armonia
Il termine è relativamente poco usato nella Commedia, ove ricorre solo tre volte (Pd I 78 con l'armonia che temperi e discerni; VI 126 rendon dolce armonia tra queste rote; XVII 44 dolce armonia da organo), più un unicum del verbo ‛ armonizzare ' (Pg XXXI 144 là dove armonizzando il ciel t'adombra): in tutti questi luoghi a. ha significato prevalentemente generico ed è in sostanza sinonimo di " musica ", secondo l'accezione greca ἁρμονιχή (τέχνη) e latina di harmonica (institutio). Anche nella Vita Nuova (XII 8) a. sta semplicemente al posto di " musica ". Un valore poco più specifico possiede il luogo citato di Pd VI 126, in quanto, se messo accanto a Pd VIII 16-18 (E come in fiamma favilla si vede, / e come in voce voce si discerne, / quand'una è ferma e l'altra va e riede), contiene un esplicito riferimento alla pratica contrappuntistica. (Sebbene il contrappunto non sia mai citato direttamente da D., e per quanto, almeno secondo le nostre attuali conoscenze, il contrappunto in Italia, lungo il secolo XIII e sino ai primi decenni del XIV, avesse scarsa diffusione, tuttavia D. doveva aver avuto esperienza precisa di questo importantissimo aspetto della tecnica musicale, che, dall'Inghilterra e dalla Francia, si stava diffondendo in tutta Europa).
E lecito pertanto avanzare la supposizione che D., usando il termine, intendesse indicare la commessura, il reciproco rapporto e la stretta interdipendenza che legano insieme tutti gli elementi di cui la musica è composta. In tal modo, anche i quattro luoghi della Commedia in cui è usato a., conterrebbero, oltre al significato immediato e generico di musica, anche un riferimento piuttosto preciso alla tecnica contrappuntistica. L'ipotesi è confermata dall'uso che D. fa di a. in più luoghi del De vulg. Eloq. e del Convivio, da cui si desume con certezza che al termine è conferito un significato pregnante. Nel Convivio (I V 13) si trova la nota similitudine Quella cosa dice l'uomo essere bella cui le parti debitamente si rispondono, per che de la loro armonia resulta piacimento. Onde pare l'uomo essere bello, quando le sue membra debitamente si rispondono; e dicemo bello lo canto, quando le voci di quello, secondo debito de l'arte, sono intra sé rispondenti. Risulta da qui evidente che al concetto di a. D. collega l'immagine di una fusione che è compenetrazione e correlazione inscindibile; le varie parti di una composizione musicalepolifonica, in stile contrappuntistico, devono presentare fra loro quella medesima bene ordinata corrispondenza che D. postula fra le varie membra del corpo umano. A questa proporzione simmetrica è fatto ulteriore riferimento in Cv IV XXV 11-12 la nostra anima... allora opera bene che 'l corpo è bene per le sue parti ordinato e disposto. E quando elli è bene ordinato e disposto, allora è bello per tutto e per le parti; ché l'ordine debito de le nostre membra rende uno piacere non so di che armonia mirabile. Anche qui, il concetto di a. risulta da una sintesi di elementi parziali, i quali concorrono alla costruzione di un elaborato complesso in sé armonico (cfr. anche, per un'ulteriore puntualizzazione, Cv III VIII 1 l'uomo è mirabilissimo, considerato come in una forma la divina virtute tre nature congiunse, e come sottilmente armoniato conviene esser lo corpo suo, a cotal forma essendo organizzato per tutte quasi sue vertudi; e cfr. anche III VII 4). Dall'immagine di a. come sinonimo di sanità fisica e di integrità interiore, alla convinzione che anche la frase scritta consegue una sua a. quando sia del pari saldamente organizzata nelle singole parti e nel tutto, il passo è breve. Quando in VE II VII D. sceglie i vocaboli che sono degni dello stile tragico, innalza alla dignità più illustre anche quei polisillabi che, pur possedendo in sé asperità varie di pronunzia, tuttavia, se usati insieme alle parole ben levigate e pettinate, possono essere adoperati, perché pulcram faciunt armoniam compaginis (§ 6), " bella rendono la fusione complessiva dell'insieme ". È qui appena adombrato un principio di ordine generale, più volte enunciato dalle teoriche medievali sull'arte: ossia che il senso del bello deriva da un'accorta e ben dosata mescolanza di immagini di perfezione con altre che di perfezione sono prive.
Due secoli più tardi, Gioseffo Zarlino, che nelle Istituzioni armoniche conclude la teoria musicale medievale nel momento stesso in cui contribuisce a porre le basi del moderno sistema armonico tonale, dava una giustificazione analoga al già allora inspiegabile dogmatismo aprioristico delle quinte e ottave consecutive per moto retto, cui così spesso i compositori contravvenivano; e spiegava, sulla base della dottrina pitagorico-tolemaica, che l'intervallo armonico della quinta è espressione, subito dopo l'ottava, della più gradevole e perfetta consonanza, ma che tale senso di perfezione può essere apprezzato solo se seguito dall'imperfezione, e quindi da altro intervallo meno consonante, mentre, se accostato immediatamente ad altra quinta, perderebbe gran parte della sua efficacia; allo stesso modo la luce del giorno si apprezza perché seguita dalle tenebre della notte.
Ancora più impegnativa la ricerca di a. che D. compie all'interno dei versi, come è preannunziata in VE II VII 7 (Quomodo autem pexis yrsuta huiusmodi sint armonzanda per metra, inferius instruendum relinquimus), e come è attuata in II XII e XIII. Per quanto riguarda il concatenamento dei versi nella stanza, è prescritto l'impiego prevalente dell'endecasillabo accanto al settenario e al quinario; è ammesso anche il ternario, che però non è un verso che stia a sé, sed pars endecasillabi tantum. Circa l'alternanza delle rime nella stanza, l'ideale dantesco è per la più ampia libertà: in hoc amplissimam sibi licentiam fere omnes assumunt, et ex hoc maxime totius armoniae dulcedo intenditur (XIII 21). L'ordine con cui le rime si alternano diviene elemento fondamentale per l'armoniosa unità della stanza. D. si spinge anche oltre nell'illustrare questo suo ideale di a. che scaturisce da una infrangibile compattezza dell'opera d'arte unitariamente intesa, e arriva a sostenere, sulle orme di s. Girolamo, che la traduzione di un'opera d'arte fa perdere all'originale tutta l'a. interiore di cui essa era dotata: cfr. Cv I VII 14-15 nulla cosa per legame musaico armonizzata si può de la sua loquela in altra transmutare sanza rompere tutta sua dolcezza e armonia... E questa è la cagione per che li versi del Salterio sono sanza dolcezza di musica e d'armonia; ché essi furono transmutati d'ebreo in greco e di greco in latino, e ne la prima transmutazione tutta quella dolcezza venne meno.
Sulla mancanza di a. poetica nei Salmi tutti possono facilmente convenire, ove si accettino le premesse da cui D. è partito; sulla mancanza di musica l'affermazione potrà parere più sorprendente, poiché la salmodia musicale non solo era ancora viva e vegeta al tempo di D., ma essa poteva inoltre vantare origini assai remote, in quanto sembra discendere per li rami dall'antica salmodia sinagogale, al punto che il canto dei Salmi nella Chiesa cristiana occidentale costituisce forse l'unica testimonianza apprezzabile del canto tradizionale ebraico di epoca precristiana giunto sino a noi in forma abbastanza vicina alla struttura originale. Ma appunto per questi suoi caratteri di scarna arcaicità, consistenti nella ripetizione monotona di una sola nota in forma di corda di recitazione o tenor, con poche e stereotipate inflessioni melodiche all'inizio e alla fine di ogni versetto, la salmodia doveva apparire a D. manifestazione scarsamente artistica, rozza, remota nel tempo e nello spirito, disadatta alle nuove esigenze; D., familiarizzato con le melodie dei trovatori, dei troveri e dei laudesi, attento ascoltatore del nuovo stile contrappuntistico, forse testimone delle prime elaborate tessiture solistico-polifoniche su testi volgari che qualche decennio più tardi si concreteranno nelle complesse strutture dell'Ars Nova, non poteva non esprimersi severamente nei confronti di una forma musicale che del canto gregoriano costituiva l'aspetto più povero e primordiale; di quel canto gregoriano che, in tutta l'opera del poeta, ha lasciato poche e indirette testimonianze. Non esula da questa fondamentale interpretazione l'uso di a. in Cv III VII 4 ove è citato Alberto Magno a proposito di certe pietre preziose, che divengono sì raggianti, che vincono l'armonia de l'occhio.
Ma il significato più compiuto e pregnante di a. si trova in VE II VIII 5 ss. Praeterea disserendum est utrum cantio dicatur fabricatio verborum armonizatorum, vel ipsa modulatio. Per canzone si deve intendere l'invenzione di parole armonizzate, o la melodia? La melodia no certo, perché essa si designa con altri termini: ‛ sonus ', tonus ‛ nota ', ‛ melos '. Canzone significa quindi solo fabricatio verborum armonizatorum. E qui l'aggettivo participiale ha significato ancor più specifico. Oltre al senso enucleato più sopra, di parole ben commesse fra loro in modo che locuzioni pettinate e villose si alternino sapientemente, quí ‛ verba armonizata ' allude a un più raffinato, immateriale legamento fra poesia e musica. " La canzone non è altro se non l'opera completa di chi scrive parole modulationi armonizata, suscettibili di ricevere su di sé il travestimento della melodia ". E quali sono i requisiti per cui un testo sia potenzialmente atto ad accogliere la musica? Essenzialmente che il testo abbia forma strofica di canzone, di sonetto, di ballata o di qualunque altro schema metrico, purché armonizzato in lingua regolare (latina) o volgare. E che il significato di ‛ verba armonizata ' non possa essere diverso, è confermato dal noto passo di Cv II XIII 23 [la Musica] è tutta relativa, sì come si vede ne le parole armonizzate e ne li canti, de' quali tanto più dolce armonia resulta, quanto più la relazione è bella: la quale in essa scienza massimamente è bella, perché massimamente in essa s'intende.
Quest'affermazione è posta a conclusione di una lunga parentesi in cui D., nell'istituire un parallelo fra ogni cielo e ciascuna arte liberale, aveva paragonato alla musica il cielo di Marte, per due ragioni fondamentali. La prima - la sola che qui ci interessi - è che il cielo di Marte occupa il quinto posto, sia che il computo cominci dal basso, ossia dalla Terra, sia che inizi dall'alto, cioè dal Primo Mobile; possiede insomma la posizione più ‛ armonizzata ' ed è dotato di un rapporto di correlazione particolarmente invidiabile. Come la musica, la quale è tutta relativa, consiste tutta di relazioni e di proporzioni reciproche, interne ed esterne. E queste relazioni sono anche particolarmente evidenti, cadendo esse sotto il facile dominio delle nostre facoltà sensoriali; è agevole accorgersi della mirabile corresponsione esistente fra i singoli momenti costitutivi del fatto sonoro, e da ciò deriva la bellezza di quest'arte, proporzionata all'evidenza dell'a. che la governa. Ma D. fa anche una distinzione fra ‛ parole armonizzate ' e ‛ canti '. Con ogni probabilità, i canti si riferiscono alle melodie tradotte in atto, quelle che hanno effettivamente raggiunto la pienezza dell'espressione, sia sotto veste esclusivamente vocale, sia realizzate strumentalmente; le ‛ parole armonizzate ' si riferiscono invece alle melodie potenziali: quelle parole che, sia per intrinseca struttura nella composizione dei vocaboli, sia per la morfologia del verso e della strofa, erano particolarmente idonee alla musica, come avveniva con grande frequenza nella lirica d'arte provenzale e francese, e in misura più sporadica nella poesia italiana. Infine, ed è il punto che più ci interessa, l'‛ armonizzazione ' riguarda i rapporti fra la struttura strofica di ogni stanza e la melodia che ad essa si accompagna (VE II X 2). (Per una più specifica trattazione di questo argomento v. CANZONE).
Le fonti teoriche medievali hanno certamente suggerito a D. lo spunto per una formulazione così complessa del concetto di armonia. I trattati dei musicografi usano assai frequentemente tale termine: e non solo in senso generico, come sinonimo più o meno esplicito di musica, ma anche con significato più ristretto e specifico, non troppo dissimile dall'impiego moderno. (A titolo d'esempio, l'Anonimo I, probabilmente operante tra la fine del sec. XIII e l'inizio del XIV, in E. de Coussemaker, Scriptorum de musica [Parigi 1864, I, 279 b]: " Est enim concordia duorum sonorum, diversorum vel plurium in eodem tempore prolatorum se compatientium harmonia uniformiter suaviterque veniens ad auditum "). È improbabile che D. conoscesse direttamente questo o altri trattati similari, esclusivamente tecnici e quindi diffusi solo tra gli specialisti; tuttavia egli doveva aver avuto nozione, diretta o indiretta, del De Musica di Boezio, la summa della dottrina musicale del Medioevo. Più volte, nel corso della celebre opera boeziana, è adombrato il concetto di a., ora nel senso specifico di musica (e ciò soprattutto nel V libro), ora col valore più generico, ma pregnante, di salda compattezza, di ordinata proporzionalità, di stretta correlazione e interdipendenza (soprattutto cfr. I 2: " Iam vero quatuor elementorum diversitates contrariasque potentias, nisi quaedam harmonica coniungeret, qui fieri potest, ut in unum corpus ac machinam convenirent? "). Risulta così evidente che l'uso dantesco di a., pur scaturito dalla dottrina medievale generale, acquista un'ampiezza semantica ed espressiva assai superiore ai modelli d'origine.
Bibl. - R. Monterosso, Musica e poesia nel De vulg. Eloq., in Dante. Atti della Giornata internazionale di studio per il VII centenario (1965), Faenza 1966, 83-100.