ARMI DA FUOCO
Con questa espressione si intendono in genere le a. offensive che utilizzano la subitanea espansione di gas, susseguente all'accensione di polvere da sparo, per espellere un proiettile da una canna avente l'estremità posteriore convenientemente camerata e l'altra libera; modi, tecniche e strumentazioni possono variare. Questa definizione esclude quindi i 'fuochi lavorati', usati largamente fin dall'Antichità in tutto il continente euroasiatico, che furono però il punto di partenza di un uso bellico del fuoco non più meramente incendiario o ustorio. Già il Vecchio Testamento cita frecce che potrebbero intendersi come incendiarie, mentre figurazioni assire del sec. 9° a.C. mostrano assedi con largo impiego di torce, vasi colmi di materiali ardenti, pece bollente e stoppa accesa gettati dalle mura. Incendiare e bruciare cose e nemici si poteva fare quindi in molti modi assai semplici e con l'uso di misture adatte, tra le quali già in antico compariva il petrolio. Il più famoso di questi mezzi comburenti fu il 'fuoco greco', composto di petrolio, pece, zolfo e salnitro, lanciato a pressione d'aria mediante sifoni metallici, probabilmente di bronzo, che potevano essere tanto grandi e potenti da venire usati in una battaglia navale, quanto 'maneschi', impiegati da un singolo combattente. Il suo uso è documentato nel sec. 7° all'assedio di Costantinopoli, prima quindi dell'uso bellico cinese della polvere da sparo che risale al sec. 9°, ma ristretto a un impiego incendiario su frecce, esplosivo ma non propellente. Si trattava di un'a. molto temuta, a lungo misteriosa per chi non ne conosceva i segreti, perché il getto si incendiava a contatto dell'aria e poteva bruciare anche sull'acqua.Allo stato degli studi, per quanto riguarda l'Europa, sembra che la possibile più antica citazione della polvere da sparo - come esplosivo, non come propellente - sia quella contenuta nella famosa formula criptica usata da Ruggero Bacone nel suo Epistolae de secretis operibus artis et naturae et de nullitate magiae, che dovrebbe essere stato scritto tra il 1257 e il 1265 (Londra, BL, Sloane 2156, ms. del sec. 15°). Altre citazioni sono nel De mirabilibus mundi attribuito ad Alberto Magno, che morì nel 1290 (ma non si hanno manoscritti riferibili al suo tempo), e infine nel Liber ignium, compilazione attribuita a un Marco Greco, i più antichi manoscritti della quale si pongono intorno al 1300. Si deve sempre lasciare aperta l'ipotesi che alcuni testi possano essere stati successivamente interpolati. In Cina le testimonianze documentarie sono assai più antiche, perché già nel 682 Sun-Sy-Miao, un alchimista, annotava il potere esplosivo - di nuovo, non come propellente - di una miscela di salnitro, carbone e zolfo, e si è già detto del suo uso bellico. Nel mondo islamico le citazioni sicure sono anch'esse tarde, perché è assai controversa l'originaria datazione di un manoscritto che, pervenuto in una tarda copia del sec. 15°, mostra un'a. che potrebbe avere avuto la polvere come propellente, mentre le altre opere arabe della fine del sec. 13° restano nei termini già visti. Quanto alla priorità d'impiego, sembra che già nel 1259 si usassero in Cina tu-khotsian di bambù internamente ricoperti di argilla e avvolti all'esterno da una spirale di corda, che potevano spedire una palla, probabilmente di pietra, a un centinaio di metri; solo più tardi si ebbero canne di ferro per gettare fuoco (khotun), con le quali si poterono successivamente trarre dardi e poi palle. La via cinese e quella europea rimasero però indipendenti.Fra' Egidio Colonna, nel De regimine principum, scritto intorno al 1285-1290, descrive solo tubi di ferro contenenti miscele incendiarie, ma non cita a. da fuoco nel senso detto. Queste dovrebbero quindi essere comparse in Europa intorno al 1300 o poco dopo. Le più antiche documentazioni iconografiche di un'a. da fuoco, ma sarebbe meglio dire 'artiglieria', sinora note sono infatti miniate in due opere di Walther de Milemete, del 1326-1327: De nobilitatibus, sapientiis et prudentia regum (Oxford, Christ Church Lib., 92, c. 70v) e De secretis secretorum Aristotelis (Holkham Hall, Lancaster Coll., 458, c. 44v). Nella prima si scorge un armato il quale comunica il fuoco (mediante un lungo attrezzo che stringe all'estremità un tizzone) a un 'pezzo' che scaglia un grosso dardo. Il 'pezzo' è un vero e proprio vaso metallico a forma di anfora priva dei manici: misura m. 1,40 ca., con il corpo panciuto grosso cm. 60 ca. e un po' più lungo che si restringe molto nel collo svasato; il foro focone, attraverso il quale il fuoco indotto incendia la carica di polvere, è posto al sommo della parte panciuta. Si tratta di quello che nel lat. tardo era chiamato, a giusta ragione, vasum. Esso è disteso su un tavolaccio sostenuto da due capre, e non si scorgono altri elementi di fissaggio o contro il rinculo. La seconda raffigurazione è analoga, ma il vaso, in proporzione ai serventi, sembra misurare più di m. 2, con una 'pancia' grossa cm. 80 ca.; il sostegno ligneo è più complesso ma anche qui non si scorgono assicurazioni. Tutte le miniature di questi manoscritti sono molto precise; si deve quindi dare loro credito anche quanto alla forma del 'vaso' (confermata dal nome) che deve essere quella iniziale; d'altra parte può darsi che queste tipologie non fossero comunissime ai miniatori del tempo. Va ricordato che vi furono a. da fuoco con dardi per proiettile fino a ben oltre la metà del 14° secolo.Una provvisione fiorentina dell'11 febbraio 1326 (Firenze, Arch. di Stato, Provvisioni, Reg. 22) che riguarda la possibilità di nominare uno o due 'maestri' "ad fatiendum et fieri fatiendum pro ipso Communi pilas seu palloctas ferreas et canones de mettallo" costituisce il più antico documento scritto pervenutoci in materia. Due mesi dopo, il 23 aprile, Rinaldo da Villamagna e un suo socio (evidentemente già nominati sulla base del documento precedente) furono licenziati perché chiedevano troppo: "multi alii in Civitate Florentie sint dictum ministerium exercere scientes, et cum minori pretio pro pulvere et aliis necessariis". In questo secondo documento si citano sempre le paloctas fereas, ma i cannoni sono diversi, ferreos, e non di 'metallo', che a quel tempo era per antonomasia una lega di rame e stagno - vale a dire un bronzo - con una percentuale del secondo dal 15 al 25%. Non si usa il termine 'vaso', ma quello di 'cannone'; non ci sono più dardi ma 'pallottole' di ferro; mentre ferro e bronzo coesistono per l'arme. A questa data l'uso delle artiglierie era ampio, dato che quelle citate dovevano servire a difendere Firenze e i castelli e le terre che deteneva. Nella Chronica di Juliano canonico (RIS2, XXIV, 14, 1906, p. 57) si distingue tra vasa e sclopi usati nell'assedio di Cividale nel 1331; in volgare 'schioppi', da 'scoppio' traendo 'schioppo'. Intorno a questi stessi anni, al secondo quarto del sec. 14° ca., risale la più antica a. da fuoco conservata, il 'cannone' trovato nel 1861 a Loshult, nella Scania (Stoccolma, Statens historiska mus.); questo territorio nel Sud della Svezia era, in antico, danese e tale rimase fino alla pace di Roskilde del 1658. Si tratta di un'a. di bronzo (le analisi metallografiche consentono di ipotizzare la provenienza del suo materiale dall'area dei Carpazi occidentali), lunga cm. 27, con anima di mm. 31 e bocca di 36; pesa kg. 9. Doveva essere montato su un qualche supporto, probabilmente per farne un'a. da parapetto: si tratta di una canna grossolanamente troncoconica ringrossata alla culatta e restringentesi verso l'estremità con un andamento dapprima leggermente concavo, poi più diritto fino al rilievo anulare che circonda la bocca; il focone, di mm. 5 ca., è posto sull'alto della culatta. Il pezzo è quindi un'eccezionale testimonianza di forme e di funzioni intermedie tra quelle delle artiglierie e quelle (cui pure appartiene) delle prime a. da fuoco manesche.Nel 1364 il Comune di Perugia fece fare "cinquecento bombarde una spanna lunghe che le portavano su in mano, bellissime e passavano ogni armatura" che dovevano essere con tutta probabilità immanicate come schioppi e archibusi che incontreremo più oltre. Nel 1371 a Modena si distingueva tra "schiopi grandi fornidi de polvuere et balote" e "schiopi pizoli de man fornidi". Nel 1397 erano di nuovo documentati a Bologna "8 sclopos de ferreo de quibus sunt 3 a manibus"; non vi è quindi dubbio che le a. da fuoco manesche, che sono quelle cui qui ci si riferisce, si siano sviluppate e definite lungo almeno due terzi del Trecento, e che nella seconda metà del secolo avessero forme già assai specifiche tra più lunghe e più corte.Contemporaneo degli schioppi bolognesi è quello ritrovato a Tannenberg in Assia (Norimberga, Germanisches Nationalmus.), anch'esso in bronzo, che va datato ante 1399, essendo stato tratto dalle rovine del castello distrutto in quell'anno. Mostra una canna a sezione ottagona, corniciata alla bocca, lunga cm. 25 ca., con anima crescente da mm. 20 a 25, preceduta da una culatta di mm. 15 ca. avente una camera di poco meno di mm. 20 di diametro, strozzata in corrispondenza del passaggio all'anima e con focone praticato in alto all'estremità posteriore. Dietro la culatta c'è una gorbia parimenti ottagona, profonda cm. 5 ca. ma forse più lunga in origine; per impostarvi un manico ligneo probabilmente una breve asta; tutto lo schioppo è lungo cm. 48. Un altro esempio di analoga struttura e montaggio è lo schioppo ripescato nel Baltico presso Mörkö in Svezia ma forse tedesco (di bronzo, lungo cm. 19,3 e con calibro di mm. 16,5; Stoccolma, Statens historiska mus.), databile anch'esso all'ultimo quarto del Trecento. La canna, esternamente esagona, ha la parte posteriore più spessa a formare culatta e gorbia; al di sopra della camera è praticato il focone, entro una cornice quadrata dietro la quale si alza una testa barbuta posta sopra un poliedro obliquo in modo da formare parafuoco. La bocca ha una cornice analoga al pezzo di Tannenberg, però qui compare, all'altezza del focone ma al di sotto della culatta, un gancio verticale sagomato, destinato a opporsi al rinculo quando l'a. era appoggiata a un parapetto o riparo. Questa è la prima a. da fuoco manesca decorata, perché oltre alla testa barbuta presenta una superficie completamente gravata a incroci, sui quali spiccano in lettere gotiche le invocazioni "Maria plea" ('ave Maria gratia plena') e "Hielp Got help uns", che richiamano le scritte apotropaiche che ornavano talvolta le bordure in ottone di qualche armamento difensivo del tempo. Compare una volontà formale del tutto esplicita ed elaborata, che però in questo tipo d'a. troverà modo di liberarsi compiutamente solo quasi cent'anni dopo.Gli esemplari di Tannenberg e Mörkö appartengono alla tipologia per così dire 'immanicata', contraddistinta dall'asta inserita nella gorbia; essa corrispondeva alla concezione strutturale delle a. in asta, che presentavano questa soluzione di raccordo e bloccaggio tra parte lignea e ferro. L'a. era tutta allineata su un medesimo asse ideale e il manico o asta era tenuto sotto il braccio destro, stretto con il busto; la sinistra lo reggeva più avanti e la destra poteva maneggiare il ferro rovente o la corda accesa posandone l'estremità sul focone per infiammare la polvere posta all'interno. Questa soluzione migliorò molto presto, perché esistono testimonianze iconografiche degli inizi del Quattrocento che mostrano schioppi consimili con l'asta già munita di una lunga leva a manetta, bilicata in modo che, stringendone la coda sotto l'asta, la sua testa recante il tizzone o ferro rovente ricadesse sul focone. Queste forme perdurarono ben oltre la metà del Quattrocento e si ebbero anche schioppi dalla corta canna tutt'uno con una più sottile barra di ferro da stringere sotto il braccio destro, come quello proveniente da Vedelspang nello Schleswig (Copenaghen, Tojhusmus.).Vi era però anche un'altra tipologia, per così dire 'incassata'. La breve canna di ferro quasi sempre a superficie esterna poligonale poggiava sull'estremità anteriore di un 'teniere' di legno e vi era trattenuta da un paio di ghiere, la più avanzata delle quali si completava con un gancio posto al di sotto, come quello del pezzo di Mörkö. Verso la fine del Trecento questo tipo si perfezionò: la canna diminuì in grossezza ed ebbe dietro la culatta una lingua di adattamento per sotto il fusto e il teniere si apparentò nelle forme a quello della balestra; restò per lo più una sola ghiera con il gancio. Il gancio (ted. Haken), dette alle armi il nome di Hakenbüchse 'recipiente a gancio', distinto dallo Handbüchse 'recipiente manesco', che non lo aveva. Dal termine vennero poi i nostri 'arcobuso' e 'archibuso' e altri appellativi analoghi nel resto d'Europa. Da questi tenieri massicci sortirono poi le tipiche casse 'alla tedesca' che poco a poco consentirono un impiego e un puntamento migliore dell'a. da fuoco lunga. Per le a. da fuoco veramente 'corte' da cavalleria si sarebbe dovuto attendere fino alla seconda metà del Quattrocento.
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