Il principale elemento di contrapposizione tra Armenia e Turchia è costituito dalla memoria storica dei massacri compiuti a danno della popolazione armena dalle autorità ottomane tra il 1915 e il 1921 e dal rifiuto di Ankara di riconoscerne la natura di genocidio. D’altra parte, la campagna internazionale per il riconoscimento del genocidio armeno (oggi riconosciuto da circa 20 paesi) è una delle direttrici guida della politica estera del paese. Strettamente legate alla questione del genocidio sono poi le rivendicazioni sulle regioni orientali della Turchia, originariamente abitate da armeni, e il riconoscimento delle frontiere, mai espressamente effettuato dalle autorità di Yerevan. A partire dal 1993 e dalla chiusura turca delle frontiere, la normalizzazione dei rapporti bilaterali si è inoltre collegata alla questione nagornina. Il cortocircuito così generatosi tra dimensione storica e politica ha bloccato i successivi tentativi di normalizzazione, compreso l’ultimo e più deciso, avviato con la firma dei Protocolli di Zurigo dell’ottobre 2009. La ratifica parlamentare dei Protocolli ha infatti incontrato resistenze in entrambi i paesi.
Da un lato, le riserve turche sono collegate alle dure reazioni dell’alleato azero rispetto a un processo di normalizzazione che prescindeva da un avanzamento del negoziato sul Nagorno Karabach. Dall’altro lato, il governo armeno ha fronteggiato una ferma opposizione interna e della diaspora alla prospettiva di rimettere in discussione gli eventi successivi al 1915 attraverso una commissione congiunta di storici. A fronte della decisione del governo turco di condizionare la ratifica dei Protocolli al processo di pace nel Nagorno Karabach, il presidente armeno Serzh Sargsyan, nell’aprile 2010, ha sospeso l’iter parlamentare di ratifica, congelando di fatto il tentativo di normalizzazione.