica difficile, lavorò come imbianchino, fino a quando vinse il pensionato artistico nazionale (1910-12) e si trasferì a Roma. La situazione nella Capitale non fu semplice perché Armando e Pasqualina, di nuovo incinta, vivevano in ristrettezze in una stanza dell’Accademia. Spadini lavorava alacremente a ritratti della moglie e della figlia Anna, nata nel 1911, e a scene di esterni: Ponte sul Tevere (1910, Roma, coll. priv.), Torso di donna (1910, Roma, coll. priv.), pendant di Maternità (1911, Mantova, Museo civico di palazzo Te), o Ingresso a Villa Borghese (1912, Montecatini, coll. priv.). L’amicizia con De Carolis generò alcune commissioni con cui soddisfece quella necessità di lavorare ‘in grande’ che il pensionato non assecondava: nel 1911 realizzò per il pittore marchigiano alcuni cartoni per la decorazione del salone del palazzo del Podestà a Bologna e per palazzo Kalinderu a Bucarest, sempre con moglie e figlia come modelle (M. Fagiolo dell’Arco, in Armando Spadini..., 1995, p. 96): «Ho immaginato Demetra che immerge nel fuoco il bambino Demoofonte per renderlo immortale, e la madre Metanira [...] che urla di spavento. Tu hai in casa gli elementi, e il bambino, senza immergerlo nel fuoco, puoi farlo bene», scriveva De Carolis all’amico a Roma (ibid.). Purtroppo, a causa di alcune incomprensioni, l’amicizia con De Carolis s’interruppe bruscamente.
Gradualmente s’inserì nell’ambiente romano grazie all’amico Emilio Cecchi, che sposava nel 1911 Leonetta Pieraccini, compagna di studi di Pasqualina; Felice Carena nel 1911 gli presentò Angelo Signorelli, che fu uno dei suoi più fedeli sostenitori. Nel 1912 nacque un secondo figlio, Andrea, e Armando ottenne il rinnovo del pensionato di altri due anni, concorrendo con due ritratti femminili e due versioni di Mosè ritrovato (una conservata nei Musei Vaticani, l’altra dispersa: Spadini, 1983, p. 43).
Partecipò nel 1913 alla prima esposizione della Secessione romana che, lungi dai categorici proclami futuristi, mirava a rinnovare il linguaggio pittorico italiano guardando all’arte nordeuropea e francese, ma mantenendo saldi legami con la tradizione italiana. In questo clima Spadini otteneva l’incoraggiamento dell’amico Cecchi (1913): «Se tanta ricchezza di colorito, senza perder di quei suoi languori, di quelle sue improvvise gracilità deliziose, si dissocerà sempre meno dalla lineare potenza costruttiva; se all’evidenza plastica si fonderà sempre meglio la facoltà espressiva del movimento; se quella casta malinconia diventerà una coscienza lirica intiera, tutta coerente, [egli sarà] uno dei pochissimi interpreti moderni della figura degni di rammentare gli antichi» (p. 3).
Apparentemente non raccogliendo l’invito, Spadini sperimentò tra il 1913 e il 1915 quella stagione ‘impressionista’ che rinnegò poi in uno scritto del 1919 a Ugo Ojetti (Armando Spadini..., 1995, pp. 100-102): influenzato dai pittori francesi visti alla Secessione (da Claude Monet a Renoir, a Pierre Bonnard, Félix Vallotton e Kees Van Dongen), avviò vivaci sperimentazioni cromatiche corpose, quasi fauves (la serie Musica al Pincio, 1913, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna, e Firenze, coll. priv.; Viale a Villa Borghese, 1913, Milano, Galleria d’arte moderna; Anna tra i fiori, 1914-15, Mantova, Museo civico di palazzo Tè).
Nel 1914 nacque la terza figlia, Maria, e la famiglia si trasferì nella casa di viale Parioli, dove è ambientato Sotto la pergola (Roma, Galleria comunale d’arte moderna e contemporanea). Il collezionista argentino Alberto Figueroa divenne mecenate di Spadini e gli commissionò un ritratto (Milano, coll. priv.). Nel 1915, alla terza Secessione, gli fu dedicata una mostra individuale: era divenuto il «pittore della luce e del sole» (P. Scarpa, in Armando Spadini..., 1995, p. 103).
Il recupero critico di Spadini intorno al centenario della nascita ha rivisto l’accusa di impressionismo superficiale ripetuto sui consueti temi familiari, a cui la critica lo aveva presto condannato: Maurizio Fagiolo dell’Arco (in Armando Spadini..., 1995, p. 19) ha visto infatti nell’iterazione dei soggetti familiari un’occasione di studio di forme e luci, come nel caso della sapiente modulazione di grigi e azzurri condotta a spatolate sul tema domestico Il cavallo di legno (1914, Roma, coll. priv.).
Due nuovi collezionisti fecero la loro comparsa: Olindo Malagodi, politico e scrittore, che dal 1921 passò a Spadini uno stipendio mensile, e Henry Prunières, addetto dell’ambasciata di Francia a Roma, che acquistò alcuni dipinti e commissionò alcuni ritratti.
Nel 1916 l’artista venne richiamato nell’esercito, cosa che rallentò la sua produzione, ma non gli impedì di presentarsi alla quarta esposizione della Secessione. Cipriano Efisio Oppo (1916) ne parlò estesamente in un lungo articolo: «Spadini può dipingere ogni cosa con lo stesso interesse perché tutto gli si mostra pittoricamente; [...] guardando la padronanza ch’egli ha sulla materia ci si convince che tutta la trascuratezza insolente dei suoi quadri non è invece che il signorile sparpagliare d’una naturale ricchezza. Difficilmente si potrebbe sostenere a lungo la somiglianza di questo nostro pittore con alcuni impressionisti francesi, perché, se anche a prima vista ciò sembri chiarissimo e sconcerti, si può a un più attento esame rispondere gioiosamente che la sostanza è tutt’altra e che ci si sente l’aria di casa nostra». Ma a fianco degli elogi, sorsero anche solenni stroncature, come quella di Mario Broglio (1917), che parlava di impulsività e incontinenza, sensualità e incompletezza di una produzione ‘impressionistica’ che non si concilia «con il substrato virtualmente tradizionalista del pittore».
Nel 1918 Spadini venne congedato dal fronte a causa del male che lo avrebbe portato alla morte: nefrite.
Opere del 1918 come Il Mattino (Mantova, Museo civico di palazzo Tè) e Bambini che studiano (Roma, Banca d’Italia: rappresentato sulla banconota da 1000 lire dedicata nel 1990 a Maria Montessori) conciliano fattura sbozzata e forme compiute e salde, fresca quotidianità e devoluta indagine formale e luministica. Con Oppo, Leonetta Cecchi Pieraccini e altri, Spadini partecipò alla mostra alla Casina Valadier al Pincio e fu salutato come il trionfatore dell’esposizione (F. Tozzi, La Mostra d’arte alla Casina del Pincio I, in Il Messaggero della Domenica, 31 maggio 1918), non mancando però i detrattori della sua opera, posta in contrapposizione con quella di Carlo Carrà (Armando Spadini..., 1995, pp. 114 s.). Spadini ne fu amareggiato e, su consiglio di Papini, acquistò la Musa metafisica di Carrà, forse per mitigare il clima.
Nonostante gli inizi burrascosi, Spadini instaurò con il gruppo di Valori plastici una continuità teorica e pratica che, pur tra alterne vicende ideologiche, durò per anni e portò alla pubblicazione della monografia del pittore curata da Soffici: «una ritrovata fiducia nel reale» (C. Sisi, in Zandomeneghi e Spadini..., 1991, p. 35) sostanziava il legame tra questi intellettuali, consentendoci oggi di porre Spadini in una prospettiva nazionale ai margini dell’avanguardia, ma entro un dibattito critico che lo fa emergere finalmente dalla frettolosa e limitante definizione di impressionista italiano.
Nel 1919 Spadini venne nominato cavaliere della Corona, nel 1920 accademico di S. Luca e nel 1921 commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia, e il dibattito intorno alla sua figura fu sempre più serrato: Oppo (1920) pubblicò un lungo articolo su di lui; Ojetti preparava una monografia (in Ritratti d’artisti italiani. II serie, Milano 1923) e ne scriveva sul Corriere della sera (1920).
Nel 1920 nacque il quarto figlio, Raffaele. Spadini conobbe Filippo de Pisis, con il quale si recò a dipingere a Villa Borghese. Nel 1922 espose a fianco di Carrà, Giorgio De Chirico, Giorgio Morandi e Oppo alla Fiorentina Primaverile. Nel rilevarne la continuità con l’arte del Seicento, oggetto di grande attenzione da parte di critici, artisti e pubblico in quegli anni, Alberto Savinio (1922) scriveva: «l’arte di Spadini non costituisce un semplice esempio di mimetismo dai francesi, poiché nel suo lato più interessante e vitale, rimane pur sempre italiana e tende a ritrovare la corposità dei volumi, i turbamenti coloristici, l’immaginoso giuoco delle luci e delle ombre del Seicento caravaggesco» (p. 209). Bambini e pesci (1922, Milano, coll. priv.) e Bambino con aragosta (1922, Roma, coll. priv.) sono chiaramente ispirati alle nature morte di Giovan Battista Ruoppolo e Giuseppe Recco (Mazzanti, 2010, p. 147). Tra i dipinti preferiti dall’autore, Bambino con corazza (1920, Milano, coll. priv.) esibisce un’elegante gradazione di grigi dalla fattura sintetica, più precisa nel volto, secondo un procedimento studiato sulla pittura di Tiziano, con tocchi di pennello che eliminavano le tracce delle setole (Armando Spadini..., 1995, pp. 72 s., n. 29). Sempre del 1920 sono Confidenze (Firenze, Galleria d’arte moderna), e del 1921 Piccoli pescatori o Tobiolo (1921, Roma, Banca d’Italia).
La XIV Biennale veneziana dedicò a Spadini nel 1924 una mostra individuale. Il pittore conobbe il collega Gigi Chessa, e il collezionista torinese Riccardo Gualino gli comprò un pezzo su mediazione di Lionello Venturi. Nell’estate del 1924, nella campagna romana, dipinse tra le altre cose Colazione in campagna, e in autunno uscì una monografia con scritti degli amici Cecchi, Oppo e Soffici.
Morì a Roma il 31 marzo 1925: i funerali si tennero a Roma, ma fu sepolto nel piccolo cimitero di Poggio a Caiano, dove abitavano i genitori, secondo le sue volontà.
Negli anni immediatamente successivi la critica gli prestò omaggio con mostre monografiche, come quella della Biennale del 1926, quella della Galleria di Roma del 1930 e quella della Quadriennale del 1931. Uscirono le monografie di Soffici e di Arduino Colasanti già nel 1925, e due anni dopo quella curata da Cecchi per i tipi di Arnoldo Mondadori, uno dei più entusiasti collezionisti di Spadini, con un’introduzione di Adolfo Venturi.
Fonti e Bibl.: E. Cecchi, Esposizioni romane. Amatori e cultori – Secessione, in Il Marzocco, 18 maggio 1913, p. 3; C.E. Oppo, All’Esposizione della “Secessione”. A. S., in L’Idea Nazionale, 25 dicembre 1916; M. Broglio, Note d’arte. La “Secessione” romana, in Giornale del mattino, 7 febbraio 1917; U. Ojetti, Giovani. Spadini, in Corriere della sera, 28 luglio 1920; C.E. Oppo, Alcune pitture di A. S., in Il Primato artistico italiano, II (1920), 2, pp. 29-31; Id., Il pittore A. S., in Dedalo, I (1921), 8, pp. 535-554; A. Savinio, A. S., in La Fiorentina Primaverile... (catal.), Firenze 1922; A. Colasanti, A. S., Milano 1925; A. Soffici, A. S., Roma 1925; E. Cecchi - L. Venturi, A. S., Milano 1927; G. Papini, I nipoti d’Iddio, Firenze 1947, pp. 167 s.; A. Soffici, Trenta artisti moderni italiani e stranieri, Firenze 1950, pp. 136-150; S. (catal., Roma), a cura di P. Rosazza Ferraris - L. Titonel, Milano 1983; Zandomeneghi e S. nella collezione di Arnoldo Mondadori... (catal., Cortina), a cura di G. Matteucci, Roma 1991; A. S. (1883-1925). Tra Ottocento e Avanguardia (catal., Poggio a Caiano), a cura di M. Fagiolo dell’Arco, Milano 1995; A. Mazzanti, ‘Lirici’ e ‘prosaici’ della natura morta del Novecento, in Novecento sedotto: il fascino del Seicento tra le due guerre (catal., Firenze), a cura di A. Mazzanti - L. Mannini - V. Gensini, Firenze 2010, pp. 145 ss.