armonizzare
Il verbo appare, nella forma del gerundio, in un verso (Pg XXXI 144) di significato controverso: Beatrice si toglie il velo mostrandosi in tutto lo splendore della luce divina che in lei si riflette; nessun poeta, consumatosi nello studio della poesia e che abbia la più viva immaginazione, potrebbe descrivere qual tu paresti / là dove armonizzando il ciel t'adombra.
I commentatori antichi non avvertono la difficoltà di interpretare l'espressione il ciel t'adombra, per cui, ricollegandosi alla dottrina platonica, presente nel pensiero medievale, del suono armonioso delle sfere celesti nel loro moto, spiegano: " là dove ti circondavano [ti coprivano d'ombra] le sfere celesti col loro suono armonioso " (Buti e altri). L'Ottimo interpreta: " quasi dica, per le armonie e sonoritadi de' Cieli passando ". Il Borghi: " col volgere armonioso delle sue ruote, adombra, cioè effigia e rappresenta tutto il corpo della Sapienza, o della gloriosa Beatrice ". Altri intendono per armonia il coro degli angeli (cfr. Benvenuti), altri che l'armonia del cielo è soltanto un'ombra della bellezza di Beatrice.
La più convincente interpretazione accettata comunemente, è quella dell'Antonelli: " là dove il cielo armonizzando con la terra dell'innocenza, appena con la sua bellezza rende immagine di tue bellezze divine ". Il Tommaseo, nel riferire l'Antonelli, riporta le ragioni di tale interpretazione: " Le difficoltà, qui incontrate dai commentatori, io credo che vengano dall'aver preso adombrare in significato di far ombra, offuscare, nascondere: ma questa significazione è esclusa dalla sintassi e dall'idea principale che vuolsi esprimere dal Poeta. Ponendosi egli nella condizione di chi narra un fatto passato, di cui però ha viva rimembranza, e dicendo qual tu paresti quando nell'aere aperto ti solvesti, per indicare il luogo ove ciò avvenne, avrebbe dovuto dire, posto quel significato, adombrava: perchè Beatrice non aveva quel luogo per sua residenza, quasi vi si trovasse anche nel momento in cui descrivesi l'avvenuta rivelazione " (cfr. anche Parodi, in " Bull. " XXIII [1916] 49).
La voce ricorre anche nel Convivio, riferita alla musica, alla poesia e al canto che D. comprende nel comune significato di armonia intesa come relazione, cioè come unità risultante da un adeguato rapporto delle parti: queste due proprietadi sono ne la Musica, la quale è tutta relativa, sì come si vede ne le parole armonizzate e ne li canti, de' quali tanto più dolce armonia resulta, quanto più la relazione è bella (II XIII 23). Il termine nel Medioevo conserva il significato proprio di " relazione ", " rapporto ", recepito dal pensiero classico, e riferito comunemente a tutte le arti ma in particolare alla musica: " Musica considerat sonos non in quantum sunt soni, sed in quantum sunt secundum numeros proportionales " (Tomm. Comm. Boeth. de Trinitate 5 3 ad 6; ma anche Boezio Mus. I 7). Tale significato è più frequentemente esteso a un contenuto metafisico-religioso (cfr. s. Agostino Mus. VI 13, e Boezio Arithm. II 54).
L'armonia è tanto più dolce quanto più la relazione è bella, relazione che si stabilisce in modi vari, per affinità o per contrasto sia nella musica che nella poesia (cosa per legame musaico armonizzata, Cv I VII 14) e ne li canti in cui le relazioni sono più complesse se il canto è anche poesia accompagnata dalla musica.
Per questo cfr. VE II VIII 5-6 Praeterea disserendum est utrum cantio dicatur fabricatio verborum armonizatorum, vel ipsa modulatio. Ad quod dicimus, quod nunquam modulatio dicitur cantio, sed sonus, vel tonus, vel nota, vel melos. Nullus enim tibicen, vel organista, vel citharaedus melodiam suam cantionem vocat, nisi in quantum nupta est alicui cantioni; sed armonizantes verba opera sua cantiones vocant; et etiam talia verba in cartulis absque prolatore iacentia cantiones vocamus. Et ideo cantio nichil aliud esse videtur quam actio completa dictantis verba modulationi armonizata.