ARMANINO da Modena
Pittore attivo in Abruzzo nella prima metà del sec. 13°, il cui nome ricorre unicamente nell'iscrizione che accompagna gli affreschi absidali già nella chiesa di S. Maria di Cartignano presso Bussi sul Tirino, ai margini della via Tiburtina Valeria (attualmente all'Aquila, Mus. Naz. d'Abruzzo). L'iscrizione è riportata da De Costanzo nell'Odeporicon (il viaggio), opera manoscritta databile al 1805, come afferma Cappelli (1912), in questi termini e con questi commenti: "Anno Millesimo Ducentesimo XXX VI XIINCO (undecima indictione) R+Gentile fecit fieri hoc opus R+Jacobus R+Petrus. La cifra R+ si legge Presbyter: a sinistra sta scritto con lettere come sopra Magister Armaninus de Motina fecit hoc opus. Non dubito che Motina qui stia per Mutina, cioè Modena" (De Costanzo, Odeporicon; Cappelli, 1913, pp. 45-46).Nonostante le pagine dell'Odeporicon riguardanti il sopralluogo compiuto a S. Maria di Cartignano siano rimaste inedite fino alla pubblicazione (non priva di inesattezze) curata da Cappelli nel 1913, il nome di A., la descrizione dei dipinti, la data 1237 (e non 1239 come erroneamente trascrive Cappelli) e la consapevolezza del recupero di un pittore altrimenti ignoto sono notizie che, trasmesse direttamente dal dotto De Costanzo, allora abate di S. Paolo f.l.m., a Séroux d'Agincourt, furono da quest'ultimo tempestivamente accolte (Séroux d'Agincourt, 1835).Per questa strada, gli affreschi di A., probabilmente anche perché firmati e per di più da un artista non abruzzese, raggiunsero una notorietà ignota alle altre pitture d'epoca medievale nella regione. Nel corso dell'Ottocento e agli inizi del Novecento se ne trova menzione tanto in opere di carattere generale (Schulz, 1860; Cavalcaselle, Crowe, 19002; Bertaux, 1903) e in contributi particolari (Bertaux, 1899) quanto in studi locali, sia abruzzesi (Piccirilli, 1899) sia modenesi. In particolare, gli storici modenesi sfruttarono la scoperta di un loro conterraneo, operoso nel 1237, al fine di rivendicare l'antichità delle origini della scuola artistica locale nei riguardi delle altre, toscane e italiane (Borghi, 1845; Bortolotti, 1892); in assenza di documenti specifici sul pittore, appurarono, tuttavia, che A. è nome ricorrente in carte duecentesche (Borghi, 1845).L'iscrizione venne pubblicata solo alla fine dell'Ottocento, sulla base della trascrizione fattane alcuni anni prima da Corsi di Capestrano - per via autonoma, dunque, rispetto alla testimonianza di De Costanzo - e per la sua "ricostruzione è d'obbligo servirsi delle notizie raccolte dal Séroux d'Agincourt" (Piccirilli, 1899). Contemporaneamente (Nota della Direzione, 1899), si rendeva noto il facsimile tratto dal lucido di quella parte dell'iscrizione contenente il nome del pittore e la città d'origine, frammentaria ma integrabile rispettivamente in "Armaninus" e "Mutina". Di conseguenza erano destinate a dissolversi le perplessità espresse in proposito da Bertaux (1899), peraltro non confermate successivamente (Bertaux, 1903).Nel frattempo, l'iscrizione, al pari degli affreschi, veniva giudicata ridipinta in base a una fotografia nota a Bortolotti, ma inedita, dalla quale venne ricavato un grafico, questo peraltro pubblicato (Bortolotti, 1892). I caratteri, invero, non sono gotici, ma in capitale "del presente secolo" (Bortolotti, 1892; l'affermazione è ribadita da Bertaux, 1903); inoltre, in alcuni punti, viene meno la corrispondenza con l'originale, per es., laddove è saltato il termine "Mutina". Rimaneva da chiarire quando gli affreschi di Cartignano furono ridipinti.In seguito allo stacco eseguito nel secondo dopoguerra (Moretti, 1968a, p. 1), gli affreschi del catino absidale sono esposti all'Aquila nel Mus. Naz. d'Abruzzo (Matthiae, 1969). L'iscrizione, corrente sui piedritti dell'arco e lungo l'abside, seppure appesantita da ritocchi e profondamente consumata, mostra a tratti i caratteri gotici originali ed è leggibile quel tanto da comprovare l'esattezza della trascrizione di De Costanzo.In conclusione, A. dipinse nell'anno 1237 - corrispondente, come nota De Costanzo (Odeporicon, c. 222v), all'undicesima indizione del 1236 -, su richiesta di Gentile, Jacopo e Pietro, l'abside della chiesa benedettina di S. Maria di Cartignano, che divenne nel tempo dipendenza dell'abbazia di S. Liberatore alla Maiella (Bertaux, 1903; Bloch, 1986).A. riservò alla calotta la raffigurazione della Deesis, vale a dire del Cristo in trono, benedicente alla greca e con il vangelo aperto al versetto "Ego sum lux mundi" (Gv. 8, 12) fra la Vergine e S. Giovanni Battista in atteggiamento di preghiera; dispose nel semicilindro una teoria di santi entro arcatelle; ornò con una decorazione fitomorfica a tralcio il sottarco. Ai tempi del sopralluogo compiuto da Bertaux, delle figure erano visibili solo le aureole affioranti al di sopra dell'accumulo dei detriti alluvionali che avevano invaso l'interno della chiesa (Bertaux, 1903). Diversamente dall'affresco dell'abside, le pitture sottostanti non sono state staccate né i lavori di restauro - che hanno liberato dall'interramento la chiesa e ricomposto quanto rimaneva delle strutture architettoniche - sono giunti in tempo a salvarle (Matthiae, 1969). Perciò, essendo le figure perdute, sarà utile rileggere ulteriormente la descrizione del De Costanzo: "Nel concavo dell'abside sono dipinte sette figure di Santi, cioè la Beata Vergine in mezzo, alla diritta Sant'Amico monaco, Sant'Agata [...], San Benedetto con il pastorale e veste e cappa nera e tunica colorata con la corona clericale o monacale; dall'altra parte S. Pietro, S. Paolo, San Marco, i cui nomi sono dipinti a pié di ciascuna figura" (De Costanzo, Odeporicon, c. 223r). Negli anni Settanta "appena più visibile è la terza figura di sinistra, presso la monofora, di cui si scorge vagamente la metà inferiore" (Pace, 1978); nel frattempo anche questa traccia sembra svanita.Sono invece tuttora visibili, sulle pareti contigue e sopra l'abside, segni sufficienti che consentono di precisare la presenza e l'altezza dei vela, l'ampiezza dei tre registri su ciascuna paretina, il campo sopra l'arco. I frammenti consistono per lo più nelle fasce rosse delimitanti registri e riquadri; meglio conservato è l'intonaco con decorazione vegetale nell'intradosso della monofora - lato sinistro - e le due figure campite sul registro più alto. Particolare rilievo assume nell'insieme la sagoma imponente, ben articolata, del santo sulla parete destra, recante forse un vessillo e una corona, stretta nel manto rosso di cui è visibile sul lembo la medesima decorazione a fiorellini bianchi ricorrente nel maphorion della Vergine della Deesis. Esigui tratti di sinopia, fra i quali una forma forse alata, si distinguono appena sulla parete sovrastante l'abside. Bertaux (1903) accostava, a ragione, la teoria dei santi all'altra, disposta ugualmente nel semicilindro absidale, della chiesa di S. Pietro ad Oratorium, nei pressi di Capestrano; appare invece infondata (Matthiae, 1969) la proposta di estendere la paternità di A. anche agli affreschi di S. Pietro, risalendo questi al 1100 circa.Legata a un'unica opera, vittima per di più di vicissitudini che ne hanno indebolito il tratto propriamente pittorico, la fisionomia di A. si lascia cogliere solo per larghe linee. Totale è la sua estraneità, suggellata anche dal dato anagrafico, nei confronti della pittura duecentesca in Abruzzo. Carattere saliente è il porsi alla confluenza di modi bizantineggianti, palesi soprattutto sul piano iconografico, e di sistemi formali lontani dalla purezza dei modelli bizantini (Bertaux, 1903; Toesca, 1927; Matthiae, 1969; Lehmann-Brockhaus, 1983), quali "i panneggi a tinte piatte" (Bertaux, 1903). Istradati, su suggerimento dell'iscrizione, verso l'orizzonte modenese, gli affreschi di A. trovano persuasive rispondenze nei pannelli con S. Pietro e S. Pudenziana campiti sul fianco destro del presbiterio del duomo di Modena, scoperti nel corso dell'Ottocento e restaurati intorno agli anni Sessanta (Ghidiglia Quintavalle, 1967a, pp. 28-29; 1967b, p. 12, fig. 6). Sono comuni alcuni elementi del repertorio decorativo: l'uso delle perlinature lungo il giro delle aureole, il motivo dei fiorellini bianchi stampigliato sulle vesti; componenti 'morelliane' quali la conformazione larga e inarticolata delle mani; qualità espressive come l'impianto monumentale ma piuttosto bolso e una stesura pittorica pervasa da grafismi sottili e un po' inerti.Allargando l'orizzonte all'area padana, diversamente dal parere di Matthiae (1969), non si può escludere un seppur blando collegamento con i più tardi affreschi del battistero di Parma (Moretti, 1968b), specie con la Deesis e le Storie del Battista. Mentre nei dipinti di Parma sono forti e determinanti le coloriture neollenistiche di timbro balcanico, per gli affreschi di A. l'ancoraggio al mondo bizantino è evidente nella scelta della Deesis quale tema nell'abside (Bertaux, 1903; Matthiae, 1969; Pace, 1978). È possibile precisare anche il tratto dell'orizzonte bizantino più vicino alle soluzioni adottate in Abruzzo. La Deesis a Cartignano è raffigurata sullo sfondo del cielo trapunto di stelle, con il sole e la luna; arbusti dalle foglie molto grandi svettano fra le figure. Questo scenario naturalistico, prorompente e anomalo per la Deesis, ha suggerito l'ipotesi di contaminazioni con la scena della Creazione (Pace, 1976); diversamente, serve a connotare in modo esplicito una variante della Deesis: permeata di spiccato carattere escatologico, è la Deesis della Seconda Venuta, alla quale la presenza degli astri conferisce dimensione cosmica. Rintracciata più volte ma solo nelle aree periferiche del mondo bizantino, in Georgia, in Cappadocia, in Palestina, in Siria (Velmans, 1988), la Deesis della Seconda Venuta è da riconoscere pure nell'imponente esempio abruzzese, l'unico che si conosca in Occidente e per ora sganciato da altre mediazioni.
Bibl.:
Fonti. - G. De Costanzo, Odeporicon, ms. del 1805, Roma, S. Paolo f.l.m., Arch. dell'abbazia (parzialmente pubblicato in A. Cappelli, Di Costanzo e il suo Odeportico, Rivista abruzzese di scienze lettere e arti 27, 1912, pp. 545-551; id., Dall'Odeportico, ivi, 28, 1913, pp. 35-47).
Letteratura critica. - G.B.L.G. Séroux d'Agincourt, Storia dell'arte col mezzo dei Monumenti dalla sua decadenza nel IV secolo fino al suo risorgimento nel XVI, VI, Milano 1835, p. 209; C. Borghi, Il Duomo ossia cenni storici e descrittivi della Cattedrale di Modena, Modena 1845, pp. 51-52n.; H.W. Schulz, Denkmäler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien. Nach dem Tode des Verfassers herausgegeben von Ferdinand von Quast, II, Dresden 1860, p. 59; P. Bortolotti, Di un murale dipinto del MCCCXXXIIII scopertosi nel 1882 nel lato esterno settentrionale del Duomo di Modena, Atti Memorie Modenesi, s. IV, 1, 1892, pp. 1-18: 6, 12-14 n. 5; P. Piccirilli, L'Abruzzo monumentale, Rassegna Abruzzese di Storia ed Arte 3, 1899, pp. 3-30:4-5; E. Bertaux, Due tesori di pitture medioevali. Santa Maria di Ronzano e San Pellegrino di Bominaco, ivi, pp. 107-129; Nota della Direzione, ivi, p. 121; G.B. Cavalcaselle, J.A. Crowe, Storia della pittura in Italia dal secolo II al secolo XVI, IV, Firenze 19002 (1887), p. 120; E. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, Paris 1903 (19682), I, p. 286; G. Swarzenski, s.v. Armaninus, in Thieme-Becker, II, 1907, p. 114; Van Marle, Development, IV, 1924, p. 447; Toesca, Medioevo, 1927, p. 968; U. Galetti, E. Comesasca, Enciclopedia della pittura italiana, I, Milano 1951, p. 145; A. Ghidiglia Quintavalle, Arte in Emilia III. Gli affreschi del Duomo di Modena e reperti d'arte dal Medioevo al Barocco, cat., Modena-Milano 1967a, pp. 28-29; id., Gli affreschi del Duomo di Modena, Modena 73, 1967b, 12, pp. 6-91; G. Matthiae, Il Castello dell'Aquila ed il Museo Nazionale abruzzese, Roma 1968, p. 9; M. Moretti, Museo Nazionale d'Abruzzo nel Castello cinquecentesco dell'Aquila, L'Aquila 1968a, id., Guida al Castello cinquecentesco dell'Aquila e al Museo Nazionale d'Abruzzo, L'Aquila [1968b], p. 41 (19712, p. 67); G. Matthiae, Pittura medioevale abruzzese, Milano 1969, pp. 27-28; M. Moretti, Architettura medioevale in Abruzzo (dal VI al XVI secolo), Roma [1971], pp. 224-225; V. Pace, Profilo della pittura medioevale abruzzese. (L'iconografia dei programmi absidali del XII e del XIII secolo), Abruzzo 14, 1976, 1, pp. 61-73:68-69; id., in L'art dans l'Italie méridionale, Aggiornamento dell'opera di Emile Bertaux, Roma 1978, IV p. 500; O. Lehmann-Brockhaus, Abruzzen und Molise. Kunst und Geschichte, München, 1983, pp. 178, 181; V. Pace, Pittura del Duecento e del Trecento in Abruzzo e Molise, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 19862,II, pp. 443-460:443; H. Bloch, Monte Cassino in the Middle Ages, III, Roma 1986, p. 1440; T. Velmans, Observations sur la peinture murale médiévale de Syrie et de Palestine. Problèmes iconographiques, CARB 35, 1988, pp. 371-378.M. Andaloro