GEULINCX, Arnold
Filosofo, nato ad Anversa il 31 gennaio 1624, morto a Leida nel novembre 1669. Iniziato al cartesianismo dai suoi maestri dell'università di Lovanio, insegnò egli stesso a lungo in quella città. Ma poi, a cagione delle diffidenze che gli aveva suscitate la sua opposizione alla filosofia tradizionale, fu costretto ad abbandonare la cattedra e la sede. L'amicizia del cartesiano A. Heidanus, che lo accolse ospitalmente a Leida, gli rese possibile di crearsi nuove condizioni di vita. Passato al calvinismo, divenne professore all'università di Leida.
Le opere principali del G. ripubblicate in 3 voll. a cura di J.P.N. Land (L'Aia 1891-93), sono: Logica (Leida 1662); De virtute et primis eius proprietatibus, quae vulgo Virtutes cardinales vocantur (Leida 1664): ristampata postuma nel 1675 a Leida col titolo Γνῶϑι σεαυτόν con notevoli aggiunte e completamenti a cura di Cornelius Bontekoe (è considerata l'opera fondamentale, ma presuppone la fisica e la metafisica); Physica vera (Amsterdam 1688) contrappone alla fisica aristotelica quella cartesiana); Metaphysica vera (Amsterdam 1691) postuma: Annotata praecurrentia ad R.C. principia (Dordrecht 1690); Annotata maiora ad principia philosophiae R.C. (Dordrecht 1691).
La dottrina del G. è improntata all'"occasionalismo". Essa, considerando Dio come la sola vera causa di tutto, attribuisce alle cause naturali e all'uomo stesso valore di mere "occasioni" al manifestarsi dell'azione divina. Il G. muove dall'insoddisfazione della soluzione cartesiana del problema del rapporto tra l'anima e il corpo, e sottopone a una critica stringente il famoso influxus physicus. Ponendo con Cartesio l'autocoscienza a fondamento di ogni attività, egli dice che di tutto ciò che effettivamente compiamo, dobbiamo avere coscienza; dunque quod nescis quomodo fiat id non facis. Giacché noi ignoriamo in qual modo nella sensazione il moto fisico e lo stimolo nervoso agiscano su un processo spirituale, così come ignoriamo in qual modo nella volizione la determinazione interiore produca un'azione nel nostro stesso corpo e tanto meno su altri corpi, se ne deve concludere che tanto la sensazione quanto la volizione non sono opera nostra, ma di Dio. Due spunti sono storicamente notevoli in questa dottrina gnoseologica: il concetto che il semplice movimento non basta a spiegare la sensazione, e quello (che il G. contrappone al realismo ontologico dell'aristotelismo scolastico) che la sostanza, l'unità, ecc. non esistono nelle cose in sé, ma sono categorie, modi del pensiero. È per questi concetti che alcuni storici hanno visto nel G. un precursore di Kant. Circa le cose in sé egli si mantiene agnostico: che cosa esse realmente siano noi uomini non sappiamo; la vera scienza è soltanto di Dio, che solo conosce le cose dal didentro, giacché egli solo opera in esse. Opera anche nella minima nostra azione, che è "miracolo", giacché postula una correlazione tra anima e corpo che è volta per volta prodotta da Dio. Il G. oscilla tra la concezione di un intervento sempre ripetuto e quella di un'armonia stabilita una volta tanto.
Scosso il principio di causalità nel rapporto tra l'anima e il corpo, vacilla anche quello della causalità nella natura: nel concetto di un corpo non c'è il concetto della sua possibilità di azione su un altro: in tal modo il G. compie un altro passo nella via che Hume percorrerà. Il concetto di sostanza invece in sede metafisica rimane saldo per il G. che gli dà una intonazione quasi panteistica: tanto gli esseri materiali quanto quelli spirituali non sono altro che modi (praecisiones) rispettivamente della sostanza estesa e di quella pensante. Se dagli esseri spirituali si tolgono i. limiti del finito, quello che resta è Dio. Da queste premesse discende un'etica mistica, ascetica e rinunziataria: se anche il più fugace gesto dell'uomo è opera di Dio, la volontà umana è annichilita; egli non può fare altro che contemplare sé stesso e umiliarsi in Dio. Il G. tenta riscattare la negatività di questa posizione facendo discendere questa despectio non da una supina acquiescenza, ma dalla convinzione razionale dell'impotenza nostra e dell'onnipotenza divina, e facendo di questa dedizione a Dio la suprema felicità e insieme il primo dovere. Di conseguenza le virtù cardinali sono per lui l'umiltà, che è la suprema, poi la diligenza, l'obbedienza, e la giustizia, che sono rispettivamente auscultatio, executio e adaequatio rationis, posto, s'intende, a fondamento dell'etica un amor Dei ac rationis, che fa pensare all'amor Dei intellectualis di Spinoza.
Bibl.: E. Grimm, A.G.s Erkenntnistheorie und Occasionalismus, Jena 1875; E. Pfleiderer, A.G. als Hauptvertreter der occasionalistischen Metaphysik und Ethik, Tubinga 1882; E. Göpfert, G.s ethischen System, Breslavia 1883; G. Samtleben, G. ein Vorgänger Spinozas, Halle 1885; Van der Haeghen, G. Étude sur sa vie, sa philosophie et ses oeuvres, Liegi 1886; J.P.N. Land, A.G., L'Aia 1895; M. de Wulf, A.G. et le procès de la philosophie aristotélicienne au XVIIe siècle, in Revue Néo-Scolastique, 1910, p. 53; E. Terraillon, La morale de G. dans ses rapports avec la philosophie de Descartes, Parigi 1912; A. Levi, Saggio sulla metafisica del G., in Riv. trim. di studi fil. e rel., II (1921), p. 4.