Vedi ARPI dell'anno: 1973 - 1994
ARPI (v. s 1970, p. 78)
Le recenti acquisizioni si riferiscono principalmente al periodo compreso fra il IV e il II sec. a.C., contribuendo alla ricostruzione del momento più significativo della storia della città daunia, fra la seconda guerra sannitica e la guerra annibalica. Tuttavia alcuni saggi (1980) hanno evidenziato, in corrispondenza dell'aggere che delimitava l'insediamento in età arcaica, parte del fondo di una capanna (VII sec. a.C.) e, in un'altra zona, una tomba a fossa (prima metà del V sec. a.C.) contenente, insieme a ceramica geometrica di produzione locale, importazioni ceramiche dall'area magnogreca, a conferma dell'apertura del centro dalla metà del VI a.C., oltre che all'area campana etruschizzata (bucchero pesante, antefisse di tipo nimbato con testa femminile), alla Magna Grecia (coppe «ioniche», antefisse di tipo circolare con gorgòneion).
La documentazione di maggiore rilevanza inizia dalla metà del IV sec. a.C., epoca in cui si data la Tomba dei Cavalieri, a semicamera, portata alla luce (1982) in località Montarozzi e più volte depredata; costruita e coperta con blocchi di tufo, si articolava in un vestibolo o ripostiglio e in una cella dipinta con la scena di un corteo funebre (da destra a sinistra una quadriga guidata da un auriga e seguita da due donne, due cavalieri in corrispondenza del blocco di testata, un carro trainato da buoi condotto da una figura maschile con copricapo a pileo). La pittura è significativa sia per il soggetto sia per la resa del disegno, elementi che, insieme alla tipologia architettonica della tomba, la accostano a coevi documenti dall'area campana. All'ultimo venticinquennio del IV sec. a.C. si data il ricco corredo di una tomba a camera rinvenuta in località Arpinova (1972) con dròmos a piano inclinato, cella coperta a doppio spiovente, ingresso sormontato da un frontoncino dipinto e porta costituita da una lastra calcarea a superficie levigata. Tale corredo è composto da vasi a vernice nera, di Gnathia, policromi, listati e acromi, oltre che da significativi esemplari a figure rosse di noti ceramografi della fase tarda della produzione apula (Pittore di Ganimede, Pittore della Patera, Pittore di Baltimora) e di un ceramografo che certamente svolgeva in loco la propria attività, il Pittore di Arpi.
Al III sec. a.C. si attribuisce la prima fase di una monumentale tomba a camera detta «della Medusa» (1985; 1989), costruita con blocchi di tufo, con dròmos a piano inclinato, fronte tetrastila con capitelli figurati e frontone campito da una testa di medusa in rilievo. Nel vestibolo erano scene figurate: sulle pareti, immagini dipinte di oltretomba con Cerbero o pantera e pìnax con personaggio togato stante, preceduto da un palafreniere con berretto frigio e designato da un'iscrizione in lettere greche; sul pavimento, animale marino. L'interno, cui si accedeva attraverso una porta a doppio battente, si articolava in tre ambienti voltati a botte, i due laterali con i letti deposizionali, quello centrale pavimentato in cocciopesto con un, èmblema con un rettangolo quadripartito al centro e pistrici e delfini lungo i bordi. La costruzione della tomba comportò la distruzione di strutture funerarie più antiche, come una tomba a grotticella tagliata dal piano del dròmos, o solo di poco precedenti, come la tomba a camera detta «di Ganimede», con copertura a doppio spiovente, ubicata nei pressi dell'imboccatura del dròmos. Di estremo interesse il rinvenimento di una parte del corredo, composta da un nucleo di ceramiche a decorazione policroma (crateri con scene di combattimento) e terrecotte (figure femminili, delfini, Ganimede).
Non lontano dall'ipogeo della Medusa è stata rinvenuta (1989) un'altra tomba a camera detta «delle Anfore», articolata in un vestibolo o ripostiglio e nella cella, e preceduta sulla fronte da due colonne con capitelli dorici. La cella, con copertura a botte, presentava due letti funebri ed era già stata depredata, mentre il vestibolo, con copertura piana travata, conservava ancora integro il complesso di materiali deposti, fra i quali nove anfore da trasporto di tipo corcirese e brindisino, doppi askòi e vasi a saliera listati, brocche d'argilla d'impasto e vasi acromi. Insieme a una casa a peristilio scavata negli anni '50 da cui proviene un mosaico a ciottoli figurato policromo, queste tombe a camera evidenziano i rapporti con l'area greco-settentrionale che superano i limiti di una corrente artistica e trovano piuttosto ragione nelle scelte della ricca aristocrazia locale che si adeguava al modello politico e culturale del tempo. Il legame, in assenza di un chiaro quadro della cultura materiale arpana, si coglie anche nelle pitture di un gruppo di vasi (cratere a volute, brocca) dal fondo cavo e decorati a tempera con scene di combattimento attinte da un repertorio pittorico le cui premesse sono da ricercare nel mondo ellenico. Nella stessa tecnica, a crudo senza successiva cottura, si fabbricavano in questo centro vasi riproducenti, nelle forme e negli ornati, prodotti verniciati coevi (a figure rosse, di Gnathia, a vernice nera, sovradipinti), ma con una tecnica più economica e sbrigativa. Questi dati si riferiscono al momento di massima fioritura del centro quando nella città, urbanizzata nel corso del III sec. a.C. (Liv., XXIV, 46-47), prevaleva una ricca aristocrazia terriera che ne decise la sorte mutando, dopo la sconfitta romana a Canne, la propria politica filoromana a favore dei Cartaginesi e segnando così la fine del suo prestigio politico ed economico.
Salvo la menzione di un arpano fra i prosseni italiani a Delfi agli inizî del II sec. a.C., nonché del Liber Coloniarum relativa a centuriazioni di età graccana e triumvirale nel suo territorio, la sola documentazione di piena età romana è rappresentata da un settore di abitato di età imperiale portato alla luce presso Masseria Menga (1971-1972), impiantato su tombe a grotticella del primo ellenismo, con muri di tegoloni sovrapposti, pareti intonacate e dipinte, silos, pozzi e canalizzazioni. Esclusa la pertinenza ad A. della figura di Pardo, attribuita alla diocesi di Salapia, mancano al momento dati archeologici su questo centro a partire dall'età tardoantica, periodo in cui appare negli itinerarî viarî sull'asse di collegamento fra Lucera e Siponto. Dal XIII sec. A. ritorna a essere menzionata nelle fonti letterarie che in essa riconoscono le tracce più antiche della vicina Foggia.
Bibl.: In generale: M. D. Marin, Topografia storica della Daunia antica, Napoli 1970, pp. 39-47; E. M. De Juliis, in BTCGI, III, 1984, pp. 314-320, s.v.; M. Mazzei, Arpi preromana e romana. I dati archeologici: analisi e proposte di interpretazione, in Taras, I-II, 1984, pp. 7-46; ead., Arpi, in M. Tagliente (ed.), Italici in Magna Grecia. Lingua, insediamenti e strutture, Venosa 1990, pp. 57-64.
Fonti: M. Di Gioia, Monumenta Ecclesiae S. Mariae de Fogia, I, Foggia 1959; A. Russi, in Enciclopedia Virgiliana, I, Roma 1984, s.v.
Pittura: Tomba dei Cavalieri: E. M. De Juliis, Nuovi documenti di pittura figurata dall'Apulia, in Incontro di studio ad Acquasparta (DArch, n.s., II), Roma 1984, pp. 25-30. - Tomba esplorata nel 1972: E. M. De Juliis, Ricerche ad Arpi e a Salapia, in Atti del XII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1972, Napoli 1973, pp. 392-395. - Ipogeo della Medusa: M. Mazzei, Nuovi ritrovamenti nella Daunia settentrionale, in Profili della Daunia antica, II, Foggia 1987, pp. 79-89; ead., Foggia, Arpi, in Taras, X, 2, 1990, pp. 302-304. - Ipogeo «delle Anfore»: ead., ibid., IX, 1-2, 1989, pp. 161-163.
Pittura vascolare: Pittore di Α.: E. M. De Juliis, Nuovo ceramografo apulo della fine del IV secolo a.C., in Magna Graecia, XI, 1976, 11-12, pp. 1-4; A. D. Trendall, A. Cambitoglou, The Red-Figured Vases of Apulia, II, Oxford 1982, pp. 922-926. - Ceramica policroma di produzione locale: M. Mazzei, Nota su un gruppo di vasi policromi decorati con scene di combattimento, da Arpi (FG), in AnnAStorAnt, IX, 1987, pp. 167-188; ead., Note sulla ceramica policroma di Arpi (Puglia settentrionale), in Third Symposium on Ancient Greek and Related Pottery, Copenhagen 1987, Copenaghen 1988, pp. 407-413.
Scavi di Masseria Menga: E. M. De Juliis, Ricerche ad Arpi e a Salapia, cit., pp. 393-395.
Sul vescovo Pardo: G. Otranto, Pardo vescovo di Salpi, non di Arpi, in VeteraChr, XIX, 1982, pp. 159-169.
(M Mazzei)