FRACCAROLLO (Fraccaroli), Arnaldo
Nacque a Villa Bartolomea (Verona), il 26 apr. 1882 da Antonio e Angela Zancopè. Giovanissimo, mentre ancora frequentava il ginnasio a Lonigo, cominciò a scrivere per il teatro e inviò i suoi copioni al conterraneo, e già noto critico teatrale, R. Simoni. La morte del padre lo obbligò, sedicenne, ad abbandonare gli studi e a impiegarsi in una cartoleria-tipografia di Lonigo. Qui, nel 1899, riuscì a farsi pubblicare la prima commedia, Folletto, in due atti; contemporaneamente prese a collaborare a due fogli umoristici di Vicenza, La Freccia e Bibò, indirizzandosi, di fatto, all'attività giornalistica e a quella di autore teatrale, ambedue da lui praticate con successo per tutta la vita.
Nel 1901 un amico del padre, E. Sperotti, direttore di La Provincia di Vicenza, lo assunse.
Iniziò, allora, per il F. una breve peregrinazione nelle redazioni della sua regione: l'anno dopo passò a Padova, al Veneto e - come redattore capo - a La Provincia di Padova, quindi si trasferì a Venezia, inizialmente come segretario di P. Zeni, impresario della Fenice, ben presto come redattore del Gazzettino. Non si interrompeva frattanto la produzione teatrale che, in questi anni, si indirizzò essenzialmente al teatro dialettale veneto; la prima commedia rappresentata, In cucina, risale al periodo di Lonigo, con la compagnia Britti - Corazza, e si tratta praticamente di una farsa, perché il F., di carattere socievole, generoso e allegro - quale sempre è ricordato da colleghi e amici -, non smentì mai la sua vocazione di umorista e si dedicò esclusivamente alla commedia. Seguirono: nel 1904, a Padova, con una nota compagnia dialettale, la Zago, El sistema più belo; l'anno dopo Caffè concerto; nel 1907, sempre a Padova, una commedia destinata più tardi a grande successo, sul momento un mezzo fiasco, Ostrega che sbrego! (compagnia Britti - Corazza). Collaborava anche, con articoli di varia letteratura, all'Arena di Verona e a La Lettura.
Nel 1909, sponsorizzato dal Simoni, che lo aveva preso a benvolere e rimase per lunghi anni il suo nume tutelare, realizzò un notevole salto di qualità con il trasferimento a Milano e l'ingresso in un grande quotidiano come il Corriere della sera di L. Albertini, dove doveva rimanere tutta la vita.
Nonostante avesse ormai accumulato esperienza e competenza nell'attività giornalistica e fosse noto anche come letterato e autore di teatro, i primi passi al Corriere furono da modesto cronista, prima di nera, poi di eventi cittadini; l'opportunità per passare a incarichi più gratificanti si presentò con la guerra di Libia, quando, nel 1912, fu scelto in sostituzione di uno dei corrispondenti al fronte, A. Cipolla Braccero, che si era ritirato. Il F. entrava così a far parte di uno dei settori più prestigiosi del giornale, quello dei corrispondenti all'estero e degli inviati speciali, particolarmente curato da Albertini che lo aveva voluto al momento della riorganizzazione del Corriere e lo seguiva personalmente. Il F., spedito a Bengasi e a Derna, si trovò ad affiancare grandi firme del giornale come L. Barzini e G. Civinini, controllato da vicino dal severissimo Albertini ma anche, contestualmente, guidato e formato da lui e dall'esempio dei più noti colleghi. Seppe inserirsi bene e divenne, appunto con Barzini e Civinini, membro di una trimurti che seguì per il Corriere i successivi eventi della grande guerra.
Nell'ottobre 1914 il F. fu inviato nello scacchiere orientale; nel 1915 era accreditato presso il generale C. Porro, sottocapo di stato maggiore di R. Cadorna. Nel 1916 fu sul fronte del Trentino, mentre era in corso l'offensiva austro-ungarica; nel gennaio 1917 partecipò, unico giornalista presente, a un'azione della marina italiana nel porto di Trieste, quindi seguì la controffensiva italiana in Friuli. Dopo Caporetto si sistemò a Padova, da dove si muoveva lungo il fronte con una vecchia macchina fortunosamente reperita in loco; nel novembre 1918 fu il secondo giornalista, dopo R. Alessi, a entrare in Trieste liberata. Infine, nel 1919, trovandosi per caso in Ungheria, fu uno dei pochi testimoni diretti della sollevazione bolscevica di Béla Kun con un reportage che gli valse molti complimenti ma anche una serie di improperi dall'Avanti! che lo definì il "commesso viaggiatore del Corriere" e i suoi articoli "un'epopea commentata da un garzone di parrucchiere".
Di fatto il F. aveva maturato in questi anni un suo stile giornalistico, scorrevole, discorsivo e vivace, in cui, però, talvolta l'informazione peccava di soverchio ottimismo e tendeva a perdersi nel pezzo di colore esotico, e il "pittoresco" poteva scolorire nella retorica patriottarda; in ogni caso era ormai una firma assai nota, con un pubblico affezionato di lettori che acquistava volentieri i libri che puntualmente raccoglievano i suoi articoli migliori (fra gli altri: In Cirenaica con i soldati, Milano 1913; La presa di Leopoli e la guerra austro-russa in Galizia, ibid. 1914; La Serbia nella sua terza guerra, ibid. 1915; La vittoria del Piave, ibid. 1918; L'Italia ha vinto, ibid. 1919; Ungheria bolscevica, ibid. 1919).
In parallelo procedeva a gonfie vele anche la carriera teatrale del F. che, travasando nei dialoghi delle sue commedie lo scintillante, arguto stile giornalistico che gli era proprio, e attingendo a piene mani dal classico repertorio di derivazione francese, fu, dagli anni Dieci fin quasi alla morte, uno dei commediografi più popolari, ricercato e rappresentato da nomi illustri della scena nazionale, anche se - fatta eccezione per l'amico Simoni che non ebbe mai il coraggio di stroncarlo veramente e in qualche caso addirittura lo lodò - non incontrò certo l'approvazione della critica che contava, A. Tilgher, S. D'Amico, C.G. Viola, per non parlare di A. Gramsci che, nel 1917, definì una delle sue commedie di maggior successo, Mimì, una "sintesi drammatica di un romanzo di Carolina Invernizio… e di una raccolta di frizzi e piacevolezze estratta… dal Guerin Meschino" (p. 302).
Ciò che distingueva in parte i lavori del F., conferendogli, in qualche caso, una certa originalità, era l'evidente penchant per un umorismo paradossale, basato su situazioni al limite dell'assurdo, che tuttavia non aveva mai il coraggio di estremizzare, alla maniera di un Campanile, ma che anzi si affrettava a riportare nell'alveo di una spiegazione logica, che rientrasse nell'ambito del buon senso.
La sua produzione, tutta inserita nel teatro borghese di intrattenimento, oscilla così, con una certa regolarità, tra la commedia sentimentale - incentrata qualche volta sul classico triangolo moglie, marito, amante (Chiomadoro, 1914, compagnia Galli - Guasti, ripresa nel 1928 dalla Falconi - Merlini come Peccato biondo e nel 1947 dalla compagnia Micheluzzi come Gli uomini bisogna domarli; Non amarmi così, 1916, compagnia Talli - Melato - Gandusio - Betrone), qualche volta sul tipo della donnina vivace, più o meno ingenua (Mimì, 1917, compagnia Melato, ripresa nel 1933 come L'osteria della gloria dalla Palmer - Pilotto; La morosina, 1921, compagnia Niccodemi - Vergani - Cimara - Almirante; Biraghin, 1924, compagnia Galli - Guasti, filmata nel 1947 con A. Checchi e L. Silvi; Baldoria, 1925, compagnia Galli - Guasti; Corallina, fanciulla d'ogni tempo, 1926, compagnia Galli) - e la commedia in cui sono più accentuati il versante comico-parodico e la trovata paradossale (La dolce vita, 1912, compagnia Melato - Betrone; La foglia di fico, 1913, compagnia Galli, ripresa nel 1933; Quello che non t'aspetti, 1921, scritta con Barzini, compagnia Talli e, nel 1926, Il problema centrale, compagnia Niccodemi, ambedue parodie del pirandellismo in quanto difficile, e potenzialmente comico, rapporto tra realtà e finzione, apparire ed essere; Largaspugna, 1924, compagnia Falconi - Menichelli). In definitiva un teatro facile, meccanico, generico, costruito sui tipi e non sui personaggi, il cui maggior difetto, insieme con l'oleografica banalità delle situazioni, è nell'inconsistenza dello svolgimento drammatico - di solito nei lavori del F. al primo atto, esaurita la trovatina che è alla base della commedia, è già successo tutto, da cui la difficoltà di far procedere personaggi e avvenimenti - e il maggior pregio l'allegria verbale, la facilità e la scorrevolezza, talvolta funambolica, del dialogo.
Incontrò i gusti del pubblico anche il teatro dialettale del F., in particolare il già citato Ostrega che sbrego!, che, ripreso nel 1925 dal celebre attore G. Giachetti, fu da questi interpretato in un fortunato film di M. Camerini, Figaro e la sua gran giornata, del 1931. Comunque il maggior successo in assoluto del F. fu forse, nel secondo dopoguerra, una commedia meneghina, Siamo tutti milanesi, cavallo di battaglia di Nino Besozzi (ebbe più di 600 repliche in tre anni a partire dal 1952).
Negli anni Venti e Trenta il F. continuò a girare il mondo come inviato speciale; fu nelle maggiori capitali europee, negli Stati Uniti, in particolare a Hollywood e New York, in America del Sud - Argentina e Paraguay -, in Estremo Oriente, nel Siam e a Ceylon, specializzandosi sempre più nel reportage esotico e di colore che trasferiva poi in volumi collettanei cui affiancò anche raccolte di novelle (tra gli altri: Celebrità e quasi, Milano 1923; New York ciclone di genti, ibid. 1928; Hollywood paese d'avventura, ibid. 1928; Donne d'America, ibid. 1930; Il Budda di smeraldo, ibid. 1935; La porta dell'Estremo Oriente, ibid. 1935; Venti novelle matte ma non tanto, ibid. 1937; Sette donne intorno al mondo, ibid. 1939). Amante della musica, fu amico di Puccini negli ultimi anni di vita di quest'ultimo e pubblicò vari volumi dedicati al maestro (Vita di Puccini, ibid. 1930; G. Puccini in casa e nel teatro, ibid. s.d.; G. Puccini si confida e racconta, ibid. 1957), oltre a una biografia di G. Rossini (Milano 1941) e una di V. Bellini.
Negli anni del fascismo il F. rimase al Corriere, da cui si allontanò solo negli ultimi mesi di guerra. Nel secondo dopoguerra continuò a collaborare alla terza pagina e diresse per qualche anno La Domenica del Corriere.
Reso ricco e famoso dalla sua lunga attività di giornalista e di commediografo, morì a Milano il 16 giugno 1956.
Per un elenco completo delle opere del F. si rimanda all'Enciclopedia dello spettacolo, e a A. Pagliaini, Catalogo generale della libreria italiana, Primo, Secondo, Terzo Suppl., ad nomen.
Fonti e Bibl.: Necr. in Corriere della sera, 17 giugno 1956; Il Dramma, XXXII (1956), pp. 61 ss.; U. Tegani, A. F., Milano 1919; E. P. (E. Possenti), Viaggi di F., in Corriere della sera, 17 ag. 1935; Id., Venti novelle matte ma non tanto, ibid., 30 ott. 1937; R. Simoni, Sette donne intorno al mondo, ibid., 8 genn. 1939; E.F. Palmieri, Teatro ital. del nostro tempo, Bologna 1939, pp. 165, 167; R. Simoni, Trent'anni di cronaca drammatica, Torino 1951, ad Ind.; S. D'Amico, Cronache del teatro, Bari 1963, ad Ind.; L. Albertini, Epistolario, Milano 1968, ad Ind.; A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, Roma 1975, ad Ind.; G. Licata, Storia del Corriere della sera, Milano 1976, ad Ind.; C. Casini, Puccini, Torino 1978, ad Ind.; D. Reato, Presentazione a A. Fraccaroli, Ostrega che sbrego!, Venezia 1980; A. Del Boca, Gli Italiani in Libia, Roma-Bari 1986, ad Ind.; Enciclopedia dello spettacolo, V, coll. 578 s.