SUBACQUEE, ARMI
. Origine delle armi subacquee e loro evoluzione attraverso i secoli. - Le armi subacquee nacquero dal bisogno di difendersi, con mezzi finanziarî limitati, contro forze navali superiori; e, come le mine terrestri dalle quali traggono origine, sono invenzione del tutto italiana.
Gli effetti disastrosi ottenuti con le mine terrestri condussero a cercar d'impiegare le cariche di polvere anche sott'acqua, per la distruzione delle navi: nacquero così le mine subacquee, che rappresentano una continuazione, per così dire, perfezionata, dei mezzi incendiarî impiegati fino dall'antichità remota nella guerra navale (fuoco greco, ecc.).
G. B. Isacchi di Reggio Emilia, in una sua lettera (9 marzo 1578) diretta a Carlo Fmanuele di Savoia, descrive la prima mina subacquea conosciuta. Altri tipi descrivono G. B. Della Porta nella sua Magia Naturalis (1597), e Bartolomeo Crescenzio nella sua Nautica Mediterranea (1602). Di questi congegni il più completo è quello dell'Isacchi: egli ne precisa le dimensioni e i particolari strutturali; indica altresì le modalità d'impiego anche per quanto riflette la durata della miccia, la profondità d'immersione più conveniente, ecc.; ma nessuno di essi entrò nel campo della pratica. Uguale sorte ebbero le proposte fatte successivamente all'estero, dal padre M. Mersenne (1644), da C. Siemanowicz (1650) e da J. Wilkins (1680).
Migliore successo delle mine sotto l'acqua ebbero quelle galleggianti, e cioè i brulotti (v.). Di questi brulotti esplodenti la prima pratica applicazione è italiana ed è attribuita a F. Giambelli o Giannibelli (sec. XVI), che durante l'assedio di Anversa lanciò due pontoni, la Fortuna e la Speranza, per distruggere un ponte gettato sulla Schelda (1585). Il brulotto del Giambelli andò sempre più perfezionandosi nel sec. XVII. Largo fu l'impiego dei brulotti nei tempi posteriori, fra i quali quello contro l'Invincibile Armata alla fonda a Calais (8 agosto 1588), e quello fatto da C. Canaris contro i Turchi (1822-24). Analoghe applicazioni con mezzi moderni furono studiate dalla Marina italiana durante le guerre d'indipendenza (Gaeta, 1861) e nella guerra mondiale (Pola, 1918).
Lo studio delle mine subacquee fu ripreso nel 1775 in America da D. Bushnell, ideatore di una serie di congegni i quali servirono ad aprire la via agli studî posteriori (1797) di R. Fulton, che per primo diede alle armi sopra citate il nome di torpedini. Tale definizione fu mantenuta in seguito per indicare ogni arma subacquea, ancorata o libera, destinata ad agire contro scafi per urto, o, automaticamente, a distanza utile.
Qualche applicazione pratica delle torpedini fu fatta nella guerra d'indipendenza d'America (1776-77), negli attacchi della squadra francese a Boulogne (1804-05) da parte della flotta inglese dell'amm. G. Keith, e nel conflitto anglo-americano del 1812; ma l'impiego completo e razionale di esse compare solo nel 1855-56 per la difesa delle coste russe, nel Baltico e nel Mar Nero: in tale circostanza fecero buona prova svariati congegni ideati da M. Jacobi, valente elettrotecnico.
Nella guerra di secessione d'America (1862-65) e nella guerra russoturca (1877) ebbero largo impiego le torpedini ad asta, torpedini esplodenti fissate all'estremità di un'asta portata sulla prora di una piccola imbarcazione a vapore. La lunghezza dell'asta era sufficiente perché lo scoppio della torpedine contro la nave nemica non producesse troppo danno al battello. Tali imbarcazioni furono in seguito perfezionate in modo da lasciar sporgere soltanto il ponte e con l'aggiunta di un apposito meccanismo per lanciare la torpedine in prossimità della nave nemica.
Le vere torpedini ebbero ulteriore sviluppo durante la guerra del 1859 per opera del colonnello austriaco Ebner: egli, che fino dal 1857 aveva sostituito le cariche di fulmicotone a quelle di polvere pirica, mise in opera svariati tipi di armi ancorate, o poggiate sul fondo, munite d'interessanti congegni. La Marina italiana, dopo la liberazione di Venezia, continuò e sviluppò gli studî dell'Ebner: e nel 1875 istituì in quella città, a bordo della pirocorvetta Caracciolo, la R. Scuola dei torpedinieri, successivamente trasferita a La Spezia.
Fino al 1890 le torpedini furono ad ancoramento ordinario, cioè, in base alla profondità dello specchio d'acqua da sbarrare (precedentemente scandagliato) e all'immersione alla quale si voleva rimanesse la carica esplosiva, si regolava la lunghezza del cavo che unisce la carica all'ancora (ormeggio). L'ancoramento di queste armi richiedeva quindi mezzi speciali, tempo non breve e presentava difficoltà con mare mosso.
Per accelerare la posa delle armi si cercò di fare in modo che la torpedine si ancorasse automaticamente all'immersione voluta e a qualsiasi profondità non conosciuta, con il semplice getto a mare dell'arma, senza dover scandagliare in precedenza i fondali. Queste torpedini vennero dette ad ancoramento automatico. Intensi furono gli studî al riguardo in Italia e all'estero. Fra i pionieri in questo ramo si ricordano: l'austriaco Petrusky, il quale presentò nel 1883, alla Marina italiana, una torpedine dove compare per la prima volta il sistema di ancoramento a gavitello, avente cioè come piano di riferimento per la regolazione dell'ormeggio la superficie del mare; l'italiano G. B. Rosellini (1884-86), il cui progetto contiene la prima idea di effettuare la regolazione dell'ormeggio, prendendo come piano di riferimento il fondo del mare (sistema a scandaglio); l'italiano D. Campanari (1885), il quale propose un'ancora che non era una vera ancora automatica, ma che rappresentava una semplificazione delle operazioni di ancoramento; l'italiano C. Susanna (1885-90), che costruì un organo ad azione idrostatica che impediva il funzionamento del congegno pendolare di accensione per effetto del moto ondoso prodotto dallo scoppio di torpedini e controtorpedini contigue; l'italiano F. Passino (1885-90), che ebbe la prima idea del freno ad attrito e dei regolatori idrostatici per la regolazione dell'immersione dell'arma, in seguito largamente applicati; e infine l'italiano G. E. Elia (1889).
Con i sistemi di ancoramento progredirono pure quelli di accensione. Ai primi sistemi meccanici e a miccia, il colonnello americano S. Colt sostituì nel 1841 il sistema elettrico, con spolette elettriche, che furono dapprima a salto di scintilla o a forte tensione, per le quali occorreva l'impiego del rocchetto Ruhmkorff, e in seguito (1877) a debole tensione o a ponticello di platino, per le quali era sufficiente la corrente di pile. Le spolette impiegate nella guerra del Baltico (1855-56) erano a reazione chimica; la corrente, cioè, avvenuta la rottura di un urtante, era prodotta dalla reazione di acido solforico su clorato di potassio e zucchero: si generava una vampata che si trasmetteva alla polvere nera della carica.
Il problema della posa delle torpedini, ancora eseguita con mezzi inadeguati e con scarso rendimento, venne risolto dall'Elia, il quale nel 1889 ideò la prima torpedine veramente automatica. La sua cassa era normalmente adagiata sull'ancora, costituita da un involucro di lamiera di forma parallelepipeda, avente al disotto quattro rotelle per renderla atta a scorrere su binarî: questo dispositivo non solo rendeva facili le operazioni d'imbarco delle armi sui galleggianti destinati alla posa, ma permetteva d'impiegare per questo scopo navi ordinarie, purché fornite di binarî. In detta torpedine comparve anche una novità geniale, quella dell'ancora riempibile d'acqua durante il suo affondamento (ancora allagabile). Quest'arma realizzava per la prima volta l'idea della torpedine da blocco, cioè di un'arma la quale potesse essere ancorata da un'unità da battaglia, in moto anche a velocità elevate, in modo da poter sbarrare gli ancoraggi del nemico. L'Elia propose in seguito anche un altro impiego di queste armi, di creare cioè dei veri banchi di torpedini al largo, in guisa che una flotta potesse, con opportune manovre, attirarvi sopra l'avversario, dando origine a una speciale tattica, particolarmente studiata in Italia.
Nel 1893 l'Elia presentava un nuovo progetto di torpedine, nel quale la cassa della carica e l'ancora (con lo scandaglio in esso stivato) formavano un sol corpo rotolabile, come una botte, senza bisogno di binarî o altre sistemazioni speciali. Così il problema dell'arma subacquea ancorabile prontamente anche ad alta velocità era risolto, e la nuova torpedine veniva adottata dalla R. Marina italiana nel 1895. Si ebbero allora torpedini difensive per la difesa delle piazzeforti (sbarramenti difensivi) e torpedini offensive o da blocco, da impiegarsi, oltre che a scopo difensivo, per bloccare nei proprî ancoraggi una forza navale nemica (sbarramenti offensivi).
Come abbiamo visto, la guerra di secessione d'America aveva già conosciuto l'uso della torpedine ad ancoramento; nella guerra russo-giapponese (1904) le torpedini ebbero una parte assai più importante; ma chi fece assurgere a un posto di prim'ordine quest'arma fu la guerra mondiale, soprattutto per l'azione antisommergibile. Infatti la grandiosa offensiva dei sommergibili tedeschi impose di studiare contro queste navi insidiose nuove armi che avessero carattere non solo di difesa passiva, ma che fossero capaci di raggiungere e di colpire il sommergibile immerso, sostituendosi in certo modo al cannone. Durante la guerra sorsero quindi le ostruzioni semplici ed esplosive, le torpedini da rimorchio, a galleggiamento temporaneoo da lanciarsi alla deriva, gli apparecchi di protezione delle navi contro torpedini, gli apparecchi di dragaggio dei campi minati, ecc. Contemporaneamente si sviluppavano gli apparecchi preesistenti, e cioè i ginnoti, le controtorpedini destinate alla distruzione di torpedini e di ginnoti, munite di accensione a tempo o di accensione elettrica a volontà, i vomeri, i rampini esplodenti, che per la loro forma servono a rastrellare i conduttori elettrici (e a determinarne la rottura allo scopo d'interrompere le comunicazioni telefoniche) o i cavi di accensione dei ginnoti; le mine subacquee per distruggere ostruzioni e scafi sommersi; le torpedini da ostruzione per le ostruzioni esplosive, ecc.
Torpedini e armi subacquee minori. - 1. Torpedini ad ancoramento. - Una torpedine ad ancoramento automatico è, in generale, essenzialmente costituita di: a) involucro o cassa metallica contenente la carica di scoppio e gli altri organi interni necessarî al funzionamento dell'arma; b) carica di scoppio, fusa nella cassa o in cartocciere a parte, la quale comprende: la carica di scoppio propriamente detta, l'innesco, quantità di esplosivo contenuto nelle suddetta carica per trasmettere a questa l'energia di urto necessaria per provocarne l'esplosione; il detonante, al quale si ricorre per provocare la detonazione dell'innesco; gli incendivi, artifizî destinati a provocare il funzionamento del detonante. Fra gli artifizî si annoverano pure le micce a tempo o di sicurezza o a lenta combustione, e le micce istantanee o detonanti; c) congegni di accensione, mediante i quali si determina l'esplosione della carica: meccanici, elettrici o chimici, statici (masse, pendolo, o palla, mantenuta in equilibrio), idrostatici, ecc.: tutti i sistemi che richiedono, per il loro funzionamento, l'urto diretto della cassa della torpedine. Durante la guerra mondiale fu studiato, e in seguito perfezionato, un congegno di accensione ad antenna elettromagnetica (Browne), il quale utilizza ingegnosamente la differenza di potenziale che si determina fra un'antenna di rame posta superiormente o inferiormente alla torpedine e da questa isolata, e lo scafo di una nave o il cavo di rimorchio di un paramine, essendo l'elettrolito costituito dall'acqua di mare; d) congegni di sicurezza (di attivazione e disattivazione), che possono essere: interruttori idrostatici, a sale ammoniacale, a tensione; e) sistemi di ancoramento, che possono essere ordinarî o automatici, e, in quest'ultimo caso, a scandaglio, se la posa dev'essere effettuata da unità di superficie, o a piatto idrostatico, se da unità sommergibili. Nel primo caso la cassa rimane a galla durante le fasi di ancoramento; nel secondo la cassa discende con l'ancora fino al fondo o fino a una determinata quota, e poi risale verso la superficie senza mai portarsi sopra la quota d'immersione per la quale fu regolata, ciò che è necessario per non svelare non solo gli sbarramenti ma anche i sommergibili durante la posa.
A seconda del tipo della torpedine ad ancoramento automatico, e dell'unità impiegata per la posa, le fasi di ancoramento variano.
La posa può essere effettuata da navi di superficie leggiere aventi speciali adattamenti; da unità di superficie speciali (posamine e incrociatori posamine); da sommergibili immersi provvisti di camera di lancio centrale o di tubo di lancio orizzontale o di pozzo verticale o di sistemazione di posa dalla intercapedine.
2. Ginnoti (torpedini fisse). - Il ginnoto è l'arma subacquea destinata ad agire contro il fondo degli scafi, essendo poggiata sul fondo del mare o ancorata a profondità maggiore della massima immersione di detti scafi e azionata a volontà da osservatori situati a terra. In tal modo le navi proprie o amiche possono entrare e uscire dai porti passandovi sopra, mentre quelle avversarie vengono distrutte quando passano nel raggio di azione delle cariche esplosive. L'esplosione viene determinata da terra, per mezzo di speciali congiuntori di rilevamento a base verticale (Carlo Scotti) o orizzontale, quando la nave risulta nel raggio di azione di un determinato ginnoto. Per l'inutilizzazione dei ginnoti, o meglio dei cavi elettrici che li collegano alle stazioni di osservazione a terra, si adoperano rampini esplodenti, impiegati in Danimarca fino dal 1875.
3. Torpedini alla deriva. - Le torpedini che vengono abbandonate alla deriva, e che sono chiamate "a galleggiamento temporaneo", appartengono a tre tipi: a) quelle dotate di gavitello che ne assicura la galleggiabilità a una determinata immersione; b) quelle che, gettate a mare, brillano a profondità prestabilita per l'azione di congegni in generale di tipo idrostatico (bombe torpedini antisommergibili italiane, depth-charges inglesi, ecc.); c) quelle oscillanti, che si mantengono automaticamente fra due acque, pronte a funzionare all'urto, fino all'affondamento il quale avviene per effetto di una valvola elettrolitica o per lo scioglimento di una piastrina di solfato di calcio.
Fra i sistemi automatici per le torpedini oscillanti sono da ricordare: il sistema svedese (Léon, 1913), nel quale il movimento di ascesa è determinato da un'elica azionata da un motore elettrico ad accumulatore, comandato a sua volta da un piatto idrostatico; il sistema italiano (Tosi), costituito da un polmone di gomma, che variando il suo volume mantiene la torpedine alla profondità prestabilita (l'immissione dell'aria dal serbatoio al polmone, o lo scarico, è regolata da un piatto idrostatico), e il sistema inglese (Sandford), costituito da un polmone metallico tipo aneroide e da un piatto idrostatico: invece dell'aria compressa viene impiegato il gas ammoniaco contenuto in un apposito serbatoio.
La nave che prende caccia, cerca di distruggere la nave nemica che la insegue gettando da poppa queste armi. Il getto a mare avviene a mezzo di speciali "cucchiaie", bombarde ad aria e a polvere, ecc. Furono anche impiegate in passato, per l'attacco ai sommergibili, oltre alle bombe torpedini di profondità, anzidette, grosse bombe, munite di governale e di spolette a tempo, in modo da ottenere analogo risultato: il lancio veniva effettuato mediante cannoni di piccolo calibro.
4. Torpedini da rimorchio contro sommergibili. - Sono armi che portate a rimorchio, anche a elevata velocità (25 nodi), si dispongono e si mantengono a una determinata immersione, pronte a scoppiare contro un sommergibile per effetto di urto (tipo italiano) o in conseguenza della chiusura di un circuito elettrico di accensione (tipo inglese).
L'idea sorse dall'apparecchio chiamato "sentinella sottomarina", che dà un segnale quando la nave che lo rimorchia entra in zone di bassi fondali. La "sentinella" è costruita come una specie di cervo volante, ma capovolto sott'acqua, che per mezzo di un cavo di acciaio può essere rimorchiato, durante la navigazione, alla profondità prestabilita: esso è congegnato in modo che quando tocca il fondo si libera dal rimorchio e viene a galla, facendo azionare un segnale acustico d'allarme.
5. Ostruzioni. - V. ostruzioni.
6. Dragaggio. - Consiste nel togliere, senza danno proprio, le torpedini ancorate dall'avversario, o almeno nell'allontanare le armi dalla propria rotta. Esso viene usato per la protezione del naviglio contro le offese delle torpedini e si distinguono in protettivo, in corsa e sistematico. Il primo è impiegato da una nave per protezione propria e viene eseguito con i paramine o lontre (o paravannes, dal nome dell'inventore), portati dalla nave stessa; il secondo ha lo scopo di distruggere campi minati, attraverso i quali deve passare una forza navale e viene eseguito da navi leggiere con i paramine; il terzo ha lo stesso scopo del secondo, ma viene particolarmente adoperato lungo le rotte di sicurezza e di approccio sia alle piazzeforti marittime sia ai porti, e viene compiuto da navi apposite (dragamine) o naviglio leggiero, con gli apparecchi di dragaggio tipo francese e con apparecchi di dragaggio a sciabica. Per il dragaggio delle torpedini aventi in tutto o in parte ormeggio in catena, furono ideate cesoie esplodenti, che anziché tagliare rompono l'ormeggio, esplodendo a contatto.
Siluri. - Il siluro è un'arma automatica, che movendosi sott'acqua con mezzi proprî, porta a distanza e in direzione stabilite una rilevante carica di scoppio capace di produrre grandi effetti distruttivi contro la parte immersa delle navi e contro le difese subacquee.
Cenni storici-descrittivi. - Apparecchi complicatissimi consentono di ottenere: traiettorie quasi perfettamente rettilinee, con velocità praticamente uguali e ben determinate; moto a profondità costante e regolabile a volontà, onde poter colpire il bersaglio nella parte più vulnerabile e nelle migliori condizioni per l'effetto dirompente dell'esplosivo; possibilità di lancio anche con mare grosso e da navi spinte alla massima velocità. La carica di scoppio del siluro è contenuta nella parte anteriore ("testa"); la sua propulsione è ottenuta mediante una macchina motrice funzionante ad aria compressa, contenuta in un apposito serbatoio, la quale macchina aziona due eliche posteriori coassiali. Il siluro s'immerge e si mantiene a profondità determinata mediante timoni orizzontali comandati dai regolatori d'immersione (piatto idrostatico e pendolo), e percorre una traiettoria pressoché rettilinea nella direzione stabilita mediante timoni verticali, comandati da un organo di direzione (guida-siluri).
La storia del siluro è associata a quella dei suoi inventori, l'italiano G. B. Luppis, ufficiale della marina austro-ungarica (Fiume 1814-Milano 1875) e l'ingegnere R. Whitehead (1823-1905). Già nel 1811 il colonnello E. G. Paixhans, nel bacino della Villette a Parigi, faceva navigare un'imbarcazione carica di artifizî di guerra, il motore della quale era costituito da un razzo di grosso calibro. Altri esperimenti e tentativi analoghi vennero fatti anche altrove, finché verso il 1860 il Luppis costruì e sperimentò a Fiume dapprima il salvacoste, specie di barilotto semovente, azionato da una macchina a orologeria, e poi uno speciale battello pure semovente, che oltre la macchina propulsatrice portava una carica di esplosivo, la quale doveva brillare a contatto dell'opera da distruggere: il battello era diretto da terra mediante due guide di cavo.
I tentativi del Luppis non ebbero però un risultato pratico, cosicché egli nel 1864 associava alla sua impresa il Whitehead, fondatore dello stabilimento meccanico di Fiume, il quale modificò l'idea del Luppis nel senso di rendere il proiettile subacqueo e indipendente dal congegno di lancio. Fu così che, di tentativo in tentativo, il Luppis e il Whitehead giunsero a finire, nell'ottobre del 1868, il primo siluro azionato ad aria compressa e completamente autonomo rispetto alla terra.
Le caratteristiche di questo primo siluro erano: diametro mm. 356; lunghezza m. 3,53; peso totale kg. 136; carica esplosiva kg. 15-18 di polvere o fulmicotone umido; pressione d'aria nel serbatoio atm. 25; velocità oraria 6-7 nodi a 600 metri. L'arma era di ferro battuto con larghe pinne verticali e orizzontali e della forma di un delfino, forma che poi fu mutata in quella di un fuso. Due timoni orizzontali servivano a far muovere in alto e in basso il siluro, e agivano automaticamente mediante un meccanismo segreto. La macchina ad aria compressa era del tipo composito a due cilindri, oscillanti, agenti con una sola manovella. L'aria compressa era contenuta in un recipiente alla pressione di 25 kg. per cmq. Questo siluro fu provato negli anni 1867-68 dalla cannoniera austriaca Gemse, munita a prora di un tubo di lancio sopracqueo, ideato e costruito dallo stesso Whitehead. È qui opportuno ricordare l'ausilio e la cooperazione dati agli inventori dai tecnici fiumani, tra cui il Ploech, che riuscì finalmente a rendere regolare il funzionamento del pendolo e del piatto idrostatico, con quel dispositivo che costituiva il famoso "segreto" del Whitehead. Nel 1867-68 l'Austria-Ungheria acquistava il diritto di usare dell'invenzione del Whitehead, seguita presto dall'Inghilterra (1871), dalla Francia (1872), dall'Italia (1873), ecc.
Il progresso del siluro fu continuo e celere: all'unica elica furono sostituite due eliche coassiali per evitarne l'effetto di sbandamento (1878), s'introdussero poi: il servomotore per i timoni orizzontali (1878) e in seguito anche per quelli verticali; il meccanismo d'immobilizzazione degli organi di direzione al momento del lancio (1880); il moderatore a ventaglio (1882); la forma rigonfia della testa, per aumentare il dislocamento, ma non il peso del siluro, il giroscopio o guidasiluri (1895), ideato da L. Obry di Pola per assicurare la stabilità della corsa nel piano orizzontale; il lancio angolato, che permette di dirigere il siluro in una direzione diversa da quella del lancio, la cui prima idea sorse nel 1884; l'acciarino tagliareti, ideato e concretato in Italia verso il 1888 dal Bellemo veneziano; il regolatore di distanza che determina, nei lanci di esercizio, la chiusura della leva della messa in moto della macchina del siluro (leva di registro), e quindi l'arresto del motore, ecc.
Anche il motore progredì: la macchina composita a due cilindri oscillanti fece posto successivamente al motore a tre cilindri a stella (1877), a quello a quattro cilindri, alla turbina dell'americano Bliss, alla macchina a due cilindri orizzontali a doppio effetto della società Whitehead di Fiume (1909), al gruppo di due motori affiancati, a semplice effetto, di 4 cilindri ciascuno, azionanti un albero a gomito, del Silurificio italiano. Nel 1907 fu introdotto in Italia il riscaldamento dell'aria ad alcool e a petrolio (l'idea si trova però in un brevetto preso nel 1873 dal colonnello russo Šeliga), che permette di accrescere il lavoro che si può ottenere da una determinata quantità di aria. Così, mentre alle distanze di 1000 e 2000 m. si hanno con aria fredda le velocità di nodi 33,80 e 26,65, rispettivamente, con aria riscaldata le predette velocità salgono a nodi 37,45 e 35. Nello stesso tempo le dimensioni aumentarono rapidamente, e con esse la carica, il percorso e la velocità. Dal peso della carica di 15-18 kg. del primo siluro sperimentale si è saliti a quella di 300 kg., e fu prevista anche quella di 460 kg.; dal diametro iniziale di 356 mm. si è passati successivamente a quello di 406 (1887), di 450 (1888), di 533 (1900-05), di 600 mm. durante la guerra mondiale; non solo, ma in Germania, a Friedrichshort, nel 1917 era in costruzione un siluro di prova del diametro di 700 mm., lungo m. 9; e a Fiume, pure durante la guerra, fu studiato, ma non costruito, un siluro di 800 mm. di diametro, lungo m. 10,80, del peso di kg. 5200. La velocità, da 6-7 nodi per un percorso di 600 m., è salita a quella di 50 nodi per un percorso di 4000 m., mentre si può giungere fino a 12.000 m. con una velocità di oltre 30 nodi. Dal peso totale del siluro di 136 kg. si è giunti a quello di oltre 1700; dalla pressione dei serbatoi di 25 atmosfere, mercé i progressi della siderurgia, a 200 atmosfere. Fu pure studiata, ma finora senza seguito, l'applicazione al siluro del motore a scoppio alimentato con ossigeno e con ossigeno e idrogeno, e del motore elettrico con accumulatori (a scia invisibile). Né ebbe seguito l'idea del Howell (1885), americano, di accumulare l'energia sotto forma di forza viva con un pesante volano, interno al siluro, messo in rapida rotazione prima del lancio, mediante un motore facente parte del lanciasiluri.
L'accumulazione di energia sotto forma di esplosivo solido o liquido sarebbe interessante, ma non vi è fino a oggi un motore soddisfacente di questo genere; le prove di un riscaldatore a termite (polvere di AlMnO2, ecc.), che hanno preceduto quelle del riscaldamento ad aria, non hanno dato alcun pratico risultato.
In tutti i siluri attuali l'energia è prodotta dall'aria compressa riscaldata dall'alcool o dal petrolio.
Tecnica. - Le parti principali costituenti un siluro sono: la testa, il serbatoio dell'aria, la camera d'acqua, la camera dei congegni o compartimento del riscaldatore, il compartimento del motore, la poppa e l'armatura.
I molteplici requisiti cui deve soddisfare il siluro devono essere necessariamente collegati fra loro in un compromesso armonico. Quelli che più essenzialmente tendono a garantire il successo dell'arma sono: a) alta velocità; b) regolarità di traiettoria, tanto nel piano verticale quanto in quello orizzontale; c) grande raggio di azione; d) forte carica distruttiva: requisiti l'uno contrastante con l'altro, che si è cercato e si cerca tuttora di sviluppare al massimo. L'elemento essenziale per ottenere la propulsione è l'aria, compressa a 200 atmosfere, contenuta in un apposito serbatoio di forma cilindrica, che costituisce la parte principale del corpo del siluro stesso. Quest'aria viene preventivamente riscaldata mediante la combustione di petrolio, o di alcool, in un apposito apparecchio, detto appunto "riscaldatore". Qui l'aria proveniente dal regolatore di pressione, con efflusso continuo, incontra un getto di combustibile polverizzato, la cui accensione viene provocata all'inizio della corsa per mezzo di due o tre cartucce, che s'infiammano automaticamente. Poiché la temperatura sarebbe troppo elevata per il motore, viene introdotto nel riscaldatore un getto di acqua dolce, proveniente da apposito serbatoio, la quale vaporizzandosi e surriscaldandosi si unisce ai gas stessi e completa la miscela da inviare alla macchina. Per la maggior parte dei siluri in uso, il motore è del tipo alternativo con un alto numero di giri: solo nei siluri della marina americana s'impiegano turbine, a doppia girante. La potenza massima del motore, per i siluri più moderni, si aggira sui 350-400 HP. La loro regolazione si ottiene strozzando l'aria di ammissione (regolatore di distanza). L'estremità prodiera del siluro si chiama testa, e la sua forma è scelta in modo da assicurare la minore resistenza all'avanzamento dell'arma e da avvicinare il baricentro della carica al bersaglio. Per ogni siluro si costruiscono due teste: una di guerra, contenente la carica esplosiva con i relativi acciarini e inneschi per provocarne lo scoppio con l'urto sia frontale che laterale; e una da esercizio, che viene adoperata per i lanci da esercizio, nella quale la carica è sostituita da un eguale peso d'acqua per assicurare la stessa distribuzione dei pesi nel siluro.
Per regolare la rotta dell'arma, ossia per ottenere una traiettoria praticamente rettilinea, nella direzione e alla profondità volute, esistono due organi principali: il guidasiluro e il regolatore di profondità.
Il guidasiluro, inventato dall'italiano L. Oby nel 1895, è costituito da un giroscopio dotato di massa rotante ad altissimo numero di giri, la quale per il principio giroscopico tende a mantenere invariata la posizione del suo asse e permette di richiamare il siluro nella sua giusta direzione, agendo mediante opportuni congegni sui timoni verticali ogni volta che per una causa qualsiasi esso tende ad allontanarsene. È questo uno degli organi più delicati e che richiede le maggiori cure. Normalmente la direzione è quella corrispondente all'asse del tubo di lancio, ossia la stessa nella quale il siluro viene lanciato; un apposito dispositivo permette però anche di agire sul guidasiluri, in modo da far seguire al siluro una rotta spostata di un determinato angolo rispetto all'asse del tubo di lancio (lancio angolato). Il regolatore di profondità serve a regolare l'immersione del siluro, e a mantenerlo alla profondità voluta mediante i timoni orizzontali. Questo congegno risulta formato dall'insieme di due organi: il piatto idrostatico e il pendolo. Il piatto idrostatico è costituito da una membrana di gomma esposta da una parte alla pressione esterna dell'acqua, pressione variabile con la profondità, mentre dall'altra parte è premuta da una molla regolata. Soltanto quando vi è equilibrio fra le due spinte, la membrana assume la posizione media e mantiene i timoni orizzontali nella posizione necessaria perché il siluro non si sposti né verso l'alto né verso il basso. Non appena per una causa qualsiasi varia la profondità, varia anche la pressione sulla faccia esterna, e il piatto spostandosi comanda i timoni nel senso opposto, in modo da riportare il siluro alla stabilita immersione. Regolando la tensione della molla si varia la condizione di equilibrio del piatto e quindi anche la profondità sulla faccia esterna, e il piatto spostandosi comanda i timoni nel senso opposto, in modo da riportare il siluro alla stabilita immersione. Generalmente l'immersione è regolabile da 2 a 12 m. Il pendolo, agendo sotto l'effetto dell'inclinazione dell'arma, serve a rendere più graduale l'azione dovuta al piatto idrostatico e ne modifica in conseguenza, mediante adatto congegno, l'azione sui timoni. Senza tale organo il siluro navigherebbe oscillando troppo violentemente intorno alla rotta stabilita.
La velocità dei siluri si regola prima del lancio, allo scopo di ottenere in ogni caso la velocità massima compatibile con la distanza che il siluro deve percorrere per raggiungere il bersaglio e con la quantità d'aria contenuta nel serbatoio. Alla distanza massima corrisponde la velocità minima, perché la maggiore durata del percorso impone un risparmio di aria e quindi una potenza più bassa; alle distanze brevi invece si può erogare l'aria più rapidamente e quindi ottenere una maggiore potenza, e perciò una maggiore velocità. La regolazione di velocità però non è continua; generalmente si limita a tre corse: di 4000, di 8000, e di 10.000 o 12.000 m., con velocità decrescenti.
I silurifici hanno un apposito pontile di lancio, situato in posizione opportunamente scelta per effettuare le prove e i collaudi a mare dei siluri, e speciali zattere-bersaglio per misurare la deviazione che ha il siluro durante la sua corsa, sia nel piano verticale sia in quello orizzontale. Si riportano qui appresso alcuni dati relativi a siluri recentemente costruiti dal Silurificio italiano di Napoli e da quello della Società Whitehead di Fiume: lunghezza del siluro mm. 7200; calibro mm. 533,4; peso della carica esplosiva kg. 270; peso del siluro pronto in guerra kg. 1600; velocità a m. 4000 nodi 52; velocità a m. 8000 nodi 39-40; velocità a m. 12.000 nodi 31-32.
Si può dire che oggi, per tutte le nazioni, i siluri siano quasi sempre di due soli diametri: siluri da 533,4 mm. (21 pollici) e siluri da 450 mm. (18 pollici). Le lunghezze invece variano in genere notevolmente da un tipo all'altro. I siluri da 533,4 mm. possono portare circa 300 kg. di carica, quelli da 450 mm. un quantitativo minore. Questi ultimi, dato il loro peso limitato, sono particolarmente indicati per il naviglio leggiero e per gli aerei, per i quali ultimi però si adottano in genere siluri speciali.
Tubi di lancio o lanciasiluri. - Come è stato precedentemente accennato, per eseguire i lanci con il primo esemplare di siluro (1867-68) il Whitehead aveva ideato e costruito un tubo di lancio subacqueo disposto a prora della cannoniera Gemse. Questi apparecchi vennero successivamente perfezionati, in modo da rendere possibile il lancio con le navi in moto anche ad alta velocità e con sistemazioni sopracquee, subacquee e leggiere. Di qui i tre tipi attuali di lanciasiluri: subacquei, sopracquei e a tenaglia.
I lanciasiluri subacquei sono rigidamente fissati allo scafo, o isolati (navi di superficie), o a gruppi di due, quattro o sei (sommergibili). Ciascun tubo è munito di due fondi, di cui l'uno, mobile, si apre nell'interno della camera di lancio e serve per l'introduzione del siluro, mentre l'altro, "portello esterno", serve a impedire l'entrata dell'acqua di mare durante tale operazione e dev'essere aperto prima del lancio per permettere l'uscita del siluro.
Naturalmente, con il portello esterno aperto, il tubo è allagato, e quindi il siluro si viene a trovare già immerso in acqua prima della sua uscita. In tali condizioni la spinta di galleggiamento viene a equilibrare in massima parte il peso, e non è quindi necessario alcun accorgimento, a differenza dei lanciasiluri sopracquei, per impedire avarie al siluro durante l'uscita dal tubo. Un opportuno dispositivo permette di vuotare il tubo prima dell'apertura del fondo mobile per l'introduzione di un nuovo siluro.
Il lancio viene generalmente effettuato mediante aria compressa, contenuta in apposite bombole: l'apertura di una valvola fa scaricare quest'aria nel tubo provocando l'espulsione del siluro. Opportuni dispositivi di sicurezza impediscono di effettuare false manovre, quali, ad esempio, l'azionamento della valvola di lancio con portello chiuso, oppure l'apertura del fondo mobile quando il portello esterno è aperto.
La messa in moto del siluro avviene non appena iniziata la corsa di uscita per l'abbattimento dell'apposita leva di registro, provocato da un opportuno scontro sistemato nell'interno del tubo.
I lanciasiluri subacquei laterali per il lancio al traverso, sistemati sulle navi di grandi dimensioni, devono essere provvisti di opportuni dispositivi atti a impedire che con nave in moto a una certa velocità, l'acqua, investendo lateralmente il siluro durante la sua uscita, possa provocare avarie al siluro stesso. La disposizione più comune è costituita da una cucchiaia verticale di protezione che viene spinta in fuori al momento del lancio, per proteggere il siluro durante la sua uscita. Normalmente tale cucchiaia è rientrata, per non offrire resistenza al moto della nave. Si è cercato qualche volta di eliminare la cucchiaia e i relativi inconvenienti costruendo dei tubi svasati nella parte anteriore, tubi "a trombone", allo scopo di consentire una rotazione del siluro, durante la sua uscita, intorno a due perni fissati nella sua parte posteriore e scorrenti in due guide.
I lanciasiluri subacquei laterali delle navi sono ora generalmente aboliti, salvo sulle grandi corazzate.
In alcune marine, per i sommergibili - quando i siluri siano portati esternamente allo scafo resistente - e per le stazioni di lancio terrestri, vengono adoperati lanciasiluri "a gabbia" o "a carcassa". La gabbia è costituita da un insieme di travature che collegano rigidamente le quattro guide del siluro: l'acqua circola liberamente nel suo interno e l'uscita del siluro si effettua con mezzi proprî, utilizzando la spinta delle eliche; il lancio si ottiene quindi col semplice abbattimento della leva di messa in moto (leva di registro).
I lanciasiluri sopracquei hanno una lunghezza sensibilmente inferiore a quella dei subacquei, essendo sufficiente che sia contenuta in essi, per ottenere l'impulso, una parte del siluro: superiormente il tubo si prolunga con una cucchiaia orizzontale di guida e di sostegno. Nella parte posteriore vi è un fondo mobile per l'introduzione del siluro, mentre sul davanti il tubo è aperto, e anzi, come si è detto, il siluro viene a sporgere per una parte della sua lunghezza sotto la cucchiaia. Il diametro del tubo è di qualche centimetro superiore a quello dei siluri; quattro guide, di cui una inferiore di appoggio, servono a tenere centrato il siluro. Solo anteriormente vi è un collare, con lasco minimo che fa da manicotto di tenuta per i gas, all'atto del lancio. Per poter adoperare con un determinato tubo anche siluri di diametro inferiore a quello previsto, viene impiegata una "gabbia di riduzione", costituita da una carcassa di lamiera di forma tale da occupare inferiormente e per tutta la lunghezza del tubo lo spazio in eccesso, riducendo la sezione al diametro voluto; in tal modo con i tubi da 533 mm., ad esempio, possono venire lanciati anche siluri da 450 mm.
La messa in moto dell'arma avviene come per i tubi subacquei, salvo che il siluro dev'essere munito di un apposito congegno ritardatore per impedire che si producano avarie con l'avviamento del motore a vuoto prima che il siluro giunga in acqua.
L'espulsione del siluro può essere ottenuta, oltre che mediante aria compressa, anche mediante l'accensione di una carica di polvere pirica. Gl'impianti più recenti sono muniti di entrambi i sistemi, con dispositivo per il passaggio rapido dall'uno all'altro, in modo da garantire il lancio in ogni eventualità.
Nella maggior parte dei casi, i tubi sopracquei sono sistemati sopra coperta e sono brandeggiabili; quando invece la sistemazione è fatta sotto coperta i tubi sono generalmente fissi per ragioni di spazio.
Gl'impianti brandeggiabili possono essere composti di un solo tubo (singoli), oppure di due, tre o più tubi (binati, trinati, ecc.). Tali impianti sono costituiti da una piattaforma (base) rigidamente fissata alla coperta della nave, sulla quale ruota una piattaforma mobile che porta i tubi. Il movimento di rotazione avviene a mano o a motore intorno a un perno sufficientemente robusto per resistere agli sforzi di rinculo all'atto del lancio e a quelli derivanti dagli sbandamenti della nave. Il peso della parte mobile viene, invece, trasmesso alla piattaforma fissa, mediante un cuscinetto a sfere di spinta, oppure a mezzo di una corona di rulli.
La sistemazione a bordo degli impianti può venire effettuata sia lateralmente, presso le murate, sia - per navi non troppo larghe - sull'asse longitudinale della nave, con il vantaggio, in questo caso, di poter lanciare con lo stesso impianto sia da un lato sia dall'altro.
Il brandeggio, per i tipi leggieri, viene effettuato a mano mediante volantino di manovra; per i tipi più pesanti si effettua invece a mezzo di motore elettrico, rimanendo come riserva la manovra a mano. La velocità di brandeggio è regolabile da un massimo, circa 5° al secondo, per gli spostamenti rapidi, a un minimo quasi impercettibile per l'aggiustamento definitivo del tiro. L'angolo massimo di brandeggio, per gl'impianti centrali, è normalmente di 90° (45° a destra e 45° a sinistra rispetto alla posizione di traverso), sia da un lato sia dall'altro della nave. Un opportuno dispositivo di sicurezza impedisce di effettuare il lancio negli angoli morti. Da un lato dell'impianto, sulla parte mobile, è sistemato un sediolino per il puntatore e eventualmente, dall'altro lato, un secondo sediolino per l'aiutopuntatore.
Il lancio può venire effettuato indipendentemente per ogni tubo, manovrando l'apposita leva sull'impianto, oppure elettricamente dal ponte di comando (a distanza).
Gl'impianti più moderni sono muniti di apparecchi elettrici di punteria in modo da poter dirigere il lancio dal ponte di comando: gli ordini vengono eseguiti dal puntatore e l'avvenuta manovra viene segnalata elettricamente sul ponte. Inoltre, generalmente, su ciascun tubo vengono sistemati apparecchi che consentono le regolazioni principali del siluro (velocità, profondità e angolazione), fino al momento del lancio, senza bisogno di alcuna manovra per estrarre il siluro dal tubo e per l'innesto o il disinnesto delle trasmissioni.
I lanciasiluri a tenaglia, e analoghi, ssno adottati per l'armamento dei mas, per i quali interessa soprattutto la leggerezza; con essi la caduta in acqua del siluro avviene per gravità (lanciasiluri "a tenaglia" "a impulso laterale"), oppure con impulso longitudinale (lanciasiluri Thornycroft).
Nei lanciasiluri a tenaglia, sistemati simmetricamente sui fianchi del mas, il siluro viene mantenuto da ganasce portate da due braccia ribaltabili, in modo da ottenere una posizione di sgombro sul bordo della nave, e una posizione di lancio fuori bordo. Al momento del lancio, un dispositivo meccanico permette l'apertura delle ganasce, lasciando cadere in acqua il siluro. La manovra della leva di lancio provoca anche l'abbattimento della leva di messa in moto del siluro.
Negli apparecchi di lancio a impulso laterale le ganasce che portano il siluro sono sistemate su rulli scorrevoli su due piani. All'atto del lancio, due pistoni azionati a gas compresso spingono l'insieme lateralmente verso l'esterno; le due ganasce esterne si abbattono in fine corsa e il siluro, per inerzia, cade in acqua a una certa distanza dal fianco del mas.
Nei lanciasiluri a impulso longitudinale - disposti all'estremità poppiera del battello - il siluro viene spinto in acqua in senso contrario al moto del battello mediante lo scoppio di una carica in uno speciale congegno in corrispondenza alla testa del siluro.
Tra i lanciasiluri sopracquei si devono pure comprendere tutti quegli apparecchi di lancio installati sui velivoli, con i quali vengono impiegati siluri speciali e di limitate dimensioni (v. idrosilurante).
Il problema del lancio, cioè la determinazione della direzione del lanciasiluri, e dell'istante del lancio fu lungamente considerato prima del 1910, in base alla convinzione che l'apprezzamento a occhio della rotta e della velocità del nemico fossero sufficienti. Con tali criterî gli strumenti di lancio, che in un modo o nell'altro risolvono il triangolo di lancio, risultano tutti sufficienti alla determinazione dell'angolo di mira; essi differiscono fra loro perché rispondono ai particolari criterî pratici che in varie epoche furono prevalenti.
Di recente sono state sistemate a bordo speciali "centrali di lancio" per la risoluzione rapida ed esatta dei problemi relativi.
Bibl.: R. Valturio, De re militari, Verona 1472; Vannuccio Biringuccio, La Pirotechnia, Venezia 1540; G. B. Della Porta, Magia naturalis, Francoforte 1558 segg.; trad. it., Napoli 1611; G. B. Isacchi da Reggio, Invenzioni nelle quali si manifestano vari secreti, ecc., Parma 1579; B. Crescenzio, Nautica mediterranea, Roma 1602; T. Moretti, Trattato di artiglieria, Brescia 1672; R. Fulton, De la machine infernale maritime, ecc., trad. fr., Parigi 1812; A. Volta, Opere complete, V (Sopra esperienze sulle torpedini), Firenze 1816; J. G. Lagrange, Essai historique sur les mines anciennes et modernes, Bruxelles 1866; G. Novi, Di taluni espedienti usati a danneggiare, sconquassare e distruggere i ponti da guerra, le navi corazzate e le difese dei fiumi, delle coste, ecc., Napoli 1870; F. Carandini, L'assedio di Gaeta nel 1860-61 Torino 1874; Storia delle torpedini, a cura di A. Botto, trad., Roma 1877; Ministero della marina, Resoconto e studi fatti dalle potenze scandinave sulle armi subacquee, ivi 1882; id. (Direz. gen. art. e armamenti), Studi ed esperienze sulle armi subacquee e sulla difesa subacquea, I, Torpedini e controtorpedini, fasc. 2°: Torpedini ad ancoramento automatico, ivi 1898; id., Manuale del minatore, ivi 1931; id., Manuale del silurista, ivi 1931; H. De Sarrepont, Les torpilles, Parigi 1883; Istruz. milit. per la R. Marina (compil. dalla Nave-scuola dei torpedinieri): Armi subacquee, I, Torpedini, ginnoti e siluri divergenti, La Spezia 1884; Il Genio nella campagna di Ancona e della bassa Italia 1860-61, Torino 1884; P. Fea, Alessandro Farnese duca di Parma, Roma 1886; C. Iuul, Corso di torpedini ad uso degli ufficiali di vascello, trad. it., ivi 1888; H. Buchard, Torpilles et torpilleurs des nations étrangères, Parigi 1889; E. Bara e H. Noalhat, Les torpilles automobiles, ivi 1898; R. Mazzinghi, Note ed appunti sul siluro, voll. 2 e un atlante, Roma 1902; G. Hasse, Les brulots de Giannibelli, in Bull. de l'Acad. Roy. d'Archéologie de Belgique, Anversa 1911; E. Bravetta, Sottomarini, sommergibili e torpedini, Milano 1915: id., Macchine infernali, siluri e lanciasiluri, ivi 1917; Uff. del capo di Stato maggiore della R. Marina e Direz. gen. art. e arm., Appunti sui metodi di lancio dei siluri, Roma 1920; H. Stroh, Mines et torpilles, Parigi 1924; L. Caretti, Evoluzione delle armi subacquee e dei mezzi per l'esplorazione sottomarina, in Atti della Società ital. per il progresso delle scienze, Pavia 1925; id., La torpedine ad alti fondali ed il suo efficace impiego, in Riv. marittima, luglio 1929; id., Ancore e sistemi di ormeggio delle torpedini per grandi fondali, ibid., settembre 1929; id., Studio dei movimenti della cassa dell'ancora e delle torpedini Z. Sistemi di accensione, ibid., ottobre 1929; E. Simion, L'adozione e l'evoluzione delle armi subacquee nella marina italiana, ibid., maggio 1927; id., La priorità degli Italiani nell'invenzione delle armi subacquee, ibid., luglio-agosto 1931; Académie de marine, Communications et mémoires, VI (1928), fasc. 4°; A. Tosi, Sviluppi e brevetti delle invenzioni Elia, in Encicl. della meccanica aerea e subacquea, Roma 1934.