FUSINATO, Arnaldo
Nato a Schio il 25 nov. 1817 da Giovanni Battista, avvocato nativo di Arsié, e da Rosa Maddalozzo, fece i primi studi presso il collegio "Cordellina" di Vicenza. Dal 1831 al 1836 frequentò a Padova il Collegio dei nobili annesso al seminario vescovile. Si iscrisse, quindi, a giurisprudenza presso l'università di Padova, conseguendo la laurea in diritto pubblico nel 1841.
Agli anni studenteschi risalgono alcune clamorose "burle" del F. e al 1839 un episodio che lo avrebbe visto, insieme con il fratello minore Clemente, battersi di notte a randellate contro militari croati: il F., ferito alla gola, riuscì a fuggire, mentre il fratello venne arrestato e temporaneamente sospeso dall'università.
Negli anni universitari il F. frequentò il Caffè Pedrocchi e l'osteria del Leon bianco con i poeti G. Prati e A. Aleardi, studenti in legge come lui. Fu più volte a Castelfranco Veneto dove nel 1840 divenne socio dell'Accademia dei Filoglotti. Nel 1841 pubblicò a Udine il suo primo libro di poesie: Il sale ed il tabacco, cicalata…
Dopo la laurea tornò a Schio a far pratica nello studio del padre, senza però provare alcun interesse per la professione. Continuò a frequentare gli ambienti di Padova, Feltre e Castelfranco. Nel febbraio 1846, tramite il Prati, pubblicò nel Caffè Pedrocchi, diretto da G. Stefani, satire in versi come Fisiologia del lion e Lo studente di Padova ("Che in fin dei conti il nome di studente / Vuol dire: Un tal che non istudia niente"). L'anno dopo, compose i Tre ritratti, in cui si autodescrive "disteso nelle molli piume" con "la pippa in bocca e il Guadagnoli in mano".
Nel 1847 andò a Innsbruck, poi fu in Germania dove stette due mesi, infine a Vienna. Qui, durante un banchetto di ufficiali italiani e ungheresi della guardia nobile, improvvisò strofe contro l'Impero. Ricercato dalla polizia austriaca, riuscì a tornare a Schio. Nel marzo del 1848, scoppiata la rivoluzione, compose il Canto degli insorti ("brandite i fucili, le picche, i coltelli; / fratelli fratelli, corriamo a pugnar"). L'8 aprile fu al comando di circa duecento volontari, il corpo franco di Schio, nella sfortunata difesa dal contrattacco austriaco di Montebello e Sorio (sulla ritirata del corpo franco esiste una relazione del F., poi pubblicata da E. Jäger). Il 10 giugno, con il fratello, fu alla testa di cinquanta volontari, i bersaglieri di Schio, che vennero impegnati a Monte Berico in difesa di Vicenza.
Dopo la caduta di questa città emigrò a Ferrara; poi a Genova, ove al teatro Carlo Felice partecipò a una recita poetica e musicale con G. Mameli per raccogliere fondi per la difesa di Venezia; fu quindi a Firenze. Nel 1849, accorso a Venezia, divenne tenente nei cacciatori delle Alpi di P.F. Calvi di guardia all'Isola del Lazzaretto vecchio; qui, mentre la Repubblica di Manin capitolava scrisse la famosa A Venezia ("Il morbo infuria / il pan ci manca / sul ponte sventola / bandiera bianca").
Durante l'assedio egli aveva sposato Anna Colonna, conosciuta nel 1836 a Castefranco Veneto, figlia della contessa Teresa Coletti Colonna, e affidata a un tutore dopo la morte del padre. La madre e il tutore si erano opposti all'amore tra i due giovani ma quando, nel 1849, si diffuse la falsa notizia che il F. era ferito e malato a Venezia, Anna scappò di casa e lo raggiunse.
Dopo il matrimonio, il F. si stabilì con la moglie a Schio. Nel 1851 collaborò con il bisettimanale antiaustriaco Il Vulcano di Venezia, che fu chiuso anche a causa della pubblicazione di una sua poesia che alludeva al prestito forzoso chiesto dall'Austria al Lombardo-Veneto (Il passatore di Forlimpopoli). Dopo la morte di Anna per tubercolosi polmonare (1852) il F. si trasferì a Castelfranco presso la suocera. Nel 1853-54 pubblicò a Venezia e a Milano la prima edizione delle sue poesie raccolte in due volumi con le illustrazioni di O. Monti. Nel 1855-57 scrisse versi su riviste femminili di Milano, come il Corriere delle dame e La Ricamatrice. Nel 1856 sposò in seconde nozze a Venezia la poetessa Erminia Fuà.
Nel 1857-58 scrisse (con gli pseudonimi di Fra Fusina, Don Fusina e Fusetti) sui giornali liberali diretti da L. Fortis: prima a Venezia su Quel che si vede e quel che non si vede, poi a Milano sul Pungolo, Panorama e L'Uomo di pietra. Fu a capo della compagnia teatrale della Società filodrammatica di Castelfranco. Dopo il trattato di Villafranca furono stampate clandestinamente alcune sue poesie patriottiche proibite dalla polizia, tra le quali Al reverendo padre Lamoricière (1860) e Il giallo e il nero (1863). Tra il 1862 e il 1864, dopo l'arresto del fratello implicato nel procedimento contro i comitati segreti (processo Montalban - Calvi), aiutato dalla moglie riorganizzò i patrioti dei comitati veneti, tenendo i contatti con il comitato centrale di A. Cavalletto a Torino. Sospettato dalla polizia, nell'agosto del 1864 emigrò a Firenze, dove - in previsione del trasferimento della capitale - investì ingenti somme nell'edilizia, nonostante le raccomandazioni della moglie di non esporre tutte le sostanze della famiglia.
Con Erminia, che lo raggiunse a fine anno, frequentò soprattutto gli emigrati veneti (tra i quali S. Tecchio, G. Alvisi e N. Tommaseo). Nel 1866 fece internare in manicomio il fratello, malato di mente. Dopo l'annessione del Veneto al Regno d'Italia rifiutò la candidatura nei collegi di Schio e di Castelfranco nel 1866 e nel collegio di Feltre nel 1870. Fu nominato commendatore dei Ss. Maurizio e Lazzaro (1867). Il 15 ott. 1870 inaugurò a Firenze il teatro delle Logge in via dei Neri in una fabbrica di sua proprietà, dove negli anni seguenti organizzò spettacoli di compagnie italiane e francesi. Quando la capitale fu trasferita da Firenze a Roma (1° luglio 1871), gli investimenti immobiliari del F. subirono forti perdite, causando serie difficoltà finanziarie alla famiglia. Erminia allora iniziò a lavorare per la Pubblica Istruzione e si trasferì a Roma. Il F. la raggiunse solo nel 1874 e l'anno seguente venne assunto al Senato come direttore dell'ufficio di revisione dei verbali. Nel 1876 riuscì a vendere il teatro delle Logge a uno dei più grandi attori dell'epoca, T. Salvini. Dopo la morte della moglie (1876) continuò a vivere con la figlia Teresita a Roma. Quando nel 1884 questa sposò un cassiere della Banca nazionale la seguì prima a Udine e poi a Verona.
Ormai immobilizzato a letto da anni, il F. morì a Verona il 28 dic. 1888; fu sepolto a Roma al cimitero del Verano, vicino alla moglie Erminia.
L'attività poetica del F. si svolse tra il 1841 e il 1865. In una lettera a F. Lampertico, scrisse - non senza autoironia - che la sua vena "fu disseccata" proprio dal giorno in cui gli Austriaci abbandonarono il Veneto (lettera del 12 marzo 1872). La raccolta delle Poesie complete uscì per la prima volta nel 1880-81 a Milano, divisa in tre volumi: poesie giocose, serie e patriottiche. Proprio queste ultime sono quelle che gli hanno procurato maggiore fama; meno felici quelle serie, per la maggior parte intimazioni a non rompere le convenzioni sociali, cruente come i racconti morali di un P. Thouar (tra le più emblematiche Il buon operaio e Il cattivo operaio, il primo soccorso da due benefattrici, il secondo fucilato). Le poesie giocose restano invece, forse, le più originali. Deridono tipi umani e fenomeni di costume dell'epoca: il già citato Lo studente di Padova nel 1832-42, il dandy (la già citata Fisiologia del lion), gli scienziati, il qualunquista (Il cor contento); la vita di paese (Schio); la turcofilia di moda durante la guerra di Crimea; la donna che si comporta come l'uomo e l'uomo che smette di essere galante, la donna che si mette i pantaloni alla turca (Viva il bloomerismo e Abbasso il bloomerismo e la Donna romantica). Tuttavia per questo genere di poesie è d'obbligo rimandare al primo volume delle Poesie di A. F. illustrate da O. Monti, stampate a dispense a Venezia nel 1853 (rispetto all'edizione del 1880-81 c'è un componimento in più e le stampe satiriche del Monti sono complete).
Le poesie del F. ebbero un buon successo commerciale. Il De Gubernatis, racconta che nel 1847 con il guadagno della pubblicazione illustrata di Lo studente di Padova il F. poté pagarsi la permanenza a Venezia, per assistere al Congresso degli scienziati, e l'intero viaggio in Germania e Austria. L'edizione veneziana del 1853 gli fruttò un utile netto di oltre 30.000 lire austriache (in particolare sulle contraffazioni che venivano fatte delle opere del F., che costrinsero l'editore Carrara a numerose ristampe economiche non complete, si veda Cimegotto, La fama, p. 13). Il Fortis scrisse che per un periodo il F. era "l'uomo più alla moda d'Italia". Le sue poesie venivano lette, soprattutto negli ambienti patriottici e nei salotti di Milano, dalle signore, alle quali dedicava molti fra i suoi componimenti.
Durante il fascismo la figura del F. tornò alla ribalta come "combattente, patriota e poeta" e, nel 1931, la figlia Teresita istituì in memoria dei genitori una Fondazione che erogava premi a letterati "degni della patria". Oggi la critica ha ridimensionato di molto la figura del F., considerandolo poeta minore del Risorgimento e dell'ultimo Romanticismo.
Del F. esiste un fitto carteggio con Ippolito Nievo che termina con alcune lettere di questo da Palermo, scritte alcuni mesi prima del naufragio dell'"Ercole". Dapprima il Nievo aveva criticato il F. duramente: nel 1853 sul periodico La Sferza aveva scritto che Lo studente era "un poemetto ricco di bugie", e nella poesia Centomila poeti, pubblicata nel 1854, si era riferito implicitamente a lui e al Prati, accusandoli di superficialità e di disimpegno ("Rido; fo ridere! / Vate o giullare / Intasco svanziche. / Eh! che vi pare?"). In un secondo tempo strinse viceversa con lui una forte amicizia, ammirò il suo umorismo, gli dedicò alcune poesie, collaborò con lui a molte riviste e lo spronò a scrivere: "quello che tu scriverai dormendo, sveglierà gli altri" (lettera del 1858).
Fonti e Bibl.: Vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, Carteggio Lampertico - F.; A. De Gubernatis, in Ricordi biografici…, Firenze 1872, pp. 441-447; E. Jäger, Storia documentata dei corpi militari veneti e di alcuni alleati (milizie di terra) negli anni 1848-1849, Venezia 1880, pp. 48-55, 62-65, 339-345; P. Fambri, A. F. Il poeta e l'uomo, in Nuova Antologia, 15 sett. 1895, pp. 223-259; C. Cimegotto, A. F. Saggio biografico-critico, Padova 1898; S. Rumor, Gli scrittori vicentini dei secoli decimottavo e decimonono, I, Venezia 1905, pp. 699-701; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1934, pp. 784 s.; G. Tomajuoli, A. e Clemente Fusinato e la polizia austriaca (con documenti inediti), in Padova. Rivista del Comune, IX (1935), 3, pp. 34-45; C. Dazzi, Due patrioti veneti. A. e Clemente F., Venezia 1941; C. Cimegotto, La fama di A. F., Padova 1942 (alle pp. 13 s. l'elenco completo delle pubblicazioni e delle numerose ristampe delle poesie del F.); C. Bolognesi, Le pagine dell'ascesa scelte e presentate da Romana Rampato, Vicenza 1943, pp. 54-70; L. Baldacci - G. Innamorati, A. F., in Poeti minori dell'Ottocento, Milano-Napoli 1963, pp. 943 ss.; C. Bolognesi, Quattro libelli inediti di A. F.…, Vicenza 1967; L. Bentivoglio, Un breve carteggio Cavalletto - Fusinato, in Ateneo veneto, n.s., IX (1971), 1-2, pp. 310-316; V. Spinazzola, La poesia romantico-risorgimentale, in Storia della letteratura italiana (Garzanti), Dall'Ottocento al Novecento, Milano 1988, p. 94; L. Urettini, La Castelfranco dei Fusinato nell'epistolario di I. Nievo, in Storia e cultura, II (1992), 6, pp. 50-60.