armi. Rivoluzione negli affari militari e guerre di «quarta generazione»
Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno aumentato enormemente l’efficienza dei sensori, la qualità e quantità delle informazioni e la precisione e gittata delle armi. Di conseguenza, è possibile distruggere, a grande distanza, anche obiettivi blindati e mobili, come i carri armati. La capacità distruttiva si accresce. La logistica si alleggerisce. Aumenta la rapidità di proiezione delle forze, che può essere fatta con l’aerotrasporto. La battaglia di contatto si fonde con quella di profondità. Non esistono più fronte e retrovie. Le forze terrestri diventano più agili e leggere. Quindi, più capaci di adattarsi all’azione avversaria, sempre imprevedibile. Gli eserciti diminuiscono i loro effettivi. Divengono così meno idonei a controllare i territori, soprattutto nelle aree urbane. Le forze speciali sono componente essenziale nelle operazioni moderne. Richiedono una grande integrazione con le forze aeree per disporre di una notevole potenza di fuoco, non potendo trasportare con sé molte munizioni.
La microelettronica ha trasformato le armi in sistemi d’arma che, poi, sono stati integrati in «sistemi dei sistemi», propri della cosiddetta network centric warfare. Le reti informative, estese su tutto il teatro di operazioni, consentono non solo ai comandanti, ma anche agli operatori dei sistemi di arma, di disporre delle informazioni necessarie per colpire tutti gli obiettivi individuati nell’area della battaglia. La riduzione del tempo from sensor to shooter
diventa essenziale per colpire obiettivi mobili.
La capacità distruttiva delle armi non è l’unico fattore della superiorità strategica. Ne sono importanti anche altri, come la mobilità e la protezione delle forze combattenti.
Il combattimento diventa simultaneo su tutta la profondità del teatro di operazioni, come è accaduto nel 2001 in Afghanistan e nel 2003 in Iraq. Non sono cambiate tanto le armi, quanto la loro integrazione in un sistema coerente è divenuta maggiore e più rapida. La fine del 20° sec. è stata caratterizzata dalla digitalizzazione del campo di battaglia e dall’integrazione fra informazioni e sistemi d’arma. Nelle guerre dell’inizio del 21° sec., il binomio carro armato-cacciabombardiere è sostituito da quello delle forze speciali – infiltrate nel territorio nemico e dotate di designatori laser, infrarossi e satellitari – con i bombardieri, che trasportano bombe programmabili elettronicamente in volo e che si dirigono poi sugli obiettivi con la loro autoguida soprattutto satellitare. Emerge una netta separazione all’interno delle forze armate fra le componenti pesanti e quelle leggere. Essa, per taluni versi, corrisponde a quella esistente nei secc. 19° e 20° fra gli eserciti metropolitani e quelli coloniali. Il combattente si trasforma in un sistema d’arma integrato, capace di agire individualmente o in piccoli gruppi autonomi. Alla logica del network, propria delle azioni ad alta intensità operativa e tecnologica contro eserciti regolari, si affianca quella del web. Le sue varie componenti non dipendono da un sistema gerarchico, come nel network. Nel soldato coesistono capacità operative e informative, come avviene per il poliziotto o il guerrigliero. In tal modo, si realizza la massima flessibilità e si riducono i tempi di reazione. Il tecnico del network si trasforma in guerriero del web. Le nanotecnologie e i progressi della genetica consentono di potenziare le sue capacità fisiche e intellettuali. Ciò determina delicati problemi etici, data la manipolazione del corpo e del cervello umano che tale potenziamento comporta.
La diffusione delle tecnologie letali aumenta la pericolosità dei terroristi e degli insorti. Piccoli gruppi e anche individui singoli possono disporre di una capacità distruttiva prima posseduta solo dagli Stati.
Nelle nuove operazioni militari «asimmetriche», volte alla stabilizzazione dei Paesi occupati, è imperativo ridurre i danni collaterali per evitare ulteriori distruzioni ai territori che si devono ricostruire, e perdite fra la popolazione civile, che ne susciterebbero la reazione contro forze d’occupazione. È poi necessaria una drastica limitazione delle perdite subite dalle proprie truppe. Per tali motivi si fa sempre maggiore ricorso alla robotica e all’uso di armi a ridotta letalità. Inoltre, è comparsa una nuova forma di guerra: quella cibernetica o cyberwar.
In campo terrestre, si impiegano robot per i rastrellamenti di gallerie, cantine e caverne, nonché per la neutralizzazione degli ordigni esplosivi, usati dai guerriglieri. Questi (IED, Improvised explosive device) hanno provocato oltre il 70% delle perdite fra le forze occidentali in Iraq e in Afghanistan. L’esercito USA impiega in tali teatri oltre 5000 robot terrestri, di cui taluni trasportabili a spalla.
In campo aereo sono sempre più diffusi i velivoli non pilotati, o UAV (Unmanned aerial vehicle). Essi presentano il grande vantaggio, in caso di abbattimento, di non provocare perdite e prigionieri fra i piloti. Gli UAV operanti ad alta quota hanno prestazioni competitive con i satelliti.
Permangono in volo anche decine di ore. Garantiscono poi una maggiore continuità delle informazioni, essendo più manovrabili e impiegabili con immediatezza su obiettivi imprevisti. Taluni velivoli non pilotati, come il Predator, hanno a bordo missili che possono essere lanciati con comandi da terra o essere programmati per colpire direttamente gli obiettivi che identificano.
I robot si stanno diffondendo anche in campo navale, soprattutto per la neutralizzazione delle mine. Hanno prestazioni superiori a quelle dei cacciamine, anche perché possono operare 24 ore su 24.
Si tratta di un’ampia gamma di armi a ridotta letalità, sia antipersonali (pallottole di gomma, ultrasuoni, radar, laser, bombe flash e acustiche, colle, reti, sostanze lacrimogene e allucinogene ecc.) sia contro materiali (blocco degli automezzi con onde elettromagnetiche, bombe a grafite per mettere temporaneamente fuori uso centrali elettriche ecc.). Nelle loro forme meno pericolose, vengono utilizzate anche per l’ordine pubblico e per il contenimento di folle, di donne e bambini, spesso usate come scudo umano da parte dei guerriglieri. La loro produzione si è intensificata dopo l’11 settembre 2001, per l’importanza che hanno assunto la difesa civile e il controllo dei confini terrestri e degli accessi ai porti. In campo militare sono considerate con scetticismo da molti esperti. Essi temono che riducano l’effetto deterrente delle armi letali, obbligando, alla fine, a impiegare un livello di violenza superiore.
Per la cyberwar manca un diritto internazionale che sanzioni eventuali attacchi. Non è chiaro se si possa reagire con la forza militare a un attacco cibernetico.
Tutti i principali Stati stanno sviluppando capacità di attacco delle reti informatiche dei potenziali avversari e aumentando la sicurezza delle proprie. Essa non può però essere completa.
I cyberattacchi – come dimostrano quelli subiti dall’Estonia nel 2007 e dalla Georgia nel 2008 – possono essere organizzati in poche ore, anche su base volontaria, con l’attivazione di gruppi non governativi patriottici, collegati in rete fra di loro. La tattica più praticata è quella del denial-of-service-attack. Essa consiste nella saturazione delle reti dell’avversario, inviando una serie enorme di messaggi.
La difesa è problematica. Occorrerebbe predisporre «virus», che neutralizzino i computer degli hackers. La difficoltà è aumentata dal fatto che, mentre l’attacco è effettuabile da chiunque e da tutti i luoghi del mondo, la difesa può essere organizzata solo localmente dai singoli utilizzatori delle reti cibernetiche e dagli Stati sul loro territorio.
Gli Stati e anche i gruppi criminali e terroristici o i singoli hackers non cercano solo di bloccare i sistemi informatici dell’avversario, ma anche di penetrare in essi per carpire informazioni o per manipolare quelle esistenti. Hanno la capacità di neutralizzare economia, servizi pubblici o capacità militari.
I futuri conflitti saranno caratterizzati dalla combinazione di azioni «cinetiche» e di azioni cyber. Gli attacchi possono essere predisposti fin dal «tempo di pace», inserendo Trojan horses nelle reti e nei computer dei potenziali avversari e attivandoli al momento dell’aggressione.
Ogni epoca è caratterizzata da propri tipi di guerra e di armamenti, coerenti con il sistema delle relazioni internazionali e con i regimi e i valori etico-politici prevalenti. I cambiamenti sono trainati sia dalle tecnologie sia dalla geopolitica. Talvolta, l’evoluzione tecnologica è determinata dalle esigenze militari; talaltra dagli interessi commerciali.
La rivoluzione del contesto di sicurezza mondiale, avvenuta con la fine della Guerra fredda, e la comparsa del megaterrorismo transnazionale hanno stimolato un’evoluzione particolarmente dinamica soprattutto nei settori della robotica, delle armi non letali e della cyberwarfare. Essa continuerà nel 21° sec., perché alla rivoluzione tecnologica dell’informazione si aggiungeranno quelle delle nano e delle biotecnologie.